Riprendiamo per il Progetto Portaparola di Avvenire la brevissima, ma acutissima recensione del libro Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Rusconi, 2007, scritta da Pierangelo Sequeri. E’ apparsa sul supplemento di Avvenire, I luoghi dell’Infinito, del giugno 2007, p.79. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (16/6/2007)
Nella loro stessa struttura, i vangeli rappresentano il
congiungimento della memoria storica e della fede confessante, entrambe radicate
nell'evento cristologico, che a nessuno è lecito sciogliere arbitrariamente.
La passione, ad un tempo credente e intelligente, con la quale Ratzinger
in Gesù di Nazaret ha inteso dare valore a questo legame, è
il nucleo caldo dell'opera. Su questo sfondo, si dipana la sequenza della meditazione
offerta dal libro, in ordine al modo in cui la manifestazione dell'evento si
dispone a suscitare il riconoscimento della fede.
Desidero solo indicare una chiave, che è servita a me, per identificarne
e approfondirne i punti di forza. Vedo due pilastri, che indicano l'originale
spunto di regia del libro.
Il primo è l'ampiezza con cui viene esplorata la centralità
della nozione di "Regno di Dio". Predicata da Gesù, attuata in Gesù.
La nozione è concordemente indicata, da storici ed esegeti, come la
chiave sicuramente attendibile dell'originaria predicazione di Gesù.
Essa costituisce la filigrana della presentazione dei Sinottici (i primi
due terzi dell'opera). L’esposizione di Ratzinger mostra come in essa
si raccolga l'intero della rivelazione e dell'autopresentazione di Gesù,
in cui si illumina la rivelazione di Dio che Egli porta in sé.
"Tutto dipende da come dobbiamo interpretare l'espressione ‘regno di
Dio’ pronunciata da Gesù, in che rapporto l'annuncio stia con Lui,
l'annunciatore: è solo un messaggero che deve sostenere una causa
in ultima istanza indipendente da Lui, o il messaggero è Lui stesso il
messaggio?... La questione fondamentale riguarda in realtà il
rapporto tra il regno di Dio e Cristo: da questo dipende poi come dobbiamo intendere
la Chiesa” (p.72).
Il secondo pilastro è costituito dall'originale rilettura dell'intera
attestazione di Giovanni, sul duplice registro dei "simboli" e dei "nomi"
in cui la parola e l'azione di Gesù riflettono la coscienza dell'opera
salvifica di Dio e della missione del Figlio che in lui si attua.
Da un lato: l'acqua, la vite e il vino, il pane, e la cura del pastore.
Una chiave semplice e ricchissima, che rende il vangelo "teologico" di Giovanni
trasparente per tutti.
Dall'altro, l'enucleazione delle "tre espressioni in cui Gesù insieme
vela e svela il mistero di sé: Figlio dell'uomo, Figlio, ‘Io sono’.
[...] In tutte e tre si manifesta l'originalità di Gesù - la sua
novità, la sua caratteristica esclusiva, per la quale non vi sono ulteriori
derivazioni. Tutt'e tre sono possibili solo sulle sue labbra - in modo centrale
la parola ‘Figlio’, cui corrisponde l'appellativo di preghiera Abbà-Padre.
Per questo nessuna delle tre poteva diventare così com'era una semplice
espressione di confessione della ‘comunità’, della Chiesa
nascente. Questa ha deposto il contenuto di tutte e tre le espressioni incentrate
sul ‘Figlio’ nella locuzione ‘Figlio di Dio’, staccandola
così dal suo passato mitologico e politico" (pp.404-405).
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