La scuola riparta da maestri e contenuti, di Giorgio Israel
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Il Centro culturale Gli scritti (27/11/2010)
L'economia s'impone come un'emergenza per il nuovo governo, ma sarebbe grave non rendersi conto che, senza interventi efficaci sulla scuola, l'Italia precipiterà nel sottosviluppo in tempi neppure tanto lunghi.
Nelle discussioni sui rimedi colpisce l'insistenza sulle questioni di ingegneria del sistema e il silenzio sulle questioni di contenuto, soprattutto quando a occuparsene sono sindacati e mondo dell'impresa, che non hanno competenza su tali tematiche. Sarebbe opportuno che i sindacati facessero un passo indietro, rinunciando alla pretesa di disegnare la struttura del sistema scolastico e il mondo industriale considerasse la scuola come un luogo di formazione e non come un mero luogo di addestramento alle abilità che servono nel mondo produttivo.
Esaminiamo alcuni dei nodi da affrontare. [...] È da evitare l'abuso di materie didattico-pedagogiche perché, come ha osservato bene Fabrizio Foschi, la relazione tra docente e allievo nell'apprendimento non può essere ridotta a un problema tecnico e non esistono didattiche operative che garantiscano un buon trasferimento delle conoscenze dall'insegnante all'alunno. Il processo di apprendimento si basa su un rapporto tra persone, in cui «l'adulto comunica anzitutto, attraverso la materia o l'attività che svolge, una ipotesi di significato che vive in prima persona, e l'allievo impegna la sua libertà nella verifica, talvolta faticosa ma sempre appagante, della scelta di una strada esistenziale, culturale e professionale che si chiarifica seguendo dei maestri».
Abbiamo quindi bisogno di “maestri” (e non di “facilitatori” o “animatori”). È decisivo restituire ai professori il ruolo, il sentimento e la dignità di essere educatori e “maestri”. Naturalmente occorre che mostrino di essere tali e che siano premiati quanto più ne sono capaci (e penalizzati se non lo sono). In altri termini, occorre un efficace sistema di valutazione. [...]
Veniamo così alla questione centrale dei contenuti. Quando sono entrato nella Commissione ministeriale per l'insegnamento della matematica colleghi “esperti” mi hanno spiegato che non si deve parlare di “programmi”, che sono cosa “impositiva”, bensì soltanto di “indicazioni nazionali” degli obiettivi. I programmi si costruiscono in classe. Il risultato è che i programmi li fanno le case editrici producendo spesso libri pessimi e infarciti di folli invenzioni (come la legge “dissociativa” dell'addizione), mentre le “indicazioni” sono una raccolta di vacuità scritte in uno stile pedagoghese insopportabile che propongono obiettivi assurdi: ad esempio, (per il ciclo elementare) la capacità di «valutare gli effetti delle decisioni e delle azioni dell'uomo sui sistemi territoriali» o di «produrre semplici testi storici», o (per il ciclo superiore) di «riconoscere i concetti di sistema e di complessità nelle sue (sic!) varie forme», e questo quando neppure gli specialisti sono d'accordo sulla definizione di complessità.
Nel frattempo, gli studenti indiani, seguendo “programmi” tradizionali, sopravanzano nella matematica di almeno tre anni i nostri studenti. In conclusione, se non riformuleremo solidi curriculum disciplinari, pensati da persone competenti e non da pedagogisti parolai, ogni escogitazione di ingegnerie di sistema produrrà soltanto un vano agitarsi lungo il pendio di un veloce declino.