N.B. La presente conferenza non è stato rivista dall'autore e conserva lo stile di testo orale, successivamente trascritto
L'Areopago
Vi voglio leggere soltanto un piccolo brano perché, per capire
Giovanni Paolo II, per capirne il pensiero, per capirne la predicazione, per capirne la
politica, per capire tutto quello che è l'azione pastorale di Giovanni Paolo II, bisogna
andare a leggere la sua prima enciclica, perché lì c'è tutto. Lì ci
sono i 25 anni di pontificato e oltre. Lì c'è Giovanni Paolo II che porta la sua
esperienza di pastore, porta la sua esperienza di professore di etica all'università di
Cracovia prima e Lublino poi. Lì c'è tutto Giovanni Paolo II. C'è il padre
conciliare, cioè quel giovanissimo vescovo - papa Wojtyla è stato fatto vescovo a
38 anni ed è diventato papa a 58 anni; in Italia i vescovi più giovani vengono
fatti, essenzialmente, in questo periodo, intorno ai 64 anni! Quindi voi potete ben capire cosa
significa la vitalità di questa persona. Lì in quell'enciclica, in quelle pagine,
voi trovate chi è Wojtyla, trovate la sua profonda spiritualità, trovate il suo
modo di pensare e il suo modo di agire.
E lì c'è un brano che a me piace molto. Scrive così: “Non
dimentichiamo, neanche per un momento, che Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, è
diventato la nostra riconciliazione presso il Padre. Proprio Lui, solo Lui, ha soddisfatto
all'eterno amore del Padre, a quella paternità che sin dal principio si è
espressa nella creazione del mondo, nella donazione all'uomo di tutta la ricchezza del creato,
nel farlo «poco meno degli angeli» (Sal 8, 6), in quanto creato «ad immagine
ed a somiglianza di Dio» (Gen 1, 26); e, egualmente, ha soddisfatto a quella
paternità di Dio e a quell'amore, in un certo modo respinto dall'uomo con la rottura
della prima Alleanza e di quelle posteriori che Dio «molte volte ha offerto agli
uomini»... La croce sul Calvario, per mezzo della quale Gesù Cristo - uomo, figlio
di Maria Vergine, figlio putativo di Giuseppe di Nazareth - «lascia» questo mondo,
è al tempo stesso una nuova manifestazione dell'eterna paternità di Dio, il quale
in Lui si avvicina di nuovo all'umanità, ad ogni uomo, donandogli il tre volte santo
«Spirito di verità». Con questa rivelazione del Padre ed effusione dello
Spirito Santo, che stampano un sigillo indelebile sul mistero della Redenzione, si spiega il
senso della croce e della morte di Cristo. Il Dio della creazione si rivela come Dio della
redenzione, come Dio «fedele a se stesso», fedele al suo amore verso l'uomo e verso
il mondo, già rivelato nel giorno della creazione” (Redemptor Hominis 9).
Vedete, in poche parole, Giovanni Paolo II traccia la storia della Salvezza e il contenuto
fondamentale della fede, perché in poche parole punta lo sguardo fisso su Gesù di
Nazareth, il rivelatore del Padre: non il rivelatore soltanto di Dio, ma il rivelatore che Dio
è Padre,. E' questo ciò che non può dire nessun'altra religione: che Dio
è Padre in questo senso, di questa paternità! E di quel Dio che, rivelando il
Padre, nella sua morte salva l'uomo, e tutto l'uomo, e che in quella morte di croce dà
il senso alla vita, perché dà il senso ad un'esistenza come amore e che in quella
morte e in quella Resurrezione dona lo Spirito Santo.
E da lì la Chiesa che continua. E' la Chiesa che ha la missione di mantenere vivo quel segno della misericordia del Padre. Non è un caso che la seconda enciclica di Giovanni Paolo II è Dives in misericordia, cioè il tema della misericordia. Non è un caso che papa Wojtyla abbia voluto a tutti i costi fare santa suor Faustina Kowalskache è colei che esprime la rivelazione della misericordia. Vedete, qui, intorno a questi punti, si possono capire tante cose di questo papa. Si può capire perché dice che nella via verso l'uomo che porta Gesù Cristo, la Chiesa non può essere fermata da nessuno! Avete presente Karol Wojtyla, appena diventato papa che prende questa croce, questo pastorale, e, come un vessillo, camminando in piazza S.Pietro, lì davanti dice poi esplicitamente: “Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”.
Nella veglia che fece poi, quando il Papa voleva dare il suo benvenuto a tutti i giovani, per la Giornata Mondiale della Gioventù, c'era piazza S.Pietro stracolma, e il Papa diceva a tutti i giovani che erano lì: “Ma cosa siete venuti a cercare? Cosa siete venuti a cercare?” – per tre volte lo ha ripetuto. E qualche giovane incominciava a dire: “Giovanni Paolo!” E lui: “No! Gesù Cristo, Gesù Cristo!”
Da dove viene tutto questo? Ho fatto fare una tesi, ai bei tempi in cui ero professore, ad un mio studente americano, per cercare di capire quale influsso abbia avuto il giovane vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla, in quella espressione di Gaudium et spes, n. 22. Il n. 22 di Gaudium et spes torna in tutti i documenti più importanti del papa, ritorna nelle sue omelie più decisive, più importanti. Cosa dice quel brano? Dice così: “In realtà, solamente alla luce del Verbo incarnato, trova piena luce il mistero dell'uomo”. E poi, continua il Concilio, “in effetti, veramente, in questo nuovo Adamo, Cristo, rivelando il volto del Padre, permette all'uomo di conoscere pienamente se stesso, l'uomo diventa più uomo e capisce la sua altissima vocazione”. Vedete, qui c'è un qualcosa e quella tesi ha dimostrato che quel giovane vescovo ci aveva messo le mani. Qui c'è tutta una storia lunghissima dietro la composizione e la redazione di questo documento. Ma lì c'è un pensiero che Wojtyla ha sempre portato avanti, cioè qual è la visione dell'uomo. Perché è stato abbattuto il muro di Berlino, perché questo uomo è stato così accolto ed è diventato, anche nella vecchiaia, l'espressione ultima a cui tutti si rivolgono per avere una parola che sia carica di senso? Il perché, essenzialmente, ci è chiarito in questi testi, sempre nella Redemptor hominis, dove il papa scrive che Cristo si è rivolto ad ogni uomo, senza esclusione alcuna, a tutto l'uomo, senza escludere nessuno [1] . Sembra proprio quasi che il suo tentativo sia proprio quello di dire che Cristo va incontro a tutti e a tutto l'uomo. Non solo non esclude nessuno, ma tutto ciò che è l'umanità, all'interno del mistero di Gesù Cristo. Che rimane un mistero, come rimane un mistero la vita dell'uomo, ma sono due misteri che si incontrano. Io sono convinto che su quella base lui ha sviluppato tutta la sua antropologia. Cioè l'antropologia di Wojtyla è essenzialmente un'antropologia carica della cristologia e riletta alla luce della cristologia. Alla luce di Cristo, lui rilegge l'uomo. Per capire veramente questo uomo, bisogna metterlo sotto i riflettori di Gesù Cristo. Allora si capisce perché questo Gesù Cristo che è venuto a portare la libertà, deve rendere l'uomo sempre più libero, e si capisce perché Wojtyla insista su questo.
Io ricordo anni fa - ero ancora professore al Virgilio, parliamo della
seconda metà degli anni settanta, quando don Andrea era uno dei miei giovani, della mia
parrocchia - che avvenne un fatto di antisemitismo al liceo Virgilio, di una mia alunna che era
stata picchiata, dopo che le avevano detto “sporca ebrea” - un fatto veramente
molto triste. Voi sapete che il papa riceve tutti i sacerdoti di Roma il giovedì dopo il
mercoledì delle Ceneri. Il giorno successivo al mercoledì delle Ceneri è
il giorno dell'incontro del clero con il Santo Padre. In quell'occasione a me venne chiesto di
dire una parola anche su questi fatti. Allora io ero un giovanissimo sacerdote, lui anche un
giovane Papa. Io andai al microfono e dissi: “Saremmo contenti se Vostra Santità
venisse a visitare il liceo Virgilio” – allora il Papa non era ancora stato nella
sinagoga. Lì ci fu un po' di brusio ed il papa rispose a questa cosa.
E il Papa usò un'espressione che è molto, molto importante, che lui aveva usato
tante volte quando era vescovo a Cracovia. Qualcuno diceva nel brusio di quel giorno:
“Come fa il papa ad andare in una scuola statale, come la mettiamo con la laicità
dello Stato” (figurarsi poi che eravamo negli anni del secondo periodo delle Brigate
Rosse, non dimenticate che è il periodo in cui viene preso Moro).
Il papa disse: “Io sono il vescovo di Roma, ho bisogno di andare a visitare anche le
scuole e poi, e poi il popolo è sempre superiore allo Stato”. Espressione
formidabile perché lo Stato non è sopra il popolo come afferma invece la
concezione marxista. Il papa disse questa cosa, davanti a tutti! Io ricordo perfettamente
questi momenti, cioè il desiderio del Papa di dover andare inevitabilmente anche in una
scuola per poter dare un segno ben preciso. Me lo impediscono? Ma il popolo non può
essere impedito. Lo Stato non può impedire al popolo di esprimere pienamente se stesso.
Voi capite questa concezione. Sappiamo direttamente che, quando si trattò di dover
decidere della politica nei Paesi dell'Est, il giovanissimo papa disse: “Ai paesi
dell'Est ci penso io”. E nessun altro si occupò di queste cose. Ed era inevitabile
che fosse così.
Ma qual è il pensiero che lo spinge. Il pensiero è quello di un'antropologia che è riletta alla luce del criterio ultimo, di questo Gesù Cristo per il quale bisogna essere capaci di aprire e di spalancare le porte. Vedete intorno a questo tema possiamo riportare anche le altre encicliche di Giovanni Paolo II. Nessun papa ha scritto tre encicliche sulla dottrina sociale della Chiesa. Quest'anno che è il 25° siamo riusciti a pubblicare una intervista sulla dottrina sociale della Chiesa che Karol Wojtyla aveva rilasciato un mese prima di diventare papa. Poi non venne più pubblicata (perché come si faceva allora a pubblicare qualcosa che aveva detto un mese prima di diventare papa.? Bisognava vedere se andava bene, se non andava bene). Comunque, per i 25 anni, noi l'abbiamo pubblicata. Vedete il coraggio di quel giovane cardinale! A voi queste cose diranno poco, ma all'epoca, un teologo che andava per la maggiore, M.D.Chenu, aveva detto: “Basta con questi discorsi, non esiste nessuna dottrina sociale della Chiesa, non esiste più niente di questo” [2] . Wojtyla apre questa intervista dicendo: “No, no, la dottrina sociale della Chiesa è necessaria, eccome, perché lì c'è tutta la possibilità di influire, all'interno della società, e di fare in modo tale che venga raggiunto il bene comune”. Nessun papa ha scritto 3 encicliche sulla dottrina sociale, ma il papa che ha insegnato etica, cioè ha insegnato il comportamento dell'uomo, non poteva prescindere da un tema così importante, cioè non poteva fare finta che tutto questo non esistesse. Certo è una voce critica. E' stata una voce profondamente critica sul marxismo, come è stata anche una voce critica sul capitalismo. Perché se non è indirizzato all'uomo - troverete scritto in queste encicliche - se non è indirizzato alla persona, non solo all'uomo, ma alla persona, tutto quanto viene meno.
E qui vorrei toccare un'altra dimensione, a partire appunto da quello che è un'altra enciclica, ed è l'enciclica Fides et ratio, cioè il Papa che, essenzialmente, in un periodo in cui viene teorizzata la debolezza della ragione, si fa lui portavoce della forza della ragione dell'uomo. Perché l'uomo - troverete scritto in quell'enciclica - l'uomo è per sua stessa natura in cerca, in ricerca della verità, e non può vivere senza la verità. E, dovendo ricercare continuamente la verità, non può mai essere contento o soddisfarsi di verità parziali e non può mai essere ricurvo su se stesso. La ragione non può, non deve, essere ricurva su se stessa, ma deve essere capace di puntare in alto. Voi immaginate - con tutto il contesto che abbiamo vissuto, per lo meno nell'ultimo secolo, per cui questa Chiesa che veniva accusata di oscurantismo: “Questa Chiesa che non vuole il progresso, questa Chiesa che ha condannato Galileo”, quante ne hanno dette nei confronti di questa Chiesa! – che oggi ritroviamo che questa Chiesa, con Giovanni Paolo II, difende la forza della ragione, davanti a dei filosofi che ne teorizzano la debolezza. Paradossale, però reale!
L'uomo ha una forza talmente grande dentro di sé per cui la sua ragione, interrogando, deve necessariamente puntare su quella che è la verità ultima. Nessuno si può accontentare di qualche cosa di meno. “Perché le ipotesi - scrive il Papa in questa enciclica - le ipotesi possono affascinare, ma non soddisfano. Viene per tutti, piaccia o no, il momento in cui si deve radicare la propria vita, su una verità fondamentale [3] ”4. Allora vedete, questa ricerca dell'uomo, della verità. E su questa ricerca che la Chiesa fa nei confronti di ogni uomo, questa non può essere fermata da nessuno.
Ed è per questo motivo che il papa scrive una enciclica come Redemptor hominis, cioè il Redentore, cioè Colui che salva. Sono scalini i quali poco alla volta portano poi a identificare anche la dimensione ultima. Il senso di una vita, ci dice Giovanni Paolo II, lo si ritrova nella misura in cui si punta lo sguardo su questa persona, che ha preso tutto dell'umanità. E ritorniamo di nuovo a Gaudium et spes, 22 dove si dice: “Il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente di uomo, ha agito con volontà di uomo, ha amato con cuore di uomo”. Voi vedete che c'è tutta una antropologia e una cristologia. Non ci si allontana mai da questo punto. Se volete capire il pensiero del papa, dovete continuamente ritornare lì, a quel punto. Lì c'è una antropologia, cioè questa visione dell'uomo che può essere tale solo sulla misura in cui accetta dentro di sé la persona di Gesù Cristo. Perché? Perché Gesù Cristo lo salva. Perché Gesù Cristo è colui che gli dà un senso, gli dà un valore.
E concludo: in questo senso dovete anche capire tutto il tema del martirio. Posso assicurarvi: Giovanni Paolo II è una persona affascinata dal martirio. Io per alcuni motivi ho dovuto leggere molti testi di Karol Wojtyla, delle conferenze ed altri scritti, e ho trovato riferimenti al martirio, in una maniera incredibile. Come ho trovato continuamente questo richiamo ad essere sentinelle. Se voi andate nella Redemptor hominis vi ritroverete con questa espressione: “Le sentinelle”. E' una espressione cara al pensiero, al linguaggio di Giovanni Paolo II. Capite perché ha voluto e ha scritto anche nella Tertio Millennio Adveniente, in quel documento che preparava l'anno santo, ha scritto anche, testualmente: “La testimonianza dei martiri non può essere dimenticata”. Certo lì lui riporta la sua storia personale. Pensate a quell'immagine stupenda di papa Giovanni Paolo II sulla collina delle croci, in Lituania. Una cosa impressionante! Ma è quell'uomo che ha vissuto in prima persona quello che è stata l'esperienza diretta del martirio. Non dimentichiamo che Giovanni Paolo II ha interpretato su di sé, sulla sua vita personale, il terzo segreto di Fatima, dove appunto si dice che quell'uomo vestito di bianco sarebbe stato ucciso.
Allora c'è un mistero della vita dell'uomo riletto alla luce di Cristo; e Giovanni Paolo II vede se stesso inserito in questo mistero più grande, che è un mistero di una Chiesa che continua. Da quando, negli ultimi anni si è iniziato a parlare di sue possibili dimissioni, io ho sempre detto che, per quello che conosco di Giovanni Paolo II, non potrà mai dimettersi, mai! Perché voi vi immaginate che un uomo di fede, di profonda fede, come Giovanni Paolo II (il papa sta delle ore intere in preghiera. ore intere! Quando andiamo a pranzo da lui è la prima cosa che si fa: dopo aver salutato il papa, si sta in cappella. E lui si mette lì in ginocchio e non si rialza più. Per cui uno dice una preghiera, poi ne dice un'altra, poi dice “adesso andiamo a pranzo”. Invece il papa sta lì tranquillamente! E poi, finito il pranzo si torna di nuovo in cappella. Il papa sta delle ore in preghiera), ma vi immaginate che un uomo con questa fede, una persona che diventa papa dopo 400 anni che non c'era più un papa non italiano, un papa a cui il primate di Polonia, Wyszynski, dice “Guarda che tu dovrai condurre la Chiesa nel III millennio della sua storia”, un papa che vede se stesso proiettato a condurre la Chiesa nel 2000, nel terzo millennio (per cui fin dalle prime pagine di Redemptor hominis, di questa prima enciclica, parla del Giubileo dell'anno 2000, e ci ritorna continuamente sul giubileo dell'anno 2000: “La Chiesa deve guardare là”), voi pensate che un papa che rilegge se stesso alla luce di questo famoso segreto di Fatima per cui vede che quasi una profezia viene data su di lui, voi pensate che questo papa possa dire: “Va bene, io adesso sto male, scusatemi, io me ne vado via?”. Mai, io non potrei mai crederlo. Non ci ho mai creduto, non ci credo, e non è nel suo pensiero. Se uno non entra nel pensiero, nella mentalità, se non cerca di entrare nella mens di un uomo, non può essere conforme a lui. Per capire Giovanni Paolo II bisogna essere capaci di vedere in lui un uomo di profonda fede, una persona che, come ha scritto in diversi suoi documenti, tiene fisso lo sguardo su Gesù Cristo.
Io ho sempre in mente un'immagine del Papa che è una di quelle che mi piace di più, quando in S.Pietro, durante l'anno Santo, si fece la funzione per chiedere il perdono per i peccati, le colpe dei cristiani, il papa che punta lo sguardo fisso sul Crocifisso. Io ero lì a pochi metri di distanza, quindi potevo benissimo vederlo. Il papa ha degli occhi di un colore splendente – adesso, quando vedete il papa, parlano soltanto i suoi occhi, ancora adesso, ancora questa mattina che mi è passato davanti, il papa parla con gli occhi ormai. Quindi questi occhi cerulei che erano fissi sul Crocifisso. E' un'immagine stupenda quella che io ho e mi rimarrà per tutta la vita.
Ma se volete capire Giovanni Paolo II dovete anche capire che è un poeta. Andate a rileggere il Trittico Romano, che è bellissimo. Wojtyla è un poeta e lo dico con convinzione, perché vedete, il poeta è colui che sa esprimere quello che normalmente noi sentiamo. E lo esprime con un linguaggio che rimanda il più possibile a cogliere la verità delle cose, la verità della realtà che viene colta. Wojtyla è un poeta e nel suo essere poeta è capace di permettere di cogliere alcune cose, pensate l'immagine del Giudizio universale, pensate il tema dell'Alleanza, il tema dello stupore, pensate a tanti temi che vi trovate lì sparsi, che dicono niente altro se non la sua capacità comunicativa che è tipica e propria di chi sa percepire un qualcosa di più profondo. Giovanni Paolo II riesce a raggiungere picchi di ascolto perché è comunicatore di una verità di cui lui è un testimone fedele. Io penso che queste espressioni ci possano aiutare a cogliere il profondo pensiero, le profonde intuizioni di questo uomo, il suo studio, la sua ricerca, le sue letture e .- perché no? - anche la convinzione più profonda che egli porta dentro di sé. Allora in tutto questo bagaglio pensate che, tra i tanti primati che ha raggiunto, ha raggiunto anche il primato di scombussolare tutti i canoni di biblioteconomia, perché voi sapete che quando si fanno i corsi di biblioteche – adesso, come Rettore di una Università, devo interessarmi anche di biblioteche - le biblioteche hanno determinati metri per autore. Wojtyla ha scombussolato tutti i piani che normalmente si hanno nelle biblioteche. Perché tutto quello che ha scritto va al di là di tutto quello che può entrare nei canoni delle biblioteche. Bisogna trovare una chiave di volta per entrare in tutte queste cose. Forse c'è troppo, è stato scritto troppo. Dal punto di vista teologico io potrei essere un po' critico e l'essere critico dipende dal fatto che a noi, come teologi, ci mette chiaramente nei pasticci. Perché avendo scritto tantissimo e su tutto, il grosso problema è il dover diversificare il valore del magistero. Perché un conto è quello che viene detto il mercoledì, un conto è quello che viene detto alla finestra, un conto è quando scrive un'enciclica, un conto è quando fa un incontro e manda un messaggio a un congresso. Noi siamo sottoposti al magistero, ma teologicamente tutte queste cose hanno bisogno di essere diversificate. Bisogna però trovare la chiave per entrare, e la chiave per entrare è quella che io lascio alla vostra riflessione: appunto Redemptor hominis.
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[Nota 1] L'uomo – ogni uomo senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché con l'uomo – senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell'uomo non è di ciò consapevole: “Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo – a ogni uomo, a tutti gli uomini – luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione” (Redemptor Hominis 14).
[Nota 2] M.D.Chenu, “La doctrine sociale de l'Eglise? Ca n'existe pas», presentando nel 1979, l'edizione francese del suo volume: M.D.Chenu, La dottrina sociale della Chiesa. Origine e sviluppo: 1891-1971, Brescia, 1977, citato in S.Lanza, Magistero e teologia sociale, in K.Wojtyla, la dottrina sociale della Chiesa, Lateran University Press, Roma, 2003, p. 91.
[Nota 3] Di per sé, ogni verità anche parziale, se è realmente verità, si presenta come universale. Ciò che è vero, deve essere vero per tutti e per sempre. Oltre a questa universalità, tuttavia, l'uomo cerca un assoluto che sia capace di dare risposta e senso a tutta la sua ricerca: qualcosa di ultimo, che si ponga come fondamento di ogni cosa. In altre parole, egli cerca una spiegazione definitiva, un valore supremo, oltre il quale non vi siano né vi possano essere interrogativi o rimandi ulteriori. Le ipotesi possono affascinare, ma non soddisfano. Viene per tutti il momento in cui, lo si ammetta o no, si ha bisogno di ancorare la propria esistenza ad una verità riconosciuta come definitiva, che dia certezza non più sottoposta al dubbio (Fides et ratio 27).