Che cosa si deve propriamente intendere per catechesi dei bambini e dei ragazzi di “ispirazione catecumenale”? (V parte: gli orizzonti aperti dal “secondo” annunzio), di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 28 /09 /2011 - 22:42 pm | Permalink | Homepage
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Presentiamo sul nostro sito la V parte di uno studio di Andrea Lonardo sull’Iniziazione cristiana. Clicca qui per leggere la I parte, la II parte, la III parte, la IV parte, la V parte, la VI parte, la VII parte, l'VIII parte e la IX parte. Per approfondimenti sull’iniziazione cristiana, vedi su questo stesso sito la sezione Catechesi e pastorale.

Il Centro culturale Gli scritti (28/9/2011)

Indice

“Secondo annunzio” o “primo annunzio”? Il gioco di parole nasconde questioni profonde ed estremamente interessanti.

1/ La storia recente dell'espressione "secondo annunzio"

Il termine “secondo annunzio” è stato recentemente utilizzato da un volume di E. Biemmi[1], ma era già emerso nel Convegno nazionale dei direttori degli Uffici catechistici di Reggio Calabria.

In quel contesto era stato innanzitutto Giampietro Ziviani a ricordare le riflessioni del cardinale Camillo Ruini e del teologo Pierangelo Sequeri in merito[2]:

«Come notava il card. Ruini - il paradigma della secolarizzazione sembra essere stato accettato più supinamente all’interno della chiesa che all’esterno, come unica ermeneutica del presente, che condannava i cristiani all’inevitabile scomparsa.
La civiltà post-cristiana in Italia sta invece ancora una volta mutando forma e in questo frangente è lecito chiedersi se possa esistere un primo annuncio nel nostro paese, o se non si debba cominciare direttamente dal secondo, oppure dal destrutturare quello esistente.
“Da noi non ci sarà più un rapporto innocente con il cristianesimo; nel bene come nel male
. Il cristianesimo che cerca di impiantare il seme originario dell’evangelo nel mondo che si trasforma ora, incontra sempre da qualche parte un cristianesimo già insediato in un mondo precedente” (P. Sequeri, Non c’è nessun partito di Dio. Evangelizzazione, Occidente, Parrocchia, RCI 2004, 564).
Anzi proprio il peso di un’eredità troppo cospicua sembra condizionare l’abbandono di molti che se ne vanno e la stanchezza di altri che restano. Certamente possiamo dire che l’ignoranza religiosa e la confusione culturale hanno creato una specie di analfabetismo religioso di ritorno, ma non possiamo dire che l’Italia sia un terreno sgombro e neutrale, dove l’annuncio parte da zero. Non c’è quotidiano che non riporti ogni giorno qualcosa della cronaca ecclesiale e non c’è giornalista che non usi termini desunti dal lessico ecclesiastico. Questo rende il compito dell’annunciatore più facile e più difficile insieme. Più facile perché utilizza parole già conosciute e un abbecedario di esperienze primarie non del tutto cadute in oblio (es.: sacramentalizzazione di massa, catechismo), più difficile perché deve cercare di istituire un fondamento con le realtà che esse rappresentano più significativo di quello che esiste, che è stato rifiutato, o che soprattutto è ritenuto già conosciuto e superato o poco rilevante.
La situazione italiana somiglia alla conoscenza non vitale e scoraggiata dei due di Emmaus, già inquadrata e giudicata inutile. Non è un cristianesimo che parte da zero, ma non è nemmeno la prosecuzione di quello che esiste. Non possiamo dichiararlo morto e poi pretendere di rivendicarne le radici nella cultura europea».

Nello stesso Convegno era stato poi autorevolmente Mons. Mariano Crociata a ricordare la peculiare condizione italiana dinanzi alla questione dell’“annunzio”: 

«La peculiarità di questo tempo la vedo, tra l’altro, nella caratteristica transizione che lo contraddistingue, da una forma di cristianità sia pure sempre più indebolita da una situazione culturale, etica e religiosa di pluralismo, segnata nondimeno da una forma di persistenza dell’eredità cristiana che chiede una attenta valutazione ed un adeguato rapporto.
Questa attenzione mi sembra sia stata adottata dai vescovi italiani con gli Orientamenti pastorali che hanno scandito i decenni del post-concilio, nei quali un ruolo chiave ha comunque giocato fin dall’inizio l’evangelizzazione. Si direbbe che il loro impegno è stato proteso a salvaguardare il carattere popolare della persistenza cristiana e cattolica del nostro paese e, di rimando, a scongiurare velleità variamente ritornanti a ripiegare dentro recinti rigorosamente delimitati di appartenenze elette. Non è peraltro privo di rischi il rapporto con una differenziazione sempre più sfumante di legami labili e appartenenze sfuggenti, che danno luogo ad una religiosità diffusa di sapore vagamente cristiano ma di un cristianesimo ormai estenuato e inconsistente. [...]

Il “mondo che cambia” è certamente anche quello della comunità cristiana: delle diocesi e delle parrocchie, degli istituti religiosi e delle aggregazioni ecclesiali. Ciò nonostante, dobbiamo rilevare come non sia affatto mutata la caratteristica di popolarità e di radicamento nella vita della gente e dei territori, che da sempre contraddistingue la nostra Chiesa. Essa oggi ci appare come un popolo differenziato e plurale, non privo di vitalità e di capacità inclusiva, nient’affatto elitario e marginale nella stessa dinamica sociale. Della singolarità del radicamento popolare del cattolicesimo italiano nel quadro europeo ci ha spesso parlato anche il carissimo mons. Cataldo Naro. Ai suoi occhi, questa originalità appariva non come un retaggio del passato, ma come una sfida pastorale, nel doppio senso di un compito di attenzione nei confronti di un ampio numero di fedeli, che le appartengono per il battesimo, e di un’opportunità per la stessa missione di evangelizzazione».

Infine era stato chi scrive a ricordare, nella relazione sintetica conclusiva del convegno, la centralità della questione del "secondo annunzio", sottolineandone due conseguenze importanti, sotto il titolo “Primo annuncio e catechesi: due realtà da non contrapporre”[3]:

«Mons. Crociata ha proposto una lettura della situazione della fede in Italia. La condizione in cui viviamo non è certamente più quella che si è soliti indicare con la parola di “cristianità”, ma non è neanche quella di un Paese che semplicemente ignora o disprezza il cristianesimo. Anche Giampietro Ziviani, citando Sequeri, ricordava come si potrebbe parlare propriamente di un “secondo annunzio”, proprio perché in Italia non si dà un rapporto “innocente” con il cristianesimo. Ci sembra che questa consapevolezza sia condivisa da molti dei presenti, con due conseguenze molto importanti.
La prima: proprio perché la fede non può essere data per presupposta, il primo annunzio è estremamente significativo. Si potrebbe dire che è la realtà più bella, è lo scoprire che non si tratta di condividere questa o quella cosa secondaria, ma piuttosto il tesoro più prezioso, il primato di Dio che rivela pienamente il suo volto solo in Gesù Cristo. Proprio questa convinzione toglie quella stanchezza che può prendere una catechesi che non si ritenga più necessaria. Essa riscopre, invece, di poter donare all’uomo ciò che gli è essenziale.

La seconda: la stima per la fede cristiana che la storia del nostro Paese ha posto nel cuore di tanti li porta a rivolgersi alla Chiesa in momenti decisivi ed importantissimi della vita, per chiedere la grazia di Dio alla nascita di nuovi bambini, perché i figli siano aiutati nella crescita da educatori cristiani, per l’invocazione della presenza di Dio nella sofferenza e nel lutto, per preparare la scelta del matrimonio, ecc. Questo fatto – ci sembra – deve tornare ad essere guardato con grande simpatia e con sincero apprezzamento, anche se le ragioni di questa vicinanza non hanno fin dall’inizio la purezza che desidereremmo. Sarebbe strano che si guardassero con grande simpatia le domande di coloro che sono lontani dalla Chiesa e non si sapesse apprezzare la domanda di chi bussa alle porte della comunità cristiana o, addirittura, la abita anche se solo nella messa domenicale. Questo genera allora, senza alcun contrapposizione con la necessità del primo annunzio, la complementare consapevolezza del valore che ha tutto il tempo impiegato per la catechesi dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, degli adulti».

Come dicevamo il termine “secondo annunzio” è stato poi ripreso da E. Biemmi che, nel suo recente volume, scrive[4]:

«La maggioranza delle persone che frequenta [le parrocchie italiane] con regolarità, in maniera sporadica o solo in qualche passaggio veloce della vita (battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni e funerali) sono già state iniziate alla fede. Conoscono il cristianesimo e la Chiesa, forse troppo male. Danno la fede per scontata oppure ne hanno una rappresentazione parziale, confusa, se non addirittura distorta. Molti cristiani vivono una fede di abitudini; altri si limitano a qualche gesto e rito. Molti si sono allontanati e si tengono a prudente distanza. È per questo motivo che, per evitare confusioni mentali e pastorali, dobbiamo inserire nel nostro linguaggio ecclesiale la nozione di secondo annuncio.
Infatti, il problema principale delle parrocchie Italiane è duplice. Da una parte si tratta di riportare i credenti (più o meno credenti) a riscoprire la novità profonda del vangelo, a non darla per scontata, a ritornare costantemente al «primo amore», al «primo stupore».
Dall'altra occorre andare incontro a chi si è allontanato dalla fede per varie ragioni: per dimenticanza, per trascuratezza, per ostilità, per distacco fisiologico, per esperienze negative con la Chiesa e i suoi rappresentanti, per influsso di altre culture o religioni...
Per «secondo annuncio» possiamo così intendere le proposte che riavviano alla fede persone che sono cristiane per abitudine o che hanno preso distanza da essa. Intendere il primo annuncio come «secondo annuncio» fa uscire da molte ambiguità e aiuta ad accostare correttamente le persone, sapendo che non sono una tabula rasa, ma che hanno un vissuto che va preso in considerazione, lasciato esprimere, rielaborato.
Non pensiamo, a questo proposito, che il secondo annuncio ai praticanti sia più facile del secondo annuncio a chi ha perso i contatti con le nostre comunità ecclesiali. Il primo annuncio, infatti, così come il secondo «primo annuncio», costituisce sempre un'esperienza inaugurale, provoca un inizio nuovo, risveglia lo stupore assopito. Ora, niente di più difficile che stupire dei cristiani praticanti o abitudinari: non si stupiscono più di niente! Che fatica, ad esempio, stupire qualche cristiano raccontandogli la parabola sconvolgente del Padre misericordioso. Tutto il vangelo è diventato conosciuto, ovvio, scontato.
Non meno impegnativo è il secondo annuncio con persone che hanno perso i contatti con la fede. Qui può essere utile ricordare la parabola del seminatore. Nessuno è tabula rasa. I terreni sono già ingombrati da pregiudizi, esperienze negative, resistenze, allergie, timori. Prima di far imparare, occorre un lungo tempo per aiutare a disimparare. È il grande problema delle rappresentazioni religiose, che in molte persone costituiscono un ostacolo alla fede perché veicolano immagini di Dio, della Chiesa, della morale... distorte e dannose. In entrambi i casi, il secondo annuncio è davvero il problema fondamentale delle nostre parrocchie e la sfida più grande del contesto culturale italiano».

2/ Quale valutazione dare delle sedimentazioni del "primo annunzio" se se ne porge un "secondo"?

A noi sembra che la questione abbia due aspetti complementari. Si tratta da un lato di avere una valutazione realista e non massimalista delle sedimentazioni che il “primo annunzio” già ricevuto ha lasciato

Cosa che comporta un discernimento delle pre-comprensione errate nelle persone, ma anche un apprezzamento dell’esistente, come già ricordavamo a Reggio. Bisogna, insomma, guardarsi da un giudizio ingenuo che dimentica di porre con il “secondo annunzio” la questione radicale della fede, ma anche cessare da un giudizio risentito verso coloro che sono cristiani a motivo di un lontano “primo annuncio” ricevuto nel passato. Quando si chiede giustamente ai cristiani di essere accoglienti e aperti verso chiunque a qualunque religione appartenga, a maggior ragione bisogna chiedere di essere carichi di misericordia verso i fratelli cristiani “deboli” nella fede.

È utile porre la questione anche in termini interrogativi: come considerare quell’atteggiamento di partenza di molte famiglie italiane che le spinge, nonostante tutto, a chiedere il battesimo dei figli e a desiderare per essi la celebrazione dei sacramenti?

Come sottrarsi, nella valutazione di questo fatto, alla tentazione di valutarlo in maniera assolutamente positiva oppure assolutamente negativa, decidendosi invece per una fedeltà al momento storico nel quale il Signore ci pone?

3/ "Secondo annunzio": un modo per porre la questione della "nuova evangelizzazione"

Ma l’altro lato della questione che appare evidente nell’ottica del “secondo annunzio” è proprio quello della “fondazione” della fede. Le persone che si avvicinano alla catechesi hanno un atteggiamento benevolo verso di essa, ma anche una quasi assoluta ignoranza sui suoi fondamenti e sulla sua credibilità.

La riflessione sul “secondo annunzio” è ovviamente un modo di aprire la questione della “nuova evangelizzazione” e dichiarare che essa è centrale per la catechesi. L’aggettivo “seconda” è chiaramente parallelo al’aggettivo “nuova” e ne esplicita alcune valenze.

È molto importante e significativo che il lavoro di Biemmi citi[5]senza “citarle” – le parole dell’allora cardinale Joseph Ratzinger (che a sua volta citava H. U. von Balthasar):

«la fede non va più presupposta, ma proposta».

L’espressione è stata utilizzata la prima volta da J. Ratzinger in una presentazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, avvenuta nel corso del Sinodo di Roma, e poi da lui ripetuta altre volte[6].

Giustamente Biemmi afferma, in questa prospettiva, che

«la questione del contenuto torna centrale nel primo e nel secondo annunzio, perché l’atto di fede non può essere slegato da esso: qual è il volto del Dio a cui mi affido? In chi pongo la mia speranza? L’atto di fede richiede di conoscere colui a cui ci si affida».

Centrale è allora la questione dell’identità della fede stessa. Si può credere solo perché si conosce il Dio cui ci si affida, mentre un affidamento “al buio” non avrà radice e stabilità.

Ora la grande questione che si pone nella valutazione delle sperimentazioni in atto e nell’elaborazione di nuove è esattamente se emerge con sufficiente chiarezza l’identità teologica cristiana e la sua bellezza assolutamente unica perché sia accolta con convinzione.

Ad esempio, il testo già citato di Biemmi propone che il “secondo annunzio” giunga a parlare di Dio Padre solo come ultima tappa dell’itinerario, partendo invece dalla comunità dei credenti, passando poi alla figura di Gesù ed, infine, giungendo al Padre[7].

A noi sembra che questa impostazione sia meno entusiasmante proprio nel contesto attuale, perché forse è proprio la questione di Dio la prima che interessa chi si riavvicina alla chiesa per riascoltare un “secondo annunzio”. Il "secondo annunzio" non riceverebbe il colpo d'ala di cui ha bisogno proprio dalla centralità della questione di Dio?

Se ci si rivolge al Nuovo Testamento, per illuminare con la Scrittura la questione, appare evidente che dove la questione di Dio è già chiara – come nel caso dell’annunzio agli ebrei – la predicazione argomenta a partire dall’annunzio della Pasqua. Dove, invece, il problema stesso di Dio è ancora confuso – come nel caso dell’annunzio ai pagani nell’Areopago – la predicazione parte dalla questione stessa di Dio.

(continua)

Note al testo

[1] E. Biemmi, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna, 2011.

[2] La formazione per il Primo annuncio: i cristiani, le comunità, gli accompagnatori, relazione tenuta il 17 giugno 2009 al Convegno Nazionale dei direttori degli Uffici catechistici diocesani, Reggio Calabria, 2009, che aveva per titolo “La nostra lettera siete voi... (2 Cor 3,2). Ascoltare le domande, comunicare il Vangelo, condividere l’incontro con Cristo”.

[3] Dalla Relazione conclusiva di Andrea Lonardo, 18 giugno 2009, al Convegno Nazionale dei direttori degli Uffici catechistici diocesani, Reggio Calabria, 2009, dal titolo “La nostra lettera siete voi... (2 Cor 3,2). Ascoltare le domande, comunicare il Vangelo, condividere l’incontro con Cristo”.

[4] E. Biemmi, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna, 2011, pp. 36-37.

[5] E. Biemmi, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna, 2011, p. 33.

[6] J. Ratzinger, La fede della Chiesa di Roma, disponibile on-line su questo stesso sito.

[7] E. Biemmi, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna, 2011, pp. 39ss.

Resta inteso che parlare di “secondo annunzio” significa aprire il tema della “nuova evangelizzazione” ed affermare che tale prospettiva è centrale proprio per la catechesi.