«Il pericolo, tanto presente in questi tempi, è quando un’identità si dimentica delle sue radici, si dimentica da dove viene, si dimentica della sua storia, non si apre alla differenza della convivenza attuale. Perché l’identità non diventi violenta, non diventi autoritaria, non diventi negatrice della differenza, ha costantemente bisogno dell’incontro con l’altro». Videomessaggio del Santo Padre Francesco ai partecipanti al III incontro mondiale dei giovani promosso dalla fondazione "Scholas occurrentes"
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Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione del videomessaggio di Papa Francesco ai partecipanti al III incontro mondiale dei giovani promosso dalla fondazione "Scholas occurrentes" [Buenos Aires, 29 ottobre - 1 novembre 2018]. La trascrizione è stata pubblicata su L'Osservatore Romano, Edizione quotidiana n. 250, 3 novembre 2018. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Scuola.
Il Centro culturale Gli scritti (4/11/2018)
Cari giovani di Scholas, oggi qui riuniti,
Desidero celebrare insieme a voi questa festa dell’incontro, incontro di persone: ognuno di voi è persona. Incontro di differenti credi, paesi, lingue, realtà; incontro di differenti identità, perché per incontrarsi bisogna essere sicuri della propria identità. Non puoi andar negoziando la tua identità per incontrare l’altro, non puoi truccare la tua identità, non la puoi mascherare, perché la vita non è un carnevale, è una cosa molto seria. E un incontro deve essere serio, con molta gioia, ma serio dal cuore.
La parola identità non è facile. È la domanda del “chi sono io”. Ed è una delle domande più importanti che ci si può fare: davanti a se stessi, davanti agli altri, davanti a Dio, davanti alla storia. Chi sono io?
È la domanda che va insieme alla domanda sul senso della propria vita, chi sono io e che senso ha la mia vita. Ma attenzione, non è una domanda da scrollarsi di dosso, né una domanda a cui rispondere rapidamente o dimenticare. È una domanda da mantenere sempre, sempre. E da mantenere aperta, da mantenere vicina. Io, chi sono?
La nostra identità non è un dato che viene dato, non è un numero di fabbrica, non è un’informazione che posso cercare in internet per sapere chi sono. Non siamo qualcosa di totalmente definito, stabilito. Siamo in cammino, siamo in crescita, e questo nucleo d’identità sta crescendo, crescendo, e noi stiamo camminando; stiamo crescendo con uno stile proprio, con una storia propria, con questo nucleo d’identità proprio. Siamo testimoni, siamo redattori e lettori della nostra vita e non ne siamo gli unici autori: siamo ciò che Dio sogna per noi, siamo quelli che ci raccontiamo, quelli che ci riraccontiamo, quelli che gli altri ci raccontano, purché siamo fedeli.
Fedeli alla nostra integrità personale, fedeli alla nostra nobiltà interiore, fedeli a una parola di cui la gente ha paura: fedeli alla coerenza. Non ci sono identità di laboratorio, non ci sono. Ogni identità ha storia. E avendo storia, ha appartenenza. La mia identità viene da una famiglia, da un popolo, da una comunità. Non potete parlare d’identità senza parlare di appartenenza. Identità è appartenere. Appartenere è qualcosa che ti trascende, è qualcosa più grande di te.
Il pericolo, tanto presente in questi tempi, è quando un’identità si dimentica delle sue radici, si dimentica da dove viene, si dimentica della sua storia, non si apre alla differenza della convivenza attuale; vede l’altro con paura, lo vede come nemico, e lì inizia la guerra. Basta prendere il giornale o vedere il telegiornale: guerra piccola all’inizio, quasi impercettibile, ma grande e terribile alla fine.
Per questo, perché l’identità non diventi violenta, non diventi autoritaria, non diventi negatrice della differenza, ha costantemente bisogno dell’incontro con l’altro, ha bisogno del dialogo, ha bisogno di crescere in ogni incontro e ha bisogno della memoria della propria appartenenza.
Quali sono le mie radici? Da dove vengo? Qual è la cultura del mio popolo? Non ci sono identità astratte. Beh, ce ne sarebbe una, è la carta d’identità, che è un pezzo di carta. Ma non serve, non ti fa crescere. Al massimo ti lascerà tranquillo quando qualcuno della sicurezza te la chiederà: “Va bene, può andare”. Non ci sono identità di laboratorio, né identità fisse. Chi sono?, si deve chiedere di nuovo ognuno di noi. Ri–creiamoci nel cammino, cresciamo nel cammino, con la memoria, con il dialogo, con l’appartenenza e con la speranza. E così, ci arricchiremo ogni giorno di più.
Identità è appartenenza. Per favore, abbiatene cura, abbiate cura della vostra appartenenza. Non vi lasciate raggirare. Abbiate cura della vostra appartenenza. Anche quando vediamo tra noi persone che non rispettano niente. Quante volte sentiamo dire: «di quello non ti fidare perché venderebbe pure sua madre». Ognuno si chieda: Io vendo la mia appartenenza? Io vendo la storia del mio popolo? Io vendo la cultura del mio popolo? Io vendo la cultura e quel che ho ricevuto dalla mia famiglia? Io vendo la coerenza di vita? Io vendo il dialogo con il fratello, anche se ha idee diverse, o faccio finta di dialogare? Non vendete la nostra parte più profonda, che è l’appartenenza, l’identità, che nel cammino si fa incontro d’identità diverse per arricchirsi reciprocamente. Si fa fraternità.
Desidero ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questo incontro: genitori e docenti di ognuno; per averlo permesso e per avervi partecipato; le autorità, per aver aperto la porta e reso possibile l’esperienza; le scuole Ort e tutte le comunità religiose per aver arricchito, a partire dalla diversità, il racconto di questo incontro e di ognuno. E desidero ringraziare voi, giovani di Scholas, perché lasciate che la vita vi racconti a ogni passo un nuovo capitolo. Non abbiate paura di ciò. Perché avete il coraggio di mescolare i vostri linguaggi, di aprire le vostre storie senza rinunciare ad esse, di lasciarvi riscrivere dall’altro, dal diverso, dallo sconosciuto, restando sempre diversi e, al contempo, sempre più voi stessi. E facendo della vostra identità, di questa appartenenza che avete ricevuto, un’opera d’arte. Questo vi auguro. E per favore, non vi dimenticate di pregare per me. Grazie.