Come sarà un mondo di ex figli unici, e quanto dureranno i matrimoni di chi già
è cresciuto in famiglie spezzate e rifatte? Il futuro degli affetti: azzardiamo uno sguardo in prospettiva con
Pierangelo Sequeri, docente alla Facoltà teologica di Milano. Che immagina un ricorso della storia, una
possibile rivoluzione: quella dei figli.
Gli adolescenti - dice Sequeri – mostrano oggi come un risentimento aggressivo verso i genitori, ma quasi
aspettandosi una reazione che confermi la forza del legame con padre e madre. Aggrediscono questa generazione che ha
creduto di rendere più accettabili i legami familiari, indebolendoli. Accanto al “pensiero debole”
C'è il “legame debole” come modello di rapporti, oggi. Ci si sposa come se non ci si sposasse, si
cerca di indebolire quello che in un rapporto è legame, responsabilità, facendo crescere invece la
parte affettiva, gratificante. Ma questo legame “debole” è una scelta ingenua e grave, è
una responsabilità tradita. Io credo che in un futuro gli adulti potrebbero essere indotti dalla ribellione
dei figli a dichiararsi, sentendosi chiedere bruscamente, “ma voi due, vi volete bene o no?”
Insomma, una domanda di serietà.
Nella nostra cultura, c'è l'idea ormai che affetti e legami familiari siano alternativi, e che
l'emancipazione degli affetti coincida con l'indebolimento di questi legami. Invece dobbiamo riconquistare l'idea che
affetti e legami coincidono, e sono il luogo in cui si giocano le cose più profonde di noi. Il matrimonio,
come l'appartenenza a un popolo decidono non solo chi siamo, ma anche “se” siamo: sono il luogo fondante
della nostra identità.
Puntare l'accento sull'innamoramento, sull'emotività, è un portato dell'individualismo?
Certamente, di un individualismo che immagina che l'autonomia personale si realizzi attraverso lo scioglimento di
ogni legame. Autonomia invece non è essere soli e non avere bisogno di nessuno, ma è avere dei rapporti
forti, dei figli, degli amici per cui si è disposti a dare anche la vita. Il modello imposto dalla cultura
dominante è quello di un individuo che non abbia alcun legame: non una fede, non una donna per sempre, non una
famiglia. Invece un uomo che a cinquant'anni si voglia così, “sciolto” da qualsiasi rapporto,
è soltanto un vecchio adolescente.
Perché lei immagina che proprio i più giovani possano fare una rivoluzione?
Perché i ragazzi hanno un bisogno fisiologico di legami solidi per crescere. Invece oggi vivono nel timore
che anche quei rapporti che appaiono più stabili, potrebbero alla fine non esserlo, e crescono come in un
terreno sismico, aspettando la scossa.
L'accento sull'affettività a cosa porta invece?
Senza legame gli affetti diventano coccole, si produce un narcisismo senza fine, un maternage illimitato. Una
società caratterizzata da questo eccesso di tenerezza e protettività materna è condannata
all'estinzione per lacerazione interna. I figli si scannano per la poppata, ma nessuno affronta più il
territorio per procurare il cibo.
Ritorno al passato allora?
Nemmeno questo è possibile. I giovani non ritengono più affidabile il modello tradizionale di
famiglia. Conosco ragazzi che vivono il loro rapporto con assoluta serietà, e con il desiderio che duri per
sempre. Ma non si sposano, quasi per mettere al riparo il loro amore da quel matrimonio che vivono come una
formalità, come una carta da bollo. Non sanno che il loro affetto, separato dal legame, dalla
responsabilità, alla prima difficoltà può esaurirsi.
Veramente, questo modello ormai è da tempo scomparso...
Sì, è qualcosa di ormai passato, metabolizzato. Invece gli adulti oggi non si accorgono che
sacrificano le giovani generazioni proponendo di vivere semplicemente di affetti che non diventino legami duraturi.
Questa generazione aspetta solo che gli adulti la liberino dal mito immorale di una autorealizzazione possibile solo
all'uomo autonomo e distante da tutto, autoreferenziale. Bisogna invece tornare a insegnare che la forma compiuta
dell'autonomia umana è in un'alleanza tra affetti profondi e legami forti, che durano per sempre. L'uomo che
crede in questo va riabilitato: non è uno schiavo, non è un codino, ma è invece colui che sa
prendersi la responsabilità di altri cuccioli, promettendo qualcosa che è in grado di onorare.
Lei mette al centro della crisi il mito della autorealizzazione, che domina da decenni la psicanalisi e poi i
mass media e il senso comune...
Infatti questa “autorealizzazione” è la figura del narcisismo più distruttivo che esista.
Che è il narcisismo di chi non ha più legami con nessuno e con niente. Ed è atomicamente
disperso, e sarà inesorabilmente di chiunque e di nessuno. Il narcisismo è una forma di nichilismo.
Come si esce da questo circuito narcisista?
Abbiamo bisogno che i nostri rapporti più importanti affondino le radici al di fuori di noi. In un contratto
fra un uomo e una donna, uno dei due può sempre impugnare il rapporto e distruggerlo. Se invece il principio
fondante di quel rapporto viene da un Terzo, noi siamo ugualmente responsabili, ma anche liberi dall'onere
insopportabile di essere l'uno il fondamento dell'altro, e la propria reciproca ragione assoluta di vita. Liberi da
un rapporto in cui, se l'altro sbaglia, sei rovinato, morto, come se ti avesse abbandonato Dio.
La schiera dei figli unici che diventa adulta - educata a pensare a sé stessa, e a non condividere con un
fratello - che affetti vivrà?
Si prepara una generazione di padri che non ha mai provato la fraternità, che è la prima prova di
accudimento dell'altro, e quindi anticipa maternità e paternità. Il rischio è che invece che
affetti quest'uomo cresciuto nel mito “autoreferenziale” scambi prestazioni, competenze, si preoccupi di
mandare il figlio alla giusta scuola e che impari bene le cose necessarie, ma si limiti a questo?.
E l'autorità dei genitori, è finita per sempre, o potrebbe tornare?
Spero nel ritorno di un rapporto asimmetrico tra figli e genitori. E' scandaloso come oggi si trattano i figli, li
si convoca attorno a un tavolo come all'Onu, per “discutere”. Ma l'autorizzazione sulle cose decisive,
deve spettare a padri e madri. Noi nel profondo del cuore abbiamo bisogno di essere guidati, autorizzati da uno
più grande di noi. Quanto più si parla di scelte decisive, tanto più c'è bisogno di
un'autorizzazione non dispotica che ci dica che quella cosa è buona davvero. L'illuminismo in questo ci ha
scardinati, tentando di distruggere questa dipendenza, e pretendendo che ognuno si autorizzi da sé.
E i nostri pochi figli, verso quale futuro di affetti ci portano?
I nostri pochi figli sono per alcuni, il frutto quasi di una legittima difesa, e di un malinteso senso di
responsabilità. Molti giovani hanno vissuto ormai la precarietà dei legami familiari, e non vogliono
fare soffrire un figlio. Sono come reduci da Hiroshima: hanno paura, che altri possano soffrire come hanno sofferto
loro. Sono ragazzi che la società dovrebbe incoraggiare ad abbandonarsi invece al desiderio di
paternità che va onorato precocemente, come l'innamoramento.
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