Presentiamo on-line una trascrizione di appunti presi durante la conferenza tenuta sulla lettera ai Romani da Jean-Noël Aletti - gesuita, professore del Pontificio Istituto Biblico - il 3 maggio 2006, presso la Sala “Assunta”, in via degli Astalli 17, all’interno del ciclo di Conferenze bibliche 2006: Introduzione al Nuovo Testamento. Il testo non è stato rivisto dal relatore. Questi appunti vogliono essere, da un lato, un promemoria e, dall’altro, permettere al lettore di seguire le chiarificanti indicazioni esegetiche del nostro autore, pur nella “provvisorietà” di una breve presentazione, secondo lo stile proprio di questo ciclo di conferenze sulla Sacra Scrittura proposte nella sala conferenze della libreria dei gesuiti di via degli Astalli.
Centro culturale Gli scritti
Il vocabolario di Galati e Romani è simile. Se avete letto le due
lettere dall’inizio alla fine, vi accorgete subito che il vocabolario è
prevalentemente quello della giustizia, della giustificazione. In Galati in maniera
più concisa, dalla fine del secondo capitolo al terzo, in Romani in maniera molto
più estesa. Più di 50 volte compaiono i termini con la radice
“giustizia”: Dio “giusto”, la “giustizia” di Dio,
“giustificazione”, “giustificati”, “giudizi”, i
“giusti giudizi” di Dio, “giudizio” divino, ecc. ecc. A volte la
traduzione italiana della CEI ha tradotto con termini diversi, ma la radice nel testo greco
originale è la stessa.
In Col ed Ef, invece, compare il vocabolario della “riconciliazione”, della
“pace”, di “un solo popolo” – “Dio ci ha
riconciliati”, “Gesù Cristo è nostra pace”, “ha fatto di
noi un solo popolo”. Lascio perdere qui il problema che vedremo la prossima volta:
perché questo slittamento a questo diverso linguaggio?[1]
Fermiamoci oggi a vedere: perché questa grande importanza del vocabolario della
giustificazione?
Soprattutto nei primi 5 capitoli di Rom, lo troviamo continuamente: compare quasi in ogni
versetto.
Perché? C’è una situazione nuova all’origine delle due lettere ai
Gal ed ai Rom. Nei primi anni dell’evangelizzazione erano gli ebrei che diventavano
cristiani. Userò la parola Ioudaioi, una parola greca – e non
“ebrei” – per utilizzare un termine “religioso”; con
l’espressione “Ioudaioi” vogliamo indicare coloro che erano attaccati alla
religione così come Mosè l’aveva ricevuta in rivelazione e l’aveva
insegnata, coloro che avevano ricevuto la Torah e avevano capito di doverla praticare,
eseguirla, compierla così come era stata insegnata, per essere davvero il popolo di Dio.
Questo proprio perché lo specifico di Israele è la Torah.
In un primo periodo, allora, aderivano al vangelo gli Ioudaioi. C’è stata
presto una distinzione fra gli Ioudaioi che erano di lingua aramaica e gli Ioudaioi di
lingua greca, gli “ellenisti”, quelli della diaspora, ma erano ancora tutti
Ioudaioi.
Quando il numero dei “non Ioudaioi”, dei pagani non circoncisi, dei Gentili,
dei greci non ebrei che diventavano cristiani, cominciò a crescere si pose la
questione: per essere parte del gruppo dei credenti, dovevano essere circoncisi? Per essere
credenti con tutti i diritti e con tutti i privilegi dei credenti, con tutti i diritti di
Israele, dovevano essere circoncisi?
E’ il problema dello status dei credenti “non Ioudaioi”. Questo problema
è affrontato in maniera frontale da Gal e Rom. Alcuni dicevano: “Se non siete
circoncisi, se non siete figli dei padri delle benedizioni, se non diventate anche voi
Ioudaioi, non potete ricevere le benedizioni divine”.
Paolo ha reagito contro questa “politica”: “Non dovete essere
circoncisi”.
Ma d’altra parte c’era un altro grande problema che riguardava gli Ioudaioi che
non avevano accolto Cristo e il vangelo. Costoro - gli Ioudaioi non cristiani –
ritenevano di non avere necessità di Cristo e così sembrava giusto anche ad
alcuni Ioudaioi cristiani. Questi Ioudaioi dicevano: “Abbiamo già tutto, abbiamo
le benedizioni, abbiamo la Torah, non abbiamo bisogno di credere a Cristo”. Secondo la
loro posizione, la Torah bastava per avere le benedizioni divine.
Essi dicevano: “Voi latini, voi greci, voi che siete idolatri, voi avete bisogno di
Cristo, perché Gesù Cristo è per voi mezzo di salvezza. Ma noi abbiamo la
Torah!” E’ l’ “eccezione” giudaica”: a noi basta la
Torah! Cristo è necessario per tutti, eccetto gli Ioudaioi.
Possiamo dire, in sintesi, che siamo dinanzi a due domande che si presentavano a Paolo. Una
prima domanda era interna al gruppo cristiano ed era relativa ai convertiti dal paganesimo:
qual’è lo status dei pagani, per essere veramente dei credenti, dei salvati, cosa
proporre loro per essere pienamente credenti o salvati. A questa domanda Paolo risponde:
“La circoncisione non è necessaria, non servono la Torah e la circoncisione per
ottenere la salvezza. Basta Gesù Cristo”.
La seconda domanda era quella di coloro che, in quanto Ioudaioi, erano fuori dal gruppo
cristiano, non erano fra quelli che avevano accolto il vangelo e, perciò, dicevano:
“Non abbiamo bisogno di Cristo, abbiamo la Torah. Gesù Cristo non c’entra,
non è necessario”.
La risposta di Paolo a questo secondo gruppo, in Gal e Rom, è: “La Torah non
è un mezzo di salvezza, non può salvare”.
La risposta di Paolo è così duplice, a seconda che sia rivolta a coloro che sono
interni al cristianesimo o a coloro che ne sono al di fuori. Ai primi Paolo dice che La Legge
non è necessaria, ai secondi che la Legge non può salvare. Ai pagani Paolo dice
che non hanno bisogno della circoncisione per la salvezza, che non debbono diventare Ioudaioi,
per poter essere cristiani, ai secondi, gli Ioudaioi, Paolo annuncia che Cristo è
necessario per la loro salvezza e che la Torah non può bastare.
In altri termini, Paolo cerca di azzerare l’ “eccezione” giudaica,
l’eccezione di coloro che dicevano: Noi abbiamo la circoncisione, la Legge, le
benedizioni, e basta! Per noi Cristo non è necessario. Possiamo, al massimo, dire che a
voi serve Cristo. Voi che avete Cristo avete come una salvezza di ‘seconda classe’.
Seconda tappa nella nostra riflessione. Come Paolo se l’è cavata per azzerare
questa “eccezione”? Come ha potuto procedere, per annullare questa
“eccezione” giudaica?
Vediamo che Gal ha una impostazione più concreta. La lettera ai Galati affronta le due
domande che abbiamo visto nel vivo di problemi concreti e situazioni particolari. In Galati
la problematica è piuttosto quella di evitare una massiccia circoncisione dei pagani,
degli ex-pagani. Il problema si presenta praticamente.
La lettera ai Romani affronta questi problemi in maniera più sistematica e
più distesa. Ci dedichiamo, allora, soprattutto a Rom.
Rom è divisa in due grandi parti. La problematica della giustizia è in
Rom1-11: è la riflessione sull’ “eccezione” giudaica che deve
essere sciolta, deve saltare in aria, per mostrare che l’unica via di salvezza è
quella della fede in Gesù Cristo.
In Rom12-16 abbiamo, invece, una applicazione più esortativa che si appoggia a
questa parte più teorica: qui si tratta della risposta al dono di Dio nella misura
che lo abbiamo sperimentato. Si tratta, in questa seconda parte, della risposta dell’uomo
al fatto che Dio ci ha santificati. Rispondere all’amore di Dio è doveroso, avendo
sperimentato fino a che punto Dio ci ha amato. Potete leggere Rom5,1-11: la prova che Dio ci
ama è che ha inviato suo Figlio. Come risponde l’uomo a questo amore datoci da Dio
è il tema di Rom12-16.
Noi ci focalizziamo ora su Rom1-11, perché Rom12-15 non è tipica di Rom, ma ci
sono pagine simili in quasi tutte le lettere di Paolo (Rom 16 essendo un appendice che solleva
problemi storici e non essendo decisiva per l’interpretazione di Rom. Non possiamo
entrare, per ragioni di tempo, in Rom16).
Rom1-11 è suddivisa, a sua volta, in due parti. Nei primi otto capitoli Paolo fa
saltare l’eccezione giudaica. Se leggete la fine dell’ottavo capitolo, Rom
8,31-39, trovate una bellissima conclusione ai primi otto capitoli.
La difficoltà successiva è quella di Israele. Se la salvezza è in
Cristo, perché allora Israele, perchè la Torah è stata rivelata ad
Israele? Sono delle domande scottanti. Se la Torah non serve alla salvezza, perchè
è stata allora rivelata? E’ la questione affrontata in Rom9-11.
Se analizziamo più da vicino, possiamo vedere delle ulteriori suddivisioni di Rom1-8.
In Rom1-4 abbiamo chiaramente una unità. Paolo fa capire che non basta dire che
Gesù Cristo è l’unico Salvatore. Paolo deve anche dire: la Legge non
salva. Altrimenti gli ebrei direbbero: io ho la Legge, per me Cristo non serve! Paolo
afferma risolutamente che la Legge non ce la fa a salvare l’uomo.
In Rom1-4, in particolare, si affronta ciò che è già avvenuto, nel
passato: come siamo stati giustificati? Come si è fatta la giustificazione? Come si fa
la giustificazione?
In Rom5,1 abbiamo un passo ulteriore. Questo versetto dice: “Giustificati, dunque,
per la fede”. Cioè potremmo dire: “Chiarito come avviene la giustificazione,
che essa avviene poi per mezzo della fede, cosa diventano gli uomini dopo che sono stati
giustificati? Siamo cambiati sì o no con la giustificazione?”.
Allora Rom5-8 non parla più del mezzo con il quale siamo salvati. Non pone più
la domanda se Cristo oppure la Legge sono la salvezza – dove l’
“oppure” è antinomico, esclusivo, o l’uno o l’altra. Rom5-8
pone piuttosto la domanda successiva: cosa possiamo sperare? E la risposta è:
“Siamo in pace con Dio, abbiamo speranza, abbiamo futuro, ecc. ecc”. Insomma si
affronta la situazione di quelli che sono giustificati.
La lettera ai Romani ha, riassumendo, queste grandi suddivisioni:
Ora vediamo più da vicino i capp. 1-4. E’ la prima
parte della lettera, la più difficile. Paolo cerca qui di azzerare l’
“eccezione” giudaica.
Teniamo presente che c’erano, a quel tempo, giudaismi diversificati.
E’ solo dopo il 70 d.C. – e soprattutto dopo la repressione della
rivolta di Bar Kokheba – che il giudaismo si unifica nel rabbinismo. Non
siamo del tutto sicuri di ciò che è avvenuto, intorno all’anno
90, a Yamnia. Ma ciò che è certo è che, dopo il 135, dopo
la repressione della II rivolta giudaica, il giudaismo è più unificato.
E’ questa unificazione che ha permesso al giudaismo di attraversare i
secoli. Se fosse rimasto quello precedente, probabilmente non sarebbe sopravvissuto,
così diversificato. Anche per il cristianesimo l’unità sarà
fattore di sopravvivenza.
La lettera ai Romani, come tutte le lettere paoline, ha una cornice epistolare.
Si dice sempre, più o meno: “Paolo... apostolo di Gesù Cristo...
ai santi... grazia e pace... rendo grazie...” E’ una introduzione
abbastanza comune nell’epistolario paolino. Questa introduzione finisce
in Rm1,16: è la fine dell’esordio. “Non mi vergogno del vangelo,
salvezza per chiunque crede... in esso si rivela la giustizia di Dio... di fede
in fede”. Quest’ultima espressione – “di fede in fede”
- la capiamo come: “Tutto nasce dalla fede e va verso la fede”.
“Per questo sta scritto: il giusto vivrà per la fede”.
E’ una frase chiave. Paolo afferma che il vangelo rivela la giustizia
di Dio. Il vocabolario di giustizia è legato a Mosè: è
giusto chi osserva la Legge. Qui la riflessione sulla giustizia è,
invece, sul modo in cui è giusto Dio. Dio, per essere giusto, deve giudicare
tutti equamente. Dio sarebbe ingiusto se giudicasse il pagano, che non ha
la Legge, come giudica l’ebreo. La questione è, allora: come può
Dio essere giusto con due sistemi diversi? Il pagano ha, nella sua coscienza,
una qualche idea di ciò che è bene. Dio, nel giudicare il pagano
e l’ebreo, deve tenere presente la Legge, nel caso dell’ebreo, e
non deve tenere presente la Legge, nel caso del pagano: Dio deve procedere in
modo diverso!
Apparentemente Dio non può far saltare la Legge che è stata rivelata.
La Legge dice: o ubbidisci e sei benedetto o non ubbidisci e sei maledetto.
Come può Paolo far saltare questo e dire “Resta solo la giustificazione
secondo la fede”?
Rom1,16-17 è la frase inaugurale della prima sezione. Leggiamo in 1,17
che nel vangelo si rivela la giustizia “di fede in fede” (cioè,
come abbiamo visto, che tutto resta nella fede). Ma, subito dopo, in 1,18,
continua dicendo: “L’ira di Dio si rivela dal cielo”. Come?
Si parla del vangelo che è rivelatore della giustizia e subito dopo dell’ira,
come se fosse la prima parola del vangelo?
Se Paolo parte dall’ira è perché deve risolvere il problema
della retribuzione. Non vuole spaventare, ma vuole presentare questo problema:
se Dio retribuisce, allora punisce. Parla dell’ira non per dire che Dio
è arrabbiato, ma per dire che Dio è il giudice. Ci parla del tribunale
divino, alla fine dei tempi.
Dio, se retribuisce, non può non punire il male. Ma chi è malvagio?
Chiunque fa il male sarà punito. Ma quanti malvagi ci sono? Paolo
ci condurrà, partendo da qui, a veder sciogliersi le distinzioni fra
ebrei e pagani. Vedremo tutti e due i gruppi nello stesso “cestino”.
Se Dio è giusto non può tollerare il male, lo deve punire! Paolo
riprende all’inizio “topoi”, discorsi conosciuti. La prova
che Dio punirà i malvagi è che lo ha già fatto in passato:
nel passato ha punito Gomorra. Vengono qui sollecitati molti Salmi sull’idolatria
di Israele, senza distinguere fra “i giudei ed i greci”. Dio non
può non punire il male, Dio e il male sono incompatibili. Finora Dio
non ha distrutto tutto, pur in presenza del male, ha avuto pazienza; ma, alla
fine, punirà inesorabilmente. Vediamo così che Paolo dice, in
Rm1, che Dio ha punito nel passato, ed, in Rm2, che, se Dio ha punito nel passato,
punirà anche nel futuro.
Questo secondo capitolo è diviso in due, rispetto alla domanda: “Come
Dio punirà e retribuirà?”. Paolo afferma inizialmente che
chi fa il male, sarà sicuramente punito – prima parte – e
che chi dice di fare il bene e di nascosto fa il male, subirà un giudizio
analogo – seconda parte. Anche chi afferma il bene, ma poi fa il male,
sarà punito, perché Dio vede solo le azioni. E’ attivo
qui un principio biblico fornito da Dio stesso: Dio non può non punire
secondo le azioni.
Così Rom2,6 dice: “Dio renderà a ciascuno secondo le
sue opere”. Opere cattive uguale a Geenna eterna. Infatti, posso anche
sembrare irreprensibile, ma avere vizi nascosti, serbare rancore, ecc. ecc.
Ed è su questo che sarò giudicato.
Ma subito Paolo enuncia un altro principio biblico: Dio non guarda solo le
opere, Dio guarda il cuore. Se il Ioudaios è perfetto nell’agire,
ma il suo cuore non è perfetto, Dio non può non retribuirlo negativamente.
Dio non può non retribuire un pagano dal cuore sincero ed un ebreo dal
cuore non sincero. Ecco che già i confini tra i due cominciano ad
essere fluidi.
Se un ebreo non ha il cuore circonciso, la sua circoncisione fisica non serve
a niente. E’ determinante, allora, la circoncisione del cuore. Non
basta, insomma, nemmeno che le azioni siano buone, ma deve essere buono il cuore.
Rom2 ci presenta i principi della giustizia divina: Dio è imparziale,
vede le opere, ma anche il cuore. La distinzione fra ebrei e pagani è
ormai fluida: è il cuore che decide.
Paolo fa seguire allora la domanda: “Quanti Ioudaioi hanno il cuore
circonciso?” Paolo sa di non essere Dio; non può perciò
vedere il cuore degli uomini. Non può rispondere lui stesso alla
domanda. Eppure Paolo dice che “tutti sono malvagi”, che il cuore
di tutti non è circonciso e che, per questo, tutti sono nell’impossibilità
di salvarsi con la Legge. Come può dirlo? Come può arrivare a
questo scioglimento della differenza fra Ioudaioi e pagani?
Attraverso la stessa Scrittura. Solo la stessa Scrittura può dire
cosa c’è nel cuore dell’uomo! Solo l’autorità
biblica può dirlo! Ecco allora Rom3,9-19 che è una lunga sequenza
biblica. E’ attraverso la citazione della Bibbia che Paolo dimostra
che tutti sono malvagi. Leggiamo, nei versetti 10-18, una serie di citazioni
bibliche che affermano: “Tutti gli uomini sono perversi dalla testa ai
piedi”.
Ecco, così, che la circoncisione non è più un mezzo
di distinzione: tutti sono sotto la collera divina. Paolo usa questi testi,
a volte, in senso contrario al loro senso letterale. Usa versetti veterotestamentari
che erano rivolti ai pagani e li usa per i giudei. Prende testi che si applicano
ad entrambe le parti, ebrei e pagani. Non si sa come Paolo abbia abbinato i
testi, ma è fantastico il suo abbinamento. Paolo è giunto a dissolvere
l’ “eccezione” giudaica.
Paolo, insomma, per dire che tutti sono peccatori, non usa qui la sua esperienza,
ma la stessa parola di Dio: Dio stesso ci dice che tutti sono peccatori. Allora
la circoncisione non è un mezzo di salvezza: tutti sono nella disperazione
come i pagani, la Legge non serve a salvare nessuno.
Ed ecco l’affermazione: “Dio ci ha giustificati, quindi, tutti
per la fede in Gesù Cristo”. L’eccezione giudaica non è
stata così aggirata, ma affrontata frontalmente. Solo in un secondo
tempo Paolo sviluppa il tema della giustificazione per mezzo della fede in Cristo.
Dinanzi alla domanda: “I pagani debbono o no essere circoncisi?”,
Paolo va a fondo ed afferma così: “Per rispondere a questo dobbiamo
sapere se la circoncisione è mezzo di salvezza. E la risposta è
negativa”.
Questo non significa che il linguaggio di “giustificazione” sia
il più importante per Paolo. E’ stato importante per il dialogo
con il giudaismo. Volens nolens, Paolo ha dovuto utilizzarlo.
Paolo non dice, comunque, mai che non dobbiamo osservare i comandamenti.
Dice, piuttosto, che la Legge, la Torah, non è un mezzo di salvezza.
La distanza sempre più grande fra cristianesimo ed ebraismo è
dovuta molto a Paolo. Non che l’abbia voluto. Nelle lettere della prigionia
vediamo, infatti, una fantastica unità di pagani ed ebrei. Lì
non è centrale il linguaggio della giustificazione. Il linguaggio della
giustificazione è dovuto ad una crisi specifica, a questa situazione
che abbiamo descritto in partenza.
Domanda dal pubblico:
Cosa significa essere giustificato?
Prof. Aletti:
Paolo utilizza anche altri termini che ci aiutano a capire cosa voglia dire
essere giustificati: “Dio ci ha acquistati, siamo stati redenti, salvati”.
Voglio sottolineare che è il contesto giudaico che ha prodotto, in Gal
e Rom, questa invasione del termine “giustificazione”. Ma Paolo
può dire anche: purificazione, santificazione, redenzione, trasformazione
di quelli che credono in Cristo, rigenerazione, uomini nuovi...
Come Dio ha fatto, con questi uomini tutti ingiusti a renderli giusti? Attraverso
la fede. Essere giustificati! Siccome non potevamo da noi stessi, per i meriti,
essere giustificati, Dio ha preso un altra via, quella del Figlio.
Domanda dal pubblico:
E la promessa a Israele?
Prof. Aletti:
Dovremmo vedere Rom9-11 per rispondere, ma non c’è il tempo.
Il popolo di Dio, per Paolo, è Israele, mai la Chiesa è chiamata
così. Ed Israele mai è stato abbandonato da Dio.
La Chiesa, per Paolo, invece nasce dalla resurrezione, è escatologica,
è di un’altra indole. La Chiesa è il corpo del risorto.
Non si usa per parlare della chiesa, nelle lettere paoline, il vocabolario di
Israele. Paolo usa, per la Chiesa, il vocabolario o familiare o corporale. Paolo
evita un linguaggio che confonda Israele e la Chiesa. E questa indole escatologica
della Chiesa non cancella i privilegi di Israele.
Vede che non rispondo alla domanda: servirebbe tempo!
Il ruolo di Israele, potremmo dire, è più storico che escatologico.
Solo Cristo ci ha fatto entrare nell’escaton. Israele è, in un
certo senso, la memoria, le radici della Chiesa.
Domanda dal pubblico:
E i profeti? L’annunzio profetico non aiutava a capire Cristo, ad attenderlo?
Prof. Aletti:
Potremmo dire che proprio qui sta il problema di Israele: se un ebreo è
fedele alla Legge, non può convertirsi a Cristo. Più è
fedele alla Legge, meno può arrivare a Cristo.
Non si può, per chi è Ioudaios, uscire dal sistema della Legge:
è una questione di maledizione. Chi non osserva la Legge è maledetto.
Paolo ha visto molto bene questo.
Per altri articoli e studi di Jean-Noël Aletti o sulle lettere di S.Paolo presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici
[1] Gli appunti della conferenza di padre Aletti su Colossesi ed Efesini sono disponibili su questo stesso sito, alla sezione Approfondimenti.