Relazione di S.E.mons.Rino Fisichella, vescovo ausiliare per il settore sud della diocesi di Roma, per i preti ed i diaconi del settore, tenuta il 27 settembre 2001, al termine della visita a tutti i gruppi di catechisti delle parrocchie del settore sud.
Dalla Lettera di Barnaba : "Una grande fede e amore abita in voi nella speranza della vita.
Considerando che, se mi preoccupo di parteciparvi ciò che ho ricevuto, avrò ricompensa per il ministero
prestato, mi sono premurato di mandarvi una lettera perché voi, oltre la fede, possiate avere una conoscenza
precisa. Tre sono i precetti del Signore: speranza di vita (inizio e fine della nostra fede), giustizia (inizio e
fine del giudizio), carità, (testimonianza di gioia e di letizia delle opere fatte nella giustizia)" (I,
4-6).
Iniziare con questo testo della Lettera di Barnaba ha un suo significato. Come sapete, sono passato per tutte
le parrocchie e ho incontrato i catechisti. Ciò che desidero è in primo luogo comunicare e partecipare
a voi l'esperienza che ho vissuto, un'esperienza intensa, fruttuosa, faticosa, che ha permesso di verificare gli
aspetti positivi dell'impegno nella catechesi e che, nello stesso tempo, ha portato alla luce alcune questioni
cruciali di cui tutti noi sentiamo l'urgenza perché quotidianamente ne viviamo la problematica. Sono convinto,
dunque, che partecipare a tutti voi quanto è stato oggetto della mia visita sia una ricchezza per il nostro
ministero, nonostante sarà necessario affrontare alcuni puncti dolentes sui quali, in questi anni, si
è spesso ritornati, ma che richiedono da parte di tutti noi una presa di posizione comune e convinta.
Vorrei sottolineare, da subito, che il tema che trattiamo oggi non si conclude. Il tema della catechesi lo
riprenderemo nel corso dell'anno negli incontri di settore e chiedo di averlo come punto di riflessione negli
incontri di Prefettura, oltre alle tematiche che verranno di volta in volta proposte dal Consiglio dei Prefetti. In
questo modo avremo l'opportunità, alla fine dell'anno, di poter mettere in comune un lavoro che ci ha
coinvolti direttamente e in prima persona in un punto cruciale della pastorale.
Negli anni passati la catechesi ha vissuto un momento di reale presa di coscienza del grande ruolo
che svolgeva nella vita della comunità cristiana. L'impegno che i Vescovi hanno assunto ha portato alla
formulazione di tutti i catechismi per le diverse fasce di età. Non è il momento di entrare nelle
questioni interne a questi catechismi - se sono conformi all'uso che ne facciamo. Un catechismo perfetto non esiste,
il vero catechismo, alla fine, è il catechista che trasmette e vive di quel contenuto. La catechesi, si
è compreso, non è una delle tante attività della vita della Chiesa, ma è lo strumento
della trasmissione della fede. Il nostro ministero pastorale ha, nella catechesi, uno dei momenti centrali. Per la
catechesi noi impegniamo la gran parte del nostro tempo. Iniziative, energie, persone e mezzi sono in massima parte
dedicate alla catechesi e questo mostra con evidente chiarezza il ruolo che essa assume per la vita della
comunità cristiana.
Non possiamo negare, da questa prospettiva, che la catechesi ha saputo dare frutti fecondi e genuini. Si è
messo in moto un cammino che non si può fermare sia per la responsabilità della trasmissione della
fede, sia per la positività che esso ha portato.
Insieme a questi elementi che caratterizzano in positivo il movimento, è necessario non chiudere gli occhi
davanti ai grandi cambiamenti a cui siamo sottoposti. Soprattutto in un periodo come il nostro, caratterizzato da
diversi tensioni che segnano un passaggio nella cultura del nostro tempo che non è azzardato chiamare
"epocale". Il Cardinale Vicario, a più riprese nel corso di questi ultimi mesi, ci ha aiutato a cogliere i
nodi di questo cambiamento e verificare le sue conseguenze nella vita sociale, politica ed ecclesiale. Vediamo
dinanzi a noi cambiare così velocemente i comportamenti e i modi di pensare che la tentazione di non vedere
queste fasi per poter restare tranquilli è forte e per nulla ipotetica. Concetti quali “uomo”,
“natura”, “Dio” sono caricati di significati così nuovi e imprevisti che non sempre ci
trovano pronti a delle risposte corrispondenti.
In questo contesto di cambiamento culturale la fede non è immune, ma per sua stessa natura risente del modo
di vivere del credente. Tra i diversi modi con cui la vita di fede viene recepita è facile constatare chi
permane in uno stato di fede infantile, chi si fa promotore di un impegno per una fede più genuina e adulta,
chi avanza la pretesa di ricevere dalla Chiesa dei servizi dovuti, chi rimane confuso per un cambiamento
inaspettato... Tra queste diverse e comprensibili situazioni si insinua ferocemente l'indifferenza religiosa,
premessa indiscussa di un ateismo che trova diversi volti.
Molti catechisti mi hanno detto con convinzione che i nostri ragazzi oggi hanno desiderio di conoscere Gesù,
ma lo vogliono vedere e toccare con mano nel tessuto quotidiano della loro vita. Una simile osservazione è
profondamente vera e attendibile. Penso, ad esempio, a quanto avviene nell'ambito teologico che condiziona, a sua
volta, l'impostazione catechetica. Uno degli elementi peculiari della cristologia dei nostri anni è certamente
l'attenzione privilegiata al Gesù storico. La così chiamata Third Quest tende proprio a questo:
far toccare con mano i dati certi della condizione storica di Gesù di Nazareth. Forte di questa esigenza la
catechesi dovrebbe essere capace di rapportare la vita di Gesù alla nostra vita, per permettere di verificare
che "nel mistero dei Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (GS 22).
In questo stesso contesto, emerge l'esigenza di conoscere la nostra Chiesa di Roma. Una Chiesa che affonda le sue
radici nella fondazione apostolica di Pietro e Paolo, che mantiene viva questa sua identità non solo nei suoi
monumenti storici, ma soprattutto nella sua vitalità e operosità resa ancora più visibile nella
persona del Santo Padre, il nostro Vescovo, che è segno dell'unità di tutta la Chiesa. E questa
vitalità che deve essere capace di ritornare alle sue radici e permettere ai nostri credenti di approdare a
una memoria storica che viene mantenuta viva e che sa generare cultura e fede. Senza la consapevolezza di una
tradizione a cui si appartiene è difficile poter pensare che si diventa trasmettitori della fede di
sempre.
In questo stesso contesto di cambiamento culturale, i nostri catechisti sentono molto forte il distacco tra il loro
insegnamento e l'orientamento culturale odierno con i suoi contenuti spesso effimeri e con l'imposizione di una
visione della vita che prescinde completamente dalla visione cristiana. Mi piace riportare un testo di R.Guardini che
già negli anni '50 avvertiva questo processo che, purtroppo si è mostrato inarrestabile: “La
verità della Rivelazione cristiana viene messa in dubbio sempre più profondamente; la sua
validità per la formazione e la condotta della vita viene posta in discussione in forma sempre più
perentoria. In particolare la mentalità dell'uomo colto si contrappone alla Chiesa in modo sempre più
deciso. Sempre più ovvia o naturale appare la nuova pretesa che i diversi campi della vita, politica,
economia, ordine sociale, filosofia, educazione, ecc., debbano svilupparsi muovendo unicamente dalle proprie norme
immanenti. Si costituisce così una forma di vita non-cristiana, anzi per molti aspetti anti-cristiana, che si
impone in modo così conseguente da apparire assolutamente normale; e sembra un abuso l'esigenza della Chiesa
che vuole che la vita sia determinata dalla Rivelazione. Lo stesso credente accetta in buona parte questa situazione,
quando pensa che le cose della religione costituiscano un settore a sé e altrettanto le cose del mondo...
Ciò significa che l'uomo moderno non solo smarrisce in gran parte la fede nella Rivelazione cristiana, ma
subisce anche un indebolimento delle sue disposizioni religiose naturali e viene sempre più portato a
considerare il mondo come una realtà profana” [1] .
Se si vuole, il quadro descritto è più facilmente verificabile nell'ordine della morale, dove i
contenuti che vengono espressi dalla catechesi trovano i volti dei nostri giovani talmente eloquenti da non
richiedere neppure una loro reazione verbale. Il relativismo etico è conseguenza del relativismo culturale e
ciò che appare ancora più grave è che da molti esso viene giustificato come forma ineliminabile
della democrazia. Viviamo su un altro pianeta nel momento in cui annunciamo la fede della Chiesa? Eppure, molti
catechisti hanno osservato che mentre nei primi incontri per i fidanzati lo scetticismo è al culmine,
progressivamente prende posto l'interesse, il dibattito, il desiderio di comprendere le motivazioni della fede e la
sua accettazione.
In questo passaggio epocale per la cultura e la fede, si deve riconoscere il grande impegno che noi possiamo
svolgere. Ho detto con convinzione delle grandi energie che i sacerdoti dedicano a questo momento. Penso, in modo
particolare, all'organizzazione dei diversi corsi, agli incontri di inizio d'anno durante il quale si incontrano
tutti genitori, al momento della formazione dei catechisti e alla loro scelta. Vorrei ribadire quanto siano
importanti questi momenti e quanto preziosi per l'evangelizzazione. Un incontro personale che mostra il sacerdote non
come un capoufficio integerrimo, ma come un pastore che sa incontrare chi è affidato alla sua cura e sa venire
incontro non ai capricci, ma alle esigenze dell'altro, è un momento insostituibile della pastorale e di un
impatto che per molti è un primo ritorno alla Chiesa. E' qui che si crea il primo impatto per l'ascolto, per
l'amicizia e per ricondurre alla serietà della fede. Certo, tutto questo richiede tempo, pazienza e
discernimento, ma anche questo è via di evangelizzazione.
Non vorrei lasciare cadere troppo velocemente questo tema. Siamo stati abituati, nel corso degli anni passati, a
distinguere giustamente tra le diverse fasi della vita della Chiesa. Abbiamo sentito parlare di pre-evangelizzazione,
che non deve essere confusa con l'evangelizzazione e questa non deve prendere il posto della catechesi. La catechesi
appartiene di fatto al processo dell'evangelizzazione e questa è il compito principale della Chiesa che
è convocata per celebrare il mistero della salvezza e per operare la paradosis della Parola che salva.
“Nessuna definizione parziale e frammentaria può dare ragione della realtà ricca, complessa e
dinamica, quale è quella dell'evangelizzazione. Si corre il rischio di impoverirla e perfino di
mutilarla” ci ricordava la Evangelii Nuntiandi (17). L'opera di evangelizzazione si esprime in diversi
modi: con la predicazione dei vangelo, con la celebrazione dei segni sacramentali, con la vita di comunione che
esprime l'ecclesialità del popolo di Dio, con la testimonianza a favore dei poveri, con l'apostolato di tutti
i membri dei popolo di Dio attraverso la competenza loro propria e nel luogo dove sono chiamati a vivere il vangelo.
Con tutta la sua presenza la Chiesa evangelizza. Ciò significa che un'azione non può andare a
detrimento di un'altra, né la sopravvalutazione di una adombrare l'altra. C'è un'interdipendenza nelle
diverse espressioni della Chiesa nella sua opera di evangelizzazione che è fondata sull'azione primaria dello
Spirito e sulla finalità che è la costruzione della Chiesa (Ef 4). Scriveva Giovanni Paolo II nella
Catechesi tradendae: “Ricordiamo prima di tutto che tra catechesi ed evangelizzazione non c'è
separazione od opposizione, e nemmeno un'identità pura e semplice... La catechesi è uno di questi
momenti di tutto il processo di evangelizzazione” (CT 18). La catechesi, dunque, inserita in un processo
più ampio di evangelizzazione!
Ciò comporta la nostra consapevolezza di non chiedere troppe cose alla catechesi, come anche di non ridurre
tutta l'opera di evangelizzazione ad essa. Non possiamo limitare la nostra catechesi alla sola preparazione
sacramentale, lasciando in ombra la catechesi più sistematica per gli adulti; è necessario quindi che
poniamo maggior attenzione alla specificità della catechesi senza isolarla, ma ponendola all'interno di un
processo più ampio quale quello dell'evangelizzazione che ha volti diversi. E la stessa catechesi specifica
dei sacramenti, non può dare tutto del mistero della fede, ma deve essere capace di trasmettere l'essenziale,
in vista della preparazione. Non riuscirei a comprendere fino in fondo che un ragazzo sa tutto della storia di Abramo
e Mosè, ma non sa nulla sull'Ultima cena e il mistero dell'Eucaristia. Alla stessa stregua, per il sacramento
della confermazione. Un discorso importante acquista la preparazione al matrimonio. Noi spesso svolgiamo un compito
di supplenza alla conoscenza medica, psicologica, della vita di coppia, ma questo non può andare a danno della
catechesi sacramentale sul matrimonio cristiano.
Si nota da queste ultime battute, come ritorni con forza l'esigenza di dare specificità all'azione
catechetica. Essa ci viene riproposta da Giovanni Paolo II con una duplice finalità: “Far maturare la
fede iniziale ed educare il vero discepolo di Cristo mediante una conoscenza più approfondita e più
sistematica della persona e del messaggio di nostro Signore Gesù Cristo” (CT 19). Come si nota, una
duplice finalità che comporta l'insegnamento della fede e la crescita in essa. La catechesi non va confusa con
il gioco né con la scuola. Certo, il suo insegnamento è reale, è un insegnamento, ma
richiede l'apporto della vita. Le provocazioni della vita non possono attenuare la forza dell'insegnamento. Noi siamo
pur sempre amministratori di quella parola e quanto è richiesto all'amministratore è di essere fedele
(1Cor 3, 9; 2Cor 1, 24).
Un ulteriore elemento di riflessione è dato dal tema della complementarità con la vita liturgica. Uno
dei grandi problemi che emergono dai catechisti è la separazione tra la catechesi e la messa domenicale.
Riprendere con determinazione l'importanza della celebrazione del dies Domini è cruciale per una
coerente catechesi. Dobbiamo studiare le forme perché la celebrazione domenicale sia vissuta in
continuità con la catechesi e questa come momento che sfocia nella celebrazione. Questo non è solo un
obbligo che si deve assumere firmando un documento di iscrizione, è ben di più. E' far vivere la
consapevolezza del contenuto che viene trasmesso. Sorge inevitabile il problema sul che fare. Non sarà una
rigida disposizione a vincere, pena la non ricezione del sacramento, ma la forza della convinzione che si fa forte
della partecipazione. Ritengo, in ogni caso, che dobbiamo sempre presentare seriamente i sacramenti e richiedere
l'impegno dovuto verso di essi; tuttavia, senza il convincimento e la pazienza dell'accompagnamento sarà una
battaglia persa. La conversione - che è opera della catechesi - richiede molto più tempo e impegno per
riconoscere la trasformazione che deve avvenire in noi.
Una sfida a cui dobbiamo rispondere è certamente il coinvolgimento della famiglia. Compiremo un grande sforzo
nei prossimi anni perché la famiglia venga rimessa al centro della nostra opera pastorale, ma è
necessario che soprattutto per i sacramenti dell'iniziazione troviamo le forme più adeguate perché
l'impegno della famiglia non sia solo di una presenza asettica, ma di una partecipazione convinta. Abbiamo diverse
esperienze positive in tal senso. E' necessario che le comunichiamo tra noi e ne verifichiamo l'attuabilità in
modo tale da coinvolgere il più possibile in un processo di responsabilità. E ovvio che soprattutto per
la catechesi alla prima comunione, i genitori si sentano più coinvolti se i loro figli vivono forme di
protagonismo che li rendono attivi nella vita liturgica e della comunità.
Un discorso importante si apre per i diversi e numerosi casi di genitori divorziati risposati. Siamo ancora alle
prime armi circa una pastorale dei divorziati. Ciò che mi sembra importante sottolineare è il senso di
accoglienza che la comunità deve esprimere, senza lasciarsi andare al giudizio. Ma resta il fatto di un loro
diretto coinvolgimento e della partecipazione alla vita della comunità. La celebrazione della Parola di Dio
potrebbe essere un momento favorevole di catechesi per le famiglie, come pure i diversi “centri di
ascolto” presenti ormai in quasi tutte le parrocchie. L'impegno nella carità, nell'assistenza, in alcune
fasi della vita liturgica (presentazione dei doni, raccolta delle offerte…) devono essere sfruttate per far
comprendere la loro partecipazione alla vita della comunità. Ritengo sia da evitare, comunque, la prassi
secondo la quale i genitori devono accompagnare i bambini a fare la prima comunione. Nessuno può essere messo
nel disagio nel sentirsi avanzare domande delicate anche dai propri figli.
Insieme al coinvolgimento della famiglia è necessario che i maestri e i professori di religione non pensino
di essere una realtà staccata dalla formazione dei nostri giovani. Ritengo sia necessario che si viva
un'osmosi sia per i contenuti che devono essere trasmessi – anche se nella peculiarità delle forme
proprie all'insegnamento scolastico – sia nella responsabilità nei confronti dei destinatari. Spesso i
docenti sono impegnati nelle nostre comunità o lo dovrebbero essere, perché l'insegnamento della
religione cattolica non è e non può essere ridotto a una generica lezione sulle religioni o
sull'esperienza religiosa. Come si nota, vi è una differenziazione di interventi che meritano la nostra
riflessione e la nostra capacità a sapere trovare forme pastorali che permettano il coinvolgimento e
l'assunzione di una corresponsabilità formativa.
Per la catechesi dei giovani, riprendo quanto avevo già avuto modo di dire lo scorso anno e mi riprometto di
verificare se quanto ci eravamo impegnati a fare ha avuto un seguito. Questo schema, unito a quello proposto dalla
pastorale giovanile diocesana, permetterebbero di dare unità al nostro impegno di catechesi, senza ogni anno
iniziare da capo.
1. Io credo/noi crediamo
lettura: 1 Giovanni/Ebrei 10-12
2. In Gesù Cristo
lettura: Lettera ai Colossesi
3. Rivelatore del Padre
lettura: Vangelo di Giovanni
4. Che ha fondato la Chiesa
lettura: Lettera agli Efesini
5. E chiama ad essere suoi discepoli
lettura: Lettera ai Romani
Un altro tema che è emerso nella mia visita è da collegare con la formazione. Penso
che possiate condividere con me l'impressione forte che ho ricevuto del grande entusiasmo che i nostri catechisti
mettono nel loro ministero. Lo sentono realmente come una chiamata a vivere la fede in maniera più
responsabile e trovano in voi i canali di questa dimensione vocazionale. La gratuità del loro impegno, la
convinzione che mettono nel preparare le lezioni, la pazienza che hanno davanti a diverse reazioni è
ammirevole. Mi hanno detto quanto sia importante per loro avere una formazione coerente e aggiornata. Devo confessare
di avere trovato, nella maggioranza dei casi, delle persone preparate e che con fatica hanno seguito i diversi corsi
di formazione. Sentono, comunque, l'importanza di una loro crescita per poter dare di più e vivere
l'esperienza di catechisti con maggior convinzione di compiere una missione.
Su questo aspetto non sarà difficile andare loro incontro. Abbiamo la fortuna di avere diversi strumenti
efficaci e che potrebbero essere meglio finalizzati a questo scopo. La scuola di teologia per laici è
già presente in due prefetture e a Ostia c'è una scuola simile; i padri dei Seraphicum hanno
sempre avuto piena disponibilità; alcune prefetture che avessero la forza potrebbero riorganizzare altri
momenti formativi, tenendo sempre presente il detto che non sunt multiplicanda entia sine necessitate ! Penso
sia importante che da parte nostra si rifletta sulla scelta dei catechisti e sul discernimento da porre in atto. A
volte la necessità non aiuta a saper guardare con oggettività la capacità e la maturità
delle persone con gravi conseguenze per la vita di fede delle persone che vengono loro affidate. Il discernimento
richiede saggezza nella valutazione e, a volte, supplemento di presenza da parte nostra, perché non avvenga
che presi dall'entusiasmo si arrivi a porre in atto segni e contenuti non sempre coerenti e sensati con la catechesi.
Gli strumenti per andare loro incontro, anche a livello di pubblicistica, non mancano certamente. Mi sembra
importante, inoltre, sottolineare l'attenzione che si deve ai portatori di handicap. Sono persone privilegiate nella
comunità e verso di loro si deve esprimere a pieno la carità fraterna che trova forma anche nella
catechesi. Nel corso del prossimo anno, probabilmente, la CEI emanerà un documento in proposito che
sarà di aiuto per i nostri catechisti. Non sarà da sottovalutare, ancora, la formulazione di alcuni
strumenti che possono essere utili per il coinvolgimento delle famiglie: da un calendario degli incontri già
all'inizio dell'anno a veri strumenti di catechesi per l'accompagnamento dei loro figli.
E' stata chiesta anche più spesso la possibilità di stare insieme tra i catechisti e con il vescovo.
Per quanto sarà possibile andremo loro incontro. Una possibilità potrebbe essere quella di organizzare,
in tempi più tranquilli, un pellegrinaggio sulle orme di Paolo, ma i tempi diranno la possibilità
dell'idea. Mi sembra più importante, comunque, che i catechisti, proprio per la peculiarità del loro
impegno, abbiano dei momenti di formazione e di preghiera comuni. E' importante che siano valorizzati nella
comunità e che questa li veda come investiti di un particolare ministero (come nel mandato a San Giovanni in
Laterano).
Ai nostri catechisti e al nostro popolo abbiamo bisogno di dare segni di unità. Ritengo che un tema
improrogabile della nostra riflessione debba essere il nostro accordo sugli anni di preparazione ai sacramenti
dell'iniziazione e sull'età. E' necessario che ogni Prefettura ragioni seriamente su questo problema e si
attivi perché sul territorio vi sia uniformità di comportamenti. Quest'anno possa essere l'avvio per un
confronto sereno tra le diverse prassi pastorali e ognuno si ponga in ascolto dell'altro. La nota del Consiglio
Episcopale, che riprende le direttive del Sinodo su questo tema, sia ripreso tra le mani e diventi momento di
verifica.
In questo contesto, devo sottoporvi anche la richiesta di diversi catechisti riguardo il ruolo dei padrini. E'
un'azione pastorale importante quella che sa porre delle premesse perché la scelta sia fatta con convinzione,
valorizzandone il ruolo che possiedono e diventando anche strumento di riflessione per loro stessi. Mi è stato
suggerito di rivalutare la presenza dei nonni. Mi sembra un argomento importante; questi sono spesso ormai di giovane
età ed esprimono spesso la continuità della fede e la sua convinta adesione. L'affetto che i ragazzi
hanno per loro è un importante veicolo di trasmissione, della fede.
“Il timore e la pazienza sono i difensori della nostra fede” (II, 2) scrive sempre la
Lettera di Barnaba con la quale ci siamo inseriti e che riprendiamo a conclusione. Il timore come riconoscimento che
Dio è Dio e il primato della sua grazia, la pazienza come tenacia che non demorde davanti alle
difficoltà, ma si sente ancora di più provocata a dare risposte. Abbiamo bisogno di ricompattare la
catechesi intorno al centro che è Gesù Cristo e la sua Chiesa. L'invito a “ripartire da
Cristo” sta tutto in questo, essere capaci di ritrovare l'essenziale nel nostro impiego. Le nostre
comunità sono segno vivo di questa presenza e nella celebrazione dei sacramenti sono strumento di salvezza.
Una catechesi continuata che permetta di vedere sviluppata la maturazione della fede dalla sua forma germinale fino
all'età adulta è un compito a cui non possiamo sottrarci soprattutto in questi decenni. Ci aiuta la
convinzione che stiamo lavorando sempre per il regno di Dio e che per questa Chiesa e questo popolo stiamo offrendo
noi stessi.
Giovanni Paolo Il ha scritto nella NMI: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande
sfida che ci sta davanti al millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere alle
attese profonde del mondo” (NMI 43). Casa e scuola di comunione. Le due immagini sono appropriata a conclusione
del nostro discorso perché richiamano immediatamente alla capacità di essere segno di accoglienza senza
rinunciare alla responsabilità dell'annuncio e dell'insegnamento. Mentre la casa diventa operativa sul piano
del fare sentire una sola famiglia, la scuola è indice di un cammino che deve essere percorso interamente,
senza paura e senza sosta, nonostante la fatica. Esso si apre a diventare “scuola di preghiera” dove la
conoscenza della Parola di Dio diventa nutrimento che permette di accedere alla celebrazione dei mistero eucaristico
come reale fonte e culmine dell'intera vita cristiana. I vescovi hanno ribadito nel loro documento “Comunicare
la fede in un mondo che cambia” che la catechesi permane un momento indispensabile della missione della Chiesa.
In un mondo che cambia e dove sembra che la fatica per lo studio e l'impegno si debbano risolvere in situazioni di
facilità e di comodo, noi portiamo la responsabilità di far comprendere “l'impegno nella
fede” mediante “l'operosità nella carità” mantenendo “costante la
speranza” nel Signore che ci ha eletti ad essere in lui e per lui a servizio del suo Vangelo, che si diffonde
per la predicazione della nostra parola e per la potenza del suo Spirito (cfr. 1Ts 1, 3-5).
Rino Fisichella
Il ruolo della ragione nella decisione di credere in Cristo
Solo nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell'uomo
Il matrimonio come sacramento e il suo rapporto con la realtà naturale del
matrimonio
La fede e la preghiera
Lettera sulla "teologia biblica del deserto"
Testimoniare il Vangelo nell'Università
Gesù Cristo via della speranza
Trasmettere la fede, il consegnare se stessi di Dio e
dell’uomo
Fede e politica
Educare ai valori per sconfiggere il relativismo
La cultura cattolica: identità e forza educativa di una
tradizione
Comunicare Cristo ai giovani
[Nota 1] La fine dell'epoca moderna, Morcelliana, Brescia, 1984, pp.93-95.