FIGLI, I RIBELLI SENZA CENTRO (tpfs*)
Intervista a Pierangelo Sequeri di Marina Corradi, da Avvenire del 27 settembre 2001


Come sarà un mondo di ex figli unici, e quanto dureranno i matrimoni di chi già è cresciuto in famiglie spezzate e rifatte? Il futuro degli affetti: azzardiamo uno sguardo in prospettiva con Pierangelo Sequeri, docente alla Facoltà teologica di Milano. Che immagina un ricorso della storia, una possibile rivoluzione: quella dei figli.

Gli adolescenti - dice Sequeri – mostrano oggi come un risentimento aggressivo verso i genitori, ma quasi aspettandosi una reazione che confermi la forza del legame con padre e madre. Aggrediscono questa generazione che ha creduto di rendere più accettabili i legami familiari, indebolendoli. Accanto al “pensiero debole” C'è il “legame debole” come modello di rapporti, oggi. Ci si sposa come se non ci si sposasse, si cerca di indebolire quello che in un rapporto è legame, responsabilità, facendo crescere invece la parte affettiva, gratificante. Ma questo legame “debole” è una scelta ingenua e grave, è una responsabilità tradita. Io credo che in un futuro gli adulti potrebbero essere indotti dalla ribellione dei figli a dichiararsi, sentendosi chiedere bruscamente, “ma voi due, vi volete bene o no?”

Insomma, una domanda di serietà.

Nella nostra cultura, c'è l'idea ormai che affetti e legami familiari siano alternativi, e che l'emancipazione degli affetti coincida con l'indebolimento di questi legami. Invece dobbiamo riconquistare l'idea che affetti e legami coincidono, e sono il luogo in cui si giocano le cose più profonde di noi. Il matrimonio, come l'appartenenza a un popolo decidono non solo chi siamo, ma anche “se” siamo: sono il luogo fondante della nostra identità.

Puntare l'accento sull'innamoramento, sull'emotività, è un portato dell'individualismo?

Certamente, di un individualismo che immagina che l'autonomia personale si realizzi attraverso lo scioglimento di ogni legame. Autonomia invece non è essere soli e non avere bisogno di nessuno, ma è avere dei rapporti forti, dei figli, degli amici per cui si è disposti a dare anche la vita. Il modello imposto dalla cultura dominante è quello di un individuo che non abbia alcun legame: non una fede, non una donna per sempre, non una famiglia. Invece un uomo che a cinquant'anni si voglia così, “sciolto” da qualsiasi rapporto, è soltanto un vecchio adolescente.

Perché lei immagina che proprio i più giovani possano fare una rivoluzione?

Perché i ragazzi hanno un bisogno fisiologico di legami solidi per crescere. Invece oggi vivono nel timore che anche quei rapporti che appaiono più stabili, potrebbero alla fine non esserlo, e crescono come in un terreno sismico, aspettando la scossa.

L'accento sull'affettività a cosa porta invece?

Senza legame gli affetti diventano coccole, si produce un narcisismo senza fine, un maternage illimitato. Una società caratterizzata da questo eccesso di tenerezza e protettività materna è condannata all'estinzione per lacerazione interna. I figli si scannano per la poppata, ma nessuno affronta più il territorio per procurare il cibo.

Ritorno al passato allora?

Nemmeno questo è possibile. I giovani non ritengono più affidabile il modello tradizionale di famiglia. Conosco ragazzi che vivono il loro rapporto con assoluta serietà, e con il desiderio che duri per sempre. Ma non si sposano, quasi per mettere al riparo il loro amore da quel matrimonio che vivono come una formalità, come una carta da bollo. Non sanno che il loro affetto, separato dal legame, dalla responsabilità, alla prima difficoltà può esaurirsi.

Veramente, questo modello ormai è da tempo scomparso...

Sì, è qualcosa di ormai passato, metabolizzato. Invece gli adulti oggi non si accorgono che sacrificano le giovani generazioni proponendo di vivere semplicemente di affetti che non diventino legami duraturi. Questa generazione aspetta solo che gli adulti la liberino dal mito immorale di una autorealizzazione possibile solo all'uomo autonomo e distante da tutto, autoreferenziale. Bisogna invece tornare a insegnare che la forma compiuta dell'autonomia umana è in un'alleanza tra affetti profondi e legami forti, che durano per sempre. L'uomo che crede in questo va riabilitato: non è uno schiavo, non è un codino, ma è invece colui che sa prendersi la responsabilità di altri cuccioli, promettendo qualcosa che è in grado di onorare.

Lei mette al centro della crisi il mito della autorealizzazione, che domina da decenni la psicanalisi e poi i mass media e il senso comune...

Infatti questa “autorealizzazione” è la figura del narcisismo più distruttivo che esista. Che è il narcisismo di chi non ha più legami con nessuno e con niente. Ed è atomicamente disperso, e sarà inesorabilmente di chiunque e di nessuno. Il narcisismo è una forma di nichilismo.

Come si esce da questo circuito narcisista?

Abbiamo bisogno che i nostri rapporti più importanti affondino le radici al di fuori di noi. In un contratto fra un uomo e una donna, uno dei due può sempre impugnare il rapporto e distruggerlo. Se invece il principio fondante di quel rapporto viene da un Terzo, noi siamo ugualmente responsabili, ma anche liberi dall'onere insopportabile di essere l'uno il fondamento dell'altro, e la propria reciproca ragione assoluta di vita. Liberi da un rapporto in cui, se l'altro sbaglia, sei rovinato, morto, come se ti avesse abbandonato Dio.

La schiera dei figli unici che diventa adulta - educata a pensare a sé stessa, e a non condividere con un fratello - che affetti vivrà?

Si prepara una generazione di padri che non ha mai provato la fraternità, che è la prima prova di accudimento dell'altro, e quindi anticipa maternità e paternità. Il rischio è che invece che affetti quest'uomo cresciuto nel mito “autoreferenziale” scambi prestazioni, competenze, si preoccupi di mandare il figlio alla giusta scuola e che impari bene le cose necessarie, ma si limiti a questo?.

E l'autorità dei genitori, è finita per sempre, o potrebbe tornare?

Spero nel ritorno di un rapporto asimmetrico tra figli e genitori. E' scandaloso come oggi si trattano i figli, li si convoca attorno a un tavolo come all'Onu, per “discutere”. Ma l'autorizzazione sulle cose decisive, deve spettare a padri e madri. Noi nel profondo del cuore abbiamo bisogno di essere guidati, autorizzati da uno più grande di noi. Quanto più si parla di scelte decisive, tanto più c'è bisogno di un'autorizzazione non dispotica che ci dica che quella cosa è buona davvero. L'illuminismo in questo ci ha scardinati, tentando di distruggere questa dipendenza, e pretendendo che ognuno si autorizzi da sé.

E i nostri pochi figli, verso quale futuro di affetti ci portano?

I nostri pochi figli sono per alcuni, il frutto quasi di una legittima difesa, e di un malinteso senso di responsabilità. Molti giovani hanno vissuto ormai la precarietà dei legami familiari, e non vogliono fare soffrire un figlio. Sono come reduci da Hiroshima: hanno paura, che altri possano soffrire come hanno sofferto loro. Sono ragazzi che la società dovrebbe incoraggiare ad abbandonarsi invece al desiderio di paternità che va onorato precocemente, come l'innamoramento.


Testi dello stesso autore presenti sul nostro stesso sito www.gliscritti.it

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