N.B. Queste poche righe non hanno alcuna pretesa di esaustività. Vogliono essere lo stimolo per ulteriori approfondimenti ed indicare l’itinerario di una riflessione, che qui è appena abbozzata.
In numerose pubblicazioni appare il termine “chiesa-madre di Gerusalemme”. Sarebbe
interessante indagarne la storia – ma queste brevi note non lo consentono – in relazione, soprattutto,
alla rinnovata consapevolezza del rapporto essenziale del cristianesimo con l’ebraismo.
Il concetto non resiste, però, ad una analisi più attenta.
La Chiesa che si riunisce a Gerusalemme nel Cenacolo non è una Chiesa locale fra le altre e non è
nemmeno la Chiesa dei giudeo-cristiani che poi da origine alla “catholica” che comprenderà solo
successivamente anche i pagani.
La Chiesa “locale” di Gerusalemme, l’unica che potrebbe essere chiamata legittimamente
“Chiesa di Gerusalemme”, avrà a capo Giacomo, detto il fratello del Signore.
Invece, fin dalla Pentecoste, la Chiesa si manifesta come l’unica Chiesa di ebrei e gentili. Il numero
“dodici” indica, già nel suo simbolo espressamente voluto dal Signore, l’unità
dell’intero popolo di Dio (è evidente il richiamo alle 12 tribù di Israele). Non qualcosa di
simile ad una “chiesa diocesana” è simbolizzato dai “Dodici”, ma la Chiesa una,
cattolica ed apostolica.
L’apertura immediata della Pentecoste ad “ogni nazione che è sotto il cielo” – non ha
alcuna importanza qui che si tratti di ebrei ellenisti, di proseliti, di timorati di Dio o espressamente di pagani
non circoncisi – mostra l’universalità di coloro che si radunano alla discesa dello Spirito Santo.
La Chiesa una è cronologicamente e teologicamente precedente alle singole Chiese particolari.
Come spiegherà la lettera agli Efesini, interpretando perfettamente l’intenzione di Gesù e la
realtà della prima comunità cristiana, la comprensione del “mistero” di Cristo rivelato a
Paolo è che “i Gentili sono chiamati in Cristo Gesù a formare lo stesso corpo” (Ef 3,4-6)
di Cristo insieme agli Ebrei, essendo stata fatta la pace fra i due.
Il mistero rivelato, che “è” il Cristo stesso, comprende però anche noi, ebrei e pagani.
Insieme apparteniamo al “mistero”, al disegno di Dio rivelato e realizzato.
La Chiesa-madre non è, così, la Chiesa di Gerusalemme, ma la Chiesa apostolica, la Chiesa che, nei
Dodici, porta fin dall’inizio il connotato dell’universalità. E’ la Chiesa tout court che
è madre, che genera continuamente alla vita i suoi figli, i suoi nuovi figli.
Solo qui si scioglie il paradosso dell’Antico Testamento che annunciava un unico Dio, ma non riusciva
pienamente a vederlo come il Dio di tutti, manifestatosi a tutti e salvatore di tutti. Tale era la promessa -
“si dirà l’uno e l’altro è nato in essa” - ma promessa restava, fino al nascere
della Chiesa.
Quei “dodici” – il numero viene ricostituito con la scelta di Mattia prima della Pentecoste
– portano a compimento ciò che era promesso e che già era stato celebrato nel segno dei Magi, dei
pagani giunti a Gesù.
Quei “dodici” sono, fin da subito, mandati a tutto il mondo, a tutte le nazioni (Mt28).
E così è della Gerusalemme celeste che è nostra madre, colei che discende dal cielo e che non
si identifica con la “Chiesa locale” giudeo-cristiana, ma con l’unica Chiesa. Degli Ebrei certo, ma
degli Ebrei e dei Gentili insieme.
In questo senso l’unica Chiesa che può essere definita “madre”, oltre alla “Chiesa
cattolica” nella sua totalità, è la Chiesa di Roma. Nuovamente, non nel senso che essa fa nascere
le altre come “madre particolare”, ma nel senso che essa, proprio perché grazie al suo vescovo
è chiamata al ministero dell’unità, può rappresentare l’unica Chiesa che genera i
cristiani ed ogni Chiesa particolare.
Per altri articoli e studi di d.Andrea Lonardo o sugli Atti degli Apostoli presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici