Presentiamo on-line una trascrizione di appunti presi durante la
conferenza tenuta sulle lettere ai Colossesi ed agli Efesini da Jean-Noël Aletti -
gesuita, professore del Pontificio Istituto Biblico - il 17 maggio 2006, presso la Sala
“Assunta”, in via degli Astalli 17, all’interno del ciclo di Conferenze
bibliche 2006: Introduzione al Nuovo Testamento. Il testo non è stato rivisto dal
relatore. Questi appunti vogliono essere, da un lato, un promemoria e, dall’altro,
permettere al lettore di seguire le chiarificanti indicazioni esegetiche del nostro autore, pur
nella “provvisorietà” di una breve presentazione, secondo lo stile proprio
di questo ciclo di conferenze sulla Sacra Scrittura proposte nella sala conferenze della
libreria dei gesuiti di via degli Astalli.
Per un approfondimento del perenne valore anti-gnostico della lettera ai Colossesi, vedi su
questo stesso sito, nella sezione I luoghi della Bibbia, gli esercizi spirituali predicati da
d.Giuseppe Dossetti su Col.
Centro culturale Gli scritti
La scorsa volta ho parlato soprattutto della lettera ai Romani ed, in
particolare, dei primi capitoli, che sono i più difficili[1]. Paolo vuole far saltare l’
“eccezione” giudaica. Rom è tutta una riflessione sulla Legge
giudaica: Paolo dice che la Legge e la circoncisione non possono essere una via di salvezza,
anche se Paolo non nega il valore della Legge. Essa, infatti, resta da compiere. Per Paolo
possiamo compiere la Legge, senza essere “sotto la Legge”. Uno sportivo può
saltare tre metri, senza far parte di un club sportivo. L’uomo può portare avanti
la Legge, senza esserne un suddito.
Con Col ed Ef facciamo un passo avanti. Furono fin dalle origini accettate come lettere aventi
per autore Paolo stesso. La discussione sulla loro autenticità è avvenuta solo
ultimamente. L’approccio scientifico alle lettere paoline ha provocato un riserbo sulla
diretta paternità paolina. Chi ne afferma l’autenticità le attribuisce
ancora a Paolo, chi la nega ritiene che possano essere state scritte da un segretario o da
uno della sua “scuola”, cioè da uno che, conoscendo bene la teologia
paolina, ha portato avanti il suo messaggio. In questa seconda ipotesi, la più
probabile, Paolo potrebbe essere già morto oppure non ancora, al momento della
composizione delle due lettere, ma di certo il loro autore voleva portare avanti il messaggio
di Paolo.
In ambiente protestante si è coniata l’espressione “lettere
deutero-paoline”, per indicare che possono essere di Paolo oppure no. C’è
una differenza stilistica e terminologica rispetto alle lettere sicuramente paoline, insieme ad
una altrettanto chiara vicinanza. Ma, di certo, il linguaggio non è più quello
della “giustizia”. Il problema non è più sapere se la Legge è
necessaria per la salvezza. Il linguaggio di Col ed Ef è costituito da un vocabolario
che utilizza i termini di “pace” e di “riconciliazione”.
L’interesse di queste lettere è di sapere perché Paolo parla di
riconciliazione e non più di giustificazione.
Un ulteriore caratteristica su cui vorrei soffermarmi questa sera è il linguaggio
del “mistero”. Leggerete all’inizio di Col e durante il cap 2 e 3 di Ef
l’utilizzo massiccio della parola “mysterion”. Perché si parla
di mistero? Qual è l’origine di questa parola? Perché Paolo
l’utilizza?
Affronteremo ancora un ultimo punto: perché il linguaggio ecclesiologico prevalente
in queste lettere utilizza termini “corporali”? In Col ed Ef si dichiara, infatti,
che la Chiesa è il corpo di Cristo. L’articolo determinativo
“il” che caratterizza il sostantivo “corpo” significa che non
c’è un altro “corpo di Cristo”. E’ “il corpo di
Cristo” con una grande “c” – in greco, potremmo dire, con una grande
“sigma”, perché corpo si dice “soma”. Utilizzando il termine
“corpo” non si sottolinea il corpo solo come differenziato – le sue diverse
membra, perché un corpo non può funzionare se non come una diversità
armonizzata, unificata, una diversità al servizio di un’unica persona, le diverse
membra come parti di una sola persona, al punto che se uno dei membri non funziona più
è una crisi terribile – ma se ne sottolinea l’aspetto vitale, crescente,
perchè tutto è portato verso la resurrezione di Cristo. Il corpo della Chiesa
è il corpo del Risorto. La Chiesa rispecchia il Risorto ed ha una funzione ed un
ruolo inauditi. Al vedere la Chiesa il mondo potrà riconoscere che Cristo è
risorto, perché vede il suo Corpo. Il mondo andrà a Cristo mediante la Chiesa,
che è il suo corpo. E’ la mediazione visibile del Cristo: questo permette di
andare a Cristo risorto per mezzo della Chiesa. Nella Chiesa si manifesta l’opera di Dio.
La prima cosa che vorrei vedere è lo svolgimento della lettera ai Col.
Ecco uno schema che ho preparato per voi che ne mostra la disposizione e lo sviluppo
retorico-letterario:
Disposizione della lettera ai Colossesi
*Cornice epistolare (1,1-2)
Exordium (1,3-23)
La partitio (1,21-23) = annuncio dei temi trattati
a) (v.21-22)
b) (v.23a)
c) (v.23b)
La probatio (1,24-4,1) = trattazione dei temi in ordine inverso
C) (1,24-2,5); Paolo ministro autorevole del mistero
B) (2,6-23), conseguenze per resistere alle false dottrine...
A) (3,1-4,1) ...e per la vita cristiana in genere
Esortazione finale a funzione conclusiva (4,2-6)
*Ripresa della cornice epistolare (4,7-18)
Ciò che voglio sottolineare ora è il modo con il quale la lettera abbina ed
articola i diversi temi. Avete una cornice circolare: “Paolo apostolo di Gesù...
io Paolo vi scrivo...”. C’è poi l’esordio che va fino al versetto 23,
esordio lungo, di tipo innico, poetico, nei vv.15 a 20. E’ il famoso inno, molto bello,
anche se molto difficile.
Alla fine dell’esordio abbiamo tre versetti che preparano le diverse sezioni della
lettera: sono i vv.21-23: “E voi che un tempo eravate stranieri e nemici... ora egli
vi ha riconciliati – linguaggio della riconciliazione – per presentarvi santi e
immacolati... purché non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che
avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo”.
Notiamo all’inizio di questi 3 versetti i vv.21-22: “Voi salvati, trasformati:
eravate nei peccati, Cristo vi ha trasformati”. Sarà la terza parte della
probatio della lettera, nella quale Paolo parlerà dell’aspetto
“morale” della vita cristiana come riflettente la salvezza di Dio in atto, per
mezzo di Cristo. La nostra vita nel corpo ecclesiale, manifesta la salvezza.
Segue poi il v.23a: “ Purché restiate fondati e fermi nella fede”. E’
l’affermazione che sarà sviluppata nella seconda parte della probatio.
Infatti, nei vv.2,6-23, ai cristiani sarà chiesto di evitare una divisione fra una
élite ed un resto di “poveri cretini”, di cristiani “di serie
B”. Questa tentazione di avere un cristianesimo a due piani - i migliori da un
lato ed i deboli dall’altro – è quella che i colossesi debbono evitare.
Infatti Cristo basta. E’ lui che ci dà la nostra dignità ed
identità. I cristiani dovranno evitare di avere una conoscenza esoterica, speciale, di
Cristo, dovranno evitare di avere una “migliore conoscenza” di Cristo, diversa da
quella della fede e del vangelo. “Se avete la fede, non avete bisogno di
altro”.
Infine il v.23b annuncia la III parte che sarà ripresa poi nella prima parte della
probatio ai vv.1,24-2,5. Si tratta del vangelo annunziato a tutto il mondo, del vangelo di
cui Paolo è annunciatore. Questa è la parte nella quale Paolo parla del
mistero. La parte dedicata al “mistero” è la parte su cui si basa
tutto il resto, è la motivazione per resistere alla tentazione di quelli che cercano di
favorire un cristianesimo elitario. Tutti quelli che favoriscono un cristianesimo elitario
– dice Paolo - non sanno cos’è il mistero. Allo stesso modo, per vivere
degnamente la vita cristiana – sarà la terza parte, come abbiamo già visto
– occorre aver compreso bene cos’è il mistero. Il “mysterion”
ci appare, allora, come il frontespizio della vita cristiana.
Vediamo questo più da vicino, data la sua importanza: perché il mistero?
Cos’è, allora, il mistero? La lettera ai Colossesi mostra chiaramente
l’importanza di questo mysterion. In cosa consiste?
Il mysterion per Paolo è chiaramente il vangelo. Ma il vangelo considerato in un suo
aspetto inaudito: l’annuncio che da ora innanzi, dalla resurrezione in poi, Cristo
è in mezzo alle nazioni, è presente nella vita ecclesiale. C’è
un aspetto nuovo che è messo in evidenza (poco importa se sia direttamente di mano di
Paolo o di un suo discepolo): l’autore di Col ha capito l’importanza del
“mysterion” come principio di lettura della Chiesa quale corpo di Cristo e della
Chiesa come colei che riflette e mostra al mondo che è abitata dal Risorto e
perciò manifesta al mondo stesso la presenza di Dio.
La Chiesa non è più qualcosa di esterno al vangelo, ma la Chiesa stessa fa
parte del vangelo. Annunziare Cristo significa anche annunziare ciò che la Chiesa
è, come componente essenziale del vangelo.
La Chiesa che manifesta al mondo che è il Risorto che la abita è la Chiesa in
quanto composta prevalentemente da ex-pagani (Col ed Ef sono lettere scritte per zone nelle
quali il numero dei non ioudaioi era più forte). Questi ex-pagani non sono di seconda
classe, ma hanno ricevuto il Cristo e manifestano in maniera inaudita la sua presenza al mondo.
In Col 2,2-3 abbiamo una definizione abbastanza breve, ma ferma del “mysterion”:
“Perché giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio,
cioè Cristo, nel quale sono nascosti tutti i segreti della sapienza e della
scienza”. Se abbiamo ricevuto tutto in Cristo, è inutile andare altrove. Cristo
è il primo ed unico portatore di salvezza. Questo era già stato detto da
Paolo nelle altre lettere. La novità è che questo vangelo è annunziato da
una Chiesa che chiede al mondo di riconoscere nel modo in cui lei vive la verità del
vangelo.
Ma perché il termine “mistero”? Perché non dire
“vangelo”, se il significato è lo stesso? Se Paolo ha scelto un’altra
parola è perché c’era una difficoltà. Finché usava parole
bibliche, tutto andava bene. Era la parola di Dio che si compiva. Il vocabolario biblico
aveva il vantaggio di mostrare la continuità del linguaggio di Dio. Così
parlando di “ecclesia”, così parlando di “popolo”, Paolo aveva
indicato che in Cristo era arrivato il compimento di ciò che era stato annunciato
nell’Antico Testamento. Ma quando si parla di “corpo di Cristo” - questa
è una parola nuova – dov’era la continuità con l’Antico
Testamento? Come posso dire che questa espressione nuova è valida se non è stata
annunziata da Dio?
Siamo in presenza di nuove categorie per parlare della Chiesa. Non troverete la “Chiesa
corpo di Dio” nell’AT. Ecco che faceva difficoltà, una difficoltà
enorme! Perchè utilizzare una categoria corporale, se essa non è preparata
dall’AT?
La parola “mysterion” è proprio la giustificazione del nuovo linguaggio,
per giustificare una cosa apparentemente non giustificabile. Mysterion è un termine che
viene da Daniele, dalla Bibbia stessa. In Dan 2 “mysteria” sono le realtà
che Dio non può rivelare ancora, ma che rivelerà solo alla fine dei tempi
(è discussa la cronologia di questa parte di Dan, alcuni la pongono al II secolo a.C.,
altri, almeno in alcune sue parti, al I sec a.C.). Daniele utilizza questo termine, al plurale
(“mysteria”), per descrivere cose escatologiche che Dio non poteva ancora
rivelare ad Israele, perché la fine dei tempi non era ancora arrivata.
Ecco che Paolo allora dice: “E’ normale che non ci sia una rivelazione della
Chiesa corpo di Cristo nell’AT! Non c’era ancora il Risorto! Ma ciò che Dio
non poteva allora rivelare, ora viene rivelato”. Non dobbiamo perciò stupirci,
perché Dio non poteva annunziare il “mistero” prima dell’arrivo di
Cristo. Solo Cristo poteva mostrare il suo rapporto con la Chiesa, il rapporto fra Lui Risorto
ed i suoi discepoli. Il Risorto ha il suo corpo di risorto - è chiaro - ma noi siamo
integrati nel suo corpo di risorto: questa è la Chiesa.
Ecco che Paolo, per indicare questo, parla di “mysterion” e non solo di
“vangelo”. Parlare della Chiesa ed integrare la Chiesa nel vangelo stesso,
richiedeva nuove categorie. E’ un “mistero” nel senso di Daniele, cioè
nel senso di ciò che Dio ha potuto rivelare solo dopo la resurrezione di Gesù
Cristo.
“Mysterion” è una parola greca, bella. In questo senso, le deutero-paoline
Col ed Ef vanno oltre le lettere di Paolo precedenti. Non è che Paolo non avesse detto,
in 1Cor12,27, che la Chiesa è corpo di Cristo: “E voi siete il corpo di Cristo e
membra gli uni degli altri”. Lo aveva detto ed aveva utilizzato questo anche come
metafora del modo in cui si doveva vivere nella Chiesa: ogni carisma, ogni ministero, non
può disprezzare gli altri, poiché siamo complementari gli uni degli altri.
Ma ora questo acquista un valore inaudito, acquista una valenza più profonda e
“canonica”: la Chiesa viene capita prevalentemente come corpo di Cristo, come
inseparabile da Cristo. Essendo suo corpo, dovendo vivere del suo capo, deve manifestare
nel suo modo di vivere la sua vita come dipendente interamente da Cristo solo. Cristo
è l’unica fonte di vita, l’unica fonte della vita ecclesiale.
Paolo vuole che i cristiani evitino di andare altrove, evitino di cercare dappertutto, evitino
di andare anche in altri gruppi. Non debbono pensare: “Più abbiamo
‘diplomi’ meglio è, più abbiamo altre assicurazioni,
possibilità, conoscenze”. Paolo dice: “No, Cristo basta e deve
bastare”. La Chiesa deve manifestare l’unicità della vita che irriga le sue
membra. Deve manifestare che è la vita di Cristo che cresce.
Tutto ciò è collegato al linguaggio corporale. Cerchiamo di capire questo
linguaggio in modo giusto. In Col 1,18 leggiamo che “Cristo è la testa del
corpo” – è meglio tradurre “testa” che “capo”,
perché “capo” può significare anche “capo di un
esercito”, “comandante di qualcosa”, ecc. ecc.
“Testa” dice l’inseparabilità: la testa fa parte del corpo.
L’autore di Col ha capito quale era il ruolo della Chiesa, un ruolo enorme: se non
ricevesse unicamente la sua vita da Cristo, se la sua vita non fosse solo Cristo, non potrebbe
testimoniare del “mistero”.
Si insiste così, in Col, sul ruolo fondamentale della Chiesa. Dal modo in cui vediamo
il nostro rapporto con Cristo, il mondo crederà o no. Ho finito con Col. Aggiungo solo
che troviamo, ma in modo abbastanza sfocato, il linguaggio della
“riconciliazione”, che invece incontreremo massicciamente in Ef, fra poco. In
Ef il linguaggio della “riconciliazione” diverrà prevalente. Ma lo vediamo
già in Col 1,19-20: “Piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per
mezzo di lui riconciliare a sé tutte le sue cose, rappacificando con il suo
sangue...”
Anche Ef fa parte delle lettere che chiamiamo, come abbiamo già visto, “lettere
della prigionia” oppure “deuteropaoline” o ancora “antilegomena”
(cioè “contestate”, a differenza delle lettere “omologoumena”,
quelle su cui c’è un accordo sulla paternità paolina).
Prendiamo allora Efesini. In Col “mysterion” è la chiave di lettura di
ciò che segue, per resistere a tutte le tentazioni esoteriche, di elitismo, ecc. ecc.,
in Ef il “mysterion è ciò che determina la composizione
dell’intera lettera. Partiamo ancora una volta dalla disposizione letteraria:
Disposizione della lettera agli Efesini
*Cornice epistolare (1,1-2)
Eulogia (1,3-14)
A) Rivelazione del mistero (1,15-3,21)
Notifica di azione di grazia e intercessione perché i credenti capiscano il mistero
(1,15-23) (preparazione della prima parte: l’opera divina a favore dei credenti)
L’opera divina:
Sua rivelazione e interpretazione come mistero tramite Paolo (3,1-13)
Notifica di intercessione perché progrediscano nella conoscenza (3,14-21)
B) Vivere il mistero (4,1-6,17)
Come corpo diversificato ed unificato (4,1-6;4,7-16)
Nella vita quotidiana (4,17-19; 4,20-24; 4, 25-32, 5, 1-20 (21); 5,22-24; 5, 25-33; 6,1-3;
6,4; 6,5-8; 6,9)
Lotta e armi del cristiano (6,10-12; 6,13-17)
*Cornice epistolare (6,21-24)
Abbiamo così due parti (nello schema “A” e “B”) dopo
l’euloghia, che segue a sua volta la cornice di introduzione. L’euloghia, la
“benedizione” – “Benedetto sia Dio...” – va da 1,3 a 1,14.
“Benedetto sia Dio che ci ha benedetto con ogni benedizione in Cristo...”.
Seguono le due parti. La prima parte comincia in 1,15 e va fino alla fine del cap 3:
è la rivelazione del mistero. La II parte ha per tema il “vivere il mistero”
ed affronta il problema del modo in cui vivere ciò che si è capito. Alla fine
di questa seconda parte troviamo il brano notissimo che parla della sottomissione delle donne
ai mariti!
La I parte è una introduzione, una presentazione del “mistero”.
L’euloghia ci prepara a questa prima parte, ci introduce al “mistero”.
Possiamo suddividere a sua volta il cap.2 di questa prima parte in due: vengono descritte
due “opere” che appartengono al “mistero”, quella di Dio (vv. 2,1-10) e
quella di Cristo (vv. 2,11-22). L’opera di Dio è verticale, l’opera di
Cristo orizzontale.
Entrambe verranno poi interpretate dall’autore come mistero. Leggiamo, infatti,
in Ef 3,1: “Per questo io Paolo penso che abbiate sentito parlare del ministero... come
per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di Dio di cui sopra”
(cioè il cap. 2). Qui è evidente che l’opera di Dio e di Cristo, espressa
nel cap.2, è interpretata come mistero. E’ la Chiesa “corpo di Cristo”
che è interpretata come mistero: ciò che va definito come mistero è il
rapporto tra Cristo e la Chiesa.
Insomma il cap.2 definisce l’opera di Dio, che sarà dopo chiamata
“mistero”.
La prima parte del capitolo 2, come dicevamo, è verticale, è l’opera di
Dio: “Dio ha perdonato, ha dato la sua grazia in abbondanza” (vv. 2,1-10). Dio ci
ha rimesso in contatto con se stesso.
Subito segue l’opera di Cristo che è orizzontale e che è espressa in
termini nuovi, di “riconciliazione”: “Egli è colui che ha fatto dei
due un popolo solo... abbattendo l’inimicizia...”. Perché
riconciliazione e non giustificazione?
L’identità della Chiesa era inaudita. La Chiesa è il corpo di Cristo,
ma esso è formato da due identità diverse, per la prima volta armonizzate:
è formata da Ioudaioi – quelli che sono veramente credenti fra gli ebrei (non
solo quelli che sono semplicemente ebrei) – e gentili (non ioudaioi). Questa Chiesa
è formata da due identità d’ora innanzi non più separabili. Le
due entità sono diverse - perché gli ioudaioi non sono i gentili e viceversa,
entrambi vivono la loro identità – ma, pur vivendo in culture diverse, sono una
sola cosa. La molteplicità, la differenza del corpo ecclesiale, non danneggia la sua
unità. La Chiesa ha il compito non solo di mostrare che si può vivere il vangelo
in tutte le culture, ma che essa stessa è unica. La Chiesa è unica a poter vivere
questa differenza fra Ioudaioi e Gentili nell’unità.
L’alterità dei due gruppi è essenziale, ma è essenziale anche la
loro unità. C’è un binomio: se uno dei due sparisce, non c’è
più nessuno che deve essere riconciliato. Perché ci sia riconciliazione serve un
partner. Queste due entità sono essenziali. Nessuna delle due identità sparisce.
Sarebbe la morte della Chiesa.
L’evento è così nuovo che Paolo, per indicare la nuova relazione fra i
due gruppi, parla di creazione: “Ha creato in se stesso una cosa nuova, la
Chiesa”, la Chiesa come corpo formato da due entità, diverse e necessariamente
diverse per essere riconciliate. Questa riconciliazione fa sì che possano formare
l’unico corpo di Cristo. Ecco che la Chiesa manifesta non solo l’origine della sua
vita, ma anche mostra che - nel modo di vivere le differenze di cultura, di origine e di
diversificazione e, massimamente, quella fra Ioudaioi e pagani - la differenza non separa, ma
unisce.
Siamo, all’incirca, negli anni ottanta del I secolo d.C. e la Chiesa, formata da
Ioudaioi e pagani, viveva una unità tale da poter essere manifestazione del ministero
universale di Cristo. Già Paolo nelle lettere sicuramente autentiche – le
“protopaoline” - aveva capito ed affermato questa unità, ma non aveva ancora
coniato questi termini. Già in quelle lettere l’azione della giustificazione era
unica per tutti i cristiani.
Qui si dice che la Chiesa, come gruppo di ioudaioi e non ioudaioi, mostra l’opera di
Dio, la riconciliazione, perché la differenza non è più motivo di
separazione.
Vediamo ora anche la seconda parte della lettera, dove si parla del vivere il mistero
(Ef. 4,1-6,17).
Avete due sottosezioni nella seconda parte, una che affronta la dimensione ecclesiale - come
la Chiesa manifesta nel suo modo di vivere questa diversità e questa armonia di corpo
unificato e non di meno in piena estensione e crescita – ed una che affronta i problemi
della vita morale più in generale.
La prima parte è costituita dal cap. 4 che mostra come la Chiesa sia e come debba
essere la vita ecclesiale. Il cap. 5 allarga lo sguardo, rispetto al cap.4 per
parlare della Chiesa nei confronti del mondo, della Chiesa che vive la sua vita quotidiana nel
mondo. Qui si fanno forti le difficoltà nell’utilizzo della categoria di
“mistero”.
Per ragioni di tempo, possiamo dare uno sguardo solo sui vv. 5,21 ss.: le famose
esortazioni ai coniugi, alla moglie ed al marito.
Ciò che deve essere notato, innanzitutto, è che l’esortazione
più lunga non è alla moglie, ma al marito. Ma ancor più che si conclude
così: “Poiché siamo membra del suo corpo” - ancora la
corporeità della Chiesa – perché “questo mistero è grande lo
dico in riferimento alla Chiesa”. Ecco di nuovo il “mistero”. Il
“mistero” è quello fra Cristo e la Chiesa. Ciò che dice
l’autore di Ef è che l’amore dell’uomo e della donna rispecchia
l’amore di Cristo e della Chiesa. L’amore dell’uomo e della donna deve
essere come quello del Cristo per la Chiesa.
All’inizio si afferma: “Siate sottomessi gli uni agli altri... Le mogli siano
sottomesse ai mariti, come la Chiesa al Signore”. Ma - potremmo obiettare - se
c’è un solo Signore, se la Chiesa ha un solo Signore, la moglie potrebbe dire:
“Io ho un solo Signore, Gesù Cristo, non voglio sottomettermi al marito”.
Perché si afferma che bisogna essere sottomessi al marito come al Signore?
La seconda difficoltà è altrettanto importante: infatti, marito e moglie non
hanno un solo corpo. Potrebbero obiettare: “Ma, scusa, cosa vuol dire questo? Io ho il
mio corpo, tu il tuo, non abbiamo un solo corpo! La moglie non è il corpo di suo marito.
Perché fare del mio corpo il corpo di mio marito?”
Sappiamo che, allora, l’uomo aveva tutti i diritti sulla donna. Paolo, invece, pone
il rapporto Cristo-Chiesa come modello del rapporto marito-moglie. Paolo ci dice:
“L’uomo non ha tutti i diritti, ma, anzi, l’amore è il criterio del
rapporto. Tu devi dare la tua vita, devi fare come Cristo. Tu, uomo, non hai uno status
superiore, ma devi dire: Ti voglio bene, ti do tutta la mia vita, perché ti
amo”. Questo è il criterio, ma questo è inapplicabile: solo Cristo
dà la vita per la Chiesa. Conosco pochi mariti che lo farebbero! La bellezza di questo
testo è quella di applicare il linguaggio del “mistero” per comprendere la
vita familiare. E’ da vivere questo “mistero” e lo potrete vivere:
perché siete membra del corpo di Cristo!
Non possiamo rispondere in così pochi minuti a tutte le obiezioni. La moglie, infatti,
potrebbe rispondere: “Ma abbiamo una sola testa, Cristo!” E’ evidente che
l’autore ha voluto applicare la categoria del “mistero” alla realtà
del matrimonio, pur sapendo che le due realtà non sono corrispettive in tutto. Le
categorie non sono pertinenti di per sé in tutto, ma, alla fine, si rivelano
validissime. L’autore opera una forzatura, apparentemente, ma riesce a mostrare, ancora
una volta, l’importanza del mistero. La nostra vita ecclesiale è totalmente
colorata dalla categoria del “mistero”.
Queste due lettere, Col ed Ef, hanno un linguaggio nuovo perché esprimono delle cose
che prima non potevano essere dette così, perché la realtà è nuova.
Prima c’era il popolo di Israele, da un lato, e c’erano le nazioni, i pagani,
dall’altro. Ora c’è la Chiesa che è rappresentativa di una
realtà inaudita, che gli Ioudaioi ed i Gentili possono vivere insieme in armonia, in un
unico corpo.
E’ la Chiesa come manifestazione dell’opera di Dio, dell’unicità del
Mediatore e dell’unità della diversità. Ciò che il mondo non
può vivere se non come divisione, il “mistero” di Cristo lo riconcilia. La
Chiesa ha come scopo di vivere questo, anche se nella storia ha dato tanti segni di divisione.
La Chiesa ha come scopo – e lo può – di vivere questo.
Domanda del pubblico:
Qual è l’origine della parola “mistero”?
Risposta del prof. Aletti:
Il termine viene probabilmente dalle religioni misteriche iraniane, ma Paolo lo riprende
totalmente in discontinuità di significato da esse. Già nel libro di
Daniele, come abbiamo visto, o nei testi di Qumran il significato non è più
quello di realtà riservate ad iniziati. Per l’utilizzo del termine in Paolo
è decisivo il profeta Daniele. Ai tempi di Paolo era usata l’espressione –
vedi appunto Qumran - ma Paolo le conferisce un senso escatologico.
Nelle religioni misteriche, “mistero” vuole indicare “realtà per
élites”, “cose tipiche di religioni esoteriche”, “cose nascoste
al popolo”. Daniele ha trasportato questo in un nuovo significato escatologico e Paolo
utilizza il termine “mistero” in questo senso. Però è vero che la
parola non viene da Daniele, ma è già stata utilizzata nel mondo delle religioni
misteriche.
Domanda del pubblico:
Esiste una differenza fra le lettere sicuramente paoline e quelle di non certa attribuzione?
Risposta del prof. Aletti:
Le differenze sono solo per gli esegeti, che discutono giustamente l’attribuzione della
paternità. Ma per la Chiesa tutte furono, comunque, subito riconosciute come
apostoliche, per essere accettate nel Canone delle Scritture ispirate da Dio. Noi oggi ci
accorgiamo che è diverso lo sviluppo retorico, il linguaggio; per cui è probabile
che non siano di mano di Paolo, anche se non è sicuro. Ma questo non fa differenza per
il Canone e per l’ispirazione.
Questo modo di definire la Chiesa è ancora una sfida per noi. La Chiesa deve mantenere
il polo giudaico. Ci sono due poli: Ioudaioi e Gentili. Questa Chiesa bipolare, deve rimanere
bipolare. Il problema di oggi è che, nella Chiesa, il polo giudaico è un
po’ inesistente ed è più difficile che la Chiesa possa dimostrare di poter
vivere in un gruppo costituito di due entità diverse, quella giudaica e quella non
giudaica.
Domanda del pubblico:
Ma c’è continuità fra le prime lettere paoline e le deutero-paoline?
Risposta del prof. Aletti:
Certo, le lettere riprendono il contenuto di Paolo. E’ solo alla fine del XVIII secolo
che qualcuno cominciò a parlare della non paternità di Paolo.
Domanda del pubblico:
Forse anche nella prospettiva escatologica sta la differenza fra le prime lettere e le
successive?
Risposta del prof. Aletti:
E’ una delle differenze con le grandi lettere di Paolo. L’escatologia è
“più realizzata” in Col ed Ef. In Col ed Ef si insiste di più sul
“già effettuato” da Cristo che non sul “non ancora
realizzato”.
Ciò che non abbiamo ancora e che aspettiamo nella speranza è più marcato
nelle prime lettere paoline. Si dice che siamo “già risorti” in Col 3,1:
è vero, da un lato, ma non è ancora vero, da un altro. Come comprendere
questo linguaggio? Comunque, anche in Col ed Ef, l’escatologia non è compiuta
pienamente, ma si deve ancora realizzare.
Domanda del pubblico:
Dunque il modo in cui oggi utilizziamo il termine “mistero” non è quello
paolino?
Risposta del prof. Aletti:
La parola mistero ha oggi riacquistato nel linguaggio comune tutte le componenti delle
vecchie tradizioni misteriche. Oggi significa “nebuloso”, “che non si capisce
bene”. In Paolo è molto diverso: il “mistero” è Cristo ed il
suo corpo composto delle due parti. Lo si chiama “mistero” perché Dio
non aveva potuto annunciarlo prima che, negli ultimi tempi, fosse compiuta la Resurrezione di
Cristo. Il “mistero” è stato proclamato solo ora perché solo la
resurrezione di Cristo poteva far capire cosa voleva dire essere corpo del Cristo risorto.
[1] Gli appunti della conferenza del prof. Jean-Noël Aletti sulla lettera ai Romani sono sul nostro sito nella sezione Approfondimenti.