6, 1 Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere
da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli.
2 Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle
sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro
ricompensa.
3 Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua
destra,
4 perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti
ricompenserà.
5 Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e
negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro
ricompensa.
6 Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel
segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
7 Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di
parole.
8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor
prima che gliele chiediate.
9 Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome;
10 venga il tuo regno;
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12 e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13 e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
14 Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà
anche a voi;
15 ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre
colpe.
16 E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia
per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro
ricompensa.
17 Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto,
18 perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il
Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Penso che sia quanto mai significativa l'iniziativa che avete preso come comunità
parrocchiale di poter prendere alcuni momenti, di poter assumere alcune ore per realizzare un ritiro, cioè per
“ritirarci” un attimo da quelle che sono le preoccupazioni quotidiane ed essere capaci in questo ritiro
di ritrovare noi stessi. Non ci si ritira mai dalle preoccupazioni, da quello che è la quotidianità
solo ed esclusivamente perché c'è un richiamo esterno. Questo deve essere più che mai, invece,
il ritorno ad un'esigenza dell'anima, un'esigenza interna che è quella appunto di ritrovare chi siamo. Il
silenzio, in questa dimensione, in questo momento, è la componente più importante. E' il silenzio
dentro noi stessi, è il silenzio intorno a noi, è la ricerca di un silenzio per permettere di ascoltare
Chi parla veramente nel silenzio.
E può essere per ognuno di noi, anche se per poco tempo, può essere per ognuno di noi un'esperienza
preziosa quella di oggi, perché ci consente di recepire, di prendere, di assumere, di percepire quella parola
che il Signore ci rivolge, perché nel ritrovare noi stessi possiamo ritrovare anche quel genuino rapporto che
ci lega a Lui. Abbiamo letto questo brano del cap. 6 del Vangelo di Matteo perché sta proprio all'inizio della
Quaresima, il mercoledì delle Ceneri, l'inizio di questo sacro periodo, di questi quaranta giorni. In tutta la
Chiesa, a tutti i cristiani viene proposto questo brano come - in qualche modo - il programma che deve essere
vissuto. Ed è importante - vedete - il dover verificare come questo cammino, un cammino che è lungo -
quaranta giorni sono, anche nella simbologia, nel richiamo ai quaranta anni del popolo ebraico nel deserto, nel
richiamo ai quaranta giorni che Gesù ha vissuto nel deserto subito dopo il suo battesimo e prima di iniziare
la predicazione pubblica, i quaranta giorni sono il richiamo alla durezza di un percorso, alla fatica di un percorso
che dobbiamo compiere – conduce alla Pasqua. Davanti a noi c'è Pasqua. La meta verso la quale dobbiamo
tendere è sempre e soltanto il centro e il fulcro della nostra fede: Pasqua, Cristo che è risorto. Ma
per poter arrivare, per poter essere capaci di cogliere la centralità della nostra fede, abbiamo bisogno in
questo lungo e duro cammino, abbiamo bisogno di alcuni spazi, abbiamo bisogno di alcune – direi - oasi di pace,
che ci consentano di assumere in noi la radicalità della fede.
E questi tre momenti che il Signore ci pone dinanzi sono quelli che abbiamo ascoltato. Sono l'elemosina, la
preghiera e il digiuno. Quaranta giorni segnati da delle tappe, tappe che sono in ogni caso poste alla luce di un
principio fondamentale: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini”. State
attenti a non vivere questi momenti perché possano dire di voi che siete bravi. Perché neanche voi
stessi, dice il Signore, potete assumere una gratifica per quello che siete chiamati a compiere. “Quando
pregate non state ritti nelle sinagoghe o negli angoli delle piazze”, non fatevi vedere da tutti, perché
non è questo il momento della testimonianza pubblica. Questo è il momento in cui siete chiamati invece
a rientrare in voi stessi. “E nel digiuno non assumete un'aria malinconica per farvi vedere dagli
uomini”. C'è sempre questa sottolineatura. In questo periodo quello che voi credenti fate, non dovete
farlo per essere visti dagli uomini. E come ci sono questi tre principi che si raccolgono alla luce di uno solo,
così dall'altra parte c'è il richiamo corrispondente: se non devi praticare le opere buone davanti agli
uomini, allora, non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra. Vivi questo momento in quella dimensione di
intimità profonda, in quella dimensione di nascondimento, in quella dimensione attraverso la quale nel
profondo della tua esistenza, tu solo sai ciò che stai realizzando e il Padre tuo che vede nel segreto. E
così per la preghiera: “Entra nella tua camera e chiudi la porta”. Non farti vedere da nessuno,
perché il Padre sa già quello di cui tu hai bisogno e quindi non moltiplicare le tue parole. E infine:
“Profumati la testa, lavati il capo”.
Come vedete ci sono tre momenti, ma al centro di questi momenti è posta la fede. Per capire l'atteggiamento
dell'elemosina e per capire il perché i discepoli di Cristo devono digiunare, viene posta lì al centro
la preghiera del Padre nostro. Questo ci fa capire come, se vogliamo entrare all'interno di un circuito, quel
circuito che consente di vivere il periodo quaresimale, di vivere questi quaranta giorni in vista della Pasqua nella
maniera coerente, dobbiamo fissare lo sguardo sulla preghiera. Una preghiera che, come abbiamo visto - ci viene detto
- deve essere compiuta nell'intimità, una preghiera che deve essere realizzata essenzialmente non per essere
vista dagli uomini, ma per essere noi posti nella relazione coerente con il Padre. Fratelli miei, dobbiamo dire
subito: la preghiera non è un'esperienza facile, non è facile pregare. Togliamoci subito dalla mente la
possibilità di dire che è facile pregare. Non lo è affatto. La preghiera è un'esperienza
tra le più difficili! Ma non vorrei che voi prendeste le mie parole in questo momento come se io volessi
parlare delle “preghiere”. Il Vescovo non vi vuole parlare delle “preghiere”, del
moltiplicare le vostre parole. Io voglio parlare con voi questa mattina della preghiera come tale,
perché se non c'è questo comportamento di fondo, se non c'è questa dimensione, tutto il resto
sono soltanto parole. Tutto il resto può diventare qualcosa di vago, di pericoloso anche, qualche cosa che ci
può illudere, che ci può far sentire meglio, che ci può far sentire soddisfatti. Prima delle
preghiere c'è la preghiera, c'è l'atteggiamento con il quale cioè io mi pongo dinanzi a Dio.
Dimentichiamo quindi qualsiasi espressione, dimentichiamo qualsiasi parola che noi conosciamo, anche se volete la
più semplice, la più preziosa: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. E'
la nostra preghiera. E' con questo che ci alziamo al mattino ed è con questo che dovremmo essere capaci di
concludere la nostra giornata: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito”. La nostra fede è
tutta raccolta qui, fede che proclama la Trinità, fede che proclama l'inizio di ogni cosa “nel nome di
Dio”, cioè nell'abbandono a Dio, nella lode a Dio che è Trinità. Dimentichiamo tutto
questo. Per prima cosa dobbiamo essere capaci di porci davanti a Dio, sapendo che è Dio, non che è un
uomo. Vedete anche nella semplicità degli esempi che vi posso fare, noi abbiamo perso molto il senso del
sacro. Noi normalmente entriamo nelle nostre chiese e, anche per come sono fatte le nostre chiese, che hanno anche
alle spalle una forma ideologica, noi non riusciamo più a comprendere la sacralità del luogo,
perché entriamo come entriamo in qualsiasi altro luogo. Ma non è così! Quando noi dovessimo
entrare in una chiesa, la chiesa come tale dovrebbe già porci al di fuori di quello spazio nel quale noi siamo
normalmente inseriti, perché questo diventa il luogo dove tu ti rapporti almeno con la mente, almeno nel
segno, ti rapporti ad una presenza che è quella di Dio, non quella degli uomini. In primo luogo tu non vieni
qui per incontrare gli altri, in primo luogo tu vieni qui per incontrare Dio. Questo - vedete - la Sacra Scrittura ci
dice che è l'inizio della salvezza. Se tu vuoi essere una persona saggia, se tu vuoi essere sapiente,
cioè se tu vuoi vivere la tua vita in relazione con Dio, se tu vuoi guardare tutto quello che ti succede nella
tua giornata con gli occhi della fede, perché questa è la sapienza, sappi che la sapienza,
“l'inizio della sapienza, è il timore di Dio”.
Il timore di Dio non è la “paura” di Dio. Il timore di Dio, fratelli miei, è riconoscere
che Dio è Dio ed io sono un uomo. Come mi pongo io davanti a Dio, come devo pormi davanti a Dio, perché
mi devo porre davanti a Dio. Questa – vedete - questa è la condizione minimale della preghiera. E'
essere capaci di sapere che lì c'è Dio e qui ci sono io, che sono pur sempre una creatura, che non
potrò mai mettermi al Suo posto. Capisco che tra me e Lui deve esserci una relazione attraverso la quale io so
che ricevo da Lui, so che debbo rendere a Lui qualche cosa, so che debbo essere capace di accogliere da Lui tutto
ciò che sono, una relazionalità di gratuità, una relazionalità attraverso la quale vedo
sicuramente un abisso, un abisso incolmabile. Chi sono io per rivolgermi a Dio, chi sono io perché Dio abbia a
parlare con me?
Chi sono io che posso chiedere qualcosa a Dio? Perché lo dovrei fare? Vedete, l'esperienza soprattutto
dell'AT ci porta a questa forma di separazione che è il senso di una trascendenza ultima, suprema, di una
lontananza per molti versi, una lontananza che noi possiamo colmare nella misura in cui sappiamo che se dobbiamo
pregare è perché Cristo ci ha insegnato come lo possiamo fare. Vedete, se noi togliamo dalla nostra
vita la presenza di Cristo, del Figlio di Dio, noi rimaniamo con quel vuoto, con quell'abisso incolmabile che
è tipico ancora delle altre religioni, è tipico dell'Ebraismo e ancora di più è tipico
dell'Islam. L'impossibilità di accedere a Dio, l'impossibilità di chiamare Dio Padre,
l'impossibilità di avere una relazione che sia una relazione di familiarità con Lui. L'Apostolo, nella
lettera ai Galati, al capitolo 3, 27 ci da una esplicitazione di questa nostra condizione: “Poiché
quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Tutti voi dunque siete uno in Cristo
Gesù”. Ecco – vedete - il perché della nostra differenza nella fede. Anche noi ci poniamo
davanti a Dio sapendo che è Dio. Anche noi ci poniamo davanti a Dio cercando di riconoscere, di riscoprire chi
siamo. Anche noi in questa operazione dobbiamo cercare di cogliere il senso, però sappiamo che c'è una
mediazione. Sappiamo che non iniziamo da capo. Sappiamo che dobbiamo assumere in noi quella stessa forma di preghiera
che ha assunto Cristo. Allora perché io devo pregare? Attenzione che io non vi dico “perché io
posso pregare”, ma “perché io devo pregare”. Io non trovo altra risposta che
questa: perché Cristo ha pregato.
Questo è la forma del mio essere cristiano: io devo assumere in me la forma di Cristo. “Abbiate in voi
gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù”. La vita del credente, la vita del cristiano, deve
essere una vita che si riempie della forma di Cristo, di tutto ciò che Cristo è. E allora io prego
perché Cristo ha pregato, come Cristo ha pregato. Questa è allora la condizione che mi deve portare ad
inoltrarmi sempre di più in quella fede che mi fa suo discepolo, ma che mi fa diventare anche cosciente di
come pregare. Quindi io non devo pregare come voglio io. La vera preghiera, l'autentica, genuina preghiera è
una preghiera che io devo fare come l'ha fatta Lui, non come la voglio fare io.
Voi vi accorgete quando tante volte noi vediamo in qualche modo uno iato, una separazione, tra quello che è
il nostro modo di porci dinanzi a Dio e quello che è invece il modo con il quale il Figlio, Cristo, si
è posto dinanzi al Padre. Se noi non entriamo in questa logica dobbiamo accettare l'invito e anche il
rimprovero di Gesù quando ci dice: “Voi pregate e non ottenete. Sapete perché non ottenete?
Perché non chiedete nella maniera giusta”, cioè perché non pregate nella maniera
giusta.
Allora il passo che dobbiamo compiere è in qualche modo – vedete - quello di crescere nella fede. Fede
e preghiera sono i due risvolti della stessa medaglia della vita, della vita di fede.
Più cresce la fede e più si intensifica la vita di preghiera. Più la vita di preghiera si fa
forte e più radicata in noi è l'esperienza della fede, cioè l'esperienza di quell'abbandono di
noi stessi nelle mani del Padre. E allora - vedete - l'espressione prima, l'espressione primaria che è
già preghiera è quella che i discepoli rivolgevano a Gesù: “Signore io credo! Io credo, tu
però accresci la mia fede”. Perché la preghiera possa essere coerente, perché possa essere
accolta, perché possa essere esaudita, deve essere compiuta in quello spazio della fede che mi porta a capire
come rivolgermi al Padre. E vedete allora come siamo subito consequenziali: come Cristo ha pregato! Cap. X Lettera
agli Ebrei: “Entrando nel mondo egli dice: Ecco io vengo, Padre, per fare la Tua volontà”.
Lc 22, 42: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Però non la mia, ma la Tua
volontà”.
Mt 26, 39: “Padre, non come voglio io, ma come vuoi Tu”.
Vedete noi non ci stancheremo mai di dover entrare all'interno dell'esistenza, della vita, di Gesù di
Nazareth, per capire che la sua esistenza è sempre e soltanto compiere la volontà del Padre.
A me piace – vedete - vedere la preghiera di Gesù in primo luogo in questa dimensione. Quando
Gesù parlava con il Padre, non parlava con le parole che noi siamo soliti pensare, perché quando
Gesù pregava, Gesù pregava contemplando il volto del Padre.
Non è un caso, ma in tutti i Vangeli noi abbiamo soltanto pochissime espressioni - due versetti
essenzialmente - che ci dicono quella che era l'unica preghiera che noi ritroviamo di Gesù - che non è
il Padre Nostro, come avete sentito - ma dobbiamo andare al cap. 10 di Luca, laddove troviamo quello che porta come
titolo “l'inno di giubilo”: “Io ti rendo lode, Padre, perché tu hai nascosto tutte queste
cose ai sapienti, agli intelligenti e le hai rivelate ai semplici. Sì Padre. Perché così
è piaciuto a te”.
Questa vedete, noi sappiamo con assoluta certezza, questa è la preghiera che Gesù rivolgeva al
Padre.
Certo i vangeli ci dicono però tantissime altre cose.
Mt 14, 23 “Congedata la folla salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera Egli se ne stava ancora
lassù, solo”.
Mc 1, 35 “Al mattino si alzò quando era ancora buio e uscito di casa si ritirò in luogo deserto
e là pregava”.
Lc 5, 15 “La sua fama si diffondeva, ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare”.
Lc 6, 12 “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò tutta la notte
in preghiera”.
Vedete non si dicono le parole di Gesù, se non in un caso rarissimo: “Ti rendo lode, Padre”, ma
continuano gli evangelisti a ripeterci quello che era il comportamento, lo stato, con il quale Gesù si poneva
davanti al Padre. “Passò tutta la notte”, “Non era ancora giorno” “E Gesù
pregava solo, solo”. Voi sapete nella lingua ebraica, quando vengono dette tutte queste cose, la solitudine, la
notte, è tutto per richiamare il silenzio. Gesù stava solo, nel silenzio, a contemplare il volto del
Padre. Ma nel contemplare il volto di suo Padre, sapeva che da quel Padre riceveva tutto, che tutta la sua vita era
fare la volontà del Padre. “Per me vivere è fare la volontà del Padre. Le opere che io
compio, sono le opere che ho visto realizzare dal Padre. Quelle cose che io vi dico sono le cose che ho udito dal
Padre” (Gv cap. 5 – 6). Tutte queste cose che Gesù dice, tutte queste cose che Gesù fa,
sono perché il Padre gli chiede di poterle fare. E a conclusione della sua vita, siamo al cap 17 di Giovanni,
troviamo questa espressione: “Io ti ho glorificato, Padre, compiendo l'opera che tu mi hai dato da fare”.
La gloria al Padre, il riconoscimento che Lui è Dio, quella gloria che è dovuta perché è
Dio, perché tutto deve essere innalzato a Lui, quella gloria non è niente altro che la realizzazione di
tutta l'esistenza di Gesù. Vedete i discepoli avevano visto Gesù in questo modo e ce ne hanno dato
testimonianza. Hanno capito che tra Gesù ed il Padre c'era un'intimità di vita profonda, c'era una
comunione di vita e la vedevano realizzare essenzialmente proprio in questi momenti di solitudine in cui Gesù
stava solo con il Padre. Ed è per questo motivo che Gesù accoglie la richiesta dei suoi discepoli.
Vedete Romano Guardini, che è stato un grande pensatore nel secolo scorso, il '900, R. Guardini ha un bel
libretto dove commenta tutto il Padre Nostro e nel commentare il Padre Nostro dice: “Vedete noi abbiamo due
redazioni del Padre Nostro!”.
Una redazione è data dall'evangelista Luca, un'altra redazione è data dall'evangelista Matteo. Poi
– dice - sicuramente la redazione più antica - dice lui - è quella di Luca. Luca ci fa capire (Lc
11, 1-2) il perché della richiesta di preghiera. Perché – dice ed è un'annotazione
interessantissima - i discepoli vedevano Gesù che pregava e vedevano una intimità talmente forte con
Dio che gli hanno chiesto: “Concedi anche a noi, fa capire anche a noi come possiamo entrare in questa
intimità con Dio” e per entrare in questa intimità Gesù ha insegnato loro il Padre
Nostro.
Vedete, questa preghiera, queste parole, ci fanno capire come porci dinanzi a Dio e la strada per entrare
nell'intima comunione con Dio e questo ci da evidentemente un primo aspetto di quello che deve essere la nostra vita.
Vedete, non si riuscirà mai a pregare in comunità se non si è capaci a pregare da soli. E'
un'illusione che preghiamo meglio quando stiamo insieme. E così è vera anche la reciprocità, non
si riuscirà mai a pregare veramente da soli se non saremo capaci anche di pregare in comunità. Non
c'è una separazione tra questi due momenti. C'è la capacità di una circolarità attraverso
la quale ciò che io vivo come esperienza credente, come atto attraverso il quale mi affido al Padre, mi
concede, mi permette anche in una solitudine forse, anche dovendo ricercare momenti di solitudine, di avere questa
intimità con il Padre. Sapendo che da questa preghiera emerge quel contributo ancora più forte a quella
preghiera che viene fatta con tutta la comunità.
Ma è ugualmente vero che la preghiera fatta con tutta la comunità - perché è la Chiesa
che sta pregando, “se due di voi sulla terra si accorderanno per domandare qualche cosa, il Padre mio che
è nei cieli gliela concederà, perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo
a loro” - questa dimensione comunitaria della preghiera non può essere tolta se non creando un
pericolosissimo rischio alla preghiera personale. Come fai tu, quando sei solo, ad avere la certezza che sei
veramente davanti a Dio? Come fai tu ad essere certo che in quel tuo pregare non stai parlando solo con te stesso?
Non stai dando voce solamente ai tuoi desideri senza neppure sapere se sono dei desideri conformi alla volontà
del Padre, se non hai alle spalle una Chiesa che oltre ad insegnarti a pregare perché ti trasmette la parola
di Cristo, è lì anche che prega insieme con te e tu con lei e in quel pregare insieme capisci,
comprendi che non sei più solo e che lì si crea anche il discernimento di ciò che tu chiedi al
Padre? Vedete la comunità primitiva aveva talmente capito questa dimensione per cui ci riporta continuamente
l'esigenza di una preghiera personale ma ci riporta alla piena convinzione che nel tempio e nelle loro case pregavano
insieme, come negli Atti degli Apostoli, laddove la prima comunità esprime, fa capire chi era veramente.
I due momenti, fratelli miei, devono vivere in una piena circolarità. Non possiamo mai separarli
perché c'è anche una preghiera che quando è fatta da soli è la preghiera di tutta la
Chiesa. Voi pensate a noi sacerdoti - che abbiamo l'obbligo di questo, l'obbligo perché dobbiamo pregare anche
per quelli che non pregano - quando recitiamo la Liturgia delle Ore. O quando anche voi prendete tra le mani un Salmo
e recitate quel Salmo. Voi state pregando con tutta la Chiesa. Anche se sono solo in quell'angolo della chiesa, anche
se sono solo nella mia camera, quella è preghiera di tutta la Chiesa. Quindi anche in quella solitudine sto
pregando con tutta la Chiesa. Perché non c'è soltanto ciò che io prego, ma c'è quel
contenuto che io prego perché è Parola di Dio e quel contenuto mi prende e mi consente di andare oltre
la mia solitudine o la mia individualità. Questa dimensione – vedete - ci fa capire quello che è
la realtà eucaristica della preghiera. Perché quando preghiamo insieme, la pienezza di questa preghiera
è la preghiera che si chiama Eucarestia. Perché lì noi troviamo il tutto dell'atteggiamento
pieno della preghiera. Perché lì c'è il rendimento di lode, lì c'è il rendere
grazie a Dio. Lì c'è il sacrificio che si compie – “non la mia, ma la Sua
volontà”. Lì c'è una vita di comunione, di intimità con il Signore, perché
viene in me, dentro di me, lo porto, sono cristoforo, porto con me Cristo. Lì c'è l'essere inviati, per
diventare partecipi e rendere partecipi tutti di quello che ho ricevuto. E questo - vedete ci fa capire allora in che
modo mi pongo, in che modo capisco questa preghiera che è sempre in ogni caso la preghiera del cuore.
“Tu, Signore, Padre, non hai rivelato queste cose ai sapienti e agli intelligenti, ma le hai date ai
semplici”. Cioè le hai date a chi capisce la povertà del popolo di Cristo. La preghiera –
vedete - è sempre quella che prende coscienza, ci fa prendere coscienza, della nostra povertà. La
povertà attraverso la quale arrivano le parole del Salmo: “Il Signore mi solleva dalla polvere”,
mi tira fuori, mi fa crescere! Ma quella povertà di cui l'Apostolo nel cap. 8 della Lettera ai Romani ci fa
anche dire: “Noi non sappiamo neanche cosa sia conveniente domandare. E allora lo Spirito intercede con
insistenza per noi, con gemiti inesprimibili, e Colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito
perché Egli intercede secondo i disegni di Dio”. La povertà che ci consente di dire che dobbiamo
dar voce allo Spirito perché Lui conosce i disegni di Dio e quei disegni di Dio diventano i nostri: “non
la mia, ma la Tua volontà si compia”.
Vedete che torniamo ancora una volta al punto di partenza: il Signore ha bisogno di una persona che sia lì in
quella semplicità e povertà, che sappia dire il proprio sì di abbandono al Padre.
Come vi ho detto, allora, che la preghiera deve essere profondamente intrisa di quella che è la forma di
Cristo, capiamo alla fine perché la preghiera deve essere mariana. Non perché preghiamo Maria, ma
perché assumiamo in noi la forma di Maria. E' quella povertà, è quella dedizione piena che sa
dire: “Si faccia di me secondo la Tua volontà”.
Non ci siamo spostati assolutamente da questo comportamento di fondo. “Entrando nel mondo dice: Ecco, io vengo
per fare la Tua volontà”. Il credente che trova la prima esemplare realtà della vita credente,
della vita di fede, della vita di preghiera in Maria, ripete: “Si faccia di me secondo la Tua parola”.
Dobbiamo essere capaci allora, nella nostra preghiera, di individuare i segreti di Dio nella nostra esistenza, per la
nostra esistenza, ed essere capaci di seguirli fedelmente, nell'obbedienza.
Vedete quando si prega, ci vuole intelligenza. La preghiera non è un movimento del cuore, la preghiera
è un atto con il quale il cuore si apre, ma è l'intelligenza che cerca il perché di quello
stato, il perché di quella condizione, il perché di quelle parole. Vorrei concludere leggendovi una
bella preghiera che S. Agostino poneva alla fine di un cammino, in un libro molto difficile, un libro in cui Agostino
parla e spiega la Trinità. Voi sapete, la Trinità è il centro della fede cristiana, il cuore
della nostra fede. Agostino ha un volume dove appunto parla, spiega, cerca di capire il mistero della Trinità
e lo conclude con una preghiera. Ve ne leggo alcuni brani perché sono significativi per quello che abbiamo
detto e anche, se volete, per il cammino che si apre dinanzi a voi.
“3Signore, nostro Dio, crediamo in Te, Padre, Figlio e Spirito Santo. Dirigendo la mia attenzione verso questa
regola della fede, per quanto Tu mi hai concesso di potere, ti ho cercato e ho desiderato di vedere con intelligenza
ciò che ho creduto e ho molto disputato e molto faticato. Signore Dio mio, mia unica speranza, esaudiscimi e
fa che non cessi di cercarti per la stanchezza, ma cerchi sempre il Tuo volto con ardore. Dammi tu la forza di
cercarti, Tu che hai fatto sì di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una conoscenza
sempre più perfetta. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza. Conserva quella, guarisci questa.
Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza. Dove mi hai aperto ricevimi quando entro, dove mi hai chiuso,
aprimi quando busso. Fa che mi ricordi di Te, che comprenda Te, che ami più Te. Aumenta in me questi doni,
fino a quando tu mi abbia riformato completamente. Liberami o Dio dalla moltitudine di parole di cui soffro
all'interno della mia anima, misera, quando è alla Tua presenza e che si rifugia adesso nella Tua
misericordia. Quando arriveremo alla Tua presenza cesseranno queste molte parole che diciamo senza giungere a Te e Tu
resterai, solo, tutto in tutti e senza fine diremo una sola parola, lodandoti in un solo slancio e divenuti anche noi
una sola cosa in Te”.
Ecco - vedete - possa essere anche per voi questa preghiera, mettendo insieme tutto ciò che pensiamo, la
nostra stanchezza quando non sappiamo dove stiamo andando, la nostra debolezza quando sentiamo che non ce la
facciamo, la nostra forza quando il desiderio si apre, il nostro desiderio di voler conoscere sempre di più,
perché la fede vuole conoscere sempre di più, perché ama. Ma tutto deve arrivare a quella
contemplazione ultima, dove le parole non ci sono più ma esiste soltanto la forza di quell'amore che sa
contemplare in silenzio.
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