Corso tenuto da d.Achille Tronconi nella parrocchia di S.Ambrogio a Legino (Savona).
Il corso non era rivolto né ad adulti sposati, né a coppie che si preparavano al matrimonio, ma a
giovani, perché si interrogassero sul fidanzamento e la vocazione. Il testo che vi presentiamo è tratto
da appunti di partecipanti al corso. Non è, quindi, una trascrizione letterale, ma, lo stesso, ci consegna i
punti essenziali dell'itinerario allora proposto per una riflessione sulla realtà del matrimonio.
1) E' necessaria oggi una premessa. Non lo sarebbe stata nel medioevo. Ci confrontiamo, nella
cultura contemporanea, con tre posizioni diverse su ciò che unisce. Alcuni affermano che ciò che unisce
è il "sesso". Altri che il fattore unificante è la "solidarietà" fra le due persone. Altri,
infine, che all'origine dell'unione sta il "fatto emotivoaffettivo". Queste tre posizioni sembrano oggi
apparentemente ugualmente sostenibili. Il moderno approccio al pensiero sembrerebbe non giustificare più
l'affermazione che una di queste è sbagliata. Secondo la prospettiva contemporanea, una qualsiasi posizione
è degna di essere rispettata. Rispettata, però, non vuole dire che debba essere accettata. Se
affrontiamo il discorso del matrimonio è perché crediamo che ci sia una verità del rapporto
uomodonna e quindi ci sono delle posizioni non vere.
2) Un passo avanti. Questa verità ha la caratteristica che non è fatta e confezionata dall'uomo. Non
la fabbrica l'uomo. Se non la fa l'uomo, egli la trova. Una volta queste cose erano ovvie, di senso comune. Esisteva
un referente oggettivo, fisso, concreto che valeva per tutti. Oggi si fa fatica a parlare di verità, si parla
di condizione. Oggi una cosa la si giudica se piace o non piace, non se è vera. L'uomo trova questa
verità. Essa quindi preesiste, esiste prima che io la cerchi. Essa è comunque vera, anche se non
ci fosse nessun uomo che la cerchi. Oggi si pensa che la verità sia l'opinione della maggioranza, i sondaggi
ecc. Il difetto di fondo è che è come se la verità dipendesse dall'uomo, come se fosse un
risultato del pensare umano. Oggi si pensa che la verità sia una cosa, domani un'altra. Questo è
proprio ciò che divide il pensare da cristiano cattolico e da non cattolico. Anche se oggi il cattolico
oggi ti chiede se può o non può fare qualcosa e non si chiede se quello che sta vivendo è
oggettivamente vero. L'unico problema che ci si fa e se l'altro può vivere senza di me, è se lo
possiedo. Quindi devo essere convinto che esista una verità dei miei atti, dei miei rapporti, dell'amore, e
dell'amore fra l'uomo e la donna, per poi poterla cercare. Oggi non si dice più ad un altro: "E' sbagliato".
Al massimo si dice che la si pensa in modo diverso. Se veramente esiste una verità prima ed indipendentemente
da me, allora posso mettermi a cercarla. Se così non fosse tutto sarebbe più facile per tutti. Solo
così è possibile dire che io devo fare ciò che è buono, ciò che mi fa vivere, che
mi dà una pienezza di vita.
3) E non ci mettiamo a cercare la verità per fare dell'accademia, ma con la disponibilità stessa della
vita, perché io voglio vivere così. Perché' al cristiano è chiesto di vivere secondo la
verità del matrimonio? Per un codice semplicemente esteriore?, Per far la figura dei migliori e dei più
buoni? Dio non ci guadagna, la verità neppure; noi ci guadagniamo, e il guadagno è l'essere veramente
felici, in abbondanza, da darne via! La cerco, perché sono convinto che questa strada mi porta ad essere
felice: Mi salva dal mio io, dal suo criterio del piacere cieco ed egoista. Ho bisogno di una verità oggettiva
per adeguare la mia vita a quella verità, e non viceversa, e solo così poter essere libero e felice. Se
non lo facciamo per questo motivo è meglio non farlo, percorrere altri sentieri. Se lo faccio è
perché sono convinto, ma convinto fino in fondo. Non come cristiani con il muso lungo, o con gli occhi
strabici. La motivazione del mio faticare' del mio cercare la verità del rapporto fra l'uomo e la donna, non
può essere.quella di voler fare la coppia speciale, cristiana. E' perché la verità è la
sola che mi può dare un minimo di felicità. Ed è per questo che ti ci metti con entusiasmo e con
gioia. E' per far piacere a te stesso e a nessun altro. Oggi si vive rassegnati allo sfascio dei matrimoni, dopo
alcuni anni. Ma la verità del matrimonio è a portata di mano per tutti. Ma perché, se è
possibile una bella storia fra me e un uomo, ma perché ci devo rinunciare, perché devo accontentarmi di
un rapporto qualsiasi, accontentarmi del primo che riesco a prendere, magari perché ha le misure giuste! Solo
nella verità io trovo il mio posto e sono veramente felice.
4) Questo rapporto fra uomo e donna non è inventato dall'uomo. L'essere maschio e femmina è voluto da
Dio che così ci ha creati. Non solo per fare figli! C'erano infiniti altri modi per fare figli nella mente di
Dio. La domanda è: perché ci ha voluti maschi e femmine? Non è un incidente evolutivo, una
situazione funzionale o fisiologica, una cosa casuale, ma un preciso progetto di Dio creatore. Non posso pensare
allora, quando penso al matrimonio, a che cosa penso e provo io o provano gli altri, ma ad un discorso oggettivo, ad
un progetto creativo, ad un Dio creatore che ha la pretesa di insegnarti. Occorre allora docilità. Non
pretende perché è più bravo o intelligente, ma solo perché così ci ha fatti Lui.
Occorre che ci pensiamo su queste cose: alla diversità fra il discorso comune e il discorso cristiano.
Ciò che distingue la cultura cristiana dalla pseudocultura di oggi è che il cristiano non inventa,
ma trova questa verità. La deve scoprire, ritrovare. Per esempio, uno schiaccianoci non è stato fatto
per sbattere le uova. Se il buono Dio ha fatto le cose con una certa finalità, io non posso pretendere di
usarle in un altro modo e nello stesso tempo di essere felice io e di far felice gli altri. La libertà fisica
di fare una scelta diversa ce l'ho, e la scelta va anche rispettata, ma non ti venire poi a lamentare! Se noi usiamo
bene e le cose e noi stessi, devono funzionare. Altro che coppie rassegnate! Quanti pensano: ho preso il primo merlo
che ho trovato (l'80 per cento dei matrimoni è così). E la carne non ci dice in che direzione dobbiamo
dirigerci. Dobbiamo dirigerci a Colui che le ha create, non per fare le cose sante, ma le cose vere. Oggi il
difficile è accettare di chiedere a Dio e alla Chiesa quale è la verità del mio rapporto con
l'altro.
Oggi cominciamo a vedere quella che è la riflessione sull'uomo che ci viene dal libro della Genesi (Gen.2, 18 ss.).. Ci sono, in questa descrizione, alcuni dati fondamentali. Ad esempio il suo essere maschio e femmina. Ci si può immaginare in questo racconto un crescendo. C'è innanzitutto una riflessione sull'uomo considerato come religioso, come in relazione con Dio. Poi è considerata la sua relazione con il creato. Tutto questo non è sufficiente. E' necessario che egli abbia qualcosa che gli sia simile e che gli stia davanti, e nel quale egli si possa riconoscere, senza che questa realtà diventi uno specchio. Un essere che fosse una identità, una unità insieme con l'uomo, ma nello stesso tempo una differenza. Un essere che gli potesse far compagnia, ma che, nello stesso tempo, fosse anche stimolo di rapporto, non un ripiegamento su se stesso. Un qualche cosa in cui riconoscesse il proprio stesso genere, ma che non fosse proprio se stesso, che non gli consentisse di ripiegarsi in se stesso. L'altro quindi, uomo e donna, è colui che esprime pienamente la mia dignità: il maschile esprime pienamente il femminile e viceversa. L'uomo è costitutivamente segnato dal rapporto, con Dio, con le cose, con la donna. Dio crea qualcosa di profondamente uguale e profondamente diverso. Identità quindi di ciascuno significa essere uguale a se stessi, e nello stesso tempo diversi dall'altro. Ma uomo e donna sono sì uguali a se stessi, ma sono, nello stesso tempo, legati già insieme da una uguaglianza, creati come un'unica realtà umana. C'è una realtà quindi che mi accomuna all'altro, che rimane pur sempre diverso. E' una struttura polare. Due poli di cui uno fa esistere l'altro. Ciascuno non si confonde con l'altro, ma il suo essere se stesso e diverso dall'altro consente all'altro di essere se stesso e diverso dall'altro. Questo significa che c'è una dinamica, Più i due sono se stessi e più entrano in comunione. Il modo migliore di aiutare l'altro è essere se stessi.sempre di più, e questo avviene solo nel rapporto. Non c'è fusione, indifferenziazione. Vediamo anche Gen.1, 27 ss. E' un testo che ha una struttura poetica, uno schema di parallelismo. Se si divide in due la poesia, due frasi si ripetono, e hanno entrambi un elemento in comune, ripetuto. L'immagine di Dio è proprio l'essere maschio e femmina. Non però come una realtà che si è riunificata, ma come una realtà polare: l'essere umano, il vivente umano è immagine di Dio nel suo essere maschio e femmina, nella sua polarità. Va notato che gli Ebrei non potevano raffigurare l'essere di Dio come sessuato: la caratteristica che fa gli uomini immagine di Dio non è l'essere sessuato, ma la dinamica che esiste fra loro e la loro fecondità, l'essere umano nella sua caratteristica di essere fecondo, di poter trasmettere la vita. Un rapporto quindi che non è fine a se stesso, ma che è fecondo, che promuove la vita, che dà origine a nuove vite. Quando pensiamo all'essere maschio e femmina dobbiamo eliminare ogni idea di staticità, di essere in sé, ma ad una realtà dinamica ed in relazione ed in rapporto, immagine di un Dio che è relazione. Questo è il primo dato fondamentale del nostro essere persona. Ma questa non è una relazione qualsiasi, ma una relazione che ha come modello la relazione di Dio, che si esprime nella fecondità. Nel Cantico (Ct 8, 6 ss.) troviamo l'epressione: "Sigillo sul tuo cuore e sul tuo braccio". Nel mondo antico "mettere il sigillo" era "autenticare", rendere autentico. Sigillare voleva dire autenticare, rendere vero. Il rapporto, lo stare davanti all'altra persona dell'altro sesso autentica la mia identità. Il rapporto fra questi due esseri autentica il mio stesso essere ed identità. E' il rapporto con l'altro che mi dona la mia autenticità. Va sfatato l'idea che ciò che mi spinge verso l'altro è il bisogno, ma la verità del mio stesso essere. Il confronto con l'altro sesso è qualche cosa da vivere bene, da preparare, per essere veramente se stesso. Senza tentativi di fusione. Dove ci si impegna ad essere se stesso e a far essere se stesso l'altro. Dove il dono più grande che uno può fare all'altro è proprio quello di essere se stesso. L'essere di fronte all'altro, in una continua dinamica di rapporto, in una parità di valore, in una continua tensione di rapporto è la caratteristica propria dell'essere umano creato ad immagine di Dio come maschio e femmina. Questo stare di fronte all'altro significa innanzi tutto riconoscere il fatto che esista in realtà un altro, che non sia io, che non sia una parte di me, uno strumento. Invece un altro che ha tutta l'importanza che ho io. Noi arriviamo a dire che l'altro è importante come me. E poi questo altro devo capire che è completamento diverso, ma non in quanto separato, ma in quanto in rapporto con me, per il quale il rapporto è necessario. Vincendo il tentativo innato ed infantile di eliminare il diverso, cambiandolo e facendolo diventare come noi (ad esempio, il tentativo di cambiare la testa all'altro). C'è la paura che l'altro rimanga diverso, perché' non voglio fare la fatica di rapportarmi con il diverso. Noi tentiamo sempre di crearci una realtà e un mondo in cui non c'è la diversità, la novità, in cui regna l'abitudine. C'è il tentativo di rapportarsi con quella persona, ma nel modo sbagliato, tentativi di risolvere il dramma del rapporto con il minimo della spesa (è tipica a questo riguardo l'espressione: "me lo mangio"). La difficoltà sta nel vivere sempre questa comunione con la differenza dell'altro, che diventa sempre più diverso proprio perché cresce. Per cui rimarrà sempre nell'altro qualche cosa di diverso, di sconosciuto da scoprire ed amare. E questa non è una cosa facile, scontata immediata, banale, ma difficile e che richiede un lungo cammino di preparazione. Inoltre occorre capire che la pace, la felicità non sta nella mancanza di tensione nel rapporto, di fatica, ma sta proprio nel vivere pienamente la fatica di questo rapporto.
Facciamo un passo in avanti. Abbiamo fatto il discorso sulla realtà umana costituita dall'uomo e dalla donna. Questa sera aggiungeremo ancora un altro riferimento di base, ancora un po' astratto, che ci servirà per capire i discorsi a proposito del rapporto di coppia e del matrimonio come sacramento. Esistono altri punti di riferimento che non possono più essere dati per scontati e che sono indispensabili per il discorso morale: non come insieme di proibizioni, ma come dei punti di riferimento fondamentali.che la coscienza delle persone devono incarnare nella realtà. Non sono ricette. La verità del rapporto fra uomo è donna ha le sue radici nella verità dell'uomo. Esso non è un invenzione dell'uomo, non è fondato sulla dimensione storica e sociologica, per cui oggi c'è e domani non c'è. E' invece fondato su una verità costitutiva dell'uomo, che egli deve scoprire. Esiste una verità del matrimonio che ha la sua radice nella verità dell'uomo. Questa verità dell'uomo ha un nome: persona. Essere persona! All'uomo non basta l'esistenza, ma è chiamato ad essere persona come identità e progetto, punto di partenza e realtà da costruire. Non ogni uomo realizza se stesso, conosce se stesso, la propria umanità. Se non la conosci continui a vivere secondo l'involucro dell'uomo, vivendo nella insoddisfazione, nella noia. L'insoddisfazione è la malattia di chi vive in superficie, di chi non riesce mai a raggiungere se stesso, e per questo non raggiunge mai nemmeno l'altro. Esempio della sfera di vetro (cfr. H.Hesse: "Il gioco delle perle di vetro".), il mondo come un gioco in cui le sfere cozzano, rimbalzano, ma non si aprono mai all'altro. La verità dell'uomo è il suo essere persona, non l'animale ragionevole, animale più evoluto. Per le realtà spirituali si può parlare di persona, ma in modo diverso. Ciò che caratterizza l'uomo nella sua dignità è proprio l'essere persona. Esempio della esagerata attenzione agli animali rispetto a quella data alle persone. Siamo troppo abituati a mettere l'uomo a livello delle altre cose. Invece di dare una definizione, vediamo come si può rappresentare la persona. La si può rappresentare così: IO > Oggi si pensa che vive bene chi si gode il suo essere io. Se io però dico io, dico una parte della persona, ma non tutta. devo metterci almeno una freccia, e accanto ad essa tutti i tu possibili. Ciò che definisce la persona è il suo essere in relazione, il suo essere aperto. Se il mio io si ferma, non ha relazioni, cessa di essere persona, anzi non lo è mai diventato, come se un fiore rimanesse ghiacciato prima di sbocciare. Quindi l'uomo non è uno che ogni tanto si mette in rapporto. Non esiste la persona più socievole o meno socievole sono tutte scuse! Esiste solo l'uomo così come è stato creato da Dio, come un io che è in relazione, che è aperto fin dall'inizio, già nella sua costituzione. La relazione quindi non è un aggiunta all'uomo, ma lo costituisce e lo definisce. Così Dio ha voluto l'uomo, e proprio per questo Dio gli crea qualche cosa che gli stia di fronte Non sei quindi tu che sei già realizzato, e se vuoi ti metti in relazione, a seconda della voglia, se non puoi startene così. Non sei un io completo senza la relazione. Sei monco, sei un aborto. Ciò che caratterizza l'uomo è questo bisogno di relazione. Questa capacità, desiderio, volontà di relazione, non è un accidente, una debolezza, un hobby, ma è il solo modo di essere te stesso. La persona è relazione, e quindi o l'uomo è in relazione, oppure non è uomo. Sfatiamo allora il mito che quello che sono, quello che devo essere viene da me, come se io fossi la fonte del mio essere, e del mio essere persona. Se io accetto la verità della persona, io devo pensare che io sono quello che ricevo: ciò che mi costituisce è quello che mi viene donato. L'uomo più intelligente è quello che fa il vuoto dentro di se perché venga riempito. Secondo il mondo, invece, l'uomo più furbo è quello che si riempie di sé, che non ha bisogno, che è autonomo. Quando si dice: "Io mi sono innamorato di te", grammaticalmente non è necessario questo "mi". Io dico. "Io ho innamorato me stesso di te", cioé tu sei l'occasione per cui io mi innamorassi. Che l'altro ti possa donare il tuo stesso essere! Se tu non ti apri al ricevere, tu non esisti, non puoi trovare da te stesso il tuo esistere. Se ti illudi di essere il creatore di te stesso, il "selfmade", tu sei fuori dalla verità di te stesso. C'è gente che farebbe anche l'amore da solo (ci arriveremo), gente che giunge a dire che non ha bisogno dell'altro nemmeno per il piacere. Il piacere che mi deve dare l'altro me lo do da me! Crescere allora non vuol dire gonfiarsi, magari con la prepotenza, con l'inganno, crescere vuol dire sgonfiarsi sempre di più perché Dio e gli altri possano donarti te stesso. E' un lavoro faticoso, fatto di scelte, rinunce, fatiche, umiliazioni, di cui il tuo io non ne vorrà sapere, anche se lo desidera tanto. Questo io vuole essere una persona, ma senza fare la fatica di essere in relazione e allora si inventa quelle false relazioni, con delle parti di sé, con qualcuno che non è altro che un prolungamento di sé. Oppure si inventa un altruismo o un amore che non ha, o si compra le amicizia, vive di fantasie, di rapporti immaginari, pur di non avere rapporti reali in cui poter ricevere se stessi in un.dono. Ciò che ci costituisce è il rinunciare al sogno di essere creatore di te stesso per riceverti in dono, e aprirti sempre alla meraviglia e al ringraziamento Ultimo passo: ciò che dimostra tutta questa verità: "Non è bene che l'uomo sia solo", che sia un io chiuso, una sfera. E' Dio che dice che non è così che ha creato l'uomo. "Così io non lo voglio". E lo dobbiamo credere perché Cristo ce lo ha rivelato nella sua stessa vita. Nessun filosofo lo ha mai capito così pienamente, e solo Cristo ce lo può aver rivelato. Ma a dimostrazione di questo c'è che fin dalla nascita la nostra storia è sempre una presenza di ciò che c'è già e ciò che interviene, ciò che sono e che devo diventare. C'è una dimensione storica dell'io, per cui c'è subito una relazione con l'esterno. Il suo essere è da sempre costituito dall'interazione fra il suo bagaglio e la relazione con l'esterno: e questa relazione diventa determinante nel suo costituirsi (c'è una discussione della psicologia evolutiva oggi sul patrimonio genetico e la sua relazione con l'ambiente). Ma è vero che da subito è il rapporto con l'esterno che ti determina: sei concepito nel rapporto, da subito tu sei rapporto (anche se solo con il liquido amniotico). Ma tutto ciò è così perché Dio così ha pensato l'uomo, la realtà stessa. Ed è così perché Dio è così, nella relazione delle persone divine: ciò che costituisce il Padre è l'essere in relazione al Figlio. E così il Figlio.
Se non ci si realizza come persona non ci può essere un autentico rapporto di coppia. Ciò può avvenire solo se le due persone si stanno realizzando come tali. L'essere persona è un dato che viene dalla creazione, che non è inventato dall'uomo. Il bambino, appena concepito, entra subito in rapporto con la madre. E' un rapporto simbiotico, ma è un rapporto. E non è un rapporto ininfluente, finito, dimenticato. Esso è determinante della nostra struttura personale. Molte delle nostre cose le dobbiamo a questo periodo della gestazione. L'essere aperta della persona è costitutivo: chi viene al mondo non può avere il dilemma se stare da solo o rapportarsi. Non puoi pensare di poter essere bastante a te stesso. Non c'è un uomo più socievole e simpatico, e quello meno. O c'è l'uomo o non c'è l'uomo, e come tale in relazione. Quando ti pensi, non puoi che pensarti in relazione. Una volta preso atto di questa dimensione, occorre farla propria. L'essere persona è una sintesi fra ciò che è il dato e la storia di ciascuno: una creatura che diventa un progetto, che deve realizzarsi nella storia. Se questa prima parte il dato l'abbiamo visto, il secondo è relativo alla tua responsabilità. Devi scegliere di essere quello che sei, devi accettare il tuo essere persona. Non sei un progetto che si realizza da se stesso. Non esiste una maturità che viene da sola col tempo ed una capacità di avere rapporti di coppia solo perché hai quella età. Perché si realizzi quel progetto, occorre che tu accetti il tuo dato creaturale, che è faticoso, dura tutta la giovinezza. E non una accettazione supina e arrabbiata (quanta gente arrabbiata!), ma un accettazione da protagonista. Non è un dato che tu non puoi cambiare. Ci sono dei dati che tu non puoi cambiare genetici ma il tuo insieme è tutto nelle tue mani. Noi riceviamo dei dati che ci vengono dai genitori e dal contesto, dalla storia ma questi non ci determinano così tanto da fare di noi degli automi che non possono intervenire e scegliere liberamente. Questi dati non ci devono spaventare: sono un insieme di indicazioni, di possibilità, il tuo progetto iniziale, un orizzonte, dei suggerimenti che ti dicono tutto il lavoro che tu devi fare. La giovinezza non è il tempo in cui tu devi divertirti, ma lo spazio di tempo in cui tu assumi i tuoi dati e costruisci te stesso. Ecco perché nella giovinezza la cosa più importante è la crescita, più di ogni altra cosa. E non puoi trascinarti i tuoi dati grezzi fino al momento del rapporto di coppia perché non hai tempo, voglia ecc. Io allora sarò la conclusione delle mie scelte. Non nel senso di essere creatore di me stesso, ma nel senso delle risposte che io do alla realtà che mi provoca, in un interscambio continuo. Nelle scelte io costruisco o meno il mio essere persona: la mia responsabilità è enorme. Non sono autore di me stesso dal niente: devi fare i conti con tutti i dati che non ti sei scelto. Ma, a seconda di come scelgo, io sarò A, B o C. Devo intervenire sui dati, ma non in maniera magica come vorrebbe il bambino..Per poter cambiare devo fare una faticaccia immensa, un lavoro di anni, che costa impegno e fatica. La libertà è la possibilità di realizzare il tuo progetto. contrario della idea comune del fare ciò che si vuole. E' il poter fare proprio il progetto. E ci vuole molta libertà. C'è gente che si ferma allo stato iniziale perché si perde dietro ai suoi bisogni e desideri, o perché non è libera rispetto alle paure, le paure degli altri, di amare. E restiamo al dato creaturale senza o con poca elaborazione. Il dato però può veramente trasformarsi. Con tutti i suoi limiti, ma può! E' una realizzazione, veramente. Per fare questo devo essere convinto che la mia vita ha un progetto, e che se lo realizzo non divento schiavo, rinuncio ad essere me stesso, ma proprio realizzandolo sono libero, sono me stesso. Vado alla ricerca del mio proprio nome, quel progetto che è la sintesi continua fra il dato creaturale e la mia storia, le mie scelte. E questo vuol dire essere responsabili della propria vita Potremmo definirlo con uno slogan: "Da una realtà accettata e che ci è donata, perchè io diventi capace di farmi dono". "Da una realtà accettata", perché faccio fatica ad accettare i limiti della mia storia, della mia realtà non è così automatico accettare i propri dati: c'è gente che passa la vita a rifiutare se stessi, il proprio dato, ad esempio il proprio corpo, non è così automatico accettare i nostri dati, così come lo è per gli animali, ed è qui che esercitiamo la nostra libertà. "E che ci è donata" un dono che devo farlo mio "perché io diventi capace di farmi dono", che è la finalità dell'essere persona, l'essere capace di fare di sé un dono libero e gratuito. Ma se non imparerò a vedere me stesso come un dono, non sarò mai capace di donarmi. C'è tutta la mia storia in cui devo assumere i miei dati, li devo elaborare, li devo far crescere, per poterne fare a mia volta un dono. Questo è l'impegno, in particolare della giovinezza. Una vera società civile è quella che permette ai propri giovani di crescere, con il tempo, lo spazio, il materiale e il personale adatto. Oggi si risolve tutto nella scuola che nel migliore dei casi ti dà una istruzione Questa libertà è importante anche nell'essere coppia: l'essere liberi di farsi dono uno all'altro. E il rapporto maschio e femmina deve davvero garantire la libertà di entrambi: ma non è possibile capire la libertà della coppia se non partendo dalla libertà della persona. La coppia non deve essere uno strumento di limitazione, ma di libertà. La libertà della coppia va impostata nel modo che io non distruggo il tuo progetto di realizzazione, perché ti voglio possedere, ma io sostengo e aiuto il tuo progetto, e, nell'aiutarlo, io realizzo il mio progetto. Nel rapporto di coppia non vengono annullati, non divengono un unico progetto, ma vengono aiutati ed incentivati. Si pensa che uno dei due debba rinunciare al suo progetto, pur di non rinunciare al proprio boccone d'amore. Oppure che per poter stare in coppia bisogna rinunciare alla propria libertà.. Non è uno sforzo che facciamo noi per conciliare le due cose, ma sono state create per stare insieme, non sono in concorrenza. Non sono in concorrenza la libertà dell'individuo e la libertà di coppia, ma se la coppia è vera si situerà nella propria libertà. Solo se uno ha veramente a cuore la propria libertà, potrà avere a cura la libertà dell'altro. Ma se tu te ne freghi della tua libertà, te ne fregherai anche di quella dell'altro, e tenterai sempre di possedere e dominare, con una lotta continua o uno scambio di vittorie. Ma occorre che uno abbia fatto la scoperta di essere un progetto, si sia accettato, sia cresciuto nella sua storia di elaborazione del dato creaturale, e allora potrà, forse, essere libero in coppia. E' un gioco estremamente serio. Anche perché questa dimensione di coppia non è un accidente della tua vita, ma è una realtà fondamentale della tua realizzazione, se sei chiamato a quello. Certo che se non sei cresciuto prima, è come se prendessi un diamante come fosse una caramellina, e ti rompi i denti.
Allora la relazione abbiamo visto non è un accidente, non è qualcosa che si aggiunge, non è dei più simpatici o aperti. Non mi sembra di esagerare dicendo che chi non ha relazioni non è persona, o almeno sta facendo di tutto per distruggere il suo essere persona. L'adolescenza e la giovinezza si caratterizzano proprio dovrebbero caratterizzarsi! dal fatto che in questo arco di tempo la crescita, che è un.fenomeno che comprende tutta la vita umana, deve occupare un posto assoluto, sopra ogni cosa. E questo non per fare i bravi bambini, ma per diventare quello che dobbiamo essere, noi stessi. Senza crescita, senza elaborazione, si rimane del materiale grezzo. Non basta il passare degli anni e dei mesi a far crescere questo materiale grezzo, anzi è probabile che si sclerotizzi, e diventi sempre più difficile da elaborare. Quindi rimane fondamentale il fatto che la realtà giovanile sia caratterizzata da un impegno forte, intenso, prioritario, di crescita. Crescita che significa dover imparare a gestire questa relazione, questo essere persona, in modo che ciascuno possa avere rapporto con l'altro senza che l'altro debba compromettere la proprio o l'altrui libertà. Allora questa sera cercheremo di vedere questo crescere nell'imparare il rapporto, e lo chiamiamo interdipendenza, la quale ha questa caratteristica di distinguersi dalla dipendenza e dalla indipendenza. Questa interdipendenza significa prima di tutto un dato che i filosofi chiamerebbero ontologico, cioè che riguarda l'essere. Non sei tu, e torniamo alla prima lezione fatta, non sei tu che decidi di essere dipendente con l'altro in modo da costituire una interdipendenza. Tu lo sei già interdipendente, che tu lo voglia o no, di fatto, concretamente, qualche volta violentemente, passivamente, qualche volta con mille conflitti, ma tu sei interdipendente! Però non basta che ci sia questo dato che ti viene addosso, e dal quale puoi anche essere schiacciato. Bisogna che questo dato venga accolto, accettato e fatto tuo, e che diventi un progetto, un impegno. Un dato creaturale, che cioè tu devi dipendere dagli altri e gli altri da te, un dato che deve diventare progetto, impegno. Tu devi investire su questo dato, farlo tuo, oggetto di scelta, di decisione. Quindi comporta la volontà, una valutazione, un sistema morale, una fatica ed un impegno quotidiano. L'interdipendenza, che analizzeremo con un occhio particolare al rapporto di coppia, ma che vale per tutti i rapporti umani, vuol dire questo: quando si instaura con l'altro un rapporto di coppia o a due, che può essere anche un rapporto di amicizia o genitorifigli, i rischi sono molto lati, perché dentro di noi c'è l'impronta di un rapporto a due che è quello con la madre che è tutto particolare, irripetibile, anche se noi cerchiamo spesso di ripeterlo, e lo facciamo diventare un modulo da ripetere con chiunque. C'è questo modulo del rapporto parentale, con la madre qualche volta anche con il padre che non solo imprime in noi una piega che porteremo tutta la vita, ma favorisce in noi anche una confusione e una ambiguità, in modo che noi riusciamo a chiamare rapporto a due un rapporto che ha molto a che fare con il rapporto con la madre, rapporto che da bambino era legittimo, ma una volta che diventi adolescente e giovane non è più legittimo. Non è più legittimo che tu imposti i tuoi rapporti con quello schema. Non è più legittimo non solo perché gli altri non sono tua madre e te lo devi mettere in testa, che gli altri sono altri! ma soprattutto perché quel tipo di rapporto era caratterizzato da un forte egoismo. Il bambino è egoista perché è egocentrico in quel rapporto, e ha rapporto con la madre perché la madre gli conserva la vita, gli è indispensabile, non può farne a meno. E la madre è la possibilità di vivere, la reale possibilità di vivere! E ci si attacca alla madre perché si è attaccati a se stessi. La madre rappresenta la possibilità di sussistenza del mio io, del mio essere. Solo in età matura, se si è fatto un determinato cammino, si può realmente amare la propria madre. Solo in età matura e dopo un cammino faticoso, perché è la persona più difficile da amare, come tutte le figure parentali. Questo va riferito anche al padre. Questo rapporto a due si caratterizza da questo tentativo egoistico, possessivo, e allora si tende a realizzare un rapporto "fusionale", si cerca di fondersi con l'altra persona, di costituire un tutt'uno, che significa assimilare l'altro a me. E di solito questo lo si fa con mille meccanismi, il più classico dei quali è quello della seduzione: rimbambirlo così tanto con la mia abilità, con il mio potere, con la mia bellezza, in modo che io possa assimilarlo. E allora si cerca un annullamento dell'altro, un azzerarlo, un livellarlo, un renderlo come me, che spesso è accompagnato da uno sfruttamento. L'altro mi serve. E ne sentite parlare, quando sentite parlare coppie di fidanzati o spesso di genitori e figli, amici un po' meno, ma anche lì è possibile. Li sentite parlare e vedete che parlano di questo rapporto nei termini del "noi pensiamo allo stesso modo", "andiamo sempre d'accordo", "vediamo allo stesso modo", "sentiamo allo stesso modo". Fusi!.Dove va' lui vado io. Tutto insieme! Il mito del "tutto insieme"! Mai uno contraddice l'altro, disposto a cedere sempre. Questa fusione: "Senza di te non si vive". Giorno e notte lì, sempre insieme, fusi insieme, fusi anche nella testa però. E l'inganno più grosso è che uno faccia così e che si chiami amore tutto questo. L'annullamento dell'altro viene chiamato amore, lo sfruttamento dell'altro viene chiamato amore, l'azzerare la mia persona pur di non perderti viene chiamato amore. E mi annullo, blocco la crescita, blocco la mia identità, non mi cerco più, ma non mi importa più niente né di me, né di te, né degli altri. Quello che importa è che stiamo insieme, fusi. E non mi importa più cercare, non mi importa più camminare, non mi importa più capire. Solo piaceri insieme: questo è il dramma. E reinvento in maniera patetica il rapporto con la madre dentro il grembo, dove non capivo niente ed ero là, solo, beato, nel liquido amniotico. Là così, che mi muovevo, dove non avevo né bisogni, né esigenze, né niente. Avere il compagno o la compagna che ti previene il bisogno, è lì talmente fuso con te che arriva prima che tu gli dica: "Dammi da bere". E già lì pronta con il bicchiere. Questo nostro grande sogno! E poi ci sembra la vita quella persona! E certo che ci sembra la vita! Ci leghiamo tutto a lei, senza di lei non si può vivere. Ma certo: hai abdicato ad esistere, hai abdicato a crescere, hai abdicato ad essere te stesso. E qui si crea quella che è la dipendenza. Io dipendo dall'altro. Vediamo anche l'indipendenza. Mentre nella dipendenza io esisto solo con te, nella indipendenza io esisto anche senza di te, oppure, meglio, io esisto anche senza gli altri. La grandeur dell'io, di quell'io così gonfiato che può riempire da solo il mondo, non ha bisogno che ci siano gli altri. Gli basta la sua testa, il suo corpo, le sue fantasie soprattutto, il suo mondo che ha dentro nella testa, che non è quello reale, è quello che si inventa di volta in volta a seconda dell'uso. Ha bisogno solo di comparse che ogni tanto giungono sul palcoscenico perché lui ha bisogno di muoverli, o ha bisogno di uno sfondo sul quale muoversi. Gli altri sono tutte comparse, da sfruttare al momento. Gli altri sono tutti pretesti per nascondere magari le proprie colpe. Sono scuse, emozioni, ma niente da amare. Per favore, niente da amare! Una persona quindi che non attacca il cuore a nessuno, magari che ogni tanto lo presta, perché lì dietro c'è anche il corpo, ma basta. Anche se non ci fosse l'altro, mi dispiace, perché mi serviva, ma pazienza! Il mondo è pieno di queste persone, che si sentono così adulte, così intelligenti, capaci! Questi due estremi, come vuole l'ironia della sorte e la legge del creato vengono a coincidere, partono entrambe dallo stesso vizio, il rifiuto della realtà, della creazione, del progetto di Dio, del disegno di Dio. Il primo rifiuta la vita, rifiuta di nascere, di esistere, di essere sé stesso, rifiuta la verità di sé, la sua vocazione, il suo cammino. Il secondo rifiuta altrettanto la vita così come è voluta dal Creatore per essere se stesso, lui stesso creatore e dio, l'assoluto, nel senso dello slegato da tutti, sciolto da ogni legame, da potersi innalzare come e quando vuole sugli altri. Guarda caso queste persone si innalzano sempre, non vanno mai a fondo, assolte da tutti i legami. Quindi queste due posizioni sono due menzogne perché negano la verità come è. Negano la realtà dell'uomo, negano il suo essere come Dio ha voluto, e negano all'uomo di essere se stesso, in una parola di essere felice. Allora come si fa' a gustare un rapporto di coppia senza cadere nella dipendenza o nella indipendenza? Potremmo chiamare la dipendenza il momento dell'innamoramento e del fidanzamento e l'indipendenza quando poi si sono sposati. Li vedete certi matrimoni dopo venti o trent'anni: lui fa' la sua vita, lei altrettanto, entrambi frustratelli, ogni tanto si aggrediscono, lei gli lava le camicie e gli prepara da mangiare, lui porta a casa i soldi. E' vita di coppia? Prendete invece i due fidanzatini che sono dipendenti, attaccati al telefono giorno e notte. Potessero viaggiare con la fotografia incollata davanti lo farebbero. Potessero portarsi un pezzo di lui o di lei... Invece il rapporto di coppia dovrebbe essere proprio caratterizzato dall'interdipendenza, come ogni rapporto. L'abbiamo già un po' definita dicendo che cosa non è, evidenziando gli aspetti negativi. Essa però è anche e veramente una grossa proposta positiva che abbraccia tutta la vita. Se abbiamo definito la verità dell'uomo come essere persona, e l'essere persona come vocazione all'essere se stesso in rapporto con gli altri, all'essere felici in relazione, in comunione, allora questa interdipendenza diventerà la modalità di rapporto con gli altri, che tenga conto dei valori a.cui nessun essere umano può venir meno, pena anche, non soltanto il rinnegamento di se stessa, ma la possibilità stessa del rapporto. Se due o più persone che si rapportano fra loro, per rapportarsi dovessero rinunciare alla propria identità e alla propria crescita, esse non solo vengono meno alla propria identità, al proprio cammino e alla propria felicità, ma non possono neanche dire di avere realmente un rapporto. Restano fregati due volte, perché credono che facendo così possono instaurare un rapporto, e invece, non solo rinnegano se stessi, ma anche la reale possibilità di incontrare l'altro e di avere con l'altro un reale rapporto. Quindi essere interdipendenti non è necessario solo per essere se stessi, ma per avere un rapporto reale con l'altro, non mentale, non verbale, non delirante, non possessivo, ma reale. Vediamolo questo rapporto: Nessuno dei componenti di questo rapporto deve rinunciare al proprio progetto, il dato che diventa storia, che viene accettato scelto e vissuto. Nessuno deve rinunciarci, neanche e soprattutto per tenersi l'altro. Non solo, ma proprio per avere un giusto rapporto con l'altro, perché l'altro sia veramente frutto di una scelta libera, e che non sia una fusione, un possesso, un atto egoistico estremo, perché una volta ti bastavano i giocattoli, e ora hai scoperto che il giocattolo più interessante è la persona umana, è la donna o l'uomo a seconda dei gusti che hai, e quindi vuoi quello! E da bambino viziato fai di tutto, come da piccolo dicevi le bugie per avere il giocattolo, ora per giustificare le tue voglie, i tuoi piaceri. Inventi anche i sentimenti, inventi storie, inventi la realtà, pur di possedere quel giocattolo. E lo chiami amore: bestemmia grandissima, perché non dimentichiamolo che Amore è il nome stesso di Dio! E noi chiamiamo amore l'atto contrario a Dio, quello del possedere, non di donare. Allora nessuno dei due deve rinunciare al proprio progetto, e il rapporto di coppia non chiede al progetto di ciascuno, di scomparire, di azzerarsi, di annullarsi. Al contrario il rapporto di coppia chiede fortemente che ciascuno continui ad essere se stesso e lo diventi sempre di più se stesso, seguendo il suo progetto, progetto che Dio gli ha consegnato come realizzazione di sé. Quindi deve essere fortemente libero: proprio perché amo fortemente l'altra persona, io devo essere fortemente libero di essere me stesso, se amo veramente quella persona! Per accontentarla non rinuncerò al mio progetto solo per farla contenta. Perché magari mi chiede soltanto che io stia lì, mi prende in qualsiasi modo. Non la sto amando, la sto viziando e la sto ingannando: quando in un rapporto inganno me stesso, inganno anche l'altro. Allora c'è proprio il bisogno di essere autentico, te stesso, vero, proprio in quanto responsabile di quel rapporto. Mi impegno a cercare il tuo progetto, ad impegnarti di più, ad essere meno superficiale, più profondo, più coraggioso, più forte, proprio perché hai questa responsabilità. E così devi amare sempre di più l'unicità e l'identità dell'altro, devi voler che sia veramente ed unicamente se stesso, anche in quegli aspetti che non ti piacciono. Quindi quando due persone si mettono in coppia non si deve allentare il cammino di crescita. Si deve rinforzare, deve farsi più intenso. Non è che ci si fonde e si fa' un unico progetto l'importante e che ci compriamo la casa e ci sposiamo! Non è un progetto quello! Quella è una tana in cui andarsi a rifugiare un'ulteriore volta. Il progetto è che tu sia te stesso, che tu sia libero, che tu sia felice. E se mi metto in coppia con tè io voglio questo, di me e di te. E' questo che deve essere al di sopra di tutte le altre storie. Quindi quando ci si mette in coppia queste cose non vengono annullate ma potenziate, intensificate, rese più vere, perché io so che un rapporto di coppia è un rapporto di donazione, e io devo arrivare a donare me stesso, non una finta di me, una maschera di me. Ma se non lo costruisco, non lo cerco, e tu non mi aiuti a cercarlo, poi cosa ti do? Ti do una menzogna, ti racconto delle balle, ti racconto! E come si fa' a fondare un amore e una vita insieme, e avere dei figli, su di un contesto del genere che frana immediatamente. Abbiamo bisogno di capire che questo rapporto di coppia comune, dove ciascuno continua la sua crescita pienamente liberi, pienamente se stessi, senza vedere in questo una non unione non è una fusione, ma è veramente un rapporto che deve continuamente trovare i suoi equilibri, la sua dialettica, il suo movimento: Ma che veramente non chiede a nessuno dei due di rinunciare ad essere se stessi. La Bibbia dice che saranno una cosa sola, ma quella cosa sola ha come modello la comunione trinitaria, dove sono tre persone distinte, e continuano ad essere ben distinte, in unità, in comunione. E.quelle due persone che si sposano devono arrivare alla morte in modo ben distinto, sempre più distinte e con sempre più la voglia di volersi bene, distinte, non fuse, sempre più libere, con quella grandezza di essere al termine così libere che potrebbero scegliere di tutto e scelgono ancora di amare quella persona: questa è la grandezza del cuore umano. Così libero, alla fine (non hanno più figli, lavoro, né niente) eppure scelgono ancora quella persona. Ma io scelgo pur potendo fare dell'altro tranquillamente. E io ti scelgo perché? Perché ti amo, non perché ti posseggo, o mi possiedi e non ne posso fare a meno. Questa è la grandezza dell'amore. Questa coppia non deve essere vista come una fusione dove c'è il conflitto perché uno deve rinunciare a questo e quest'altro. Certo qualcosa di concreto e pratico, nuova vita, nuove responsabilità! Ma guai se quel rapporto ti chiedesse di rinunciare ad essere te stesso, di rallentare il tuo cammino di crescita, la tua ricerca di verità, di te, del mondo, degli altri. Guai, sia perché non cresci tu, ma perché quel rapporto non è altro che un atto egoistico, reciproco. Questo non è nel disegno di Dio, e neanche quello che noi vogliamo. Non vogliamo essere posseduti, ma vogliamo essere persone scelte ed amate. Fino a che punto è giusto rinunciare a qualche cosa?
Oggi parliamo di un idea che si poteva enunciare anche subito, ma che ora può essere
più chiara e comprensibile. Partiamo dal quesito che sovente ci siamo fatti. In che modo il rapporto di coppia
può aiutare la crescita della persona, oppure come può bloccare il cammino di crescita? Perché
abbiamo visto che sono possibili entrambe le cose, così come ogni scelta della vita può essere
orientata alla crescita o alla involuzione. Non è vero infatti che le posizioni acquistate si mantengono. E'
vero invece che ogni volta che ti siedi stai già tornando indietro, perché la vita è fatta in un
modo tale e di ciò ringraziamo il Signore che nel momento in cui ti fermi e non arranchi, sei come
su un piano inclinato. Spesso per mantenere la posizione devi faticare parecchio e ti sembra di non camminare, di non
andare avanti, altre volte in maniera più fortunata cresci più in fretta. Come posso capire se la mia
scelta di coppia mi aiuta a crescere? Prendiamo il discorso alla larga evidenziando i principi ai quali ognuno si
può riferire per trovare una risposta. Quando una persona nasce e fa il suo cammino è vittima di un
illusione. Il bambino nasca e cresce. Egli ha l'illusione di portare ogni cosa in bocca. I bambini portano tutto in
bocca e questo non è solo un fatto di piacere e di stimolazione delle mucose orali o dei denti, è anche
soprattutto un tentativo di possedere l'oggetto. La conoscenza dell'oggetto viene vista come possesso, qualche cosa
da mangiare. Il mangiare è rendere quella cosa me stesso, è il processo più immediato,
automatico, primitivo che io conosca per possedere. Se guardiamo nella storia dei popoli o nella etnologia si
è arrivati addirittura a dover mangiare le ceneri del proprio defunto, o di quell'animale potente, per poter
possedere l'anima di quella realtà o entità. Il possedere mangiando è visto come un modo per
risolvere il problema della diversità fra me e quella cosa, e quella persona. C'è in ognuno questo
desiderio di possedere, di inglobare l'altro dentro se stessi, di farlo diventare me. Questo meccanismo, che nasce
proprio per la paura della differenza, per il disagio dell'altro che è altro, dal desiderio di conoscere
l'altro e di colmare ciò che ci divide, questo meccanismo è una grossa illusione, meccanismo che mi fa
credere di poter soddisfare il mio bisogno di relazione, indispensabile per essere felice, con il possesso. Sappiamo
che la persona è questa realtà che ha bisogno, che lo voglia o no, di relazioni. Questo bisogno
interroga l'individuo e gli chiede di risolverlo. C'è chi lo elimina, chi crede di averlo rimosso, c'è
chi dice che non è vero, c'è chi crede di risolverlo amando solo una persona, chi crede di risolverlo
amando continuamente se stesso. La domanda sussiste in tutti, e tutti si sbattono per dare una risposta in qualche
modo. Naturalmente la risposta è caratterizzata dal grado di maturità a cui quella persona è
giunta: se quella persona è rimasta prigioniera del proprio essere bambino, ricorrerà a questo metodo
primitivo, il possedere. Allora crederà che la felicità sua è quella di possedere, e avrà
bisogno di avere sempre di più..Ma non è tanto l'amore della ricchezza o dei soldi, ma il vero suo
tormento sarà quello di dover colmare un desiderio che in questo modo non riuscirà mai a colmare,
perché così non si può risolvere. Questo tentativo patetico, a volte drammatico, sicuramente
all'origine delle molte nevrosi della nostra vita, viene manifestato in maniera acuta proprio nel rapporto amoroso di
coppia, dove l'altro viene visto come un oggetto, nel senso filosofico del termine, un oggetto amabile, desiderato e
amato, ma nello stesso tempo profondamente diverso, il più diverso è la sessualità!
da me. E quindi c'è la necessità di fare un grosso sforzo, una grossa comunione, che a volte sembra
proprio impossibile, e l'altro resta sempre un mistero, diverso profondamente da te. E allora se la tua struttura
è rimasta schiava di una realtà non maturata e poco cresciuta, tu cercherai di risolvere il problema
possedendo quella persona. In un processo continuamente possessiva: prima cercherai di possedere la persona che per
prima ti appare, la madre, poi le cose, poi i compagni, tutta la realtà, e se non riesci nella realtà,
nella fantasia così importante nel bambino, e via dicendo. Finché non incontrerai quella persona che
per te diventa altamente importante. Allora di nuovo lo stesso meccanismo, perché non hai in atto altro. E
cercherai di possederla. Ed infatti quando incontri una persona che ti piace il meccanismo automatico è la
seduzione, che è il primo tentativo di possesso. Lo vedete bene nei bambini nei confronti dei giocattoli, o di
una persona estranea che entra in casa. Il bambino fa una danza, una recita di seduzione: lo guarda da lontano,
ammicca, vede, guarda, fa finta che non gli interessi, fa un tentativo di seduzione tentando di possedere la persona.
La seduzione è proprio questa arte di riuscire a possedere l'altro senza che l'altro si senta posseduto:
quindi gioca molto l'astuzia, i meccanismi inconsci, le dinamiche non scoperte, la menzogna. Dai ad apparire
ciò che non è e diventa un gioco. E questa seduzione, una volta che ha raggiunto il suo oggetto, deve
diventare qualche cosa d'altro: diventa legame, diventa qualcosa che ti lega, e allora può essere di ogni
tipo, può addirittura arrivare ad essere un ricatto, può essere un peso, un senso di colpa, un piacere
a cui non sai rinunciare, tante cose. Ciò che accomuna questi legami è che ciò che lega le
persone sono i rispettivi bisogni. Allora scopriamo che questo tentativo di possedere non è solo il tentativo
di rispolverare il problema del rapporto con l'altro o della conoscenza, ma questo possedere è anche l'estremo
tentativo di dare risposta ai nostri bisogni, al bisogno estremo di essere amati, considerati, bisogno di piacere, di
felicità, bisogno di vincere il proprio senso di solitudine e di morte, il piacere di sentirsi un valore
perché l'altro ti desidera. Tutti questi bisogni, che non sono da condannare, semplicemente perché sono
così. Quello che devi condannare sono le risposte false a questi bisogni, come la conoscenza falsa data
dall'illusione di conoscere una cosa perché la possiedi. Non è il punto di partenza che è
sbagliato quello non dipende da te! ma sono le innumerevoli serie di risposte che tu dai che non sono
risposte e sei sempre lì con quella agitazione, ansia, frustrazione, noia, che contraddistingue una risposta
che non è giusta e che fa sì che la domanda resti sempre lì in sospeso. C'è gente che non
sa più che cosa andare a prendere per darsi una risposta, non gli rimangono che le emozioni forti che
può dare l'alcool, la droga, un sesso fortemente esasperato, perché oramai la vita in se stessa non
risponde. Tutto questo ci dice che la persona che vuol essere persona ha deciso di crescere: non di possedere ma di
crescere, ed è non solo una realtà diversa, ma opposta. La persona capirà che un tasso alto di
maturità sarà contraddistinto dalla sua capacità di donare e di donarsi, e non di possedere.
Allora la persona si caratterizza per questa scelta di crescita. Dice a se stessa di non voler più possedere,
di aver capito che è un'illusione, non è più una questione di possesso, è un calcolo che
non finisce più. Spezza questo incantesimo e si mette su una strada diversa. Si chiede come posso conoscere
l'altro, amarlo, entrare in comunione con lui senza possederlo. Questo ti deve far cercare altre risposte su altre
strade. L'altra risposta è quella dell'essere e non del possedere. Ti vien detto: "Vuoi realmente crescere?"
Allora sappi che tu sei un progetto che deve realizzarsi, che deve essere se stesso e questo ha la precedenza su
tutto: ogni altra risposta non solo perché sia realmente risposta, deve realmente non contraddire questo
principio. Noi abbiamo un principio di verità di verifica, per capire realmente quando sto sbagliando,.quando
quella cosa non solo ti fa' male ma è falsa, contraddice quel principio di essere. Esempio classico è
la coppia: se tu ti accorgi che quella persona o rapporto contraddice questo rapporto di essere, non ti fa essere e
non ti fa essere te stesso, ti aliena, non solo ti fa male. "Ma quello non è amore!" dici. Non puoi chiamarlo
amore, se ti fa quell'effetto, è falso. Non perché quella persona è falsa o perché hai
messo giù male le cose, ma perché c'è dietro questo inganno. Non si tratta solamente del
discorso se ti fa male in questo momento, o se ti va o non ti va, perché allora staremmo a decidere in base ai
gusti o piaceri personali. E' un criterio oggettivo, di verifica e di verità, che è al di fuori. Se la
tua storia e i tuoi rapporti continuano a portarti verso la menzogna di te stesso, continuano a coprirti, e non a
rivelarti, continuano a chiuderti e non ad aprirti, non solo ti fanno male, ma sono falsi. Stai vivendo in un paese
costruito con la carta e tu continui a chiamarlo reale. Ma è Disneyland, non è il mondo reale. E non
è amore, non è amicizia: non lo sono. Certo che se non hai alternativa, non hai mai provato a fare
diversamente, certo che sarà quello lì, non avrai altro criterio. Ecco il punto dove credo siamo
arrivati. Ogni persona dovrebbe dire di se stesso: "Io voglio essere me stesso", in un lavoro faticoso, dove ogni
realtà, compreso il rapporto di coppia, mi deve aiutare ad essere me stesso. Non essere un impedimento. Per
esempio, quando incontro una persona o cosa che mi piace e la voglio certe malattie d'amore, che non sono
affatto malattie d'amore; malati di mancanza d'amore, lo vogliono e basta, e non mangiano, non dormono, non vivono,
una vera e proprio fissazione questo volere la persona a qualsiasi costo, anche della autodistruzione! Faccio
in modo che quello che sono è in funzione del mio obiettivo, per cui mi altero, cerco di indovinare cosa piace
a quella persona, cerco di catturare quella persona, mi cambio, mi altero, cambio linguaggio, vestito, situazioni,
idee, tutto, tranne che essere me stesso, anzi ho paura di essere me stesso, perché ho paura di non piacergli.
Instaurando questa logica della seduzione e del possesso chi ci rimette subito se non il tuo essere? Dovrai per forza
alterare il tuo essere, se metti al primo posto l'avere. L'essere sarà sempre in funzione di quell'oggetto, di
come quell'oggetto ti vuole, o di come pensi che quell'oggetto ti voglia. Non ti preoccuperai più di essere
vero in quello che dici, che pensi. L'importante sarà solo avere quella persona. Sei disposto a farti
cristiano impegnato, a farti ateo, a tutto. E questo il mondo lo giustifica dicendo che è innamorato! Col
cavolo che è innamorato! Perché in certe persone l'innamoramento è così forte, questa
seduzione amorosa, questa fissazione violenta, perché si innesta in una struttura in cui quella persona ha
sempre e solo posseduto le persone e le cose, e non ha mai sperimentato un altro modo di conoscere e di stare con gli
altri. E allora questo diventa fortissimo, addirittura insuperabile. Come per i bambini che vogliono quell'oggetto e
fanno di tutto, e non vogliono poi più altro, e sono le persone più felici della terra se lo hanno
avuto. Ma dopo 24 ore, ce n'è un altro di giocattolo. E così le persone. Poi ne trovano un altro: "Ah
se avessi trovato quell'altro!" Una logica che ti costringe a non fermarti mai. Se quindi l'innamoramento, che non
è una malattia, ma è una bellissima cosa, e così gli altri rapporti che sono valori importanti,
ma se essi vengono messi in una cultura, in una situazione, o ambiente, o persona che funzione con quella logica,
qualsiasi cosa, persino il desiderio di Dio, diventerà un desiderio di possesso. Un desiderio magico di Dio.
La magia è proprio il contrario della fede, perché vuole possedere Dio. Non essere in comunione con
lui, possederlo per usarlo. Qualsiasi cosa diventa distruttiva. Allora anche il rapporto fra uomo e donna, esperienza
fra le più importanti e belle, diventa tremenda e distruttiva. Ma non perché lo sia la cosa in se
stessa, in se stessa è splendida ed indispensabile, il confronto e rapporto fra uomo e donna. Ma se questa
realtà è inserita in una persona che non ha nessunissima voglia di crescere, ma solo di possedere,
quelle due persone si fagocitano, si distruggono invece di amarsi. E si daranno tanto piacere e tanta gratificazione,
ma si distruggeranno; e questo legame sarà fortissimo, tanto da essere scambiata per amore. La stessa alleanza
nevrotica, alleanza narcisistica, alleanza del possesso, può essere scambiata per amore. Tanto più se
quella persona non ha mai conosciuto il sentimento vero dell'amore e quindi non lo sa discernere, non lo sa
riconoscere, né sa smentire questa sua convinzione. La prima scelta che smaschera tutte le altre è
proprio il criterio della.crescita, dell'essere te stesso. E tu di fronte a tutti i tuoi bisogni, anche i più
sacrosanti che Dio ti ha messo dentro, devi essere capace di dare la priorità all'essere, alla crescita,
più che all'avere, se no hai firmato la tua condanna.
Risposta ad una domanda: Richiamiamo uno di quei discorsi che ha fatto Gesù tanto tempo fa non vorresti
li avesse fatti! L'occhio, se da scandalo, taglialo. Non metti la lente, il collirio, ma taglialo! Così la
mano non dal manicure! "Scandalo": questa è la parola da capire. E' ciò che ti fa inciampare, che
ti impedisce di camminare, di crescere. Taglialo! Fa impressione questa cosa decisa, netta di Gesù. Niente,
nessuna cosa, neanche di te stesso, deve impedirti di realizzare la volontà del Signore. Puoi inciampare in te
stesso. L'inciampo più grosso è in te stesso. Ci possono essere tutte le tentazioni, ma il problema
è dentro. Il tuo bisogno forsennato dell'altro, taglialo. Deve essere deciso il discorso cristiano. Un
rapporto con l'altro che non sia un possedere, un mangiare. Deve uscire dalla tua vita. Noi crediamo che la
felicità sia aggiungere, non togliere. Invece Gesù dice: "Togli, togli!" Il problema è arrivare
alla decisione di togliere. Questa logica dell'avere! Che nessuno si senta così debole da non riuscirci con la
grazia di Dio. Anche se ci sentiamo così deboli, siamo tutti nella stessa barca. Questa è la
conversione e questo è anche il discorso morale!
Risposta ad una domanda: Lo sforzo non basta a dare la felicità. Puoi avere lo sforzo, ma imbroccare il
cammino sbagliato. Uno può vivere di sforzi e poi... si ammala per i suoi sforzi!
Risposta ad una domanda: Non dimenticatelo anche questo tentativo di possedere Dio. E' riconoscibile dal fatto che
tu metti in atto delle cose in te, per piacere a Lui, perché poi ti esaudisca. Divinità che è da
sedurre e incantare anche lei. E' inconscio, certo! Ma la vita te la smaschera. Ti viene il mal di denti e ti accorgi
che non ti passa! Per qualcuno è più importante S.Antonio o S.Rita di Dio stesso. Ricordo un pescatore
che diceva: "Noi bestemmiamo tutto, ma non S.Eusebio!" Il diritto romano prevedeva che la colpa venisse soddisfatta
da un'altra persona. Legge fatta per i ricchi. Devo avere 20 frustate, ti pago, tu prendi i soldi e le frustate al
posto mio. La cosa può essere spostata anche in campo religioso, da alcuni. Il feudatario era scomunicato, gli
infliggevano delle tariffe (per esempio, andare a piedi a Santiago di Campostela) ed il signorotto diceva al suo
servo: "Vacci tu al posto mio a Campostela!" E' il massimo della falsità! Un Dio che non gliene frega niente
di chi lo fa! Chi paga la messa per un morto, non vuole venire, ma dice: "Tu celebra la messa per me!" "Tu prega per
la salvezza dell'anima mia". Così l'offerta della candela! Pago Gesù, perché vada in croce! Ma
l'importante è non cambiare dentro!
La pubblicità degli orologi Rolex dice: "Avere è essere". Così anche altre
pubblicità. E' interessante come ulteriore dimostrazione di un certo tipo di mentalità. Se noi partiamo
dal discorso dell'essere e della crescita come primo assoluto, il discorso di coppia si dovrà quindi inserire
in questo discorso perché è così dalla creazione. Un rapporto di coppia non è possibile
se non ci impegniamo per anni in un cammino di crescita che ci fa superare e rompere l'incantesimo di pensare che si
è felici nell'avere. Avere come tentativo primitivo di conoscenza, di rispondere ai propri bisogni, e
soprattutto di ricostruire quella fusione con le persone che a noi non è più concessa perché
siamo nati, che vuol dire separati, divisi, in un cammino che continuerà sempre di più la distinzione.
Più uno cresce più sarà distinto dagli altri, meno cercherà la fusione nel rapporto con
gli altri e non confonderà la fusione con l'amore e neanche con la propria risposta dei bisogni. Il meccanismo
di spezzare l'avere è un meccanismo difficile e faticoso, è una fra le più grosse fatiche che
dobbiamo fare. E' una illusione che ha le sue strutture più profonde nella nostra struttura psicologica, nel
nostro peccato, nell'egoismo il cui verbo privilegiato è proprio l'avere: avere la cui espressione più
alta è il possedere la persona. che l'altro si fonda con te per cui non hai più bisogno di comunicare.
Quante discussione fra coppie perché l'altro non capisce i miei bisogni. Il mito della fusione porta a credere
che basti pensare una cosa perché l'altro la debba comprendere e sia lì.pronto. E questo viene confuso
con l'amore, mentre ne è tutta la negazione. L'amore invece fa crescere le persone e le fa diventare sempre
più se stesse, e quindi sempre più altro dall'altro. E se uno ti vuole più bene farà in
modo che tu diventi sempre più te stesso. Allora c'è da spezzare anche l'idea della fusione con
l'altro. E non è solo un negativo, ma anche tutta una fatica da assumere, fatica di conoscermi, di esprimermi,
di comunicarmi all'altro, di conoscere l'altro, di ascoltarlo, di comunicare, di cercare sempre un equilibrio e una
comunione con l'altro: non finirà mai per tutta la vita. E' una illusione pensare di arrivare ad un certo
punto dopo anni e di non dover più fare questa fatica: se uno pensa così poi prende delle docce fredde
e ci rimane. L'altro non lo possiederai mai e rimarrà se stesso. La coppia non aliena l'altro, ma fa in modo
che sia sempre più se stesso e quindi diverso. Se devo rinunciare alla fusione, vuol dire che ho deciso di
nascere, di diventare adulto, di tagliare il cordone ombelicale. Uno non cresce se non lo vuole e se non decide di
assumere tutti i costi e le fatiche. Il tempo non serve di per sé per la crescita, anzi può farti
involvere. Ha solo il significato dell'incarnazione e della storia, come occasione di crescita. C'è gente che
era più cresciuta a vent'anni che a cinquanta. E siccome non hai irrobustito la struttura, hai affrontato la
vita senza un cammino forte e serio di crescita, sei tornato indietro, ti sei inaridito e disilluso. Certo la vita ti
ridimensionerà, ma a 50 anni dovrai essere più in gamba che a 20.Molto più libero, più
vivo. Questa sera vediamo il discorso della crescita approfondendo il discorso fatto fino ad ora. Come si fa ad
arrivare ad un rapporto di coppia in cui tu rispetti e ami l'altro in quanto tale, ami l'alterità totale
dell'altro che è data anche dall'essere maschio e femmina? Alterità persino fisica! Una coppia in cui i
due restano distinti e crescono come persone.
Premessa: è difficile ma non è impossibile. E' alla portata di tutti. Non è utopia, è
possibile e reale. Ciò che rovina tutto sono i costi e il tempo di cammino! Non siamo capaci di pazienza!
Siamo capaci di impegnarci una settimana, un periodo, ma poi vogliamo i risultati. Vogliamo essere subito pronti, ma
già il fatto che dici che sei pronto vuol dire che non lo sei affatto. Ci vogliono anni, ma guai se nella
nostra testa ci fosse quello che pensa che non vale la pena, che fan tutti così, che è un discorso per
santi, per gente eccezionale. No assolutamente! E' la vocazione di tutti e il buon Dio non fa ingiustizie. Ciò
che danneggia il rapporto di coppia è che i due vengono attirati una dall'altro per rispondere al proprio
bisogno. E uno non riesce neanche a concepire l'alternativa, che non sia la sua strada, come uno che ha una sete
grossa e non può scegliere di non bere. Se tu non sei educato di fronte al bisogno non farai altro che cercare
di spegnerlo a qualsiasi prezzo. Il crescere ti aiuterà e insegnerà a gestire il rapporto con i tuoi
bisogni, in modo che sei tu a saper dire di sì o di no. Non che sei il teatro dove i tuoi bisogni cercano una
risposta. Non potrai più dire: "E' più forte di me". Non sarà un bisogno più forte di te.
Ci sarà la difficoltà, la prova, la debolezza, ma non potrai giustificarti dicendo che è
più forte di te. Certo che se non avrai fatto un cammino, qualsiasi stupidaggine sarà più forte
di te. Gente che non sa rinunciare a cose banalissime, sapendo che fa male a se e agli altri. E' questa la
dignità dell'uomo? E non è solo un discorso di volontarismo come a volte nei nostri ambienti co
vogliono far credere da "stringi i denti". A cosa serve? Devi fare un cammino di crescita per cui questo saper
gestire il bisogno non sia solo frutto di volontà, ma l'espressione più libera di te stesso. Per cui lo
fai con serenità, con gioia, per cui non è una castrazione, una rinuncia fine a se stessa, ma
un'espressione di maturità, di libertà. E' però una situazione che non puoi improvvisare
selvaggiamente, senza un cammino di crescita. Il bisogno è una realtà che conta tantissimo fin da
piccoli. Occorrerà che la realtà adulta ci aiuti a gestire bene i bisogni. Per arrivare al momento
cruciale del matrimonio occorre che ci sia un prima in cui io mi preparo a gestire prima i miei bisogni più
elementari, per poi giungere a gestire anche il mio bisogno dell'altro o dell'altra. E' un esercizio continuo e
costante. Per esempio, devo imparare a non identificarmi con il mio bisogno, tanto che se il mio bisogno non viene
soddisfatto mi sembra di non esistere. Così che io debbo soddisfare il mio bisogno per sentirmi vivo,
esistente! Così fanno i bambini. Così l'adolescente. Così da evitare di far coincidere la vita
stessa con i bisogni, tanto che sembra che non esista altro. Così evitare di identificare gli altri con i
proprio bisogni. Il.bisogno non fa mai identità: è un aspetto, importante, ma uno fra i tanti della mia
identità e di quella dell'altro. E forse non è neanche la più importante. Dobbiamo educarci la
testa e il cuore a vedere qualche cosa d'altro che non siano bisogni. Non educarci solo a vedere i bisogni degli
altri, ma educarci a vedere cose che non sono bisogni, ma che sono importantissime: ci sono regole, leggi, una
realtà oggettiva, un limite dell'altro. La realtà non fatta solo di bisogni. La vita non è una
cooperativa di gente che cerca di rispondere a bisogni, non è una associazione di bisognosi. La realtà
è molto più ricca e complessa. Anche se il mondo commerciale vuole farci identificare la vita con i
bisogni. Lo stesso mondo dei rapporti: si fa intendere al bambino che se tu riuscissi ad avere tutto, con gli altri
non ci staresti. Ma siccome hai rotto le scarpe, devi andare dal ciabattino. Gli altri servono per questo, per i
più benevoli per riempire la tua solitudine. Ma non ha senso uno stare insieme gratuito, non mosso da un
bisogno, che invece è l'atto più genuinamente umano, perché è divino? La gratuità
è la realtà che ci avvicina di più al mondo di Dio, mentre il bisogno è l'aspetto che
più ci avvicina al mondo animale e vegetale. C'è quindi un cammino da fare per imparare a non
identificare la realtà con i nostri bisogni, una realtà che è infinitamente più grande
dei nostri bisogni. Ma pensiamo a quanto tempo nella nostra giornata dedichiamo ai nostri bisogni, che sono una
minima parte della realtà, forse la più becera, la più stupida e cieca se vissuta così.
C'è una grande realtà la cui espressione può essere proprio l'espressione gratuita, artistica,
libera, l'espressione dell'emozione e del sentimento, ma elaborato e vissuto completamente. Allora si fa un altro
grosso sbaglio, che si paga tutta la vita: quello di identificare la felicità con la soddisfazione dei
bisogni. Allora ci rimani male. Ho conosciuto gente che poteva permettersi di tutto, ma non era felice. E non
è la solita storiella che ci si racconta fra persone che non possono fare così. E' proprio reale,
è così! Lo vediamo anche nel nostro piccolo. C'è gente che è arrivata ad avere molto e a
soddisfare i bisogni, che forse lavora ancora stupidamente troppo, ma a cui non manca niente. Vi sembrano persone
felici? A me no. Le generazioni precedenti alla nostra, del dopo guerra, per cui le cose importanti erano il lavoro,
e poi la casa, e poi la macchina, e poi tutto il resto. Avere. Sembra che la soddisfazione sia lì: poi ci
arrivi e rilanci subito il sasso in un giuoco stupidissimo che non ha mai fine. E giochi al rilancio e poi ti
lamenti, come se fosse un altro a rilanciare. Ma se sei tu che rilanci! Ti pigli in giro da solo e identifichi la
felicità dove il tuo bisogno viene soddisfatto proprio nel momento in cui viene alla mente. Torniamo alla
fusione. Non hai neanche più bisogno di spiegarlo il bisogno. Il bambino, nel feto, quando gli va giù
il tasso glicemico. Lì c'è subito un aggiustamento immediato. Se quindi io voglio arrivare a stare con
il mio uomo o la mia donna per un atto di assoluta e necessaria libertà e gratuità, c'è bisogno
che io, nei venti, trent'anni prima, io abbia fatto questo cammino. Cammino dove ho imparato a gestire i miei bisogni
e a non identificare la mia felicità con i miei bisogni. Allora riuscirò a volere che la persona sia
realmente diversa. Mi farà piacere che abbia i suoi limiti e la sua identità, e non avrò
nessunissima voglia di cambiargli la testa, per mia comodità, per ripristinare la fusione, per non fare la
fatica di rapportarmi, di rinunciare al possedere o all'essere posseduti, a fare una confusione con l'altro. Devo
imparare piano piano, nei rapporti di amicizia, con tante altre persone, ad accettare l'altro così
com'è, e non a desiderare che sia secondo i miei gusti, i miei desideri, il mio piacere, il mio utile. L'altro
così come è! Gli adolescenti fanno un gioco interessante: quello di sognare un corpo fatto con pezzi di
qui e di là scelti da varie persone. L'altro non è più una persona, ma un assemblaggio di
risposte ai tuoi bisogni. Educare vuol dire far capire piano piano che c'è una realtà più grande
dei tuoi bisogni. E questo è facilitato se hai una dimensione di fede, dove questo Dio che è
completamente altro, ti rimanda e ti ridimensiona tutti i tuoi aspetti. Perché l'amicizia è così
difficile a certe età? Quando sei adolescente hai bisogni, o meglio senti il bisogno di compagni e non di
amici. Il bisogno oggettivo ce l'hai, ma quello che percepisci tu è il bisogno della ragazzina con cui fare lo
scemo, i compagni con cui fare lo scemo in giro, giocare, divertirti. Ma di un discorso vero di amicizia non ne senti
davvero il bisogno, e quindi se ti capita ti capita. Se non ti capita, pazienza. Ma la ragazzina o il ragazzino:
è lì come un chiodo fisso! Così come.non senti il bisogno di leggere un libro, o di fare
esperienze culturali, di esperienze di relazioni, di rapporti, di impegno, di servizio. Non lo senti a livello di
pelle, come senti tutti gli altri. E se nessun adulto, nessun educatore ti aiuta a scoprire che dentro di te ci sono
tutti questi altri bisogni e ce li abbiamo, non ce li mettono gli altri, non vogliono rovinarti la giovinezza
mettendoci dentro le cose serie! Altrimenti cresci deformato e in modo disarmonico. Sei convinto di crescere
inseguendo i tuoi bisogni, e gli anni e i periodi saranno distinti dai diversi oggetti: il pallone, la bicicletta, i
compagni, la prima ragazzina, i soldi, il primo impiego, la macchina grossa. Ma sarai sempre lì, anzi peggio
torniamo all'esempio del piano inclinato. Questo cammino quindi è importante per poter avere un rapporto
di coppia pienamente gratificante e piacevole, veramente godibile. Viziare diventa allora far identificare la vita
con la soddisfazione dei bisogni, far credere che le risposte ai bisogni sono un valore. Per i bambini viziati
ciò che conta e ha valore è ciò che risponde ai bisogni. E lo chiami in modo diverso: amore,
considerazione ecc.. E gli adulti fanno credere, per comodità, e perché sono essi stessi in questa
mentalità. E' meno comodo far capire al figlio che gli vuoi bene non viziandolo. Ci sono coniugi che non hanno
mai detto e comunicato il loro amore ai figli, ma non solo per timidezza, ma perché si cercano le vie
più comode, le vie del soldo, del regalo, del dartele vinte tutte, o della severità fine a se stessa.
Così è il caso dei coniugi che vogliono separarsi perché non trovano più niente
nell'altro. Degli anni precedenti che cosa hai fatto? Passerai la tua vita a riciclare le persone a seconda dei tuoi
bisogni? Ci sarebbe da rifare tutto da capo, da rifarti come persona. Passare anni e anni a farti capire che oltre ai
tuoi bisogni c'è il mondo. Così quando ti fanno il discorso su Dio in questi termini! Occorre rifare
tutto da capo.
Non esiste la perfezione. Altro punto importante. Nella prospettiva dell'avere, la prospettiva
della persona più furba, più in gamba, più potente, sarà quello di avere il prodotto
migliore che c'è sul mercato. Per l'uomo sarà la donna bella, dolce, comprensiva. Per la donna
sarà trovare l'uomo intelligente ricco, forte, bello. Allora ti metti alla ricerca della perfezione e poi sei
legittimato a fare tanti assaggi, prove, passare da un rapporto all'altro. E questa perfezione non è tanto la
ricerca dell'elemento più armonico, ma il tentativo di cercare la persona che secondo la tua stima grossolana
può darti di più, la persona che per le sue caratteristiche fisiche, o psicologiche o di patrimonio
può darti di più. Questo è il criterio di perfezione: il massimo di gratificazione e di piacere
che tu, nel tuo ingenuo calcolo, poi presupponi che quella persona ti possa dare. Criterio sempre molto soggettivo.
Tante volte si sente dire: "Ma come fa' quello a volere quella lì". Qualche volte perché si accontenta,
qualche volta perché i criteri di perfezione sono soggettivi. L'altro grosso errore è che, trovato il
prodotto, ti metti sempre nell'atteggiamento di estrema aspettativa, di estrema forzatura e violenza nei confronti di
quella persona, perché dimostri tutta la sua perfezione. E non sei disposto a tollerare nell'altra persona
nessun aspetto che oscuri la sua attesa perfezione. Anche qui c'è un criterio soggettivo, per cui magari
quella persona lì ha dei difetti enormi, ma che per te non sono difetti o che per lo meno non deturpano quel
quadro di perfezione adatto a te, e allora li lasci passare. Ma poi ha un piccolo graffio in quella che è la
tabella delle tue pretese, e quello diventa il motivo di continua discussione, litigi, sofferenze. E tu sei a
impostare il rapporto di coppia come un gioco di potenza, di forza. E vuoi che l'altro sia perfetto, ma perché
non vuoi stupidamente perdere niente del piacere che potresti darti. Per un egoismo reso divinità, reso idolo,
idolo che tu hai coltivato fin dalla fanciullezza. Per cui non ti sta a cuore la perfezione dell'altro come persona,
ma che l'altro corrisponda sempre e prontamente alle caratteristiche di quel soggetto che tu ritieni sommamente
gratificante. Che sei disposto a mantenere, a coccolare, a viziare, a sposare purché questo quadro sia
mantenuto lungo il tempo. E questo quadro l'altra persona lo deve riempire sempre e di fatto c'è il
tentativo costante di modificare e plasmare l'altro, ma non per il desiderio della sua crescita. Io vorrei poterti
modificare con.ogni mezzo, spesso con i più loschi, come il ricatto, la pressione morale, il ricatto economico
io ti compro che sono veramente ben nascosti e mascherati dagli abiti che portano, ma che sono davvero
loschi, fatti perché tu mi possa dare il massimo del piacere che io mi aspetto. L'obiettivo è ancora il
mio livello di bisogno, la mia necessità, quello che io ho progettato che deve essere il marito o la moglie.
Quello che io mi aspetto, tu me lo devi dare, se no non mi ami: E' tremendo, perché quando arrivi a questo
livello tu stai uccidendo la persona. Allora va sfatata l'idea della perfezione dell'altro, come amore, perché
la vuoi avere bella, sana. Lascia stare, stai pensando a te! Uno degli aspetti che è necessario imparare lungo
il cammino è che non esiste la perfezione, e che dentro la perfezione ci sta in modo maniacale il mio
narcisismo, compromesso con un altra forma pericolosissima, che è il mio senso di onnipotenza, per cui sono io
che ti plasmo perfetto o perfetta, che ti rendo la cosa più perfetta e tu mi devi dedicare anima e corpo
quanti persone lo dicono! Queste cose si ha il pudore di non dirle mai e nemmeno di pensarle esplicitamente, ma sono
il criterio delle nostre scelte. Occorre quindi imparare non solo che non esiste la perfezione, ma che io sono una
persona limitata, coi miei difetti, che è candidata ad amare una persona con altrettanti difetti, ma non quei
difetti che tu sei disposto a tollerare, ma anche quei difetti che ti danno fastidio. Quei difetti che mi limitano la
mia capacità di piacere. Spesso l'accusa è proprio quella: che siccome tu non sei così, non mi
fai felice. Io sarei più felice, se... E' uno dei discorsi più diffusi e uno dei motivi più
diffusi per le separazioni. Bisogna imparare da subito che non si amano le cose perché le si ritengono
perfette cosa tanto difficile da imparare, perché spesso i genitori ti faranno capire che se vuoi il
loro amore e lo vuoi tutto, te lo devi meritare, devi essere il ragazzo o la ragazza modello, perché nel
momento in cui ti comporti diversamente dai loro schemi rischi di non essere più amato o di essere un figlio
ingrato. Il figlio così imparerà che l'amore non è gratuito, ma si può comperare, non con
i soldi, ma con un buon atteggiamento. Si impara a fare la doppia faccia: in casa si ha una faccia e fuori se ne ha
un altra. Perché se non fai quella faccia lì... E allora insegni a quel figlio a recitare una parte,
perché quella parte gli serve come passaporto per ottenere la dose quotidiana di affetto. E il bambino
è predisposto a pensarla così, perché nella sua mentalità meccanicistica, di causa ed
effetto, per lui è chiaro che l'effetto "amore" deve essere causato da qualche cosa. Se un genitore quindi ama
un figlio deve essere un figlio davvero amabile, buono, secondo le sue attese. Allora se un figlio non si sente
amato, si colpevolizzerà, si sentirà cattivo, brutto, non buono, svaluterà se stesso, e
avrà bisogno di cercare altre rassicurazioni. Così più avanti questo meccanismo si può
creare con il gruppo o la compagnia: pur di integrarsi si fa quello che gli altri si aspettano, non si è se
stessi. Il ragazzo che per sé sarebbe debole e fragile, deve mettersi anche lui a fare il gradasso, deve
mettersi a fumare, deve anche lui fare l'esperienza dello spinello, il piccolo furto, la bravata. La ragazzina deve
anche lei andare in giro a farsi correre dietro da qualche maschio e a fare l'ochetta con qualcuno. Perché
deve essere integrata ed amata. Così più avanti ci sono altri livelli di integrazione, altre tabelle in
cui l'amore viene meritato. Quindi il tentativo di risultare perfetti. Questo tentativo non sempre, ma spesso
sta anche sotto un certo comportamento che si usa quando si vuole conquistare una persona. Ti preoccupi tanto
di risultare proprietario di quei doni che l'altro ti sembra cercare, e cerchi di mettere in evidenza, come fanno i
pavoni, quello che tu pensi possa essere un attrattiva per l'altra persona, che può essere anche un bel gioco,
finché è un gioco. Ma quante persone inventano una personalità che non hanno, che il matrimonio
fa in fretta a smascherare. Quante volte ti senti dire dalle mogli: "Io non ho sposato l'uomo che ho amato, io non ho
trovato dopo quell'uomo che credevo di conoscere". Ed è vero non perché passano gli anni, ma
perché ora non vale più la pena di recitare quella parte. Lo scopo è stato raggiunto. E anche
perché il gioco non puoi reggerlo a lungo Quindi questo lo potremmo chiamare il tentativo infantile di
risultare perfetti. Allora si dovrebbe fare l'esperienza dell'amore gratuito, capire che l'amore è una
realtà gratuita, legata a nessun quadro di presunta perfezione, e che il limite, le mancanze e i difetti, non
impediscono ad una persona di essere amata. Si deve imparare anche che tu non dimostri all'altro di amarlo, facendo
finta.di non avere più difetti quei difetti che davano così tanto fastidio al mio amore
recitando nuovamente una parte. Ma perché si deve recitare una parte in un rapporto di coppia, stando sotto
uno stesso tetto per anni, per fare la moglie o il marito? Queste non sono solo cose che non funzionano, ma sono
insulti a Dio che è amore e alla gratuità. Tutta la comunità dovrebbe testimoniare
come persone che si amano gratuitamente, a tutti i livelli. Perché questo amore è presente senza
ricatti, senza violenze, senza possessi. Questo! E' la meta di ogni persona che ha come meta la propria
dignità e pienezza. Queste cose sono difficili da vivere in un ambiente dove il criterio è quello di
mercato. E se la persona non c'è, te la crei, rimbambendola bene, magari con il sesso, perché non
c'è niente che rimbambisca meglio del sesso, e cerchi di potertela modellare. E quando si parla di sesso, si
parla non di genitalità, ma di tutto ciò che compiace la persona. Questi giochi sono facilissimi, anche
a chi non è capace di fare niente. Non occorre essere grandi per fare questo. E il fine è quello di
avere la persona. E quindi la mantieni anche, sei così buono che la mantieni. Quante volte si fanno i
complimenti ad un uomo perché ha trovato una bella donna, è riuscito a piazzarsi un buon prodotto con
tre anni di garanzia, e così una donna che è riuscita a trovarsi un uomo potente, prestigioso, che ha
soldi, che ha trovato il merlo giusto. Io rendo il discorso verbalmente squallido, ma la realtà, spesso, lo
è molto, ma molto di più.
Risposta ad una domanda: Il problema spesso è il criterio del mio sguardo. Il criterio è che io vedo
l'altra persona in funzione mia. Non faccio un giudizio oggettivo. Io ho bisogni, mi piacciono delle cose, cerco la
persona che mi dia quelle cose. A me piace quella persona lì perché è in riferimento a me. La
scelta che sto facendo è in riferimento a me, al mio narcisismo. Soprattutto se sono abituato da 20 o 30 anni
a scegliere le cose in funzione "di me". Una persona così non crede, a volte, neanche che ci sia
un'alternativa! Il tarlo è essere abituati a fare le cose in funzione nostra; fai la stessa cosa al massimo
livello del creato che è la persona umana. E' chiaro che la scelta della persona è soggettiva. Ti trovi
meglio con lui o con lei, e mi va bene! Ma il problema è il criterio con cui ti scegli la persona.
L'obiettività sta nel fatto che vedo le cose come stanno, non se mi servono o no. Dobbiamo imparare a vedere
la realtà così come è.
Risposta ad una domanda: Come fai a capire che vuoi bene proprio a quella persona? Non c'è una ricetta, una
formula. Io so, però, che per avere garanzie che stai volendo bene e non vuoi possedere, bisogna che stai
facendo un cammino di crescita. Lo riconosci meglio. Bisogna che sei libero al punto da poter distinguere se è
un bisogno o è la verità. Ma come fai se non l'hai mai messo in questione? Se chiami amore ogni cosa
che senti? Bisogna fare questa igiene, questa pulizia, per vederlo. Dico: "Ti amo", ma ci ho messo 20 anni o 30 per
dirlo con la vita. E non è "quello che sento". C'è qualcosa a cui devi dire anche di no, non solo
perché aspetto l'occasione giusta, la pollastra giusta. Non "tener duro", finché, finché... No!
Interiorità per la quale impari a chiamare le cose con il loro nome. E' frutto di un impegno, non lo puoi
improvvisare l'amore! Aspetta a dire: "Ti amo!" ad una persona. Tanto più che è proprio ciò che
l'altro si aspetta. Che tu gli dica: "Ti amo!" E se non ce l'ha se lo inventa. Quindi non dobbiamo approfittare della
debolezza dell'altro.
Abbiamo già sfatato il mito della persona perfetta. L'altro mito da sfatare è quello
della ricerca della persona giusta, l'anima gemella. Sentiamo spesso ragionare così: "Io sono disposto a
dichiarare che quella persona ha dei limiti, non è perfetta". E questo è già un passo in
più. Ma è un passo fasullo, perché siamo ancora allo stesso livello: io non voglio la persona
perfetta, che non sbagli mai, però sto cercando la persona giusta, quella persona che da la risposta totale e
definitiva ai miei bisogni. Sto ancora cercando quella persona che una volta avuta, io poi non abbia più
grosse esigenze. Per grosse esigenze intendiamo quelle che mettono angoscia, ansia, instabilità, inquietudine.
Quella persona con la quale posso mettermi la testa, il cuore, ma soprattutto il corpo in pace. Questa persona giusta
deve essere ad incastro con la mia.realtà, deve riempire i miei vuoti, e io con lei. Ma soprattutto è
l'altra persona che deve riempire i miei vuoti. E allora si parte alla ricerca della persona giusta, che saturi
definitivamente il mio desiderio. Allora si inizia un cammino di coppia, spesso di matrimonio, dove la mia
aspettativa è enorme: all'altro io non sto chiedendo solamente che sia il mio fidanzato, mio marito, fidanzata
o moglie, ma io chiedo che sia il mio tutto. La mia aspettativa è che sia il mio tutto. E se nella vita a me
capita di fare anche dell'altro è perché è inevitabile. Perché io con quella persona
starei notte e giorno, continuamente, e non mi mancherebbe nient'altro. Il mio tutto. Naturalmente due cuori e una
capanna nel nostro nido una casa, un posto, un gettito di soldi. Il mio ideale è quella persona
che abbia quelle determinate caratteristiche, perché riesca ad essere il mio tutto. Succede che dopo qualche
tempo si scopre che quella persona non è il mio tutto. Non solo si scopre che ha dei difetti, ma si scopre una
cosa fondamentale nella vita: che il desiderio non è per niente saturato. E questo in persone che non hanno
mai avuto altro che desideri materiali. Si accorgerà che non gli basta una donna, che avrà bisogno di
altre. Di altre esperienze. E alla donna non magari di altri uomini, ma magari di altri vestiti, di altre case,
esperienze, cose. E c'è la delusione che l'altro non abbia saturato il tutto: ma come, non sono felice, non
sono soddisfatto, ho sposato questa persona eppure c'è ancora qualcosa che mi manca? Perché quella
persona non ha saturato tutta la mia aspettativa e tutto il mio desiderio? Com'è che sono ancora lì che
cerco di rifarmi sul lavoro, con gli altri rapporti. O magari le donne che si rifanno con i figli: non vanno magari a
cercare un altro marito, ma fanno coppia con il figlio e sostituiscono il padre. Perché questa
insoddisfazione? Ha avuto la persona che pensavi potesse essere il tuo tutto! E perché questa ricerca e
insoddisfazione continua? Molti si danno una risposta quelli che se la danno, molti neanche la cercano!
che è una brutta risposta: è perché la carne è debole. Un uomo non basta mai ad una donna
sola, la donna è instabile, si dà la colpa ad una struttura biologica o psicologica, o ad un peccato,
che pure è presente. Ma non è questo il punto. Il punto è la domanda. E' la domanda che è
sbagliata. Nessuna persona al mondo, proprio nessuna, dal passato fino ad oggi e anche al futuro, nessuna persona
potrà mai essere il tuo tutto. Mai! E sia ringraziato il cielo che è così! E se tu ti aspetti
che quella persona possa saturare ogni tua aspettativa e tensione, per cui avere quella persona significa aver
risolto il desiderio della tua vita, aver trovato la pace, sappi che vai incontro ad una delusione tremenda, che
pagherai con grosse delusioni. Che non chiamerai magari delusioni in quel senso. Darai altri nomi, camufferai. Ma
è perché sei partito malamente. Non hai cercato il compagno o la compagna della tua vita, ma hai
cercato in lei o lui il tutto della vita. Quella poverina o poverino magari si è anche sforzato di essere il
tutto, di piacerti in tutto, di arrivare a tutto, di modificarsi in tutto, massacrandosi. Ma non ce la fa, e nessuno
ce la può fare. E allora stiamo attenti su questa ricerca della persona giusta, della persona gemella, che fa
per me, che non ci sia dietro questo desiderio di trovare in un colpo solo la risposta per tutto. Ed è facile,
che io, in età giovanile perché sembra in una struttura non di crescita, che la realtà
più forte ed importante sia quella di avere la ragazzina o il ragazzino punti tutto su quello. Quando
c'è quello basta, è risolto il problema del desiderio, della felicità. Come contorno, certo, ci
metti un po' di lavoro, un po' di amici, ma il piatto forte, l'arrosto è quello! Allora altro punto a cui
bisogna arrivare per evitare un rapporto di possesso o di attese reciproche sbagliate spezzare, dicevamo, la
logica del possesso, dell'avere, la logica della perfezione oggi diciamo che occorre spezzare l'incantesimo
della ricerca del tutto in uno. Non esiste; solo Dio ha questa caratteristica! Un cristiano fa un doppio peccato, uno
contro la sua dignità di uomo, e contro Dio perché ci mette persone al suo posto. E siccome noi Dio non
lo sappiamo riprodurre, rischiamo di fare degli idoli, a volte molto pacchiani, ridicoli. C'è gente che passa
tutta la vita in venerazione di qualcun altro, e li vedete sono di un triste tremendo. Addirittura ci
sono persone che passano la vita in venerazione del proprio cane o gatto, ma così succede anche con le
persone. Con le persone è meno eclatante, ma è sempre una delusione, un fallimento, mai ammesso. Gli
idoli hanno la caratteristica di non saziarsi mai di sacrifici. Le persone si faranno in mille pezzi per accontentare
l'idolo, ma si capirà.che non basterà mai, in un meccanismo che va' all'infinito. Bisogna allora anche
che io accetti che l'altro abbia dei limiti e sia in un cammino di crescita, ma anche che il mio desiderio non sia
saturato da un'unica persona, e che mi rimanga il desiderio, ma non solo verso altri partner, ma nei confronti della
vita, anzi che la coppia ben riuscita è quella in cui questo desiderio si intensifica sempre di più, e
si rinnova continuamente. Non solo il desiderio dell'altra persona, che deve continuamente rinnovarsi, ma anche della
vita, di tutto l'altro, di tutto il resto che la vita ti offre e di cui tu hai bisogno, almeno quanto hai bisogno di
quella donna o di quell'uomo. Allora caratteristica del rapporto di coppia sarà anche la durata nel tempo, il
quale non è chiamato a logorare il rapporto, perché scopri che il tutto non funziona più nel
concreto feriale vivere, ma invece c'è bisogno che io scopra sempre di più la realtà dell'altro,
il suo limite, il fatto che non può essere il mio tutto, né quello di nessun altro. E neanche io posso
essere il tutto di nessun altro vedete le gelosie dei genitori nei confronti dei figli, come se io o tu fossi
il tutto, e non ci deve essere altro; genitori che passano la vita a vedere chi servi per primo, se gli dai la coscia
o il petto, al figlio e non a lui. Questi non sono segni folkloristici, ma segni concreti di una immaturità di
vita. Io allora devo rinunciare all'identificare la vita con una persona, o che l'altro la identifichi con me: tutta
la vita è necessaria, in tutti i suoi aspetti, grandezza, rapporti. C'è la fatica di scegliere l'altra
persona continuamente, anche tutte quelle volte che faccio l'esperienza che è una parte della mia vita,
importante, significativa, ma sempre una parte del mio vivere e desiderare. Ed è bella proprio perché
è una parte, e non la tratterò come un idolo, e non mi aspetterò che faccia le magie, che quando
sto male sia lei a farmi stare bene, come quando si andava dalla mamma. O quando ho problemi e difficoltà sia
lui a risolverle, e quando non lo fa non mi ama. Non mi fa difficoltà vederlo come una parte della vita,
limitata, che continuamente ha un desiderio più grande. Non ti sconcerta il fatto che anche tu non gli basti,
che non è lì impacchettato e rimbambito dal tuo amore che non sente nessun altro, che non abbia
più stimoli per nessun altro, non solo persone, ma anche interessi e cose. "Ci sono io, cosa cerchi ancora?
Perché non sei felice, non sei soddisfatto?" Accetto allora che l'altro sia profondamente se stesso, con i
suoi limiti, con le risposte che sa dare ai miei desideri, spesso maldestre, imperfette, mal poste. Ma io non ho
deciso di condividere la vita con lui, perché mi dà le risposte giuste al momento giusto e allora sto
in pace, perché finalmente ho le risposte alle mie ansie e ai miei bisogni. Ho deciso perché proprio
conosciuto così come è e va conosciuto così come è io ho deciso di amarlo.
Perché io ho bisogno di amare qualcuno come uomo, non perché è la sintesi di tutte le risposte,
ma al di là delle risposte che mi può dare. E le risposte le cercherò anche da altri, dagli
amici, dalla natura, dal lavoro, dall'impegno sociale, da Dio, da tutto, compresa quella persona, che però non
è la fonte della mia salvezza. Occorre notare che così facendo massacriamo quella persona che ci sta
accanto, perché quel poverino o poverina che ci sta accanto penserà che sia l'unico modo di dimostrarti
che ti ama, di essere la saturazione di ogni tuo desiderio. E siccome questo non è possibile a nessuna
creatura, tu sarai sempre lì a torturare quella persona e lei a torturare se stessa, per capire dove ha
sbagliato, perché sei insoddisfatto, non stai bene, non ti basta. Oppure cercherai di dargli tutto quello che
gli manca. Esempio delle coppie che non hanno figli e che non hanno mai tempo per fare qualcosa, che ti dicono che
non hanno tempo neanche per la messa perché hanno già il marito o la moglie. Poi se arriva mezzo
figlio... Io ho il mio idolo, e devo essere sempre lì. Così poi con il figlio, sempre pronto a
soddisfare ogni suo desiderio.
Risposta ad una domanda: E' complesso amare. E' complesso anche imparare a decidere. Ma se non hai mai deciso niente
prima! Queste illusioni della persona perfetta nn te le togli in 2 incontri o in 3 mesi, ma in una storia di rapporti
per anni. La persona matura per un rapporto di coppia è quella persona capace di togliersi questi miti dalla
testa. E' questo il motivo di tante separazioni: questi miti. Non "l'amore c'è o non c'è". Questi sono
gli sbalzi ormonali, i capricci. Prima violeva il giocattolo, ora vuole la persona. Imparare a decidere è
uguale a libertà, forza di volontà, forza di rinuncia, capacità di giudizio. Non le si hanno
così, senza preparazione, queste libertà. Non basta un pizzico di bontà, serve un cammino.
La delusione è una aspettativa mancata. Mi aspetto dall'altra persona che sia fatta in un certo modo. Mi delude che il suo comportamento mi indichi che la sua personalità non sia come me la attendevo io, o come pensavo che fosse, o di cui mi sono innamorato. E' un meccanismo in cui dovremo passare tutti. C'è una delusione che nasce da una incapacità di lettura della realtà e da una sua interpretazione errata, ma ce n'è un'altra invece che fa parte dello sviluppo della persona. Il bambino è in una situazione tale che si può e si deve permettere delle illusioni. La più grossa di tutte riguarda i genitori. Egli si costruisce un'immagine del padre e della madre che non sono affatto reali. Ed è bene che sia così! Perché se il bambino, a due, tre, sei anni, avesse una visione reale dei genitori non la sopporterebbe. Il bambino ha bisogno di sperare nel futuro, perché i suoi genitori sono perfetti, sono sicuri, e perché la sua vita, anche fisica, dipende dalla perfezione dell'amore dei suoi genitori. E non può pensar male di quello, ma non perché è dotato di un grande amore per i genitori, ma perché il pensar bene dei suoi genitori gli è necessario per vivere, per andare avanti, è fisiologico, funzionale. Ha bisogno di credere questo e ci metterà anni a volte non ci riuscirà nemmeno a ridimensionare l'immagine dei propri genitori, ma non perché è così devoto ai suoi genitori queste sono illusioni che i genitori si fanno ma perché è funzionale a se stesso. Lui ha bisogno che i genitori siano così. Ma non perché gli vuol bene, che è invece amare la persona nella sua dimensione reale, non secondo il proprio bisogno, il quale detta un filtro attraverso il quale tu fai passare le persone. Allora il bambino si crea un'illusione dei genitori, di se stesso, delle persone, una sensazione delle persone che non corrisponde al vero. La vita, che va avanti, farà in modo, nel suo svolgersi, con le sue prove, verifiche, difficoltà, farà in modo di toglierti questa illusione. E le persone ci devono deludere. I genitori ci devono deludere. E più è alta la idealizzazione e più sarà tremenda la delusione. Ci si trova davanti a delle persone alle quali se fai notare un difettuccio dei loro genitori, o del proprio figlio, o del proprio fidanzato, sta certo che ce l'hai nemica. perché la hanno idealizzata. "Non ha neanche una piccolo cosa", e non puoi fargli notare che in quella situazione è stato un po' sporchetto. "Ma neanche per sogno!" E farai passare questo come vero amore di figlio: un cavolo! Perché lo stai facendo per te, per salvaguardarti da una tua crisi, da un tuo ridimensionamento, da una tua delusione. E' della tua sofferenza che hai paura, e non del ridimensionamento e del sacrilegio che fai della figura paterna o materna. Certo che queste cose le abbiamo rivestite molto bene di devozione filiale, di obbedienza parentale, di legame familiare, di legame di sangue, sul quale non ho problemi ad accanirmi perché non è quello l'amore per i genitori. Il genitore, e poi le altre figure, è la figura che devi riuscire ad amare da adulto, e ci vogliono anni e anni, anche quando non ne hai più bisogno, ma non solo materiale, ma come figura interiore. E il momento dell'amore deve essere gratuito e libero: che amore è se ti nasce da gratitudine stretta, di quella che non puoi rifiutare, di quella rinfacciata continuamente, di quella ricattata continuamente. Si deve avere così stima dei genitori da desiderare che siano amati di un'amore pieno, maturo, libero, non da bambini. La figura del genitore deve passare attraverso la decantazione di tutto, per cui comincio a vederne i difetti. C'è un tipico atteggiamento del maschietto che deve pensare che suo padre sia forte, e di molti padri che non si possono far vedere, ad esempio, piangere dai figli, perché anche nella sua idealizzazione il padre non piange mai. E un padre non ti verrà mai a dire: "Fammi una carezza, dimmi che mi vuoi bene, fammi un regalo, abbracciami, dammi un bacio". Questo un padre non lo può fare assolutamente, perché è quella figura di padre che ci tramandiamo di padre in figlio. Non lo permette! Io ho bisogno di cominciare a scoprire che mio padre non è così forte come io lo desidero. Magari lui non lo desidera nemmeno apparire cosi, ma sono io che da bambino ho bisogno di sapere che mio padre è forte, per poter affrontare il buio della vita, la fatica di crescere, la paura dei rapporti. Ho bisogno di sapere che mio padre è forte, che ce l'ho dietro le spalle. E se non lo è, me lo invento, e mi va bene così. Ma poi ho bisogno, quando comincio ad aprire gli occhi e a strutturarmi.nella mia realtà e posso affrontare la realtà con un tasso sempre maggiore di verità, allora comincio a vedere che mio padre non è poi così forte, che anche lui ha giocato a nascondino con la vita, che anche lui ha sbagliato, che a volte non è sincero, che ha dei momenti di debolezza, scopro cioè che mio padre, mia madre, sono fatti di carne, sono segnati dal peccato, hanno bisogno di essere redenti da Gesù Cristo. Grande scoperta: scopro che anche loro hanno bisogno di crescere. E sono shock notevoli, che non tutti sono disposti a vivere e sopportare. Molti ci rinunciano e preferiscono mantenere l'immagine fino alla fine, ma ripeto, si ha tanta comprensione per queste persone. Ma non devono venire a dirti che il loro è il vero amore per i genitori, perché questa è una sporca bugia. Questo lavoro di ridimensionamento, di delusione, lo si deve fare prima con i genitori, e poi con gli amici. Quanti amici, soprattutto nell'adolescenza, quando si parte, almeno nei soggetti più sani e meno disturbati, all'arrembaggio con i rapporti, con le amicizie, con le compagnie, ti deludono! Quante delusioni, bruciature, e, spesso, gli adulti sono pronti ad accamparle queste bruciature per ampliare il nostro scetticismo nei confronti dell'amicizia. "Vedi, ti fregano tutti! Tu credi di aver trovato l'amico..." Gli amici ti deludono, e ben venga che gli amici ti deludono, perché così ti insegnano ad amare. Perché se tu aspetti ad amare soltanto chi ne ha il merito, solo chi ne ha la perfezione, solo chi corrisponde e non ti delude mai vedremo poi però di quale delusione allora resterai sempre solo, diabolicamente solo. Allora come avviene questa delusione con gli amici, deve avvenire anche con il grande amore. Non ho ancora trovato una coppia che non mi abbia confermato questo dato: che una volta sposati le cose cambiano. Non mi meraviglia, e spesso è anche giusto. Quante donne o uomini dicono: "Non è la persona che ho sposato". Quante delusioni! Delusioni che a volte portano a giustificare il non amore, e in altri casi invece divengono stimolo alla continuazione dell'amore. L'essere umano in queste cose è destinato ad una delusione dopo l'altra, che ti porta ad una convinzione o scoperta, che nessuno è Dio, neanche quella persona che il tuo amore vorrebbe vedere come Dio a questo serve la delusione e che l'amore non va dato a chi se lo merita, ma che l'amore come tale, proprio perché è gratuito, libero, fedele, costante, continua anche se l'altro continua a deluderti.. La delusione quindi servirà a dirti che nessuno è Dio nella tua vita nessuno, dicevamo l'altra volta, è il tutto. Se te lo metti in testa sarai deluso: benissimo, è tutta salute! E guai se non fosse così. In secondo luogo ti dice che tu non sei Dio, tu non sei il centro della vita del mondo, non sei perfetto, tu non te ne stai seduto in trono e fai passare le persone davanti e dal tuo trono le giudichi a seconda di come sono o non sono, di che prestazioni ti fanno, di che dono ti hanno portato, di come hanno corrisposto ai tuoi comandi. Non sei tu così al di sopra di tutto e di tutti perché ti arroghi il diritto di giudicare. E di volta in volta doni la tua accondiscendenza a seconda di chi se lo merita, se lo è meritato, di chi ti ha conquistato! E guardate che su quel trono lì abbiamo tentato tutti di andarci. C'è poi chi ci rimane, chi ci cade, chi è contento di riconquistarlo tutte le volte. La delusione ti fa capire che se stai seduto sul trono giudicando, e aspetti la persona che ti meriti che si può meritare un Dio come te! se aspetti le persone che non ti deluderanno mai, sta certo che resterai solo, di quella solitudine di cui si muore, a cui non ti si può strappare, in un conflitto e lotta che non farà che aggiungere sofferenza a sofferenza, che tu chiamerai con altri nomi, ma che la tua carne registrerà come sofferenza. La delusione è elemento inevitabile della vita, ma può portare a un cuore chiuso o a un avere capacità di amore. I difetti degli altri, i limiti degli altri, la fatica dei rapporti, la difficoltà, il peso, le delusioni, ti portano ad un amore non più narcisistico, ad un amore non più infantile, ti convincono a ridimensionare tutto, e per primo te stesso. E capirai cosa è la condivisione, la comunione con l'altro, quella reale, quella che ti fa gioire di sentirti pasticcione con i pasticcioni, e non perché nasconde il tuo pasticcio o l'imperfezione dell'altro, ma proprio perché ci sei dentro anche tu, non sopra sul trono, ma dentro anche tu con gli altri, e proprio perché ci sei dentro riesci ad amarli, nonostante il tuo e il suo pasticcio, puoi amarli, perché hai capito che è la cosa che vale più la pena di vivere, nonostante il tuo limite, e capisci che la cosa ti viene resa possibile proprio perché Dio è amore, perché esiste una grazia, non le tue capacità, perché esiste una.salvezza che fa in modo, che pur restando dentro al pasticcio Dio non te lo toglie che stando dentro a questo, tu riesci ad amare. Succede questo miracolo, questa grazia, ma non perché tu sei perfetto e hai trovato la persona giusta, ma perché il tuo cuore, dentro e nonostante tutto questo, il tuo cuore diventa capace di amare. E gli altri continueranno a deluderti, su tante cose, piccole o grandi, continueranno a deluderti, e sarà una fatica continua. E questa non è una prospettiva negativa o pessimista, è reale! Ti aspetterai che quella cosa l'ha capita, dopo che gliel'hai spiegata per anni, dopo che gli hai fatto capire quanto ti fa soffrire quella piccola cosetta siamo fatti di piccole cosette: la camicia devi appenderla e non metterla sul letto! Concludendo, ciò in cui veramente bisogna che l'altro non deluda è nella sua scelta e volontà di amarti. Questa è la delusione che uccide. Le altre fanno vivere, ti fanno diventare più grande, le altre ti riconducono all'essenziale. La vera delusione che uccide è quando scopri non che tuo padre o tua madre hanno dei difetti, ma che non ti amano, anche se ti hanno messo al mondo e cresciuto. Oppure un genitore quando scopre non tanto che suo figlio e tanti soffrono per questo non è come loro l'avevano programmato o immaginato, ma quando scopri che tuo figlio non ti ama, che tra te e lui non c'è amore. Questa è la vera delusione. Possiamo arrivare a dei livelli che non ci importa se l'altro ci ama o no, basta che corrisponda alla nostra aspettativa. Anche fra fidanzati: importante è che la mia ragazza o ragazzo si comporti così, allora mi ama! Se no, allora, è una rimbambita. Esempio del genitore per il quale il più grosso problema è che il figlio abbia fatto scelte diverse da quelle che si aspettava. Non importa se fra i due c'è amore, se se lo sono mai detto, o perché lo si dà per scontato, quasi facesse parte del bagaglio genetico, o perché è questione troppo pericolosa da tirare fuori, ma importa se quello ti delude o no. Ti dice: "Se fosse stato sempre con me, non si sarebbe rovinato. E' buono, ma mi delude". Le delusioni invece sono spesso fonte di salvezza perché mettono in evidenza la gratuità dell'amore presente o la chiamata a crescere in un amore che sia veramente tale. La questione infatti è sempre quella dell'amore.
N.B. Poiché l'undicesimo incontro, quello sulla sessualità nella coppia,
rimandava esplicitamente come sua premessa ad un incontro tenuto tempo prima ad un corso per animatori di gruppi
giovanili, lo riportiamo qui per comodità e per completezza.
La sessualità fa problema. Ha sempre fatto problema. Sembrava, dopo la rivoluzione sessuale, che il problema
dovesse sparire con l'informazione, con la conoscenza, con l'uso igienico! Anche per voi la sessualità
è un problema e così per i ragazzi che educate. Allora: se è un problema, bisogna guardarlo bene
in faccia.
La sessualità: non è un problema perché è legata al corpo! Ma perché è
legata alla testa (e non perché esiste un istinto sessuale, che, invece, non esiste!). E' la testa il vero
organo sessuale. E la testa è complicata e la si può usare in modo penalizzante. La sessualità
esplode dentro (e pensiamo all'aspetto fisiologico, gli enzimi, gli ormoni, come se questo corpo fosse altro da te!).
Esplode dentro perché esplode un bisogno psicologico, direi spirituale, mentale, della persona. La
sessualità è il vestito dell'altro grande bisogno, che è quello dell'amore. E' un vestito
indossato dall'aspetto più importante che è l'amore. La sessualità, anche vissuta nel peggiore
dei modi, invoca, richiama l'amore. Avete detto che la sessualità è negativa quando è vissuta
come non linguaggio, non apertura, quando non trasmette più niente, almeno coscientemente, gioiosamente. E'
una "parola", evoca sempre un contenuto. La sessualità è un problema perché l'uomo è un
problema nelle sue cose più alte, il bisogno d'amore. Già si vede che la morte della sessualità
è il ripiegarsi su se stessi, sul narcisismo. Rinsecchisce e muore, diventa muta e cieca. Ne avete parlato
anche come di una dimensione essenziale della vita. Guardate che non è per niente scontato questo. Deve
divenire educazione. Non va né buttata via, né nascosta, né far finta che non ci sia, né
esagerata. Non c'è uomo che non l'abbia. Ogni cellula ha la caratteristica maschile o
femminile[1]. Eppure.noi pensiamo la sessualità come un
aggiunta. C'è una macchina e dietro c'è agganciato un carrello. Se ne tiene conto, abitualmente, per
alcune parti, come se non coinvolgesse tutta la persona. Ad esempio, a livello educativo, non si fanno mai
distinzione ragazzi/ragazze. E' assurdo! Il mito dell'uguaglianza. Guai a dire: ragazzi e ragazze! In secondo
luogo, la sessualità ti indica l'altro, una realtà oltre te stesso. Qualcosa che ti porta fuori da
te. Tenta di superarti, cerca di fare, tramite la sessualità, un dono per l'altro. Questo è vero
anche nelle forme peggiori, più maldestre. Cerca di fare un dono per gli altri. Non ci scandalizziamo che
è un problema, ma sappiamo che il problema non è nel corpo. Non ci scandalizziamo che è
dappertutto. Se la vivi consumandola nel tuo piccolo mondo, non stai vivendo la sessualità. Essa ti provoca
ad uscire, a fare della tua vita un dono. Vediamo ora alcuni aspetti.
1) La sessualità è una realtà evolutiva. Bisogna disintossicarsi dall'idea di una funzione che
l'uomo ha. Non è una realtà compiuta, che ci viene data, come se, quindi, la finalità educativa
fosse gestirla bene, con buone regole. Te la trovi dentro, ma nella prospettiva di una maturazione e compimento. La
sessualità sei te stesso. Per essa e con essa si fanno cose diversissime (questo lo si è sempre
pensato). Oggi si è capita una cosa centralissima: "di" essa, della sessualità, si fanno cose
diversissime., cioè è oggetto di crescita o di deformazione. Il problema, cioè, non è
solo cosa fai con essa, ma è piuttosto come un compito che ti è stato dato: La stai facendo maturare o
la vedi solo come un inciampo, o come l'aspetto meno impegnativo (hai quello che hai) o come la cosa divertente? Non
è una bomba fra le mani! Devi veramente prenderla in considerazione. Non puoi congelarla. Soprattutto non
è la parte istintiva di te: queste sono balle! E' la tua umanità chiamata ad essere una persona matura,
anche in questo, soprattutto in questo. E proprio lì ho bisogno di una maturità, di una
serenità. La tua dimensione psichica (la sessualità) è legata all'educazione, ma non per
castrarla, non per mettergli le briglie. Piuttosto perché sia pienamente se stessa. Noi cristiani siamo quelli
che ne parlano nel migliore dei modi. E' l'abito dell'amore. Un compito, una vocazione, non di quanto so tenerla a
bada, ma di quanto la porto a pienezza. Sarò responsabile. Se sono narcisista, la vivrò così.
L'uso sbagliato non è innanzitutto una trasgressione morale, è una omissione di crescita. Di quella
chance che mi è stata data per essere più uomo, per aprirmi, per essere attirato dall'amore, cosa ne ho
fatto? E' veramente l'occasione non l'unica, ma certo importante per diventare uomini, per essere
comunicazione, dono, linguaggio, comunione. Mi piace pensarla come quell'inquietudine che non permette neanche al tuo
corpo di chiudersi. Benedetto quel corpo che ti ricorda che non sei fatto per te, ma per gli altri, che non ti fa
dormire, che sveglia l'adolescente dopo il cosiddetto periodo di latenza. E' così fondamentale che lo sente
anche la mia carne. Perfino la sua ipofisi gli parla dell'altro! Perciò l'adolescenza non è
l'età in cui rimbambirli TV, sport e distrazione. E' della "nostra" adolescenza, dell'adolescenza di
quelli già avanti negli anni, che abbiamo paura! La sessualità ha bisogno di un intervento educativo.
Ma non per ritardare o per far emergere il più tardi possibile. Noi nasciamo con la sessualità! La
abbiamo al momento del concepimento! Il passaggio fondamentale è quello di lasciare una sessualità
infantile e non dipende dall'età, spesso c'è negli adulti una sessualità
pregenitale che la psicologia chiama pervertita e polimorfa non è ancora orientata, è
confusiva immatura, incapace di essere se stessa. Essa segue il "principio del piacere"[2] in maniera cieca, subdola. Non sa uscirne. Serve per non comunicare, per riempire la
propria solitudine, per colmare la propria mancanza di cuore. Per cui conta la quantità, non la
qualità. Più ne provi, più diventi incapace di capire la vita e gli altri. Manca il suo
obiettivo, è fallita, è fortemente narcisista. Invece deve diventare adulta, genitale[3], cioè avere come principio il "principio di realtà". Cerca il
rapporto come essenziale, cerca il contenuto del linguaggio. Cerca l'amore perché solo questo può dare
senso e bellezza.
2) La morale sessuale ha una dimensione educativa. Non lotta contro le pulsioni, il desiderio, la fantasia. Invece,
le scelte devono essere luogo di educazione per far crescere l'apertura alla vita (la fecondità in.senso
ampio), la creatività (che non è fatta dai giochetti, ma da un'anima interiore), la capacità di
comunicare, l'amore detto con la sessualità. Sono realtà che si costruiscono gradualmente. E' tutto
nello sforzo di essere cresciuto, è nell'impegno a crescere come persona. Non esiste una educazione sessuale,
esiste una educazione, punto! Non è neanche il problema di sentimenti o di una collocazione matrimoniale. I
valori li deve scoprire tutta la persona. Come gli puoi dire: "Per i rapporti aspetta il matrimonio, aspetta ad amare
veramente", se quello conosce solo l'amore di coppia cosiddetto se ama in maniera narcisistica, se fa uso
narcisistico dell'altro, non conosce il servizio, non sa cos'è l'ascolto, non sa cos'è la dimensione
che l'altro esiste? Allora è importante capire che tu educhi scegliendo determinate cose. Una piccola pienezza
è il presupposto di una pienezza più grande. Le scelte sono morali non perché c'è il
giudizio di Dio, ma perché lì ti giochi la tua crescita. Il problema non è tanto vedere i gesti
sessuali come una trasgressione e poi si dice: "Mi è scappato e ti chiedo scusa". La sessualità
la aiuti non tanto parlando sempre di sessualità, ma mostrandogli il piacere di crescere come persona. Non
stiamo alterando l'uomo. Stiamo seguendo la sua vera traccia. C'è piuttosto una sessualità immatura che
va per il suo verso e mi illudo che risolvo parlandogli di volontà. E c'è una sessualità
che matura che è, invece, un aiuto per la crescita, per l'amore.
3) Il problema della gradualità. E' il problema del confine fra il bene e il male che esiste, certo che
esiste! Esso è nella concretezza della persona, non nei libri o nella testa. Devo aver presente il valore, con
tutte le sue esigenze, ma adeguato alla persona. Non come strategia, ma come fedeltà al valore che è
sempre la persona. Dio non ha dato Gesù Cristo per i valori, ma per la persona. Non c'è nulla al mondo
che vale più della persona. Vivo in una situazione concreta che ha dei limiti reali; sono lì per
superarli, per superare me stesso. Non nel senso di essere fine a se stessi, ma nel senso di diventare veramente un
dono. Devo enunciare le severe esigenze oggettive della morale, cioè non delle regole, ma dell'uomo. Dio pensa
all'uomo e sa che è fatto per amare. E' un esigenza grande e ti sarà chiesto sempre di più. Stai
morendo e ti sarà chiesto di morire per amore. Non si gioca con le esigenze di Dio, proprio per essere fedeli
all'uomo. Il primo bisogno, di quel ragazzo, il più grande è di essere secondo il disegno di Dio.
4) La globalità dell'educazione all'amore. L'amore, che è il vero significato e contenuto, non cresce
se non cresce la persona. Allora: far crescere la persona, soprattutto nella consapevolezza della libertà.
C'è gente che rispetta un codice morale, alla lettera, e non cresce mai! Invece se tu agisci moralmente, tu
cresci! Non sei meno uomo o meno donna, ma stai costruendo te stesso. Non serve rispettare qualcosa se non ti viene
dal tuo cuore, dalla tua libertà, dal luogo dove dai del "tu" a Dio. Deve essere mio quel valore. Quel poco
che è mio vale molto di più del tutto che non è mio! Se qualcuno lo fa perché
terrorizzato, addestrato, lì non c'è niente di morale. Dobbiamo chiedere al ragazzino qualcosa che
è suo. Detto da lui. Non gente intruppata, preoccupata solo che le cose si dicano e si facciano. Fallo
crescere, fallo diventare libero, dagli la consapevolezza, il gusto di essere se stesso, di pensare alla sua vita.
Lì è un uomo e non è parlandogli della volontà che lo cambi! E allora,
concretamente, che fare? Il problema non è insegnare a gestire bene il corpo. Bisogna insegnare ad amare. Per
prima cosa creare un ambiente d'amore, superare le forme di aggressività, di repressione, insegnare la
capacità di ascoltare, di accoglienza, di riconoscimento dell'altro e del suo bisogno di servire. Insegnare a
risolvere le tensioni comunicando, non con musi e con botte. Si educa alla sessualità, educando alla
comunicazione. Educando alla capacità di rinunciare, andando oltre se stessi. Superare ogni ambiente dove il
criterio è la contesa, il narcisismo, l'indifferenza. Togliere l'indifferenza fra le persone (gente che vive
solo per il proprio bisogno). Questo se abbiamo capito che la sessualità è nella testa. Chi non
è aperto agli altri, chi non si accorge degli altri, non vivrà mai bene la propria sessualità.
Amare l'altro! Ma guai se lo facessimo come un diversivo per non pensare ai genitali. E', invece, il modo più
godereccio per vivere la sessualità..Questo non lo puoi dire agli altri se non ne sei convinto tu! Solo se
viviamo in pienezza il nostro essere uomini sono veramente possibili il piacere e la sessualità.
Rifletteremo su quello che è il ruolo della sessualità nel rapporto di coppia.
Sembra una cosa scontata, ma scopriremo che è invece una cosa sulla quale si è riflettuto poco. Se ne
è sempre fatto un problema di carattere tecnico, cioè si è dato per scontato che nella coppia vi
sia una inevitabile e desiderabile gestione della sessualità, e si tratti solo di combinarsi bene. Sembra che
il problema sia quello lì. Ora sappiamo che il problema non è solo di carattere tecnico, ma abbiamo
bisogno di trovare dei fondamenti al discorso della sessualità di coppia, dei principi, che devono poi
illuminare tutte le necessarie articolazioni. Questi principi, secondo quanto diremo, sono tre. La sessualità
nella coppia ha una sua funzione, e noi cercheremo di descriverla partendo proprio dal suo funzionamento, cioè
da quale è l'aspetto che mette in evidenza e quale è l'obiettivo che cerca di raggiungere. Quindi
faremo una anali della situazione così come si presenta e riuscendo a capire in questa realtà i
principi, la verità di questa realtà.
1) Innanzitutto è evidente che la funzione prima che balza agli occhi è quella di relazione. La
sessualità spinge l'uomo e la donna a uscire da se stessi. Io sono convinto che buona parte degli adolescenti
resterebbero molto, ma molto più chiusi e già sono molto chiusi se non ci fosse questa
attrazione sessuale, questa differenza fra maschio e femmina, che mette paura, ma che mette anche tanto desiderio. E
quindi è questa dimensione che provoca una apertura o quanto meno fa patire una chiusura. E allora
l'adolescente si trova a provare emozioni, sentimenti, pulsioni, interessi che hanno una direzione precisa: l'altro o
l'altra. Quindi questa dimensione di relazione è fondamentale, e guai se non la si vede in questa direzione,
se essa non porta verso l'altro. Se la sessualità ha questa direzione, è chiaro che una
sessualità rivolta verso se stessi è una sessualità che manca del suo orientamento qui
è compreso il discorso della masturbazione, della sessualità maniacale e perversa, della
omosessualità che è una sessualità rivolta verso un altro se stesso o simile, il discorso di un
atteggiamento sessuale nei confronti degli oggetti, delle cose, delle situazioni. Quindi una sessualità che
non è relazione, che non spinge verso l'altro, non è solo una sessualità non matura, ma non
è una sessualità realizzata. Quindi uno dei criteri per la propria sanità anche in questa
dimensione è proprio il discorso di relazione. Dimensione sessuale che non va identificata con la dimensione
genitale, dimensione che coinvolge tutto l'essere dell'uomo e della donna, e soprattutto la testa, perché
è la testa il vero organo sessuale, non i genitali. Quindi c'è tutto un modo di pensare, di sentire, di
vivere, da uomo, da donna, ed è questo che caratterizza. Ciò che caratterizza quindi l'essere dell'uomo
e della donna deve caratterizzare anche un orientamento, una direzione. Nel momento in cui anche questa dimensione
sessuale, fondamentale e voluta da Dio, non solo non porta agli altri, ma addirittura favorisce una chiusura, un
ripiegamento più o meno masturbatorio, questa non compie più la sua funzione, rinnega se stessa.
2) Una seconda funzione è data proprio dalla sua funzione di piacere. Purtroppo è un punto a cui ci si
è arrivati nel nostro ambito piuttosto tardi, e affrontarlo fa ancora una certa difficoltà, ma è
indubbio che una seconda funzione è quella del piacere. Bisognerebbe dedicarci un corso. Facciamo alcune
considerazioni su cui torneremo. Questa dimensione del piacere, che è una dimensione fondamentale della vita
umana, è così fondamentale che facilmente porta ad una gestione complessa, ambigua, difficile. Come
tutte le cose grosse della nostra vita, non è di facile gestione. E' una di quelle dimensioni che non si
può liquidare facilmente con il lasciare che quella più presunta che reale istintività ti porta
ad essere. Il piacere non è un selvaggio lasciarsi andare: bisogna imparare anche a gustare il piacere. Ci
vuole educazione, formazione, ci vuole un cammino di crescita. Noi abbiamo impostato le cose in modo tale.che il
cammino di crescita fosse un attentato al piacere, così che per molti autori, anche in ambito psicoanalitico,
più sei civilizzato, più la dimensione del piacere è compromessa, cosa che non è affatto
vera, e lo ha dimostrato anche recentemente Franco Fornari nel libro Genitalità e cultura, dove dimostra che
è proprio necessaria una cultura per il godimento del piacere sessuale. Non un titolo di studio, ma una
cultura. Questo piacere non va quindi compreso come uno sbrigliamento soltanto, cioè che ci sia dentro una
carica, qualcosa da svegliare dentro e da lasciar andare. Non è così: questa è un altra di
quelle menzogne che racconta la nostra carne e il mondo che è l'istituzione della nostra carne. Il piacere
diventa una capacità di godere di ciò che è bello, e buono e piacevole. Ma anche questo diventa
una meta, un obiettivo. Quindi non si tratta, come si diceva dal sessantotto in poi, di togliere le inibizioni, ma di
dare una formazione. Non di togliere i tabù, le staccionate, le differenze, perché le persone che oggi
hanno 40 anni, quelle che hanno vissuto lo sbrigliamento, oggi spesso sono più complessate di quelle delle
generazioni precedenti, dati statistici alla mano. Ci sono i consultori, gli psicologi, che non sanno più dove
mettere i clienti: c'è un grosso incremento di problemi nella gestione della propria sessualità, dovuto
a tanti fattori, ma in buona parte anche allo sbrigliamento che sembrava la scoperta magica che avrebbe risolta
quella che doveva essere una libera azione sessuale. Quindi la sessualità per essere fruita, goduta, deve
avere un suo cammino, una sua formazione, una sua struttura. E gli argini non solo non le impediscono di essere
quello che deve essere, fonte di gratificazione e di piacere, ma ne sono la condizione. La sessualità di per
sé richiede un tracciato, un cammino, delle sponde, degli argini, delle indicazioni, degli orientamenti, una
crescita e formazione. Lo richiede di per sé, proprio perché è una delle cose grosse della vita
e come tutte le cose importanti e di valore e belle ha bisogno di essere educata e formata, ed è una cosa che
non si impara in tre giorni, e neanche in tre anni, ma è un lavorio di tutta una vita. Quindi anche la
fruizione della sessualità è una meta dell'età matura. Anche qui è da togliere quella
grande menzogna che l'adolescente è il più porcello e quello che ha più possibilità di
godere della sessualità sbrogliata, perché dopo si sposa, perde la carica fisica, comincia ad
invecchiare. Queste sono tutte grosse balle! L'adolescente è quello che ha più difficoltà nella
gestione della sessualità. E' che c'è gente che rimanendo al livello dell'adolescenza e non essendo mai
andato oltre, è convinto che il piacere sessuale sia quello lì e basta ripetere quello lì. E
allora si arriva alle situazioni parossistiche per cui bisogna aumentare la quantità e la ripetitività
o la varietà, perché non ha mai conosciuto a cosa può portare veramente la sessualità. Si
è fissato su quella dimensione adolescenziale, ed è convinto che sia quello lì il piacere e che
tutti abbiano piacere solo a quel livello. Poi ne vedrà parlare in giro i suoi compari, ne vedrà nei
film o su certe riviste e crederà che quello sia il rapporto sessuale fra uomo e donna. Convinto che chi si
impegna un po' di più perde tante cose, ed invece è vero esattamente il contrario. E' lui che vivendo
solo lo sbrigliamento e lo svaccamento, è lui che ci perde, e non solo nei termini di moralità, ma
soprattutto nei termini di godimento e di piacere. E' lui che ci perde! Chi veramente sa fare all'amore è la
persona adulta, matura, libera, la persona che si è formata nella capacità di gestire e vivere il
piacere. Gli altri fanno solamente due atti masturbatori simultanei e reciproci, ma non fanno l'amore. Ora il piacere
ha la caratteristica, come tutte le grandi cose della vita, di essere ambiguo, cioè si presta volentieri a due
eccessi:
a) Il primo, più diffuso di quanto non si creda, è il respingere il piacere sotto ogni forma. Gente
che crede, o per lo meno si atteggia, ad insensibile; si crea un sistema di difesa, di scivolamento di tutto, per cui
ciò che arriva scivola via. Queste persone, che spesso si rivestono di un carattere morale, coercitivo, si
sentono santi perché castrati. Si dichiarano insensibili e superiori, sono invece persone che hanno una grande
dose di superbia, e non rifiutano il piacere per un codice morale, ma lo rifiutano per non dichiarare la propria
dipendenza da qualcun altro. Sono così orgogliosi e superbi che non ammettono che il godimento del proprio
piacere è dipeso da un altra persona, perché questo è il gioco della sessualità, ed
è splendido: fa si che sia l'altro la fonte del tuo piacere, il rapporto con lui. Dire che il tuo piacere
dipende dall'altro, che c'è un rapporto di dipendenza,.questo no, c'è gente che non l'ammetterà
mai, ed è il motivo per cui ci sono alcuni che cercano il rapporto con le prostitute, perché
così è un rapporto meccanico, nascosto. Paghi una persona, per cui non ti senti dipendente
c'è tutto questo gioco. Oppure quelle donne sposate che si sottopongono al dovere coniugale, ubbidienti, ma ne
farebbero a meno. Il rifiuto del piacere nasce dalla difficoltà di svelare la propria dipendenza dall'altro. E
non una dipendenza di cose! Noi siamo disposti ad accettare che l'altro ci faccia da mangiare perché
devo vivere ma che l'altro sia elemento indispensabile al mio star bene, al mio essere felice, questo no.
C'è gente che passa tutta la vita a dimostrare a se stesso e agli altri che sa rendersi felice da solo, che
lui non ha bisogno, che è così onnipotente, divino, perfetto, che può rendersi felice da solo, e
fa di tutto la sua vita una enorme e stupidissima masturbazione. Si rifiuta il piacere anche per un altro motivo,
perché esso chiede la capacità di fidarsi. E' un po' sottile la questione e chiederebbe di entrare in
certi particolari che imbarazzano un poco, ma prendiamo il momento dell'orgasmo: si caratterizza come il momento
culmine per il fatto che la persona in quel momento perde la testa, e deve lasciarsi andare, fidandosi del partner.
Deve fidarsi del partner, e così di se stesso. Ci sono persone che passano la vita con la paura di perdere la
testa, di perdere il controllo, e non si lasceranno mai andare fino in fondo, perché non si fideranno mai di
nessuno, né di se stessi sono terribilmente insicure! Quelle persone che in fondo in fondo hanno paura
di impazzire, che la propria testa finisca per scoppiare, che esca chi sa quale mostro da se, e sono sempre
controllate. Non si fidano di se stesse perché non si conoscono e per altri motivi, e non si fidano
dell'altro. Quelle persone che dormono con un occhio aperto e l'altro chiuso, anche quando fanno l'amore. Si lasciano
un po' andare ma nello stesso tempo controllano cosa fa' l'altro, come si comporta e lo spiano. Vedete che
l'adolescente non è capace di fidarsi ne di sé ne degli altri. E come potrebbe far bene l'amore? Ci
vuole veramente una maturità non da poco, per giungere veramente a questo lasciarsi andare in modo libero,
intelligente, sano, che ti faccia crescere e star bene, non che aumenti semplicemente le tue voglie e le tue
frustrazioni e paure. Il piacere sessuale deve appagarti, non frustrarti, non eccitarti a diventare poi vittima di
ossessioni sessuali. Allora si può dire che devi accettare, per non rifiutare il piacere, devi accettare il
tuo limite, e che in quella dimensione c'è un limite, e che l'altro non è perfetto e che la situazione
non è perfetta. Quindi ti devi fidare con quel margine di rischio di inganno che c'è in tutti.
b) Il secondo tipo di eccesso è quello di una esagerazione, di una ricerca esagerata del proprio piacere.
C'è chi ne fa motivo della propria vita. Il piacere non può mai, in un essere umano, essere al primo
piano di una scala di valori, ma con un'attenzione particolare: che se lo metti al primo posto hai finito di goderne,
perché non è il suo posto, diventa un'ossessione, una schiavitù, una causa che ti rende
imbecille, ti toglie tutto il resto e ti penalizza. Uno potrebbe dire: "Tu al primo posto ci hai messo il gelato, io
al primo ci metto la genitalità, cosa mi rimproveri se io non credo a tutti gli altri discorsi che
cosa hai da rimproverarmi?" E invece ho qualcosa da dirti, che se tu metti al primo posto il piacere, lo perdi. Il
piacere è come quelle sostanze che hanno bisogno di quella determinata pressione e temperatura, e che, se
vanno oltre, si volatilizzano, diventano niente. E la sessualità ha bisogno di stare al suo posto, che non
è basso come molti pensano è alto ma non è il primo. Nel momento in cui tu sbagli di
posto, lo perdi. C'è tanta gente che pensa che se fa il porcello, vive pienamente la sessualità, si da
un gran da fare, e invece sono dei più castrati. Non hanno mai capito cosa è il piacere sessuale, ma
proprio mai. Una vera morale non ti chiederà mai di rinunciare alla tua sessualità, ma ti
chiederà di esprimerla, di realizzarla, di portarla a pienezza come Dio l'ha voluta. Quindi le persone che
esagerano, non nel senso quantitativo, perché gli danno una importanza spropositata, lo fanno perché
hanno bisogno di colmare una identità, persone che hanno costruito la propria identità a seconda delle
gratificazioni sessuali o piacevoli, stanno in piedi perché hanno quella risposta, e quando non c'è non
stanno in piedi perché non hanno sostanza, consistenza, Cercano di riempire quel cammino di crescita non fatto
come fa il bambino, con la ricerca di gratificazione e di piacere. C'è chi si rimpinza di dolci, o di mangiare
o di bere, o di altre cose. E' un tentativo di darsi una sostanza, una consistenza una.identità. Allora io
esisto perché i miei sensi sono continuamente stimolati, io esisto perché il mio stomaco è
continuamente pieno, esisto perché la mia area gastrica e orale è continuamente stimolata, o la mia
area genitale, o visiva. Io esisto perché i miei terminali sono continuamente stimolati e tenuti vivi. Io
esisto per quello. Sono i grandi traumi delle persone anziane o malate, che, perso quello, cadono nella più
profonda depressione e si sentono di non esistere più. L'identificare la propria esistenza e consistenza a
delle gratificazioni, ecco perché se ne ha bisogno in modo spropositato. La persona umana ha bisogno del suo
piacere, ma nella dose giusta, ma se gli manca tutto il resto ha bisogno di un ulteriore dosaggio. E' il meccanismo
che spesso porta anche alla droga. La capacità che la droga ha cerca di scimmiottare il piacere sessuale: se
chiedete ad un tossico di spiegarvi il piacere che prova, vi dirà che è simile al piacere di un
orgasmo. Nel vuoto si cerca di rispondere con qualche cosa che tu ritieni importante. E chi nella vita fin da
ragazzino non ha visto altro di importante che il sesso, o la gratificazione, è chiaro che nel vuoto
ricorrerà a quello e nessuno gli ha mai insegnato che va riempito diversamente, o lui non ha voluto mai
impararlo. Anche questo è un modo di non riuscire poi a godere.
3) La terza funzione della sessualità è la fecondità. E' stata sempre messa per prima. La
sessualità è questa via per donare la vita. Anche qui se fosse solo donare la vita genitalmente,
attraverso uno scambio di cromosomi, questo lo potremmo fare anche in provetta. Ma non è questo donare la
vita. Il dare la vita è una operazione di tutta la persona dei due partner, i quali devono essere dotati non
solo di una fecondità fisica, ma devono essere dotati di una fecondità spirituale intesa proprio come
dimensione interiore: gente capace di dare la vita. Non di produrre uno zigote o un ovulo fecondato, ma capaci di
dare la vita, che hanno raggiunto la capacità di donazione, che hanno vinto il proprio narcisismo non
eliminato, ma vinto perché delle tracce rimangono sempre, ma in modo che non sia prioritario. Deve essere una
persona capace di vincere il proprio essere un bambino viziato, la propria onnipotenza, tutte le cose già
dette. Allora diventa capace di dare la vita. Allora il bambino generato non deve essere un bene rifugio per la
coppia. Spesso il bambino diventa un bene rifugio per una coppia frustrata e in difficoltà, invece di essere
l'espressione di una felicità di coppia. Spesso viene preso come riempitivo di un vuoto, spesso è
frutto di un fallimento. Siccome l'altro non riempie il vuoto, allora si va alla ricerca del figlio. E siccome questo
funziona abbastanza soprattutto nella donna, l'uomo si riempie del lavoro, dei soldi, di presunta cultura, la donna
si fa il figlio. E nasce quel meccanismo per cui la coppia la si fa col figlio o la figlia, e si ha un motivo per
andare avanti. E nello stesso tempo si carica ed è uno dei meccanismi più mostruosi e aberranti,
ma è così diffuso si carica il figlio della responsabilità della felicità dei
genitori. Questo è un peccato tremendo di cui rispondere davanti a Dio. E il figlio, nella debolezza, si fa
carico di questo, e si torturerà la vita perché si sentirà responsabile di questa non
felicità dei genitori, che continuamente scaricano su di lui o lei il loro fallimento. Allora se esci di casa
e "mi lasci sola", se "vuoi più bene agli altri che a me", "non mi fai mai compagnia", "sono malata e non ci
sei mai". Ma quelle cose lì le deve dire a suo marito non a suo figlio, è lui che ha sposato, non suo
figlio o sua figlia. Occorre dirle queste cose, e finirla di torturare delle generazioni, di farle crescere
avvizzite, deformate e depravate, sessualmente depravate. E così viceversa, perché a volte è la
figlia o il figlio che ha bisogno di fare la coppia. Così non esce dal proprio guscio, così non va
fuori. Quindi non un figlio che deve rimediare a ciò che i genitori hanno sbagliato, o l'ultima spiaggia per
rimediare e far andare avanti la baracca. Non si fa così. Oppure per una questione di voglia. "Adesso ho
voglia di fare il figlio". Solito discorso, che, se si fosse Giove, altro che fulmini! "Adesso ci siamo sposati, ce
la godiamo un po' non dico cosa e poi quando ci verrà voglia, c'è la cameretta, il Chicco
completo, ci facciamo il figlio. Un bel figlio ce lo facciamo". E fatelo sto figlio, vi scoppiasse. "Prima ci
divertiamo un po'". Perché il figlio è una croce! Concludendo, tutto questo che si è detto
è veramente un cammino difficile, ma un cammino accessibile e possibile a tutti. E' ora che qualcuno ci provi,
soprattutto se cristiani. Si dice che mancano preti, ma è.vero altrettanto che c'è estremamente
bisogno, più ancora che di preti, di coppie che vivano bene il loro essere coppia. Nella dimensione sessuale,
affettiva, economica, culturale. Ma due persone che si amano, e si amano così tanto da dare la vita, ed avere
un figlio, due, tre, dodici, venti, quello che volete. Non è il numero che deve spaventare. E' il resto.
Allora bisogna che siano due persone che siano veramente mature da potere veramente godere di quella realtà
che il Signore gli dona. Non due bambini che giocano all'amore o al sesso, o al "facciamo coppia" o "facciamo un
bambino". Per fare questo c'è bisogno di un lungo cammino di preparazione.
Facciamo questo incontro per due ragioni:
1) Quando abbiamo cercato di spiegare che una delle funzioni principali della sessualità
è quella del piacere, abbiamo cercato di richiamare alla memoria le definizioni di piacere viste in passato,
perché prima di tutto occorre intendersi sulla realtà del piacere. Occorre innanzitutto dire che la
realtà del piacere si presenta, come le cose grandi della vita, come ambigua. Può avere un aspetto
positivo e uno negativo. Di per sé non dice niente, ma dice molto come è vissuto e collocato. Nel fatto
negativo ci sono due eccessi da evitare: il primo di chi lo nega e il secondo di chi lo esalta. Sono due eccessi che
sbagliano il bersaglio, non centrano il discorso. Perché chi lo nega lo fa per forme di condizionamento ma
soprattutto per una superbia interiore, perché il piacere dichiara la tua dipendenza dall'altro. L'altro
è la fonte e la sorgente del mio piacere: e questo non è facile da ammettere. Ciò perché
nella struttura del narcisista c'è il progetto di essere origine di sé, causa di sé, anche e
soprattutto negli aspetti più gratificanti. Allora l'atteggiamento classico, ad esempio del seduttore,
consiste nel dire che il piacere me lo do io perché conquisto quella persona, la sfrutto, gli faccio fare
quello che voglio. Non dirà mai che è l'altra persona. L'importante è che la provenienza della
mia gratificazione sia il mio io e non l'altro, tanto che io possa farne a meno quando voglio. Nello stesso tempo
queste persone, proprio perché hanno una struttura infantile, che è la struttura che impedisce di
vivere il piacere coloro che sono bambini mal cresciuti sono proprio quelli che affogano nel piacere o lo
rifiutano, non lo sanno gestire da adulti è una struttura che non riesce ad avere sicurezza, non si fida
degli altri, e delle sue emozioni, hanno sempre paura che dentro ci sia un mostro, che sbrigliato venga fuori, che
dentro ci sia chi sa che cosa. Hanno paura di se stessi, dei propri desideri, voglie passioni, deliri. Se mi lascio
andare chissà che cosa viene fuori da me. Viene fuori un pervertito! Questo è un timore esagerato che
è presente in tutti quelli che non si sono conosciuti. Chi non si conosce ha sempre paura di sé, non sa
cosa ha dentro nella scatola, non ha mai tolto il coperchio. Avrà quindi estremamente paura del lasciarsi
andare, soprattutto nella dimensione del piacere sessuale, perché lì viene messo più in evidenza
il perdere la testa, il controllo, il doversi affidare alla situazione e alla persona che è lì. Non sei
più sveglio e non hai più in mano la situazione di te. E le persona sicure, quelle che vedete sul
lavoro nella carriera, hanno sempre bisogno di tenere in mano la situazione, di averla in pugno, sono molto
autoritari, accentratori, perché hanno bisogno di sentire di avere in mano la situazione. Queste persone non
riescono ad allentare la tensione, la guardia a se stessi, anche nella sessualità. Tranne certe situazioni di
sfogo, con le prostitute, con la pornografia, situazioni particolari, dove si lasciano andare completamente, credendo
di dare sfogo alla propria bestialità. Sono illusioni queste, ecco perché spesso a determinati uomini,
mai cresciuti, non può bastare la moglie, hanno bisogno di altro, o di espedienti nei rapporti con la moglie.
Sono molto diffuse queste forme, soprattutto negli sposati. Con la moglie non si possono lasciare andare, se no chi
sa che cosa viene fuori, mentre con la prostituta, con il travestito si può. Queste cose sono tutte fondate su
una grande paura di se stessi, sulla incapacità di lasciarsi andare. Mentre l'orgasmo ha bisogno di un
retroterra di.questo tipo per essere vissuto serenamente e fino in fondo. Ed ecco perché è così
difficile e così raro, e crea tanti problemi, e non solo nella donna. Recenti statistiche dicono che il 40 %
di uomini fra i 30 e i 50 anni hanno problemi nei confronti del piacere sessuale. Allora, e questo è un punto
nuovo, il piacere sessuale ha bisogno di una formazione e crescita, in quanto l'organo del piacere sessuale è
la testa e non i genitali. La psiche è la sede della sessualità. C'è bisogno che sia
sufficientemente matura, equilibrata, capace di gestire le proprie emozioni, sensibilità, piacere. C'è
bisogno di un cammino di equilibrio. Quindi quell'idea del piacere come un desiderio che aspetta una sua
soddisfazione, come una linea che sale fino alla risposta, è un discorso riduttivo ad un meccanismo biologico,
istintuale. E' una menzogna. Non è così meccanico come il mondo lo fa pensare e la nostra carne
vorrebbe. Questa è una cosa squallidissima, mentre il piacere sessuale è una cosa grandissima, che
coinvolge tutta la persona umana due persone! è realtà grande, che bisogna preparare, per
non avere paura di sé e anche dell'altro e del suo lasciarsi andare. C'è bisogno di un reale
equilibrio, che sgombri l'idea che il piacere sessuale sia una realtà meccanica di sfogo di un bisogno. Non
è una cosa che c'è perché hai l'età e i genitali. Non è una cosa da adolescenti,
quasi quasi neanche da giovani, e le esperienze adolescenziali sono sempre le più brutte, checché si
racconti. Chi, dopo, ha scoperto la sessualità nella sua pienezza vi dirà che non c'è paragone.
L'adolescente non sa gestire la sua sessualità, così come non sa gestire i suoi affetti, le sue
emozioni, ecc. Quindi il discorso che si è sempre fatto ha una sua validità. Non è perché
c'è la legge morale o i preti, ma perché Dio quelle cose lì le ha fatte con una loro struttura
interiore, per cui se non le vivi così, le vivi a metà, tanto per darla buona, un quarto. Sei tu il
fregato: se la sessualità la vivi meccanicamente, come uno sfogo, ma perdi tre quarti di quello che dovrebbe
essere il piacere di una relazione sessuale. La legge morale è solo un cartello che ti dice che la cosa
è più profonda di uno sfogo alle proprie voglie. Per l'uomo non è così. La
felicità per l'uomo non è la risposta alle proprie voglie, non è l'uomo come lo ha progettato
Dio. E la sessualità è una cosa buona creata da Dio, e così buona che l'ha usata per far capire
quale è il suo rapporto con noi. La sessualità è una cosa pulitissima, sana, bella, quando
è vissuta secondo la sua vocazione e struttura, e siamo noi che non la sappiamo riconoscere e vivere. Quando
quindi si dice "lasciarsi andare" non è fare quello che voglio o "mi sento", ma quello di una persona che nel
suo crescere e formarsi riesce a vivere la sessualità coinvolgendo tutta la realtà umana. Il vero uomo
non farà mai l'amore solo con i genitali, e così la donna. C'è quindi bisogno di imparare a fare
l'amore con tutto se stessi, e l'unica strada è la maturità umana, la capacità di dono, di
amore. E' una menzogna brutta sulla sessualità che basta farlo per imparare, buttare le inibizioni. E' un
discorso molto serio, in cui è in gioco la nostra felicità è l'essere meno uomo o donna, e non
certo l'offesa di Dio
2) C'è una differenza nel vivere la sessualità fra uomo e donna. Esiste una sessualità maschile
e femminile. Non è la morfologia, ma tutta la realtà della donna e dell'uomo, in tutti i suoi aspetti,
persino il pensiero. Sono due realtà diverse, quasi contrapposte, stanno di fronte. La diversità
è preziosa e deve crescere per cui le due persone stanno insieme perché si amano, e non perché
si fondono. La donna ha un modo di vivere la sessualità che è completamente diverso da quello
dell'uomo. E quindi se l'uomo durante l'adolescenza e crescita sarà riuscito a crescere nella
sensibilità agli altri, riuscirà anche a capire che la sua donna ha una sensibilità diversa, e
la rispetterà, se non sarà soltanto uno strumento per il suo piacere, e non si chiederà mai se
la donna ha un altro modo di vivere il piacere sessuale. E tante volte la donna su questo punto è sottomessa e
si arrende facilmente, e non cerca di far capire la sua diversità. Il suo uomo gli dà da mangiare
dove lo trova un altro così! E poi: "E' solo la questione di un momento" quante donne lo dicono:
"Vedo contento lui". E' una cosa che bisogna smettere. Se l'uomo è ripiegato su se stesso, è un bambino
viziato, non si accorgerà mai che la donna abbia un modo diverso di vivere la sessualità, e non si
metterà a cercarla perché è difficile. La maggior parte delle coppie pensano che l'altro.senta e
viva l'atto come lei, e si credono uno il duplicato dell'altro, e quante discussioni, finché ci si rinuncia e
si sta zitti. Ci sono due possibilità: quella di annullarla la differenza o di fare la fatica di conoscerla.
Ma non puoi pretendere di poter capire e conoscere la donna se non hai fatto un cammino di crescita nella fatica di
comprendere gli altri, solamente perché è la tua ragazza o ti fa' salire il testosterone. Sono delle
cavolate. Ci sono dei ragazzini che non sanno balbettare due parole con l'altro, ma con la ragazzina o il ragazzino
si sposerebbero dopo due giorni. E sono due immaturi. Hanno giusto solo i genitali che funzionano, quando funzionano.
Il discorso va' inserito in un ambito di crescita. Se non fai la fatica di aprirti agli altri, se non fai esperienza
di amicizia vera e profonda, dove ti costa, dove sei coinvolto, messo in crisi, umiliato, ridimensionato, non credere
di conoscere la donna. Conoscerai degli organi femminili, non la donna. Se prima non c'è tutto un tirocinio
per capire la diversità dell'altra persona, per capire come pensa o sente, di metterti nei suoi panni, di
metterti in ascolto reale dell'altra persona. E così per la donna: non pretendere di conoscere l'uomo se stai
sempre lì a guardare la pieghina del tuo vestitino, a specchiarti e a fare la bambolina destinata a diventare
oca illustre. Abbiamo bisogno di riuscire a capire che vivere la sessualità nella sua bellezza è una
meta che non puoi improvvisare quando hai 14 anni, e forse neppure quando ne hai 18 o 20.Anche se non è un
problema di età. E non venirmi a dire che hai vissuto la sessualità. Non è vero.
3) Il problema della diversità culturale nella coppia. In questi anni c'è stata una cattiva
interpretazione della psicoanalisi, e di Freud, che aveva fatto un discorso, ma senza svilupparlo, in cui sembrava
che la civiltà non solo fosse l'origine del dato nevrotico, ma fosse l'origine del discorso della repressione
sessuale. Sembrava che la elaborazione culturale, come elaborazione della risposta hai propri bisogni mediante tante
mediazioni prendiamo l'esempio del cibo: ho fame e non azzanno il vitello che passa sembrava che questa
cultura avesse contaminato la sessualità che era libera, che fosse stata contaminata dai vestiti, dalle buone
maniere, dal discorso cristiano. Un insieme di cose che l'hanno impacchettata, congelata, castrata. In parte
ciò è vero. Ma negli ultimi anni, dai primi rapporti Kinsey, è saltato fuori che una presunta
liberazione sessuale non aveva affatto liberato il sesso, tanto che i problemi sono aumentati. C'è stata anche
una elaborazione culturale i neofreudiani che ha sviluppato il discorso di Freud, facendo notare che il
discorso culturale non solo non condiziona la realtà sessuale, ma le è strettamente necessaria.
Perché l'uomo possa vivere bene la sua sessualità occorre che sia un uomo capace di elaborazione
culturale. Non è il titolo di studio o la capacità di parlare e di pensare, ma è semplicemente
uno che ha accettato di vivere la sua dignità umana, uno che ha cercato di pensare prima di trovare le
risposte, di trovare una sua risposta, ha un atteggiamento critico e libero. E io sono d'accordo con questo discorso,
che è confermato dalle osservazioni cliniche, che occorre che l'uomo cresca nella testa per avere una buona
capacità sessuale, cioè faccia funzionare il cervello. Non è un automatismo. Cioè non
è detto che sviluppare il cervello funzioni di per sé, occorrono anche altri fattori. I cerebrali sono
i più castrati. Cerebrali sono coloro che hanno deciso di vivere tutto in soffitta, tutto il resto della
persona è chiuso e congelato, e vive tutto secondo quell'aspetto. Hanno grosse difficoltà con la
sessualità. Occorre però smentire il mito che basta dare alla sessualità la sua
istintualità per renderla libera. Quindi anche una differenza di culture può compromettere il rapporto.
Il dislivello in cui uno ha una sua dignità di elaborazione e all'altro non gliene frega niente. Ecco
perché occorre che con l'altro ci sia anche una sintonia spirituale e non solo fisica. Sono stati fatti studi
interessantissimi sulla sensibilità della donna: uno dei dati più duri è che la donna si sente
violentata comunque se l'uomo gli è estraneo, anche se lo ha sposato. Far l'amore con un estraneo per la donna
è una violenza. La donna percepisce l'estraneità e la violenza e la subisce spesso supinamente. Ma
è una violenza, è decisamente una violenza. Ci sono molte donne che pensano al rapporto sessuale con
terrore, e le inventano tutte per evitarlo.
4) Importanza dell'ambiente familiare per la maturazione della persona umana anche nella sfera sessuale. Che ruolo
hanno i genitori riguardo alla sessualità dei figli? E' chiaro che risulta fondamentale. I figli conoscono
l'essere maschio e femmina dal padre e la madre. Spesso il danno più grosso non è una cattiva
informazione, o poco dialogo. Il danno più grosso è quando non c'è un rapporto di coppia fra i
genitori, ed è frequentissimo. Spesso all'arrivo del figlio la madre da il primato al figlio, e il marito al
lavoro e non al figlio. Sembra che dopo anni di matrimonio ci sia una routine di comportamento per cui si da per
scontato di essere una coppia. La sera la madre ha accudito i figli, il padre ha lavorato, e quello è il
rapporto di coppia. E i figli crescono senza avere di fronte un reale rapporto di coppia, che non vedono mai
magari lo sognano e se lo immaginano non vedono mai cosa c'è fra un uomo e una donna che si vogliono
bene. Quanti figli hanno visto i genitori baciarsi. Non facciamo indagini. Ed è fondamentale. Quante volte
abbiamo visto i due genitori insieme, come coppia? O c'è uno o c'è l'altro. Quando dopo anni di
matrimonio escono ancora insieme? E' questo che incide molto nei figli per il rapporto di coppia, che sono istruiti
da altro che dai genitori. Manco dal prete dovrebbero sentirsi dire certe cose, io faccio solo supplenza! Dovrebbero
essere i genitori a dire, e più che altro a vivere queste cose, a far vedere cosa vuol dire essere maschio e
femmina, con tutte le sue contraddizioni. Non è negativo vedere due genitori litigare, ma due genitori che non
sono mai insieme, che non sono mai coppia questo sì! Sentiamo spesso dire che si fa tutto solo in funzione
della famiglia: la donna rinuncia ad essere tale per essere solo madre, e diventa la grande chioccia che mette sotto
tutti e si preoccupa di tutto, e nient'altro. Ma mai che riveli la sua femminilità, il suo desiderio e bisogno
di un uomo come vita di coppia. Sposarsi per molte donne significa castrarsi definitivamente, ammazzarsi di lavoro e
di fatica per il figlio. Il figlio ha bisogno di questo, ma anche di vedere una donna che si realizza e che si
esprime, perché è attraverso di lei che inizierà a muoversi verso il mondo femminile. Ha una
grossa responsabilità. Ma se questa ha rinunciata cosa vede il figlio? Come può capire la dialettica
del rapporto fra uomo e donna? Non lo capirà mai, lo vedrà nei film, nella sua fantasia, e
sbaglierà. Ma è dai genitori che si amano non il papà e la mamma, ma due che si amano
che imparerà ed è in questo che si realizza soprattutto il sacramento, non nell'avere figli e nel
mantenerli. Questo è un aspetto, ma il sacramento sta in piedi perché i due si amano e si rapportano,
non solo una volta alla settimana nel letto, ma tutto il giorno e tutta la vita. Il figlio ha bisogno di vede come un
uomo e donna si possono amare, con i loro limiti. Non perché li imiterà ognuno avrà la sua
storia ma perché il vedere toglie tutta quel mondo fantastico che non fa altro che aumentare le
allucinazioni, per cui la donna sembrerà chissà che cosa e l'uomo sembrerà chissà quale
minaccia per la ragazza. Ha bisogno di vederlo che non è così abissale che un uomo e una donna si
amino, ma in termini reali, non idealizzati come nei fotoromanzi e nelle telenovelas. Nei termini concreti di tutti i
giorni. Un figlio ha bisogno di vedere due genitori che sono adulti, e che quindi non si vergognano dei propri
affetti, non si vergognano di volersi bene, della propria sessualità, delle proprie tenerezze. Certo non
staranno lì ad ostentarla, ma non saranno neanche a nascondersi e a non farsi vedere. Due adulti padroni del
proprio corpo, della propria sessualità, delle proprie emozioni, così da viverle tranquillamente e
serenamente. E questa è la lezione migliore per dei figli che vanno incontro a delle sensazioni ed emozioni
inedite e quindi sconvolgenti. Il trauma della ragazza quando arriva alla prima mestruazione è amplificato se
avrà accanto una donna che non gli avrà mai mostrato il suo essere donna, non dandogli delle
informazioni, ma deve sentire la mamma che gli parla del suo essere donna anche fisico con molta serenità e
libertà. Sono cose volute da Dio, non sono porcherie. Che affronta il suo mondo sessuale con le sue gioie e
dolori da adulta, e la figlia lo affronterà con serenità e non avrà bisogno che glielo dica
l'amica, o che lo legga nella posta del cuore, o che glielo spieghi il prete. Così il figlio dovrà
vedere il padre nel suo affrontare la donna, la femminilità, vedere come si comporta davanti agli stimoli che
la donna offre all'uomo. O si limiterà anche lui a fare quelle battute volgari oppure a non parlarne
assolutamente! Tutto il resto manca. E il buon Dio ha voluto che ci fosse la realtà familiare.perché
trasmettesse queste cose nel vissuto e non a parole. Quindi il discorso si amplierebbe notevolmente riguardo ai
rapporti dei figli con i genitori, col padre e la madre. Ma il discorso fondamentale è che c'è bisogno
di genitori che sappiano essere marito e moglie, ma realmente, e faranno quindi i genitori. Ed è da notare che
Dio ha reso sacramento l'unione fra uomo e donna, non l'essere genitori. E il matrimonio sussiste anche senza figli.
Quindi c'è la responsabilità davanti a Dio.
5) Cosa vuol dire essere padroni dei propri sentimenti? Che te li vivi tranquillamente. Se vuoi bene a tua moglie,
lo fai vedere tranquillamente. Se ti viene voglia di darle un bacio, una tenerezza, un fiore, lo fai davanti ai
figli. Viverli con serenità, perché non hanno niente di sporco o di clandestino. Stanno vivendo un
sacramento, se si amano. Io non mi nascondo quando faccio la comunione. Finiremmo di vedere i ragazzini che fanno
apposta a fare esibizionismo, per provocare l'adulto. Non sarebbe così se avessero visto i genitori. La colpa
non è loro, ma degli adulti che non hanno vissuto bene quella realtà. Sono gli adulti che hanno
problemi sessuali, e questo si rivela sui ragazzi, e il meccanismo rimane pervertito e non si interrompe mai. Con
sfumature diverse, con una evoluzione, ma non cambia mai. Questo non vuol dire che nella sessualità non ci sia
il peccato, che sia tutto buono. No anche lì c'è. Ma perché non ti nascondi nel tuo gestire i
soldi? Eppure quanto peccato si fa per i soldi, per l'ambizione, per il potere, molto più del sesso. Ma
lì non ti vergogni. La realtà di peccato c'è per tutti gli aspetti, ma allora perché solo
per quello provi vergogna? Allora è una immaturità, è un fatto psicologico, non è un
fatto di fede. E' perché sei immaturo, indietro nel tuo essere un uomo o una donna, e poi lo contrabbandi con
il senso del pudore. E poi c'è sempre l'altro discorso che non riusciamo a spezzare l'identità fra
ciò che è sessuale e ciò che è genitale. Per cui se io vedo un uomo e una donna che si
abbracciano e si fanno qualche tenerezza, ah ci scappa il morto! Subito pensiamo all'accoppiamento, come se ci fosse
solo il fatto genitale. E se vediamo fermi un uomo e una donna, ecco si stanno mettendo d'accordo su dove trovarsi. E
magari stanno parlando di cose ben più grosse e più belle. Non riusciamo a spezzare questa perversa e
peccaminosa identità fra sessualità e genitalità. Questo è peccaminoso: quando non riesco
a pensare la sessualità se non come un esercizio genitale! Ho bisogno di riscoprire la sessualità in
tutta la sua ampiezza, per cui quando sto davanti ad una donna, sto realmente di fronte come uomo e donna, e me la
vivo questa sessualità. Ma per viverla non ho bisogno di portarla a letto quella donna. Questo dobbiamo
togliere dalla testa. E così fra genitori e fra genitori e figli, mai nessun gesto di tenerezza. Se abbraccia
la figlia o il figlio è un pervertito! Delle cose dell'altro modo! Non riusciamo a distinguere bene una
realtà che è importante per tutti, questa realtà e sensibilità affettiva e sessuale che
c'è sempre, per tutti, non la posso togliere, devo solo imparare a viverla bene. Dobbiamo fare un lungo
cammino per riappropriarci della nostra corporeità. Sbagliamo quando riteniamo un gesto fisico sempre un gesto
erotico. Chissà che turbamento, libido, quando ti abbraccio o ti metto una mano sulla spalla! Siamo veramente
perversi e tarati quando pensiamo sempre all'aspetto erotico. La realtà ha un'ampiezza molto più
grande. Il corpo dice tutta una comunicazione, una gestualità, un'arte, dice tutto un corpo, ben altro che
solo l'aspetto erotico. E noi l'abbiamo ridotto solo all'aspetto erotico: qui siamo realmente dei pervertiti, quando
non riusciamo a vedere un abbraccio, un bacio, una confidenza fisica se non in un aspetto erotico. Allora siamo
veramente dei maniaci. Ci sono delle persone, non solo anziane, che sono convinte che non puoi abbracciare una
ragazza per amicizia. Sì, la chiami amicizia per contrabbandare, ma intanto tocchi. Tremendo! C'è da
offendersi quando si sentono queste cose. C'è da offendersi come dignità umana. Che non si possa vedere
una ragazza, per giovane e carina che sia, che io non possa vederla come persona, ma soltanto come un corpo che deve
servirmi chissà per quale sbavamento. E perché non devo pensare che qualcun altro non sia in grado di
vederci veramente una persona e non un corpo, una persona simpatica, da scoprire, da entrarci in dialogo, con delle
ricchezze molto più profonde delle sue misure anatomiche. Perché questo non è possibile? Ma il
buon Dio ha inventato solamente i corpi? Le diamo troppo per.scontate queste cose. Ecco allora perché fra
coppia non ci possono essere quei gesti: perché sono erotici! Questa cosa, per cui se ti sfioro, addio! Mica
tanto tempo fa nelle campagne, in Italia, tanta gente era convinta che con un bacio si rimaneva in cinta. E non
è per ignoranza, ma perché si faceva vedere che il bacio era a questo livello. E' difficile vivere con
serenità questo che è un dono di Dio, perché non ci si siamo ancora messi non con quella
liberalizzazione che ha fatto più danno che altro seriamente in una concezione armonica della persona.
Occorre qualcuno che inizi a vivere questa realtà sessuale in maniera pulita, ma non perché l'abbiamo
castrata, ma perché è già pulita e occupa tutta la realtà dell'uomo.
6) Cosa significa la paura nella sessualità? Paura non è semplicemente la timidezza o il disagio, ma
la paura di ciò che non conosci. L'altro fa paura perché, se vi entri, trovi regole che non conosci.
Non sono le tue, è un mondo diverso, e devi imparare a conoscerlo nelle sue dinamiche e ritmi. Questo non lo
può fare l'adolescente. Vede solamente se stesso, per lui è già difficile rendersi conto che
esiste un altro da lui. Per l'adolescente, che ripete i canoni del bambino, il mondo è una proiezione di se,
è un sé allargato, e gli altri non sono altro che occasione per vivere questo sé. Tanto
più se questo è un bambino viziato. Devo imparare ad ammettere che esiste un altro diverso da me, e
devo avventurarmi nel conoscerlo, nel conoscere l'altro come amico, come gruppo, come mondo adulto, dei bambini,
anziani, devo imparare a gestire dei rapporti con questo che è l'altro. Non è un discorso moralistico
quando si dice che non è possibile mettersi in coppia presto. Il problema non è che la paglia brucia
con il fuoco, ma che tu non devi essere tanto sciocco da credere che sia come andare a fare una passeggiata al mare.
Tutti hanno la ragazza, lo faccio anche io e credo di essere capace di gestirla! Sei deficiente se lo pensi. Non sei
capace nemmeno di gestire il rapporto con il tuo compagno, vorresti gestire il tuo rapporto con una donna o un uomo?
Con uno che è totalmente altro, credi che basti un sorrisino e una pacca o altro. Questo è andare
incontro a dei grossi dispiaceri e a delle grosse ferite, da cui spesso si crede di salvarsi banalizzando tutto il
discorso: "Gli uomini sono tutti così, le donne sono tutte così". Non hai conosciuto niente,
però spari giudizi a destra e sinistra. Allora poi prendi il primo che passa. Il rapporto di coppia va
collocato al posto giusto, cioè con una persona che è capace di rapporti, che sa gestire anche il
rapporto più difficile, con chi è completamente diverso, per il quale ci vuole una grande
capacità di conoscenza, tolleranza, accoglienza, una grande capacità di sensibilità, di
attenzione. E' un offesa al genere umano quando uno pretende di essere in grado di arrangiare un rapporto solo
perché gli gira a lui, e non si rende conto di quanto sia grande questo discorso. E succede spesso che questi
bambini viziati rimangono nel loro mondo, e quando hanno voglia di avere un ragazzo o una ragazza ci deve essere
lì pronta e presente. E così quando ci si deve sposare, facendo le cose con una superficialità
impressionante. I consigli che ascolti sono quelli di qualche rotocalco e tutto il resto è affidato al tuo
buon cuore, come se mettere su un rapporto di coppia fosse la cosa più naturale e facile e spontaneo da fare:
basta seguire la natura!
Occorre una visione unitaria dell'uomo. Mai separarlo a compartimenti stagni. L'uomo ha una realtà interiore che si esprime nella corporeità. Il corpo non è prigione dell'anima, non si deve dare alla corporeità un significato negativo. La liberazione sessuale si ha quando la persona vive in armonia i suoi rapporti e non si scinde in corpo, spirito, anima. L'uomo ha il suo centro nella realtà spirituale, alla quale fanno capo il corpo e l'intelligenza, che sono doni. Il corpo è il luogo dove vivo la mia realtà più profonda, quella interiore. Non posso usare il mio corpo come se non ci fosse lo spirito. La corporeità serve a comunicare ed esprimere questi contenuti, altrimenti non si realizza. Bisogna che la corporeità esprima tutte le parti della vita umana. La lotta avviene quando manca la comunicazione. Le parti che hanno esigenze diverse non sanno comunicare, dialogare, non sanno raggiungere l'armonia. Non dobbiamo essere come un pezzo di legno in balia della corrente, seguendo ora il corpo, ora lo spirito..Bisogna cercare un equilibrio, fare pochi passi, ma sempre nella stessa direzione. Altrimenti sarebbe un modo di ragionare falso; così l'uomo si riduce ad una parte di sé. Lo si fa anche con il cervello, o con il solo interesse (l'uomo è ridotto a quanto produce). Esiste la dimensione di uno spirito incarnato, non esiste lo spirito da una parte e il corpo dall'altra! Siamo un corpo animato, la cui anima, che ti da respiro e vita è lo spirito. Non può essere messa da parte. Non ci sono azioni umane, neppure le più basse, che non siano comunicazione dello spirito. Anche nella mia dimensione sessuale deve contare il mio spirito, deve esserci comunicazione, amore. E' sempre da tenere presente che il rapporto sessuale richiede di per sé l'amore per essere vivo. Il primo principio di moralità è sentirmi responsabile del mio vivere, responsabile del tutto. Non creiamoci illusioni. Anche dietro ad un bisogno, che può sembrare puramente fisico, ci sono i bisogni dello spirito (bisogno di essere amato, desiderato, di essere in comunione, di non essere solo). C'è bisogno di persone unite in se stesse, unite e responsabili in armonia con se stesse. Per godere pienamente un atto sessuale, lo si deve vivere con tutta la persona. Questo incontro fisico aiuta a comunicare lo spirito. Non si deve assolutizzare un solo particolare di chi abbiamo di fronte e lo spirito ci aiuta a vederlo nella sua globalità.
Avete avuto difficoltà a dare la definizione di sessualità. Primo, perché vi sembra astratto. Un discorso un pochino filosofico vi mette in difficoltà. Soprattutto, però, perché avete difficoltà nella riflessione. Serve, perciò, un maggior allenamento di riflessione da parte vostra., cioè capacità di pensiero su ciò che è vissuto. Da non confondere col fantasticare. Invece, usare la testa per elaborare il vissuto. Abbiamo spesso detto che il vissuto, in quanto tale, non dice niente. Io posso raccontare ciò che ho vissuto, intrecciato spesso con le aspettative, ma è difficile che venga fuori una riflessione, che si riesca a dire all'altro la conclusione, la sintesi. Ci sono persone che parlano per ore e dicono una cosa sola. Persone a cui piace sentirsi parlare. Io lo trovo eccessivamente noioso, comunque si può anche fare. Ma non comunichi niente! Non comunichi la tua riflessione. Se dici la riflessione comunichi qualcosa di tuo, ti esponi. Cosa che fai anche se racconti un pettegolezzo, solo che l'altro, di solito, lo percepisce meno. Ma prendere posizione, comunicare sul tuo vissuto, questo è più difficile. Se manca la riflessione non si prende la giusta distanza dal problema, per capirne le giuste dimensioni. Sei succube delle tue immaginazioni se non prendi mentalmente, non solo fisicamente, distanza dal vissuto. Chi rinuncia a questi processi, rinuncia ad essere uomo, rinuncia ad essere libero. Sono quelle persone incapaci di controllare una reazione dinanzi ad un fatto, chi si deprime al primo ostacolo o si esalta per qualcosa. E' questione che quella persona non ha elaborato un modo di dare risposte mediate, intelligenti, alla vita. Spesso le nostre risposte vengono così. Raramente vengono dopo una riflessione. Raramente ci fermiamo per rielaborare ciò che abbiamo vissuto. Pensiamo tanto a ciò che avremmo potuto fare o pensiamo ad una persona, ma questo non è pensare. Pensare è pensare con oggettività, cercando il vero, con razionalità. C'è tanto di sognato e di desiderato sulla sessualità, ma poco di riflettuto. Si vede che è o un argomento tabù o è una realtà che si subisce. Forse perché non si è attrezzati. E' andare un po' controcorrente questa capacità riflessiva. Inoltre c'è il rischio del gergo. Bisogna fare lo sforzo di un linguaggio comprensibile universalmente. E' importante che passi questa distinzione fra sessualità e genitalità. Voi siete convinti che è così, ma, se poi scavate un po', vi si confonde tutto. Salta fuori che per il 99% questa distinzione non è chiara. Invece, avete visto che la sessualità ha a che fare con la persona, non solo con certi suoi atti o parti. Vi ho fatto fare un lavoro di gruppetti sulle definizioni di "sessualità", "genitalità", "piacere", "felicità". Da alcuni sembrava quasi risultasse l'identificazione sessualità=genitalità=piacere=felicità, per cui sarebbe poi possibile identificare genitalità e felicità..Discorsi che sentite dal barbiere o a scuola! Chiaro che se ho un rapporto genitale, lo ho anche sessuale e mi da piacere e il piacere mi da felicità! Questo non è vero!!! Sembrano sfumature, invece sono sostanziali le differenze! La distinzione va fatta non per motivi castranti o inibenti, ma per vivere bene tutte e quattro quelle realtà. Sono 4 cose diverse. Riflettere non è il tentativo di castrarle, di razionalizzarle. Riflettere serve a viverle bene. Qualcuno ha detto che deve essere educata, che non è un istinto. Questo va bene. Quello che qualifica l'apporto cristiano è proprio questo. Non un approccio castrante, mortificante, ma che, invece, libera queste componenti. Per cui un cristiano non confonderà mai genitalità con felicità. Vivrà meglio e la genitalità e la felicità. Non è un approccio che vuole rimuovere o reprimere. No, questo non è un approccio cristiano e nemmeno morale. Realtà, invece, da educare, da portare alla loro pienezza. Sono un dono di Dio fanno parte della natura umana e, come dono, vanno elaborate. L'altra confusione da eliminare è quella fra felicità e soddisfazione dei bisogni. Non è così esplicita, perché darebbe troppo nell'occhio, ma la sostanza è quella. Molti pensano che la felicità sia realizzare tutto ciò che desidero o sogno. A parte che una spirale di tal fatta non esiste mai, ma si arriva ad una forma di delirio, dove la nostra onnipotenza è immensa. I bisogni chiedono di essere realizzati? Bene! Ma qual è il rapporto con la felicità? Come si debbono gestire questi bisogni? Qualcuno di voi ha parlato di armonia delle parti. Ha intuito la direzione della risposta. Di questo insieme non posso privilegiare una parte, perdendo il tutto. Chi si fissa, chi sviluppa solo alcune parti, diventa sproporzionato. Se manca quel pezzettino ti fa andare zoppo. La felicità è la vita che gira bene, è questo insieme che gira bene. Questa è la crescita: ti sei impegnato a collegare con dei meccanismi queste parti, perché girino insieme bene. Non come quella gente che non solo ha una gran confusione in camera, ma ha anche una gran confusione dentro. Ci parlate mezz'ora e poi c'è sempre qualcosa che non funziona. "Se funzionasse quello, allora..." vi dice. Poi quella cosa funziona e daccapo qualcos'altro non va. La sentirete ridere sguaiatamente, avere momenti di esaltazione, ma felicità no. In questo quadro cos'è il piacere? Io lo definirei il lubrificante o l'energetico, che serve a far funzionare meglio tutto quanto. Ma non è la felicità.
La domanda è: come si fa a capire che la propria vocazione è quella del matrimonio? Rimane innanzitutto un dato che viene solo dalla fede, per cui il matrimonio è una vocazione. Questo supera, ma non annulla il dato naturale, il fatto che sia "naturale" che due si sposino. Parto da un dato di fede: tutto quanto è stato inventato e creato richiama una precisa vocazione. Questo è il livello più difficile: riuscire a capire che esiste un livello della mia vita, non un prodotto già confezionato non è questa la vocazione ma una vita che non costruisco da solo. Che sbaglio anche se, per caso ed è difficile ci azzecco. Questa vita è la scoperta del cristiano la devo intrecciare con Dio. Non un Dio che mi ruba il mio piacere la mia felicità, perché non è questo il Dio di Gesù Cristo! E' piuttosto il dio dei nostri fantasmi, della nostra interiorità, del nostro corpo. Io scopro un Dio che è Padre, che non mortifica il figlio, non lo uccide. Ma io, Dio, esisto perché tu possa esistere. Non aver paura di un padre! Per definizione è più forte, più grande! Vede di più. Gesù ci dice: "Il Padre è più grande di me". La sua funzione è che non ti rovini la vita. La rovina della vita è il non vivere. Il rapporto Padrefiglio crea la possibilità della vita. Ci insisto: questa vocazione non è qualcosa che arriva dall'esterno e si impone. Neanche con la violenza dei fatti. Non uno che dice: questa è la tua vita, se non la fai sei un poveretto! Questo non è Dio! Non è che il matrimonio è diventato a lungo andare una vocazione: lo è da sempre. Non c'è l'uomo naturale che si sposa e poi arriva il discorso cristiano! Il discorso del matrimonio può essere compreso (e siamo tutti con le spalle al muro) nella scoperta che la realtà non è nonostante Dio. La vita non è qualcosa che si vive comunque e poi arriva il cristiano e vi si inserisce. No! Il cristiano dice: "Questa è la vita: conoscere Te"..Non un triplo livello. No, no e no! "Questa è la vita!" La vita è una meta, un obiettivo. Devo raggiungerla non per essere super vivo, ma per essere vivo. Questa è la vocazione. Non c'è la vita da un lato, e poi, se sei sottomesso o rimbambito, c'è la vocazione. Se non ce l'hai la vocazione, non sei vivo! La vocazione non nasce da un cuore devoto, buono, nasce da uno che vuole essere vivo. Uno che vuole mettersi nel giusto rapporto con le cose, con gli altri. Allora è un lavoro di purificazione. Bisogna che mentalità, alibi, paura, preconcetti vengano tolti. Prima devi capire bene cos'è la vita. Devo togliermi dalla testa la vita nonostante Dio. Non esiste una vita fuori da un discorso di chiamata. Sto parlando da cristiano a dei cristiani! La sua chiamata è la mia stessa identità, la mia stessa vita. Vocazione è uguale a felicità. Felicità è uguale ad esistenza. La chiamerei con un solo nome: figlio! Sei tu quell'unica cosa. Non la tua esistenza, poi la tua vocazione, poi la tua felicità. No! Io voglio conoscere quel "tu" che Dio ha pronunciato, che poi sono io. Gettato in quella realtà (non importa perché "adesso e qui") tu vuoi capire questa identità, questo "tu". Allora non puoi perderla questa vita girando intorno a te stesso. E' l'unica vita che puoi giocare. L'obiettivo è essere. Qual è la vera pienezza? Gustare l'essere, l'esistere, l'esistere con un senso. La paura del limite, del nulla, della morte! Questo ci fa essere creature. La paura di perdere l'essere, il tornare nel nulla. Perché l'uomo ha bisogno di sentirsi importante anche per tre persone sole? Significa che non vuole tornare nel nulla. Certi rapporti di coppia per dire questo: io sono importante per quella persona. Per almeno uno, casomai rimbambito dalla mia seduzione, io sono importante. Tante, troppe coppie sono così! Il matrimonio è una modalità di vocazione. E' una, non mi interessa se è la più diffusa forse agli occhi di Dio non lo è! Questo lo rende grande: perché è sostenuta da Dio, non perché lo fanno tutti. Perché Dio l'ha voluto e lo vuole! La prima grande lezione: cercare questo Dio, cercare questa vocazione! Invece noi ce l'abbiamo già. Abbiamo già tutto! E cosa cerco allora? Abbiamo fatto tutti i calcoli, le previsioni. Quando comincio a dire che sto cercando veramente? Quando c'è una vera e totale disponibilità. "Tu parla!" Ma non darla la vita al Padre, se lo ritieni un modo di essere meno libero, meno te stesso. Lascia perdere. E' un discorso che non fa per te. Se hai capito che per esistere hai bisogno di capire questo "tu" pronunciato, allora non avrai più paura, anzi avrai il desiderio. Certo ci sarà la paura della carne. "Ma io ho deciso che se capissi immediatamente che cosa vuoi, io lo faccio, sapendo che lì sarò veramente libero, felice, uomo!" Dopo la purificazione ho bisogno di una decisione che diviene ascolto. Questo ascolto! Devo far tacere tutto il resto. La cosa più importante da far tacere, l'ultima che tacerà, è l'io. Ti dice qual è il suo progetto e te lo contrappone continuamente a quello del Padre. Il tuo progetto! "Ma in fondo cosa vuoi? Delle cose oneste, una famiglia, un lavoro, la decima, andare alla mensa Caritas". Ma non è questo il punto! Il punto è come concepisci la vita! Il padre spirituale non sta lì a dirti se hai delle intenzioni oneste o perverse. "Dio mi vuole rubare la felicità. Io voglio moglie, famiglia, pantofole e TV". Il vero nemico è il mio progetto, è lì il male! Spesso noi preti siamo spettatori di una rassegnazione al male, all'infelicità. Spesso il 90% di quella infelicità è causata dalla tua scelta. Quel mostro, quella scimmia che ti sei attaccato addosso. Tu volevi fare il furbo. Volevi essere più capace di Dio a capire cos'è la felicità per te. Quella scelta che fai adesso ti compromette per l'eternità: questo è il punto! L'infelicità non è opera degli dei, degli astri o della mia taglia, ma è opera mia. E' opera della mia scelta. Ho dato retta a tutti. Ai miei genitori, che spesso non mi dicono cosa vuole il Padre, al mondo, che non dice cosa vuole il Padre, soprattutto a me e alle mie voglie, soprattutto alle mie paure, che pesano ancor più delle voglie, ma non mi metto ad ascoltare il Padre. Questa è solo la premessa: La parte più difficile delle cose, dei discorsi, sono le premesse. Poi le conclusioni potete tirarle fuori voi. L'ascolto nasce dalla rinunzia definitiva al mio progetto. Non posso pretendere di ascoltare il Padre se io ho già il mio progetto. Posso avere desideri, sogni, prospettive, ma devo chiamarli così. E' patologico solo quando chiamo realtà il sogno e quando non ho nessuna reale disposizione a rinunciarci. Quel proprio progetto che porta all'infelicità! Io sono convinto che l'infelicità non è data dalle numerose rinunce, prove, sofferenze. L'infelicità è il posto sbagliato. E' un discorso estremamente serio che parte.dalla rivelazione del Padre. Conoscendo il Padre ci fidiamo e fidandoci lo conosciamo. Il Padre è il garante che questo cammino non è un giro a vuoto. Sarà raggiunto se è l'obiettivo che abbiamo in comune. E' questo che ci differenzia dagli altri: questo Padre lo abbiamo conosciuto. La nostra vita è cambiata nel momento in cui abbiamo conosciuto il Padre. Il cielo non è vuoto, c'è il Padre. E una volta che l'ho conosciuto, la mia vita cambia. Stasera vediamo l'altro punto fondamentale: devo mettermi sulla strada dell'ascolto. L'ascolto non è una volta per tutte. Non è un oracolo, è un dialogo. La mia vita è un crescendo di comunione con il Padre. Io non posso dire: "Faccio un ritiro e tu, Dio, fammi capire". Questo Dio vuole parlarti nella tua vita e con la tua vita. Dio ti parla dentro al tuo vivere. Bisogna che dentro questa vita il Padre parli. Qual è la direzione di questo cammino? Che questa vita sia viva. Che non ci sia una vita finta o cerebrale o sognata. C'è gente che passa 3/4 della vita a sognare. Il sogno ed il pensiero devono servire a vivere più intensamente questa vita. Più alto è il tasso di vita, più alta è la presenza di Dio. Io non ho bisogno di comprimere la vita. E' dentro questa vita che incontro il Padre. Perché la vita sia viva la prima cosa è che io impari a farne dono. E' la piattaforma, vale per tutti. Devo imparare a decidere di farne dono. Io sono disposto a dare qualcosa, anche di grosso, anche di importante, ma non sono disposto a dare me stesso. E tante cose mi frenano. La mia ragione: dare tante cose, ma donarmi completamente no. La mia pelle: mi dice che la sto perdendo, che devo sempre salvare qualcosa. La mia volontà: tutto diventa pesante. E' come se dovessi fare un salto e tutto ciò che hai addosso fosse più pesante. Alzi il piede, ma non decolli. Qui il cristiano fa un'esperienza splendida, scopre la grazia. Ti fa fare il salto dove il tuo peso non te lo permetterebbe. Allora cosa facciamo? Qui entriamo nel discorso più sottile, difficile, ma bello. Se devo fare il salto e c'è questo peso che mi tiene il mio io, i miei bisogni, il mio io gonfio c'è in noi un bilanciere che può spostare il peso. Questo è dato dal desiderio del cuore. Un cuore che si è arreso rende definitivamente immobile il peso. Non è più capace di desiderare. La persona diventa un sacco che sta lì e non si muove. La scintilla è, invece, il desiderio di diventare capaci di amare, di comunione con Dio. Questo, se prende il cuore, sbilancia il peso. Non lo toglie. Però quella è la posizione per prendere la grazia e fare il salto. Allora, qual è la nostra responsabilità? Non di saltare con il peso. Ma il nostro cuore è una zona sufficientemente franca, libera, dove puntare il desiderio. Puntare ostinatamente al cielo! E' in gioco una maturità spirituale ed una maturità umana. Chi non matura è chi non sa desiderare altro che se stesso. L'altro, se c'è, è allora un feticcio. Noi siamo l'oggetto dell'amore. Se questo non si apre, almeno come desiderio, come irrequietezza, quel peso starà sempre a terra. Amare qualcosa e qualcuno che non sia te stesso con una bellissima scoperta: quando riesco a fare questo, finalmente amo me stesso. Questo cosa c'entra col matrimonio? Semplice, siamo arrivati al nocciolo! Uno vuol sapere se il posto dove è e dove vuole andare è quello che Dio ha scelto? E' semplice: quel posto ti serve per donarti o per trattenerti? E' il punto dove dici: "Ho dato fin qui, il resto lo voglio trattenere"? Oppure è il posto dove ti doni completamente? Che io diventi capace di fare di tutta la mia vita un dono! Se l'altro, invece, tende a farmi mettere le pantofole, allora è la tentazione, non è la vocazione. Così la professione, i tuoi gusti, i tuoi hobby. Se ti aiutano di più a donarti, allora vanno benissimo. Ma quante cose ci allontanano dagli altri! Quell'occhio se ti è d'inciampo, cavalo! Tutto ciò che ti ferma su questo cammino di essere dono, taglialo. Non solo perché non è efficace. Perché stai certo che quella non è la strada di Dio. Perché la strada di Dio è strada di liberazione, di dono. Se non solo ti trattiene, ma ti conferma nel tuo desiderio di tenere la vita, stai certo che non è la strada di Dio. Il discorso delle tentazioni di Gesù nel deserto: "Trasforma le pietre in pane". Il risultato, dal punto di vista aziendale, sarebbe stato migliore, ma quello non sarebbe stato donare la vita, sarebbe stato affermare se stesso. La coscienza è il luogo in cui ho coscienza del dono. La preghiera, il padre spirituale aiutano a non ingannarci. Se faccio questo la coscienza lo sa, se sto facendomi dono o se sto cercando di salvare la vita. La coscienza è il luogo dove capisco qual è la direzione. Ed è il lavoro che deve fare ciascuno. Non è il padre spirituale che deve dirtelo. Lui ti aiuterà, ma sei tu che devi fare questo. Questa coscienza ti dirà dove stai andando, se è per indicazione di Dio o tua. Qui arriviamo al punto di massima responsabilità. Sei tu che valuti. Qual è allora il modo di pensare alla propria vocazione? Non può non avere il sapore della libertà. La libertà di essere se stessi. Proprio perché la hai consegnata nelle mani del Padre, la hai in mano e decidi. Non ti importa sapere cosa. L'importante è che tu sia libero. Nel sentiero del Padre, quel sentiero che avete scoperto insieme. La vocazione a che serve? Non per fare, non per essere, ma per scoprire il Padre. Questa è la vocazione: conoscere il Padre. "La vita è conoscere Te". Non un padre qualsiasi o un padre come voglio io. Ma il Padre dell'incarnazione. Devo essere così docile e così umile da accogliere il vero Padre. Devo essere così libero. Con la sorpresa di scoprire che un Padre così bello non avrei mai potuto immaginarlo. Dopo che gli dai la mano, scopri che non c'era posto migliore. Scopri la resurrezione. Se la domanda se la vostra vocazione è il matrimonio la tenete in questo quadro, troverete la risposta. Se no, sbagliate. Ma il matrimonio è di molte meno persone che si pensi. Se vi importa del vostro progetto è un'altra cosa. Ma se vi importa del progetto di Dio, il cammino è questo. Questo non permette di parlare del matrimonio come di una cosa che fanno tutti. Non perché siamo più buoni, ma perché la storia è un'altra, è quella che ci ha raccontato il Signore. Ecco perché il matrimonio non è per tutti, né è facilmente accessibile. Diventa il segno dell'amore tra il Padre e il Figlio. La vocazione non è fare o non fare una cosa a cui sei destinato. Il problema è cercare questa volontà sopra tutto. E' se tu lo hai realmente come desiderio, anche dentro il tuo sbaglio! Guardate che non è automatico desiderare. Uno che è pieno di sé non riesce a desiderare, a desiderare qualcosa di gratuito. In una parola il Padre vuole vedere dei figli che si danno tanto da fare, che gli interessa soprattutto la sua volontà. Casomai non sanno come, ma si sbattono realmente per questo. Soprattutto con la preghiera. La nostra difficoltà di pregare è che sappiamo già tutto. Preghiamo perché ci aiuti a fare il nostro progetto. Non lo ritengo così vitale fare la sua volontà! Non possiamo non ricordare il figliol prodigo e l'altro figlio. La domanda: cosa desidera realmente il mio cuore, qual è il mio progetto sommerso, ma portato avanti continuamente. A volte abbiamo il desiderio di conoscere il suo progetto, ma è un tentativo per saperci poi difendere.
Per non delirare (esercizi spirituali)
Sul diavolo
Egli, chinandosi così, sul petto di Gesù
(Chi è Giovanni, l´evangelista?)
Le beatitudini: un Padre che vuole
i suoi figli felici
Pasqua 2005: Morte e Vita si sono
affrontate in un prodigioso duello
Dio è un Padre di figli
vivi
Meditazioni su Abramo e Isacco, Giacobbe e la lotta
con l´angelo, la morte di Mosè
Gesù Cristo modello per la donna
La vera e propria scelta cristiana
non ha luogo davanti al concetto di Dio e neppure di fronte alla figura di Cristo,
ma davanti alla Chiesa
Per dovere o per piacere?
Il ruolo del piacere nella morale cristiana: la proposta educativa di Albert
Plé, di Achille Tronconi
[1] N.d.R. Non viene qui esplicitamente tematizzata,
perché è data per scontata da altri incontri precedenti, l’importantissima differenza tra
“genitalità” e “sessualità”. Trascriviamo da altri interventi:
La sessualità coinvolge tutta la persona. Può essere riconosciuta persino in un capello o in
un’unghia. Nella sessualità, quindi, non è questione di organi, ma di impostazione. Anche il
cervello è diverso. Ci sono due modi di pensare differenti, uno tipicamente maschile ed uno femminile. Il modo
di vivere dei due sessi è molto diverso e lo sforzo sta nel fatto di aprirsi. Non esiste un gesto od una
parola che non siano sessuati, o maschile o femminile. Persino la fede! Per questo ogni gesto “genitale”
(quei gesti che vengono comunemente chiamati invece “sessuali”) non sono mai soltanto tali. Qualsiasi
azione che compio interessa tutto il corpo. Lo sbaglio più grande è usare solo ed essenzialmente il
corpo dimenticando che esso coinvolge il cziuore e la mente. Un ragazzo per innamorarsi viene preso prima da
ciò che vedono i suoi occhi e, se va avanti, poi da tutto il resto. Una ragazza, invece, inizia dalla testa
per poi arrivare ai piedi! Questo processo differenziato di coinvolgimento va sempre tenuto presente.
[2] N.d.R. Nel senso psicoanalitico del termine, per indicare una comprensione fantastica, fantasmatica, non vera della realtà, in contrapposizione al “principio di realtà” che ha invece l’adulto, che interagisce con la realtà così come essa è.
[3] N.d.R. Di nuovo nel senso psicanalitico del termine.