L’articolo che mettiamo a disposizione on-line sul nostro sito è stato scritto da don Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico di Roma, per Romasette di Avvenire dell’8 luglio 2007, nella pagina dedicata dal settimanale a presentare l’indizione dell’Anno Paolino. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line del testo.
Il Centro culturale Gli scritti (12/7/2007)
Tremilacinquecento chilometri per giungere fino a
Roma, che si aggiungono ai 2.000 del primo viaggio, ai 5.000 del
secondo ed ai 6.000 del terzo, percorsi a piedi o in una barca sospinta
dal vento, per un totale di circa 16.500[1]: anche
questi dati dicono la passione dell’annuncio del Vangelo che
mosse - è il caso di dirlo - l’apostolo Paolo.
L’annuncio di Benedetto XVI dell’indizione dell’Anno
Paolino[2],
per commemorare il bimillenario della nascita di Paolo di Tarso,
è un invito ad accogliere la testimonianza
dell’apostolo che ha ricevuto la rivelazione del
«mistero» di Dio.
Con questo termine Paolo ha voluto indicare non tanto
l’incomprensibilità di Dio, quanto il suo preveniente
disegno, il progetto da Lui pensato e desiderato prima ancora della
creazione del mondo. «Ci ha predestinati» (alcuni
esegeti traducono l’espressione con ‘pro-destinati’),
dice Paolo: prima del creare, prima dell’esistenza della materia
e delle galassie, prima degli oceani e delle vette dei monti, Dio ha
voluto gli uomini e li ha pensati perché giungessero alla
comunione con Cristo.
Solo l’uomo conosce i propri pensieri, disegni e desideri, ed
è lui l’unico a poter raccontare tali segreti gelosamente
custoditi a chi ama, senza che nessuno possa violarne
l’intimità; a maggior ragione, dice la prima lettera
ai Corinzi, il disegno di Dio non poteva essere compreso
dall’uomo, finché Lui stesso non l’avesse rivelato.
È il «mistero» ormai conosciuto, ormai donato e
realizzato, ormai presente: ricapitolare tutto in Cristo. E il Concilio
Vaticano II ne ha ripreso le espressioni dicendo: «Piacque a Dio
rivelare se stesso».
Paolo esprime così il primato di Dio e della sua grazia
in tutte le sue lettere, ma, nella maniera più compiuta,
proprio nella lettera scritta ai Romani, ai nostri antenati e padri
nella fede.
Alcuni autori moderni hanno voluto invertire l’evidenza
storica, facendo di Gesù un qualsiasi rabbino del suo tempo ed
in Paolo il vero fondatore del cristianesimo. Il Papa ha voluto
subito riportare la figura di Paolo alla sua concretezza storica,
affermando nella celebrazione dei primi vespri della solennità
dei Santi Pietro e Paolo nella basilica ostiense: «Quando sulla
via di Damasco Paolo cadde a terra abbagliato dalla luce divina,
passò senza esitazione dalla parte del Crocifisso e lo
seguì senza ripensamenti. Visse e lavorò per Cristo; per
Lui soffrì e morì».
Se è vero che per capire Paolo, non possiamo prescindere dal suo
essere stato, in origine, fariseo, appartenente alle scuole rabbiniche
ed, insieme, profondamente aperto all’ellenismo - perché
tale era il giudaismo del tempo - l’evento che ben più
profondamente di tutto questo lo caratterizzò fu
l’incontro con il Risorto. Senza Damasco, Paolo è
incomprensibile. Potremmo dire che non fu Paolo l’inventore del
cristianesimo, bensì Cristo a rifondare la vita di Paolo.
La proposta di un anno che abbia come riferimento l’apostolo
Paolo ci invita poi alla continua rimeditazione della tradizione
della Chiesa, poiché il «noi» della Chiesa non
è mai semplicemente sincronico, ma abbraccia tutte le
generazioni credenti e le unisce alla Chiesa apostolica, che è
nostra madre. Roma è la Chiesa madre di tutti non
perché faccia nascere fisicamente tutti i cristiani, ma
perché garantisce del rapporto di ogni credente con
l’unica tradizione che genera alla fede.
Come scrisse l’allora teologo Joseph Ratzinger: «La
Chiesa non la si può fare, ma solo riceverla, e cioè
riceverla da dove essa è già, da dove essa è
realmente presente: dalla comunità sacramentale del suo Corpo
che attraversa la storia».
Benedetto XVI ha posto l’attenzione anche sulla prospettiva
ecumenica che dovrà caratterizzare l’Anno Paolino. Se l’evangelista
Marco, come è certo, ha inventato il genere letterario
"vangelo", possiamo ben dire che Paolo ha inventato un nuovo genere, di
"epistola". Le lettere che conosciamo dall’antichità
greca e romana sono dei brevissimi biglietti con rapide informazioni
rivolte a singoli destinatari oppure dei trattati filosofici nei quali
la suddivisione in lettere, mai spedite concretamente, è un
espediente letterario per scandirne i differenti capitoli. Paolo
espresse il suo «assillo» per tutte le Chiese, inviando i
suoi scritti, perché fossero letti e accolti.
La novità delle sue lettere, che univano la concretezza delle
situazioni affrontate e l’ampiezza delle spiegazioni teologiche,
derivava da quella realtà nuova che era la Chiesa di Cristo
che si diffondeva in ogni città e regione. La vita e la
predicazione viva di Paolo, espresse nelle sue epistole, rimandano
continuamente all’origine dell’unità che non
può essere persa, pena la perdita dell’identità
stessa: l’unico Padre, l’unico Cristo, l’unico
Spirito.
Così, nella fede della Chiesa, primato e collegialità
non si oppongono mai, ma anzi si richiamano vicendevolmente. Proprio la
tradizione dell’abbraccio di Pietro e Paolo, presso la Piramide
Cestia, prima del loro martirio, con la conferma reciproca delle
rispettive missioni - abbraccio rappresentato in tante testimonianze
iconografiche paleocristiane - è stata evocata dal Santo Padre
nell’annunciare l’ecumenicità che
caratterizzerà l’anno paolino.
Le iniziative che saranno programmate per il 2008/2009 sicuramente
coinvolgeranno differenti luoghi geografici, da Damasco
all’Arabia (le regioni nabatee?) e ad Antiochia, da Tarso a
Gerusalemme, dalle regioni dell’Anatolia alle città della
Grecia, dalle isole del Mediterraneo all’Italia (Siria,
Giordania, Turchia, Grecia, Israele, Palestina, Libano, Cipro, Malta,
Italia, Spagna?...) ma la città di Roma sarà un punto di
riferimento a motivo della testimonianza suprema, a motivo del martirio.
Luca, autore degli Atti, che venne fisicamente a Roma, come ci
ricordano le cosiddette «sezioni-noi» degli Atti -
cioè quelle parti nelle quali si usa la prima persona plurale
«partimmo», «giungemmo» - ci racconta che fu
il Signore Gesù in persona, apparendo a Paolo, a pronunciare per
lui il nome della città eterna: «Di notte venne
accanto a Paolo il Signore e gli disse: Coraggio! Come hai testimoniato
per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi
renda testimonianza anche a Roma» (At 23,11).
Per altri articoli e studi di d.Andrea Lonardo o sulle lettere di S.Paolo presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici
[1] Vedi, sulla lunghezza dei viaggi paolini, su questo stesso sito lo studio Itinerari di Paolo (tutti i luoghi antichi ed odierni), di L.De Lorenzi
[2] Per ulteriori testi su San Paolo presenti su questo sito, vedi: