Conferenza del prof.Guido Sacchi, specializzando in Letteratura
Italiana alla Normale di Pisa e docente di Lettere al Liceo Scientifico Democrito di Casal
Palocco, tenuta il 19.04.2002 all'Areopago
N.B. Il testo, trascritto dalla viva
voce dell'autore, non è stato da lui rivisto. I titoli sono redazionali.
Volevo cominciare questa chiacchierata con una domanda molto brutale,
cioè: “Perché fare un incontro su Dante?” E pensavo di rispondere a
questa domanda in due modi. Uno è quello che diceva anche Benigni [1] nell'introduzione: perché Dante è senza dubbio il
più grande poeta delle letterature occidentali. Questo va detto così, senza mezzi
termini, secondo me tanto più oggi, quando non si ha più l'abitudine, non si ha
più la voglia, per diversi motivi più o meno gravi, di affermare dei valori
estetici assoluti; invece è così. Ci sono quattro, cinque autori nelle
letterature dell¹occidente, l'italiana, la francese, l'inglese, la spagnola, la tedesca e
diciamo la russa, che sono sicuramente delle guide, dei classici che non possono mancare in
nessuna biblioteca, e che fanno parte del patrimonio culturale di qualunque persona colta.
Omero, Dante, Shakespeare, sono degli autori perfetti, diciamo, e Dante più di tutti fra
questi.
Secondo motivo, che è più strettamente legato al fatto che parliamo di Dantequi,
in una parrocchia, in un centro culturale come il nostro, è il fattoche Dante sia un
autore sostanzialmente cristiano; non solo sia un autoresostanzialmente cristiano, ma che sia
un autore che è comprensibile soltantoin una prospettiva interamente cristiana. E ve lo
dico con le parole diPaolo VI, che ha scritto una lettera che si chiama “Altissimi
Cantus”, che èdel 7 dicembre 1965, che io ho scoperto per caso a casa delle
suorepastorelle e che poi d.Francesco mi ha fatto leggere, e che è moltobella.
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Vi invito a leggerla. Vi sono tra l'altro dei segni molto belli diaffetto di Paolo VI nei confronti di Dante: sulla tomba di Dante a Ravenna, c'è una croce d'oro che fece porre il Papa in ricordo della morte del poeta; e, come ricorda proprio qui, insieme ad alcuni dei padri conciliari, del Concilio Vaticano II che si stava per chiudere, Paolo VI fece porre una corona di alloro dorata nel Battisterodi San Giovanni a Firenze, dove Dante era diventato cristiano. E un gestopiù esplicito di questo affetto nei confronti di Dante è questa lettera.
Nell'introduzione dice, a un certo punto: “Qualcuno potrebbe forsechiedere come mai la Chiesa cattolica, per volontà e per opera del suo capovisibile, si prenda così a cuore di celebrare la memoria del poetafiorentino e di onorarlo. La risposta è facile ed immediata: perché DanteAlighieri è nostro per un diritto speciale, nostro cioè della religionecattolica, perché tutto spira amore a Cristo, nostro perché amò molto lachiesa di cui cantò gli onori, nostro perché riconobbe e venerò nel romanopontefice il vicario di Cristo in terra”. E subito dopo, giustamente, PaoloVI ricorda che questo non impedì a Dante di mettere papi all'inferno, dirimproverarli, di farli rimproverare da San Pietro se ancora erano vivi enon poteva sistemarli da nessuna parte e quindi di dirgliene peste e cornaquando era il caso. Però sulla fedeltà cattolica di Dante nessuno puòsollevare dubbi e sulla sua natura di cristiano meno che mai.
Una seconda provocazione che mi spinge a rispondere così alla domanda
è un altrotesto, che pure vi invito a leggere. E' un articolo di Carlo MariaMartini, del
cardinale di Milano, uscito nel settembre del 2000 su“La Repubblica”. Faceva parte
di una serie di articoli, strani, perchécommemoravano non, come la lettera del Papa, la
nascita di Dante o la morte,ma l'anniversario del viaggio immaginario che Dante compie nell'al
di là eche si immagina finito nell'anno 1300, che era fra l'altro anche l'anno delprimo
Giubileo - non a caso! Quindi il giornale celebrava in questo modoquesto strano anniversario.
Concludeva questa serie di articoli unalettura del Paradiso del Cardinale Martini, che è
molto impressionante peruna ragione molto semplice: cioè che Martini non è uno
specialista, non è undantista - i suoi meriti di studioso sono altri - ma legge il
Paradiso comese fosse un testo di spiritualità, cioè lo legge immediatamente,
senzatroppi riferimenti culturali, naturalmente con la cultura che ha lui, macon la semplice
sensibilità di un cristiano. E questo dà uno sguardo,permette di dare uno sguardo
al Paradiso che è un po' straniante, a cui noinon siamo abituati. E' come se Martini
facesse capire che i contenutifondamentali del Paradiso, che pure sembra così
inaccessibile, cosìdifficile, siano di fatto i contenuti normali, banali di una
qualunqueesperienza di fede cristiana.
Naturalmente questo è un problema enorme, quando si parla di Dante, che è unuomo
del Medio Evo, che nasce nel 1265 e muore nel 1321: è il problemadella distanza storica.
E qui si pongono, come dire, si affrontano neglistudi moderni del '900, due atteggiamenti
diversi. Uno è quello deglistudiosi credenti, più o meno esplicitamente
cattolici, che hanno unatteggiamento di questo genere. L'altro è invece
l'atteggiamentoprevalente, e che è quello che parte da una constatazione molto banale:
nonsolo non viviamo più nel Medio Evo, ma viviamo dopo l'illuminismo, dopo laRivoluzione
Francese, in piena secolarizzazione, cioè in un mondo in cuinon possiamo più
avere la certezza che i contenuti, la mentalità di base delcristianesimo siano diffusi,
siano patrimonio comune. Cioè: gli uominidel Medio Evo che leggevano la Commedia
alzavano gli occhi, vedevano ilcielo e credevano, sapevano che oltre quel cielo c'era il Cielo
invisibilein cui abitava Dio, che è il Cielo di cui parla Dante; sapevano,
quandovedevano la sera le stelle, che quelle stelle erano mosse dalle intelligenzeangeliche che
Dante vede nel Paradiso; sapevano che sotto la loro terra,in fondo in fondo, c'era piantato
Lucifero, che Dante arriva a vedere.Questa cosa per noi è inconcepibile. E'
inconcepibile ed è naturalmente unacosa che noi non possediamo più come
patrimonio culturale comune; per noiquesti elementi di base, di mentalità cristiana, il
cristianesimo cheriempie non solo, che non è soltanto un aspetto di vita spirituale, ma
checostituisce le categorie attraverso cui leggere la realtà, non esiste
più,puramente e semplicemente.
L'atteggiamento degli studiosi laici nel '900 è stato quello, in modidiversi,
però quello di ricostruire questa mentalità cristiana, ma partendodall'idea che
proprio non esistesse più, con una operazione archeologica,come se stessimo parlando
della civiltà babilonese, insomma. A questo si puòrispondere, come fa
implicitamente l'articolo del Cardinal Martini, che inrealtà è così, ma
non è così! Cioè noi sappiamo di poter contare su unfatto molto banale che
però sperimentiamo tutti i giorni; e cioè il fattoche è vero che
c'è una distanza storica incolmabile, ma è anche vero che icontenuti della fede
sono rimasti gli stessi, perché è anche vero che il Credoche noi recitiamo oggi
è lo stesso che recitava Dante, che i sacramenti chenoi celebriamo sono gli stessi. E
questo è un fatto innegabile: cioè ciunisce a Dante una comunione ecclesiale che
è innegabile, per cui noistiamo parlando di una cosa che in parte è morta, ma in
parte èassolutamente viva, e quindi è possibile dare una lettura del
Paradisocosì, in termini di cristianesimo immediato, come fa Martini.
Naturalmente questo non significa, non può significare, che noi siccomesiamo cristiani
possiamo permetterci di aprire la Commedia, di leggerla e dicapirla. Per due ordini di
problemi. Uno è linguistico. Secondo me lalettura di Benigni facilita molto la
comprensione - non so che impressioneavete avuto - però noi possiamo dire sulla lingua
di Dante che, anzitutto noiitaliani siamo avvantaggiati, perché rispetto ai francesi,
per esempio,noi possiamo leggere i testi del nostro Medio Evo senza traduzione. Ifrancesi
leggono per esempio i romanzi di Lancillotto, di cui parlaFrancesca nel V dell'Inferno, con il
testo a fronte, perché la lingua ètroppo cambiata. Noi leggiamo Dante senza testo
a fronte - qualcuno ci staprovando ma è un'eresia! Dante è la nostra stessa
lingua: naturalmenteDante è difficile, e quindi qua e là, ogni verso è
stato interpretato incento modi diversi, però di fatto è la nostra stessa lingua.
Però,comunque sia, c'è un distacco, esiste un problema di comprensione, difigure
e di invenzioni linguistiche dantesche che è un ostacolo.
Secondo punto che ci rende difficile, anche in quanto cristiani, accostarcialla Commedia
è un problema che riguarda ancora una volta i contenuti dellafede: perché
è vero che noi parliamo di una chiesa che è rimasta semprela stessa (non è
vero chiaramente che sia la stessa, ma è rimasta sempre la stessa in quello che dicevamo
prima, nella sua realtà e nei contenuti della fede), ma è anche vero che proprio
i punti della Commedia più intimamente cristiani sono espressi da Dante con un
linguaggio, un modo di pensare, che è quello della teologia del suo tempo, che è
quella di San Tommaso d'Aquino, di San Bonaventura da Bagnoregio, di Sant'Alberto Magno, ecc.
che per lui – anche se non si può dire che fosse diffuso, che tutti conoscessero
San Tommaso all'epoca di Dante - comunque era un modo di concepire la fede assolutamente ovvio.
Oggi chi ha confidenza con la Summa Theologica di San Tommaso fuori dalle università
pontificie (e anche dentro a volte!)? E quindi questa è una difficoltà oggettiva.
E' evidentemente una difficoltà oggettiva e quindi se noi leggiamo la dimostrazione che
Dante fa nel Paradiso della necessità della salvezza, è una dimostrazione
stupefacente, bellissima, ma che non si capisce se non si entra nell'ottica del ragionamento
tomista, della filosofia di San Tommaso.
Quindi è assolutamente indispensabile, se noi vogliamo capire l'operazione,il senso
dell'operazione dantesca, un'operazione di ricostruzione diciamofilologica-storica, e per
questa operazione ci facciamo guidare da un paiodi personaggi di cui parleremo ora, che sono
due studiosi moltoimportanti di Dante di questo secolo, che ci aiutano a capire - diciamo -
ilmistero fondamentale della Divina Commedia, che è questo: che senso hascrivere una
cosa del genere? Noi l'abbiamo letta a scuola, siamo abituati ad essa, però la
realtà è che noi apriamo un libro in cui abbiamo un tale, Dante, che non è
papa, non è imperatore, non è niente, è un cittadino di Firenze, certo un
uomo politico, celebre ai suoi tempi, ma senza meriti particolari, che dice: “Io ho fatto
un viaggio nell'aldilà e ho avuto una visione. Sono stato condotto nell'aldilà,
ho vistol'Inferno, il Purgatorio, il Paradiso, sono arrivato a vedere Dio” - il cheper
inciso significa che Dante afferma che gli è assicurata la salvezza,perché questo
significa “vedere Dio”; tanto è vero che Dante vede in Paradiso il posto
libero per lui, il che significa che si anticipa la santità; giustamente,sicuramente
starà lì! E non solo questo! Dice anche: “Io faccio questo viaggio
perché ho da dire qualcosa al mondo” - questo qualcosa fra l'altro è
mettereall'inferno Papa Bonifacio VIII, sistemare qui e là chi non mi stasimpatico e
così via, operazione divertentissima, naturalmente! Naturalmentequesta è
un'operazione assurda, cioè inconcepibile, che non ha assolutamenteprecedenti. Dante
inventa una cosa completamente nuova. Quando noileggiamo la Divina Commedia troviamo un poema
di cui è impossibileanticipare qualcosa, di cui è impossibile trovare analoghi in
altreletterature, nella letteratura greca o latina, assolutamente impossibile. E'una cosa del
tutto nuova e originale. Come gli è venuto in mente? Questa èla domanda
fondamentale.
Per rispondere a questa domanda bisogna dire che se c'è un testo che
spiegala Divina Commedia, questo è la Bibbia. E questo si può dire in due
sensi:il primo senso è quello studiato da Charles Singleton, che ha scritto diversi
libri sul nostro tema. La poesia della Divina Commedia (Bologna, Il Mulino, 2002)
è il più importante. Singleton è un americano, ed il suo è un libro
molto bello, molto chiaro, come sanno scrivere gli americani quando sono intelligenti. E'
secondo me uno dei libri più importanti scritti sulla Divina Commedia. Singleton dice
una cosa molto breve ma significativa. Dice: “La finzione della Divina Commedia è
di nonessere una finzione”. Frase paradossale, che significa? Naturalmente noi non
sappiamo se sia vero che Dante ha incontrato Virgilio, che sia andato a vedere Farinata degli
Uberti, Paolo e Francesca, ecc. Non ci importa apparentemente, questa potrebbe essere una
finzione letteraria. La finzione letteraria dei Promessi Sposi è che Manzoni afferma di
scoprire una storia del 1600 e di riscriverla in un linguaggio moderno. Sappiamo che tutto
questo non è vero, che è una finzione, però serve a Manzoni per i suoi
fini. Allo stesso modo questa della visione è la finzione della Divina Commedia. Il
problema però è che noi possiamo anche dire a Manzoni: “Va tutto bene, ma
non è vero che tu hai trovato questi manoscritti”. Non importa a Manzoni che noi
crediamo veramente alla storia del manoscritto - anzi si prende in giro da solo! Dante no.
Dante pretende che noi crediamo alla assoluta verità della sua finzione: cioè noi
dobbiamo credere che lui ha avuto questa visione e che in questa visione ha compiuto questo
viaggio.
Perché questo è paradossale e perché questo ci riporta alla Bibbia?
PerchéDante pretende non solo che questo viaggio sia vero, ma che abbia unsignificato
universale, per tutti gli uomini. Cioè il viaggio di Danteriassume in sé il
viaggio dell'intera umanità, dal peccato alla salvezza. EDante lo racconta a noi
perché vuole far sì che anche noi impariamo acompiere questo viaggio. Questo
significa che il viaggio raccontato nellaDivina Commedia ha, da un lato, un significato
letterale, immediato - cioé che il racconto di come lui scende all'Inferno, di come sale
il monte del Purgatorio, è unviaggio molto concreto, fino al Paradiso – ma,
dall'altro, ha anche un significatoallegorico, simbolico, diverso, che riguarda ciascuno di
noi. E' vero ilsignificato simbolico - cioè è vero che la Divina Commedia parla a
ciascunodi noi - ma è vero anche il significato letterale: Dante pretende che sia vera
lafinzione del suo poema.
Quale libro ha un significato allegorico ed un significato letterale chesono entrambi veri? La
Bibbia e solo la Bibbia. Nel Medio Evo, quando siinterpretavano i testi secondo il metodo
allegorico, si diceva: “Se io leggole Metamorfosi di Ovidio, per esempio, e leggo, per
esempio, di Apollo cherincorre Dafne e lei per scappare si trasforma in alloro, questa è
unastoria finta - tutti lo sappiamo - però io la posso interpretareallegoricamente,
ricavarne un significato simbolico. Resta, però,una storia non reale. Se io invece leggo
la storia di Israele che attraversa ilMar Rosso, io la posso interpretare allegoricamente come
la storiadel popolo di Dio che anche oggi esce dalla schiavitù del peccato e sisalva, ma
ciò non toglie che il passaggio del Mar Rosso sia vero, storico ereale per Dante. Oggi
è così solo in parte, ma il concetto rimanevalido. Perché la Bibbia
può essere fatta in questo modo? Perché la Bibbial'ha scritta Dio, perché
Dio ha organizzato la storia in modo tale che ifatti della storia significassero anche
qualcos'altro, avessero cioèqualcosa da dire anche agli uomini che sarebbero venuti
cinquemila annidopo. E' per questo che il passaggio del Mar Rosso, che è un fatto
storico,nella mente di Dio era già previsto, come un fatto che avrebbe avuto anchedei
significati simbolici, allegorici. La Bibbia è quindi l'unico testoche ha insieme questi
due aspetti: è un testo vero - storicamente, è avvenuto realmente, ciò che
racconta – però ha anche un'infinità di significati allegorici: è
l'unico. E' l'unico insieme alla Divina Commedia. La Divina Commedia pretende di essere letta
secondo questi stessi criteri: lo dice Dante stesso, non nella Commedia, ma altrove. Lo dice
esplicitamente: guardate che il mio libro si deve leggere come la Bibbia. Ora questa,
naturalmente, è una pretesa pazzesca,perché implica, implicherebbe, diciamo, che
l'autore della Divina Commediafosse lo stesso della Bibbia. Il che Dante non afferma mai, ma
c'è un altroparticolare importante: perché Dante può pretendere che il suo
poema siafatto in questo modo? Perché, come diceva Benigni, il suo è un
viaggiovoluto da Dio: è la Vergine che ha visto Dante nella selva oscura, si
èimpietosita di lui, ha chiamato Santa Lucia, la quale ha chiamato Beatricee Beatrice
è scesa a incaricare Virgilio di accompagnare Dante nei primi dueregni oltremondani. Ma
tutto è partito dalla Vergine e da Dio. Quindi ilviaggio di Dante è voluto da Dio
- e questo Dante se lo fa dire incontinuazione durante il poema. L'ultima volta, la più
importante, nelParadiso, se lo farà dire dal suo antenato Cacciaguida che gli
dice“Guarda, tu sei venuto fino qui, ma perché hai un compito ben preciso:
deviritornare giù e devi raccontare per filo e per segno quello che hai
visto,perché Dio vuole che tu lo racconti, perché questo serve”.
Cioè Dantepretende per se stesso un ruolo di profeta. Questa è un'altra
cosastraordinaria. Dante chiede che il suo libro venga letto né più némeno
come i libri di Isaia o di Geremia. Il suo è un ruolo di profeta eper questo il suo
libro va letto, può essere letto allo stesso modo.
E' un modo di interpretare la Commedia non universalmente accettato, ma è l'unico modo
corretto. Io stesso – ricordo - ho seguito un corso all'università in cui si
arrivava ad un punto in cui appariva molto chiaro questo discorso della funzioneprofetica di
Dante, ma il professore diceva: “Sì, c'è anche questo Danteprofeta,
ma....” Io credo che sia sbagliato questo atteggiamento, nel senso chedavvero se non ci
mettiamo in questo ordine di idee, non si capisce nientedella Commedia, cioè la leggiamo
come un testo molto bello, ma che rimaneun sostanziale mistero. In realtà la Commedia
è concepita così: Dantepretende di essere un profeta e pretende che il suo libro
si legga inquesto modo.
C'è un secondo aspetto che lega la Commedia alla Bibbia; lo spiega in un
librobellissimo un altro grande critico, che si chiama Eric Auerbach, che èun tedesco.
E', fra l'altro, un bel personaggio perché era uno studioso difilologia romanza, un uomo
di una cultura sterminata, ebreo, perseguitatodai nazisti, che insegnò
all'università di Istanbul. La leggenda vuole chelui abbia scritto il suo libro
più importante, in cui parla della letteratura da Omero fino a Virginia Woolf, a
memoria, cioè senza avere libri.Sicuramente una leggenda, comunque è un
personaggio notevole. Auerbach hascritto un libro intero su Dante, e ne parla anche altrove,
dicendo una cosaimportante: la Bibbia ci serve per capire la Commedia anzitutto dalpunto di
vista linguistico. Cioè, è già strano concepire un poema comequesto, ma
poi è assurdo scriverlo in volgare, in un'epoca in cui ilvolgare, tanto più il
volgare italiano, era giovanissimo. Perché Dante puòpermetterselo? Può
permetterselo perché lui - come dire? - assume veramente,fino in fondo, una grande
rivoluzione che era stata portata dalcristianesimo nella letteratura d'occidente e che è
sostanzialmente questa:prima di Cristo vigeva una rigidissima divisione, gerarchia degli
stili.Questo voleva dire, ad esempio, che se tu sei povero, se sei brutto, se non sei
importante io posso parlare di te in letteratura, ma ti devo rendere comico, ti devoprendere in
giro. Quindi io posso parlare, non so, del fatto che glischiavi vengono picchiati dai loro
padroni, ma questo non è un dramma, anziabbiamo delle scene, tipo le scene di Pulcinella
per intenderci, in cui il servo èservo, noi sappiamo che è schiavo, ma ci fa
ridere. Viceversa io possoparlare seriamente dei problemi dell'umanità, ma soltanto se
parlo di re edi guerrieri. Quindi esiste una corrispondenza perfetta fra il livellosociale dei
personaggi e il livello dello stile. Ad un certo punto arrivala crocifissione, cioè
l'evento in cui la salvezza dell'umanità, l'eventopiù importante di tutta la
storia, si ritrova in una cosa, in un tipo dimorte, che è all'epoca quella più
brutta, più scandalosa e più vergognosa.Allora, a questo punto, da questo punto
in poi, diventa possibile parlareseriamente anche delle cose più brutte, scandalose e
vergognose, ed è perquesta ragione - questa è un'intuizione che oggi nessuno
più discute, ma cheè una grande intuizione di Auerbach - ed è per questa
ragione che nellaDivina Commedia noi troviamo nello stesso poema, ma alla distanza di due,tre
versi, i cori angelici, le creature più perfette, senza corpo, e laparola
“merda”. Troviamo la perfezione della luce divina e la parola“puttana”.
Sono parole dantesche tutte e due. Dante se lo può permettere,allo stesso modo, possiamo
dire semplificando brutalmente, come in Cristo siriuniscono la natura divina e quella
umana.
Un secondo aspetto che Auerbach individua è che il modo figurale di leggere la Bibbia -
che è quello che usiamo anche noi ai giorni nostri, vale anche per la Commedia,
perché, secondo lui, anche la Commedia è fatta allo stesso modo. Il modo figurale
di leggere la Scrittura consiste in questo: esiste un evento dell'Antico Testamento che
prefigura un evento del Nuovo, e quando arriva questo evento del Nuovo noi capiamo bene anche
il Vecchio. Di nuovo l'esempio del Mar Rosso: questo evento che avrebbe prefigurato la
salvezza, la redenzione operata da Cristo, quando arriva questa redenzione, questa redenzione
completa l'evento precedente, e lo rende comprensibile in toto. Anche i beati e i dannati della
Divina Commedia sono fatti così: la loro vita terrena è solo una prefigurazione
della vita dopo la morte, e questa vita dopo la morte è la vera vita di questi beati.
Che è la ragione peraltro per cui questi beati sono così concreti, così
reali, si picchiano,si mozzicano, si sorridono, parlano con Dante, è un mondo
dell'aldilà chesembra più reale del nostro mondo, esattamente per questa idea,
che la vitadell'aldilà è la vera vita dell'uomo, un concetto molto
cristiano,esattamente come esiste un rapporto fra il Vecchio e il Nuovo Testamento.
Tutto questo come brutale introduzione generale. Ora io volevo rileggere con
voipiù da vicino almeno alcune cose dei due canti che abbiamo ascoltato, chesono
naturalmente due canti che non hanno nessun rapporto diretto fra loro,perché Dante non
li pone in rapporto fra loro, ma che si fanno benaccostare insieme, per parlare tra l'altro
anche del tema di cui noi stiamoparlando quest'anno nella catechesi: cioè: “Amare
Dio in ogni cosa e al di sopra di ogni cosa”. E' come se il canto di Paolo e Francesca
parlasse di come non sidevono amare le cose e il canto finale invece di come si può
raggiungere unperfetto amore di Dio. Sono, in entrambi i casi, non solo sono due dei
cantipiù famosi, ma due dei canti più belli, e sono interessanti perché
cipermettono proprio di capire quello che abbiamo detto, cioè come Danteabbia qualcosa
da dire al mondo come profeta; e, come tutti i profeti, haqualcosa da dire al mondo mettendo in
gioco la sua biografia, la sua storiapersonale, così come fa Isaia, come fa Geremia,
come fa Ezechiele.
Allora per quel che riguarda il canto di Paolo e Francesca, la storia l'ha raccontata Benigni,
la storia notissima di Gianciotto Malatesta. Noi riguardiamo soltanto i versi del colloquio,
delle battute di Francesca, dal verso 88 e seguenti - fra l'altrol'episodio, come diceva
appunto Benigni, è il primo episodio in cui Danteparla con dei dannati. Prima aveva
incontrato sì i dannati del limbo, chesono quelli che sono morti senza battesimo,
però a Dante stanno simpatici eallora li tratta bene. Questi sono i primi dannati seri
con cui Danteparla; parla Francesca, una donna, cosa peraltro non banale, e Francescaracconta
la sua storia d'amore con Paolo. Le tre terzine importanti sonoquelle dai versi 97 in
avanti:
Siede la terra dove nata fui
sulla marina dove il Po discende
per aver pace coi seguaci sui
Amor, che al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui della bella persona
che mi fu tolta; e il modo ancor m'offende.
Amor, che a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi vita ci spense.
Francesca, cioé dice: “Io sono nata a Ravenna, il luogo dove sfocia il Po. Amore
che si attacca rapidamente al cuore nobile, prese costui, catturò costui, dellabella
persona che mi è stata sottratta. Paolo è stato catturato dall'amoreper la bella
mia persona, per il mio bel corpo, che mi è stato tolto con lamorte. E il modo con cui
questo corpo mi è stato tolto, oppure con cui luise ne era innamorato, ancora mi
offende, ancora mi fa soffrire. Amore, chenon perdona a nessun amato di amare, cioè che
non consente a nessuno chesia amato di non riamare, quindi che costringe a contraccambiare
l'amore,mi prese - quindi Paolo amava me ma io sono stata costretta a riamarlo - miprese della
sua bellezza tanto forte che come vedi ancor non mi abbandona”.La cosa meravigliosa di
Paolo e Francesca è che loro sono ancora innamorati,vanno insieme, sono leggeri. Dinanzi
a questa bufera infernale che non si arrestamai, loro sono leggeri, contenti, anche se stanno
all'inferno, perchéstanno insieme. “Amore condusse noi due ad una sola morte e
Caina, cioè illuogo dell'inferno dove sono puniti i traditori dei parenti, attende chici
ha ammazzato”.
La cosa importante di queste terzine, non è una cosa esplicita, ma èracchiusa in
una citazione nascosta al verso 100, che è una doppiacitazione. Dante, infatti, in
“amor ch'al cor gentil ratto s'apprende” ricordae sa che i suoi lettori colti del
Medio Evo si sarebbero ricordati dialtri due versi. Il primo è: “Amor e il cor
gentil sono una cosa”, che è un verso di un sonetto di Dante stesso, della Vita
nuova, ma questo, a sua volta, è ispirato dal verso “al cor gentil rempaira sempre
amore”, al cuore gentile si ripara sempre amore, che è un verso di Guido
Guinizzelli, il padre dello Stil nuovo. Quindi Francesca parla, racconta del suo amore con le
parole di Dante giovane, del Dante che scriveva la Vita Nuova e del Dolce Stil Nuovo. Questo
è il punto primo.
Punto secondo: come hanno fatto questi due ad innamorarsi? Ed è il secondoracconto di
Francesca, ai versi 127 e seguenti:
Noi leggevamo un giorno per diletto
di Lancillotto, come amor lo strinse:
soli eravamo e senza alcun sospetto.
Per più fiate, gli occhi ci sospinse
quella lettura e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il desiato riso
Esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.
Francesca racconta qui come si innamorò. Quindi Paolo e Francesca stanno
lì,leggendo insieme, ad alta voce come si faceva per i romanzi, i romanzi diLancillotto,
i romanzi cortesi, che sono la letteratura diffusa in quelsecolo, quella su cui si era formato
anche Dante. E' per questo che Paolo eFrancesca sono così famosi, perché
rappresentano i pericoli dellalettura. E' leggendo di Lancillotto, del “disiato
riso” cioè del sorriso di Ginevra, baciato dal grande amante Lancillotto, che
“anche noi ci siamo baciati”. Quindi la lettura produce nella vita effetti uguali o
contrari - come Don Chisciotte, per intenderci. Quindi può essere molto pericolosa.
Allora quindi - naturalmente Dante in questo è molto consapevole e non è un caso
che Francesca parli con le parole della Vita Nuova e del Dolce Stil Nuovo - Francesca sta
all'Inferno. A Dante stamolto simpatica, la tratta bene, è sicuramente un grande
personaggio - suquesto non discutiamo - ma sta all'Inferno, questo è fondamentale.
Questosignifica che Dante condanna Francesca senza mezzi termini, ma - come dire? - lemette in
bocca delle parole precise e condanna anche quelle parole.
Allora, è come se Dante in Francesca condannasse un modo di intendere laletteratura e
condannasse se stesso giovane, cioè il se stesso che dagiovane, nella Vita Nuova, aveva
raccontato dell'amore di Beatrice, neaveva raccontato in modo eccezionale, ma come facevano
tutti i poeti deltempo, cioè raccontando di un amore umano. In realtà, dice
Dante,purtroppo non basta questo: se noi ci fermiamo qui, se io mi fossi fermatoalla Vita Nuova
- è come se dicesse - starei insieme a Francesca. Invece no,Dante non si è
fermato alla Vita Nuova, è arrivato a scrivere la Commedia,ed è per questo che
lui fa il viaggiatore e Francesca sta all'Inferno. PeròDante, in questa criptocitazione,
condanna quel tipo di letteratura econdanna la sua vecchia esperienza. In questo modo dà
attraverso, come dire,una ripresa indiretta della sua biografia, una lezione agli uomini del
suotempo, come se dicesse: “Guardate che bisogna stare attenti con la letteratura e
conl'amore!”.
La figura di Beatrice naturalmente è fondamentale nella Commedia: Beatrice èuna
persona reale, perché noi sappiamo di chi era moglie, di chi era figlia -naturalmente
parliamo sempre di amori adulteri, nel Medio Evo ma non solonel Medio Evo. E' il grande amore
giovanile di Dante: era morta moltogiovane, e Dante ne canta la morte nella Vita Nuova. Su
Beatrice volevoleggere qualche parola di Martini, che dimostra bene quello che volevo
direprima, quando vi parlavo di questo modo di leggere la Commedia in modosemplice e immediato,
con immediata spiritualità. Dice a proposito diBeatrice, la donna della sua giovinezza.
“Beatrice lo invita a rivolgere alei il suo sguardo, proprio per essergli guida nel mondo
del divino. Ciòche conduce l'uomo a Dio è sempre un'esperienza affettiva
particolarmenteintensa, e Beatrice è per Dante quello spazio umano in cui Dio si
è fattopresente, quasi sensibile. L'incontro con l'ineffabile non comporta ildissolversi
dell'io e dei suoi rapporti. Nessun affetto umano è cancellatose in esso Dio non era
assente. L'amore che l'uomo riversa sulla propriadonna, sui figli, sugli amici, su tutto il suo
prossimo, acquista senso evalore definitivi se la donna, i figli, gli amici e il prossimo sono
amatiin Dio. Il legame affettivo anziché sminuirsi è riscattato da ogni egoismoe
dilatato fino a comprendere anch'esso cielo e terra”.
Secondo me la lezione della presenza di Beatrice nella Commedia è davveroquesta:
cioè Dante ad un certo punto si deve essere reso conto che il suoamore per Beatrice
significava qualcosa di più che non il semplice amoregiovanile che tutti i poeti ad una
certa età cantano. Beatrice era stataper lui qualcosa di più, tanto che pensando
e ripensando a Beatrice, Dantedeve aver individuato in questo episodio della sua vita lo snodo
centraledella sua biografia, il momento in cui veramente qualcosa di nuovo eraentrato nel suo
mondo terreno; ed è per questo che Beatrice, beata e santa,lo accoglie in paradiso e lo
guida fino alla visione di Dio.
E veniamo appunto a questa visione di Dio, cioè all'ultimo canto, che
è un vertice assoluto. Comincia con la preghiera di San Bernardo alla Vergine. Dante non
sceglie a caso San Bernardo da Chiaravalle, che è noto per essere uno dei più
grandi cantori delle doti della Vergine Maria. E Bernardo è l'ultima guida di Dante.
Beatrice si mette a sedere insieme agli altri beati, affida Dante a San Bernardo perché
San Bernardo preghi la Vergine che interceda per lui e gli conceda la visione di Dio. La cosa
impressionante di questo canto è la continua dialettica fra quello che Dante vuole dire
e il fatto che non lo può dire, perché la visione di Dio è un suo preciso
dovere come profeta, come dicevamo, ma non si può raccontare, c'è poco da fare!
Quindi tutto il canto è giocato su dei tentativi in avanti e subito un ritorno indietro,
richieste di aiuto a Dio perché lo assista e affermazioni di incapacità, di
impossibilità di raccontare.
La preghiera iniziale è straordinaria, anche per la grande concentrazione teologica che
contiene - fra l'altro è ripresa anche alla lettera da testi di San Bernardo. Basterebbe
“Vergine Madre”! Naturalmente quello che a noi non fa problema perché lo
ascoltiamo in continuazione, è però già di per sé un paradosso, il
paradosso cristiano. “Vergine Madre”! E poi Dante continua aggiungendo paradosso a
paradosso. La Vergine è figlia del suo figlio, perché è insieme figlia di
Dio Padre e Madre di Cristo Figlio, umile e alta, umile insieme e alta più che creatura.
Lei è stata più umile di tutti perché ha accettato la volontà di
Dio su di lei, ma è alta più di ogni creatura, perché ora è la
regina del cielo. “Termine fisso d'etterno consiglio”, tu sei l'estremo termine a
cui tende ogni decisione di Dio e tu sei colei che hai nobilitato a tal punto la natura umana
che il suo creatore non ha disdegnato di farsi sua creatura. Cioè grazie a te il
Creatore è diventato creatura, si è fatto uomo.
Volevo soltanto commentare qualcosa di quest'ultimo canto e di nuovoleggervi alcune parole di
Martini, stavolta su San Bernardo. Avete vistoche Bernardo dice, quando sta per concludere la
preghiera, cioè ai versi28 e sgg.: “E io che non ho mai sentito tanto desiderio
per il mio vedere,per la mia visione personale di Dio, quanto ne ho ora per la
suavisione”, cioè io che non ho mai desiderato tanto di vedere Dio per mestesso,
più di quanto ora desideri che Dante lo veda, cioè io voglio che Danteveda Dio
più di quanto abbia mai desiderato di vederlo io, in primapersona. A proposito di questa
affermazione Martini dice: “Desiderare pergli altri con la stessa intensità quanto
desideriamo per noi stessi, quasiimmedesimandoci. Questa è carità, e questo
è Paradiso. Mentre in terral'invidia fa sì che la partecipazione di un maggior
numero allo stesso benerenda minore la pienezza di ciascuno, in Paradiso amore e beatitudine
sidilatano con l'accrescersi del numero dei beati”. E' questa la lezione diSan Bernardo.
Quindi quello che sembra una furbizia di San Bernardo peraccattivarsi una volta di più
il favore della Vergine è in realtà uncontenuto spirituale e teologico molto
profondo, cioè è la dimostrazioneche Bernardo, nella “candida rosa”,
cioè in quel fiore di beati cheracchiude l'intera Chiesa celeste, è pronto a
desiderare per Dante più cheper se stesso; lo fa spontaneamente, perché è
in Paradiso.
Rileggiamo la terzina che forse è la più bella della Commedia. Ha
ragioneBenigni, fa spavento per quanto è bella. Dai versi 64 in poi:
Così la neve al sol si disigilla,
così al vento nelle foglie lievi
si perdea la sentenza di Sibilla.
Dante sta spiegando come ha fatto questa visione a scomparire dalla sua mente, perché
lui di così ragiona: “Allora io mi volto, vedo Dio, adesso provo a
raccontarvelo” e appena prova a raccontarlo già subito si deve fermare per dire:
“No, non lo posso fare”. Per due problemi: uno perché non me lo ricordo
più, perché quello che ho visto è superiore ad ogni visione umana, e
quindi la memoriache segue la visione non gli è andata appresso, quindi io non mi
ricordo.Inoltre quel che mi ricordo, che è comunque pochissimo, non lo posso comunque
dire, quindi devo sforzarmi di trovare delle parole che mai nessun uomo hausato per descrivere
questa cosa inedita.
La mia visione quindi si è dileguata come “così la neve al sol
sidisigilla”, la neve perde il suo sigillo al sole, cioè si scioglie,
“così alvento nelle foglie leggere si perdeva la sentenza di Sibilla”.
Latradizione, che racconta anche Virgilio nell'Eneide, voleva che la SibillaCumana scrivesse i
suoi responsi su delle foglie che poi abbandonavadavanti alla caverna dove faceva la
profetessa; e queste foglie sidisperdevano con il vento e ciascuno ne raccoglieva una. Quindi
la miavisione si è dileguata come neve al sole e come delle foglie che sonoportate via
dal vento.
Di nuovo dal verso 85 all'87 e dal 115 al 145:
Nel suo profondo vidi che s'interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l'universo si squaderna;
…5
Nella profonda e chiara sussistenza
Dell'Alto lume parvemi tre giri
Di tre colori e d'una contenenza;
e l'un dall'altro come iri da iri
parea riflesso, e 'l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri.
Oh quanto è corto il dire e come fioco
Al mio concetto! E questo, a quel ch'io vidi,
è8 tanto, che non basta a dicer “poco”.
O luce eterna che sola in te sidi,
sola t'intendi e da te intelletta
e intendente te ami ed arridi!
Pareva in te come lume riflesso,
dagli occhi miei alquanto circunspetta,
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta della nostra effige;
per che il mio viso in lei tutto era messo.
Che cosa vede Dante? Dante vede in due momenti successivi - ed è rappresentato in modo
geometrico, cioè con gli strumenti che Dante traeva dalla scienza più perfetta
del suo tempo - vede appunto questi tre cerchi distinti, ma insieme sovrapposti - è una
cosa impossibile, però ovviamente è impossibile - che rappresentano il primo
grande mistero, che è quello della Trinità; e poi di nuovo in uno di questi
cerchi vede riflessa la sua stessa immagine, cioè vede riflessa l'immagine umana, ovvero
il secondo grande mistero, l'Incarnazione. Ma la cosa straordinaria è che Dante nel
fissare questo punto luminosissimo che è Dio vede riassunto, per così dire, tutto
l'universo: nel suo profondo, nel profondo di questicerchi, di questa luce, “io vidi che
s'interna” (già questo verbo è strano,Dante se lo inventa in questo
significato), che sta inserito nelle sueprofondità, legato con amore come in un libro,
in un volume, tutto ciò chesi squaderna per l'universo, tutte le cose, tutti gli esseri
chenell'universo sono diffusi come dei fogli, in Dio sono raccolti come in unlibro. Quindi Dio
parla attraverso un libro, ma Dio è esso stesso il librodell'universo. Ed è per
questo che la visione di Dio riassume tutte lealtre visioni, perché in Dio io vedo tutto
l'universo. E' per questo cheDante dice: “Una volta che uno guarda Dio non può
più distogliere lo sguardo,perché tutto il bene a cui tende la natura umana sta
lì”. Quindi il volerenon può andare da un'altra parte.
E poi il momento finale, al verso 133 e seguenti:
Quel è 'l geomètra che tutto s'affige
Per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond'elli indige;
tale era io a quella vista nova:
veder volea come si convenne
l'imago al cerchio e come vi si indova;
ma non eran da ciò le proprie penne;
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
All'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disìo e il velle
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'Amor che move il sole e l'altre stelle.
Possiamo così comprendere: “Come il geometra che tutto si fissa permisurare il
cerchio, cioè per trovare la quadratura del cerchio, cioè ilmistero assoluto
della geometria, e non ritrova per quanto pensi quelprincipio di cui va in cerca, così
ero io a quella visione nuova,straordinaria. Volevo vedere, come si convenne, cioè come
potevano stareinsieme l'immagine, cioè l'immagine umana del Cristo e mia riflessa e
comevi si indova”. Questo è un esempio di come Dante inventi la lingua: ilverbo
“indovarsi”, cioè trovare il proprio “dove”, il proprio posto,
è unverbo che non esiste, che inventa Dante come ne inventa in grandequantità,
soprattutto nel Paradiso, ma non solo. Ed è la prova che se iovoglio parlare di Dio,
devo inventarmi una lingua, non solo devo inventarmiuna lingua perché il volgare
è quello che è e quindi io devo fargli faredegli sforzi che solo io Dante
Alighieri posso fare, ma me la debboinventare anche al di là di ogni lingua concreta,
utilizzata, impiegata. “Male proprie penne, cioè le penne con cui io posso volare,
io uomo, nonerano tali da poter affrontare questo volo, cioè da poter scoprire in
cherapporto stanno l'immagine e il cerchio, cioè la natura divina e quellaumana.
Senonché la mia mente fu percossa da un fulgore nel quale giunse ilsuo desiderio”
- cioè il desiderio di Dante è come dire, prevenuto dalfulgore col quale Dio lo
illumina, rivelandogli ciò che lui per se stessonon potrebbe comprendere. Ma questo
fulgore è tale da essere superiore aqualunque capacità di comprensione di Dante;
quindi alla “fantasia” - che nonsignifica la fantasia come la intendiamo noi, ma
è un preciso terminetecnico, quasi medico, nel Medio Evo, ed è la facoltà
con cui io guardo glioggetti e gli oggetti si fissano nella mia testa, tanto che io me li
possoricordare - “alla mia alta fantasia qui mancò ogni suo potere”.
“Ma già il miodesiderio, la mia volontà erano mossi da Dio, come una ruota
che è mossaugualmente in ogni suo punto, dall'amore che muove il sole e le altrestelle,
cioè da quello stesso amore di Dio che mi ha condotto fino a questopunto, ora mi ha
riportato giù”. Quindi noi possiamo immaginare che nelmomento stesso in cui Dante
vede l'alto fulgore, già si ritrovi di nuovo aFirenze dove è cominciata la sua
visione, pronto per cominciare a scriverla.Basta così.
Domanda:
Io volevo chiedere una cosa sola: nei miei studi, di molti anni fa, si studiava molto bene
l'Inferno, si studiava molto bene il Purgatorio, si studiava malissimo ilParadiso, con la
motivazione che non era così interessante come i primi due.Il che significava quindi che
era ritenuto più interessante il carattere del canto chenon effettivamente i versi. Ma
c'è un lirismo nel paradiso che neglialtri due non c'è, pure era incancrenita
questa convinzione! Non so se c'èanche adesso.
Risposta:
No, adesso molto di meno. Ma questo dipendeva dal fatto che per moltotempo - è carino,
si vede come Paolo VI polemizzi con questo atteggiamentonella lettera - noi abbiamo letto Dante
sempre come lo leggeva Benedetto Croce. E Croce diceva: “Nella Divina Commedia non ci
deve importare niente di tutti i contenuti religiosi, di tutte le strutture teologiche. Ci
devono importare i pezzi belli, cioè i bei frammenti e quindi le storie”. Nel
canto di Paolo e Francesca, Croce staccava il pezzetto in cui parla Francesca e quello era il
pezzo daleggere. Così il canto di Ulisse, del Conte Ugolino, ecc. Nel Paradiso non
cisono episodi così impressionanti, così vivi dal punto di vista umano,teatrale
anche, se vogliamo, e quindi interessava di meno in questaprospettiva. Però,
naturalmente, oggi è assurda tutta questa idea. Noisappiamo che non si può
leggere Dante in questo modo, come non si puòleggere niente in questo modo, tanto
più Dante, e che il Paradiso valetto assolutamente, altrimenti, come dire, non arriviamo
al punto che per Danteera il più importante - fra l'altro! Certo, nel Paradiso, è
vero che - peraltrogià nel Paradiso basterebbe il canto di San Francesco per obbligarci
aleggerlo, l'XI, che è un vertice assoluto - Dante lascia perdere un po' i grandi
personaggi e invece risolve alcuni problemini teologici importanti, perché è
arrivato il momento in cui lui può - come dire - spiegare a modo suo i contenuti
importanti della fede.
Domanda:
Come può Dante affermare la propria santità? Capisco che voglia
profetizzare,però arrivare a dire: “Per me c'è un posto in
Paradiso!”
Risposta:
Sì è l'assurdo nell'assurdo. Intanto non lo dice mai esplicitamente, lo facapire.
Quindi un po' viene da sé, nel senso che è già tanto assurdo quellocui
siamo giunti che una cosa in più non cambia la sostanza. Ma c'è dadire anche che
Dante dice di sé cose tremende, durante tutta la Commedia. Simette in stato di accusa
molte volte, in modo molto pesante, dimostra diessere capace - e non solo per quello che
abbiamo detto, per esempio, su Paoloe Francesca – di mettersi in discussione anche in
modo molto più diretto. Si fa processare da Beatrice nel Purgatorio, e Beatrice ci va
giù di brutto, e questa è unacosa. E poi il fatto è che non solo per se
stesso, che a noi stupisce, maanche per molti altri personaggi storici Dante dava un giudizio
netto, affermando di proporre il giudizio divino. Però sistemava nell'aldilà dei
personaggi in modo molto diverso da come pensavano i contemporanei. Basta fare l'esempio
diManfredi: Manfredi era il figlio di Federico II di Svevia; Federico IIImperatore era stato
scomunicato. Manfredi pure, era morto scomunicato,quindi la Chiesa sapeva che Manfredi stava
all'Inferno, come per ognimorto scomunicato, e come Dante stesso dice, perché in
Purgatorio sta chi,per quante schifezze abbia fatto, all'ultimo momento si è pentito.
Manfredino, era morto non riconciliato con la Chiesa. Quindi dovrebbe stareall'Inferno. Invece
no, Manfredi sta in Purgatorio. E Dante si inventa tuttauna storia che lui in realtà
poco prima di morire si era riconciliatodirettamente con Dio, quindi la scomunica non era
valida. Inventa una cosache non sta né in cielo né in terra, dal punto di vista
strettamentedogmatico, canonico, però per lui Manfredi meritava di essere salvato
equindi lui lo mette in Purgatorio. E questo doveva fare scandalo almenoquanto il fatto che
Dante riservasse a se stesso il posto futuro inParadiso.
Domanda:
In qualche punto fa anche un po' a cazzotti con quello che è l'idea difatti attuali,
come nell'esempio di Celestino V messo all'Inferno mentre èdiventato santo. Quindi
bisognerebbe un po' giustificare il perché diqueste due concezioni diverse.
Risposta:
Certo, certo! Ma appunto, perché poi Dante, da un certo punto di vista,dal punto di
vista del suo aldilà, è estremamente preciso. Cioè ogni dannato,
ognipurgante e ogni beato sta in un luogo preciso per un rigoroso motivo,giustificabile dal
punto di vista teologico e filosofico. L'aldilà dellaChiesa non era così. Dante,
ad esempio, si è trovato il Purgatorio, l'ha inventatoquasi del tutto Dante, almeno in
questa descrizione così concreta eprecisa. Quindi l'effetto di una sistemazione tale era
che Dante, comedire, introduceva dei principi suoi in un vuoto di sistemazione dogmatica,e
quindi faceva come gli pareva insomma, alla fine.
Domanda:
Alla mostra “Sandro Botticelli pittore della Divina Commedia [2] ” riflettevo su come ci fosse una gradualità nella
gravità dei peccati, secondo la sistemazione dantesca. I peccati
“sessuali” erano, possiamo dire, i meno gravi, mentre l'estremo massimo di
gravità era dato dai peccati di tradimento, soprattutto il tradimento di coloro che
si fidano di noi. Mi sembrava anche interessante che il fondo dell'inferno non fosse
“infiammato”, ma gelato, e che il freddo e l'immobilità del ghiaccio
esprimessero così la lontananza da Dio e dall'amore degli uomini.
Risposta:
Sì, sì, ma in tutti i casi, nell'Inferno molto di più, ma anche
nelPurgatorio e nel Paradiso, Dante dedica un canto a spiegare come sono fattii tre regni,
cioè su che principi si reggono. Lui trae questi principida San Tommaso, ma non solo,
anche direttamente da Aristotele, che era ilfilosofo più diffuso all'epoca nelle
università, e a secondo di questiprincipi, in modo molto rigido, sono sistemati tutti i
dannati. Per Dante èinconcepibile un Inferno senza ordine e senza differenze di peccato:
èchiaro che ci sono modi diversi di peccare, ci sono modi più o meno gravi
equindi ci saranno, cominciando dall'alto, prima i peccatori che peccano per incontinenza - lui
dice - cioè perché non sanno frenare i propri istinti. Dante dice: “Non sai
frenare i tuoi istinti, hai sbagliato, però stai in alto”. Man mano che siscende
poi diventa più grave, se tu usi coscientemente la tua volontà perfare il male; e
quindi ci sono i violenti, che possono essere a loro voltaviolenti contro Dio, contro se stessi
e contro gli uomini. Infine ci sono ifraudolenti, quelli che non solo hanno fatto il male
coscientemente, mal'hanno fatto apposta per fare male agli altri, e quindi ci saranno
lemalebolge con i vari generi di frode, via via con una sistemazione ancorapiù
particolare, e in fondo i traditori che sono i peggiori di tutti,simboleggiati da Bruto il
traditore di Cesare, Giuda e Caino, che sonomaciullati nelle tre bocche di Lucifero, che si
presenta come una specie dimostro a tre teste. Questo è il massimo peccato possibile,
cioè chi fa delmale a chi ti vuole bene. C'è il freddo per questi, non il
caldo.
Domanda:
La scelta dei due canti che avete presentato, uno del Paradiso e uno dell'Inferno è
voluto o è casuale?
Risposta:
In parte è casuale, nel senso che la selezione di canti recitati da Benigni che avevamo
comprendeva tre canti dell'Inferno ed uno del Paradiso, cioè, oltre al V dell'Inferno e
l'ultimo del Paradiso, c'era anche il XXVI dell'Inferno, cioè il canto di Ulisse, e il
XXXIII, quello del conte Ugolino. E' vero - c'è poco da fare - questi sono i canti
più belli, più stupefacenti. Forse non i più ricchi, è anche
sbagliato tirarli fuori dal complesso del poema, però sono sicuramente i più
belli. E' sbagliato però anche dire, perché c'è come una svalutazione del
Paradiso e ce n'è anche una del Purgatorio, è sbagliato anche dire che il
Purgatorio sia unacantica più moscia perché non ha gli effettacci dell'Inferno,
nè il sublimedel Paradiso. Perché in realtà, per esempio, il grande
fascino delPurgatorio è che è l'unica cantica veramente terrena, perché il
Purgatorioè l'unico regno destinato a finire, perché dopo il Giudizio
Universaletutti hanno finito il loro periodo di penitenza e quindi andranno tutti inParadiso.
Chi sta all'Inferno resta all'Inferno e quindi rimarrannol'Inferno e il Paradiso, il monte del
Purgatorio rimarrà vuoto e questosignifica anche che quando Dante sale sul monte del
Purgatorio, mentreall'Inferno si sta all'Inferno, quindi un luogo sempre buio, e nel Paradiso
si èin un luogo non più terreno, cioè Dante sale nei cieli astronomici ma
è in unluogo ormai celestiale, invece al Purgatorio il sole sorge e tramonta. Luisi deve
fermare per riposare la notte, perché non vede, non sa dove andare. Ecosì via.
Quindi è la cantica più vicina alla nostra esperienza terrena. Peresempio i
purganti del Purgatorio recitano le stesse preghiere canoniche cherecita la Chiesa terrena.
Pregano insieme alla Chiesa terrena, recitanol'Angelus, recitano l'Ave Maria, recitano il
Benedictus la mattina, e cosìvia.
Domanda:
Non si era fatto molti amici però Dante con la sua Divina Commedia,
perchécominciò con Firenze, e ne disse peste e corna, venne dalle mie parti e
sela prese con i genovesi. Si era fatto molti nemici, insomma.
Risposta:
Sì, Sì, ma Dante scrive quando è esiliato. Quindi scrive quando è
incavolatonero! E' stato esiliato da Firenze, ha sempre rifiutato di tornare
perchériteneva che fosse un compromesso indecoroso, indecente. Però è
arrabbiatocon tutti quanti e quindi non si fa problemi, non ha più niente da perderee
dice a tutti quello che si meritano. Dice dei pisani cose dell'altromondo; e in realtà
è vero anche in un senso più stretto che Dante si fecedei nemici perché,
non la Commedia, ma per esempio la Monarchia, il trattatopolitico di Dante, fu messo all'Indice
perché non era in linea con l'ideadel potere politico della chiesa del tempo. Mentre la
Divina Commedia venivaspiegata all'università, già nel Medio Evo, altre opere di
Dante erano messeall'Indice.
Domanda:
E' vero che nel gruppo dei poeti di quel tempo Dante era consideratodagli stessi suoi amici un
poeta più scarso della media?
Risposta:
No, no, questo no. Dante - dice un altro grande studioso che si chiamaContini - anche se non
avesse scritto la Commedia sarebbe stato comunque il più grande poeta del '200. Ed
è vero: anche soltanto tutto il resto della poesia lirica di Dante è abbastanza
per renderlo il più grande del suo secolo, e anche i contemporanei ne riconoscevano il
valore.
Domanda:
Volevo un parere: secondo te questo ordine di cui tu parlaviprima è solo una
sistematizzazione ricevuta dalla filosofia di Aristotele o indica anche chiaramente una
serenità interiore profondissima? Mi sembra di cogliere questo.
Risposta:
Sì, sì, questo secondo me è vero. E' appunto quello che è
più facileperdere. Entriamo purtroppo in una cosa meno dimostrabile, però
ècerto che per scrivere un testo come la Divina Commedia bisogna averraggiunto un
equilibrio con se stessi, con la propria fede, con la propriastoria ormai decisivo, anche se
Dante ha camminato mentre scriveva laCommedia e non c'è dubbio che l'Inferno sia molto
diverso dal Paradiso. Però, insomma, anche solo per cominciare a scriverla bisogna aver
chiusotutti i conti. Purtroppo questa è una cosa difficile da dimostrare: mentreè
più facile vedere come Dante spiega l'Inferno in base ad Aristotele, laserenità
interiore è una cosa purtroppo più sfuggente. Quindi è piùfacile
dimenticarla per gli studiosi. Però è senz'altro vero che, da unpunto di vista
biografico, è importante per capire come nasce il poema.
Domanda:
Volevo chiederti Guido se poi la Chiesa aveva attinto alla Divina Commedia,cambiando o
modificando le priorità sulla gerarchia dei peccati?
Risposta:
No, bisogna rispondere di no. E bisogna rispondere che Dante, se è stato unprofeta,
è stato un profeta, insomma scarso, perché in realtà - non sta a
megiudicare se poi, per esempio l'invito alla conversione sia stato recepitooppure no - non
abbiamo (però è un problema interessante), non abbiamo letestimonianze di
qualcuno che abbia letto la Commedia per farseneconvertire. E' sicuro che Dante l'abbia
concepita in questo modo, peròevidentemente la cosa che dovette più stupire i
contemporanei fu lagrandiosa operazione letteraria, cioè di avere un testo come nessun
altro,spesso molto difficile, che bisognava studiare per capire, e di unabellezza sconfinata.
Quindi secondo me nella fortuna della Commedia c'è piùquesto, che Dante diventa
da subito un modello assoluto. Tutti si rendonoconto che dopo Dante la strada è tutta in
discesa, anche se nessuno mail'ha imitato: non c'è nessun'altra opera scritta come la
Commedia. Però, Dante non è stato seguito sulla strada che dicevi.
Il progetto originario
del ciclo "Perché leggere i classici" di Guido Sacchi
I fiori del male di Charles Baudelaire
Manzoni: la storia, la morale, il
racconto ne I Promessi sposi e La colonna infame
Dalla voce alla penna: parola detta,
parola scritta
L’Eneide di Virgilio:
la fatica della civiltà
L’Orlando Furioso di Ariosto: gli scherzi del desiderio
Anna Karenina di Tolstoj: disperazione e felicità
Guerra e pace di L.Tolstoj
Paolo VI, "Il signore dell'altissimo canto": Dante Alighieri
Le sacre scritture e la letteratura. La bibbia,
un libro da non perdere
Dante a settecento anni dal viaggio della “Commedia
Per altri articoli e studi sui classici e la letteratura presenti su questo sito, vedi la pagina Letteratura nella sezione Percorsi tematici
[Nota 1] La conferenza era stata preceduta dalla proiezione di Inferno e Paradiso: Roberto Benigni recita Dante , riprese di alcune lezioni che l'attore e regista Roberto Benigni ha tenuto, in diverse università italiane, sulla poesia dantesca. L'attore, prima di recitare a memoria le cantiche dantesche, si era intrattenuto con gli studenti ed i professori introducendo lui stesso il senso ed il valore dei testi che avrebbe poi recitato.
[Nota 2] La mostra “Sandro Botticelli pittore della Divina Commedia”, tenuta alle Scuderie papali al Quirinale dal 20 settembre al 3 dicembre 2000, presentava tutti i disegni che il pittore fece per illustrare i canti danteschi. Il catalogo è edito dall'editore Skira.