Mettiamo a disposizione on-line la trascrizione della meditazione di don Achille Tronconi tenuta il 2/2/2007 nella Basilica di San Marco a piazza Venezia durante il pellegrinaggio a Roma dei seminaristi del Seminario Interdiocesano di Genova, in occasione della visita “ ad limina Apostolorum” dei vescovi della Liguria.
Il Centro culturale Gli scritti (14/2/2007)
"Il riconoscimento della Chiesa è stato la convinzione
determinante della mia vita. Quando ero ancora studente di scienze politiche
ho capito che la vera e propria scelta cristiana non ha luogo davanti al concetto
di Dio e neppure di fronte alla figura di Cristo, ma davanti alla Chiesa. Ciò
mi ha fatto capire che una vera efficacia è possibile solo nell'unità
con essa.”
(Romano Guardini, lettera a mons. G.B. Montini, 29 marzo 1952)
Qual è il significato dell’andare in pellegrinaggio sulla tomba
degli Apostoli, cosa davvero significa?
In questi giorni vissuti con voi, con le Diocesi, con i nostri Vescovi in visita
ad limina Apostolorum, nell’incontro con il Papa, mi sono chiesto cosa
è per me la Chiesa. Per rispondere ho pensato a questa immagine che ora
vi dico, molto semplicemente, perché anche voi possiate pensare a questa
realtà che è la Chiesa.
Ci aiuta questo luogo, la Basilica di San Marco in Roma, dove non solo, forse,
è nato, è stato scritto il suo vangelo, ma che è stata,
probabilmente, una delle prime “parrocchie” di tutta Roma - dove
la parrocchia è questo essere Chiesa tra la gente.
La fede noi ce la giochiamo prima di tutto e soprattutto davanti alla Chiesa.
Prima ancora che con Gesù Cristo, prima ancora che con il Vangelo, prima
ancora che con tutto il resto. Noi ci giochiamo la fede - proprio come atteggiamento
di fede - nei confronti della Chiesa.
L’immagine è questa: c’è una nascita della nostra
fede, che è proprio la Chiesa. Il momento della nascita della fede è
proprio un atto ecclesiale. La Chiesa è la nascita, è lei che
ci ha donato la fede, che l’ha fatta nascere in noi.
Allora la definizione più bella deriva da lì: la Chiesa è
madre. E’ madre che partorisce, che fa nascere. Quindi prima,
innanzi a tutto: la Chiesa, la matrice, l’inizio.
Solo poi esiste una crescita, una conoscenza, un nutrimento, che è la
Parola di Dio - che, guarda caso, ti viene data dalla Chiesa!
Quindi la nascita,l’inizio e poi l’accoglienza della Parola di Dio
come nutrimento come crescita. Tu cresci perché mangi di quella Parola,
l’accogli, la fai tua, anzi diventa la tua fame.
E cresci fino ad arrivare ad un terzo momento che è il celebrare.
Cresci fino ad avere coscienza da adulto consapevole, fino a celebrare questa
tua crescita e questa tua madre – questo celebrare che è la liturgia
e la carità. Quella vita che tu hai ricevuto e che è cresciuta
adesso la doni.
La tua caratteristica è ora di essere una persona adulta che cresce e
dona la vita.
Ma tutto ha inizio - e non solo cronologicamente, ma costantemente ha inizio
- con questo schema. Tutte le volte io devo partire da quella origine, da quel
momento. Ripeto: lì si gioca la fede. Ecco, allora, la Chiesa diventa
davvero il segno di una misericordia e di un amore grande, che è l’amore
di Cristo per la sua Chiesa.
E’ il Christus totus di Agostino. Sono tutte immagini che danno
un’importanza determinante a questo ricevere la vita dalla Chiesa. Per
cui non è la Chiesa che si deve adeguare ai nostri gusti, al nostro pensiero,
ai nostri schemi, alla nostra ideologia. Se sono furbo, intelligente e guidato
dallo Spirito, capisco che la mia verità trova la sua pienezza nel momento
in cui sono io a fare tutto lo sforzo per comprendere questa realtà che
è la Chiesa. Io la devo ricevere, devo farne parte, ne divento parte
viva, io ne sono figlio.
Questo oggi spesso si dimentica. Se non si celebra il dono di questa madre,
se la si dà sempre per scontata (con la madre è sempre un po’
così, c’è, e finché non ti crea problemi la dai per
scontata) non si diventa a nostra volta donatori della vita e della fede. Invece
dobbiamo celebrare l’inizio della nostra vita: c’è stato
un gesto d’amore fecondo, è questo che genera la fede. E’
un’esperienza di vita che ha lo spessore della mia stessa vita, non lasciando
fuori niente di questa vita.
Ecco cosa significa andare sulle tombe degli apostoli, venire qui nei luoghi
dell’evangelista Marco. Non è una bella teologia spirituale, né
tanto meno fanatica, non è mero interesse storico.
E’ comprendere come è grande, veramente grande - e come è
bella questa madre. E’ capire che non possiamo accontentarci di essere
figli, ma dobbiamo avere anche noi la forza di essere poi genitori di altri
figli, perché lei possa sempre generare. Dobbiamo esserne convinti, così
convinti che questo deve diventare il nostro marchio di riconoscimento. Così
convinti che in questo deve consistere la nostra spiritualità. Noi non
abbiamo bisogno di andare ad innestare chissà dove la nostra spiritualità;
la troviamo nell’attingere a questa dimensione di Chiesa, di Chiesa diocesana,
di Chiesa cattolica, di Chiesa dentro al secolo, dentro la storia, nella mia
vita.
Ecco: è qui che chi è scaltro va a trovare la forza per annunciare
il Cristo. Altrimenti abbiamo il Cristo degli esegeti di una certa corrente,
il Cristo degli spiritualisti e via dicendo. Ma lo Sposo della Chiesa è
un’altra cosa. Sono una cosa sola il Cristo e la sua sposa, non è
più possibile dividere Cristo dalla sua sposa. Sono una carne sola. Non
possiamo credere e seguire Cristo - accoglierlo, cercarlo, studiarlo, conoscerlo
- se continuiamo ad elencare il nostro contenzioso con la sua sposa, nostra
madre. Se non impariamo ad amarla, non ameremo neanche Cristo. E se non impariamo
a servirla, non serviremo neanche Cristo. E neanche l’umanità.
Ecco che cosa dovremmo trovare dentro la Chiesa e sopra la tomba degli Apostoli.
La grande forza di nascere ancora, di nascere sempre, perché questo amore
sarà turbato, provato, disturbato, tentato. Ed avrà bisogno continuamente
di trovare la sua forza nell’origine per essere vivo.
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