Che cosa si deve propriamente intendere per catechesi dei bambini e dei ragazzi di “ispirazione catecumenale”? (II parte: Il primato dell'evangelizzazione), di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (21/7/2011)
«Il necessario primato dell’evangelizzazione»: così la CEI, nella Premessa del 1978 (1978!!!), enuncia la prima delle “linee” e delle “indicazioni” che emergono dal RICA che veniva allora presentato in Italia «per il rinnovamento pastorale in atto oggi nelle nostre Chiese». Il testo recita espressamente: «L’“Ordo” fa emergere pertanto l’esigenza di un’azione pastorale che conduca alla riscoperta o alla consapevolezza progressiva e personale della propria fede»[1].
Perché il primato dell’evangelizzazione? Perché il catecumenato battesimale non presuppone mai la fede, bensì la fa maturare e – si potrebbe dire – la fonda dalle radici. Tutti gli studi e le esperienze riconoscono - almeno in teoria – che è questo il primo elemento determinante con il quale il catecumenato “ispira” la catechesi. Esso rinnova la catechesi ricordandole che non può e non deve esistere un’iniziazione cristiana che non sia, al contempo, “annuncio del vangelo”.
Ma oltre all’esperienza storica del catecumenato anche il contesto odierno della catechesi “urla” questa richiesta: tutti concordano, infatti, nel ritenere che non si possa presupporre la fede in chi si accosta per ricevere i sacramenti dell’iniziazione. L’esigenza di un nuovo annunzio del vangelo nasce così concordemente dall’esperienza del catecumenato antico e dall’ascolto del tempo in cui viviamo[2].
Il cammino da fare è enorme. Le nuove sperimentazioni segnalano questa esigenza a livello terminologico. La novità appare manifesta nella terminologia utilizzata nei “primi volumi” dei diversi Sussidi proposti: essi portano titoli diversi come “Prima evangelizzazione”[3] o “Evangelizzazione”[4] o ancora “Arare” e “Seminare”[5], “Primo annuncio”[6], “Cammino di primo annuncio”[7], “Ti raccontiamo Gesù” e “La scoperta di Gesù”[8]. Anche l’itinerario proposto dall’Ufficio catechistico di Verona, pur non utilizzando la terminologia appena riportata poiché si caratterizza come cammino per l’iniziazione cristiana “con le famiglie”[9], manifesta la stessa esigenza affermando nella Prefazione che «si allarga la convinzione di interpretare l’esigenza del “primo annunzio” come dimensione ordinaria della catechesi»[10].
Se, però, si passa dall’enunciazione teorica al contenuto effettivo, si vede subito la fatica nell’indicare un cammino reale in questa direzione. I contenuti di questi itinerari di “primo annunzio” toccano molto i temi dell’accoglienza, dell’instaurarsi di rapporti familiari fra la parrocchia ed i partecipanti alla catechesi, della creazione di un calore relazionale – elementi che non debbono essere mai trascurati - ma molto meno quelli della “novità” della fede e delle sue motivazioni.
Leggendo i sussidi proposti dalle diverse sperimentazioni sembra che non in teoria, ma spesso di fatto la fede sia in questi progetti presupposta sia nei bambini, sia nei loro genitori, al punto che non viene nemmeno sollevata la questione se vale la pena credere. I diversi testi non sembrano sollecitare i catechisti a rendersi conto che i partecipanti alla catechesi hanno dei dubbi sulla fede che debbono essere sciolti, che sono sulla soglia e non sanno se vale la pena entrare.
Quasi mai si affronta, ad esempio, la questione della differenza fra la fede e l’ateismo ed, in specie, si esplicita la prospettiva dell’ateismo moderno che si propone a partire da una visione che si pretende scientifica del mondo e non a partire da considerazioni antropologiche, come nel passato[11].
Mai si affronta la questione della differenza fra il cristianesimo e le altre religioni, provando a motivare perché meriterebbe diventare cristiani, piuttosto che seguire un altro Credo.
Il fatto che l’uomo sia fatto per Dio e che tutta la sua esistenza lo spinga a cercare la verità e a domandarsi quale speranza sostenga il suo cammino – e questo anche prima ed al di fuori del cristianesimo - è accennato solo tangenzialmente. Sembra quasi essere dato per presupposto che Dio esista e che Egli ci ami – quest’ultima espressione viene ripetuta infinite volte nei diversi progetti come un dato di fatto che si potrebbe evincere o dall’amore che i genitori hanno per i figli o dalla contemplazione del creato.
Anche nei catechismi CEI, talvolta, la questione dell’annunzio non è posta esplicitamente, quando la fede viene presentata come un’evidenza. Ad esempio, afferma Io sono con voi, p. 8: «Sono le creature che manifestano Dio Padre ai fanciulli; sono le persone di buona volontà e le loro opere. In particolare sono il padre e la madre che, uniti nell’amore, esprimono la bontà di Dio; sono i cristiani [...]. È soprattutto Gesù nella sua Chiesa che rivela il volto del Padre».
Il tema del desiderio di Dio presente in ogni uomo antecedentemente al cristianesimo è presentato, invece, all’inizio di Vi ho chiamato amici, che, dopo una sommaria descrizione dell’origine della civiltà, giunge ad affermare: «La storia delle religioni è la storia degli uomini che cercano Dio. Perché un desiderio così profondo di arrivare a lui? [...] E se Dio venisse incontro alle nostre aspirazioni profonde e ci aprisse gli occhi per capire il mistero della vita» (Vi ho chiamato amici, p. 19)[12].
Solo il Catechismo degli adulti La verità vi farà liberi sembra essere, fra tutti i testi fin qui considerati, veramente di stile catecumenale quanto al punto di partenza ed ai primi temi proposti. Esso presenta innanzitutto l’incontro di Gesù con la Samaritana invitando ad approfondire la paradossale condizione dell’uomo in cui tutto «contrasta con quello che sembra essere il nostro anelito più profondo» (p. 18). Si citano testi che potrebbero condurre a posizioni non cristiane, come Qoèlet e Nietzsche. Si riflette poi sulla sete inesauribile di vita e di amore che ha l’uomo, a partire da Pascal, da Rilke, da Agostino, dal Concilio. Solo dopo essersi soffermati a lungo (pp. 17-34) sull’uomo “capace di Dio” si giunge a presentare il fatto della rivelazione di Dio che viene incontro all’uomo e che raggiunge la sua pienezza in Cristo, mediatore e pienezza della rivelazione (pp. 35-58). Il cristianesimo viene così presentato dalle sue fondamenta, dal suo centro, e non a partire da punti secondari. E proprio questa via sembra più necessaria se si vuole seguire la via di un primo annunzio della fede cristiana. Partire, invece, da singoli fatti della vita di Gesù ha senso solo se la fede è già salda, se la si può presupporre e la si deve solo corroborare.
Nei testi delle sperimentazioni sembra invece preferita una linea che sorvola sulle questioni centrali della rivelazione, per privilegiare alcuni episodi della narrazione evangelica, soprattutto a partire dal vangelo di Marco.
Detto en passant non si dovrebbe dimenticare che il vangelo propriamente catecumenale è, per la tradizione, quello di Giovanni, come dimostra la Quaresima che precede il Battesimo. Nei testi evangelici della III, IV e V domenica di Quaresima si pongono le tre grandi questioni dell’uomo che vengono illuminate dal Cristo: nell’episodio della Samaritana la questione sulla sete inestinguibile dell’uomo, nell’episodio del cieco nato quella sulla verità che l’uomo vuole contemplare, nell’episodio della resurrezione di Lazzaro quella sulla possibilità di vivere in pienezza una vita che non finisca[13].
Questo sorvolare sui motivi della fede in questi itinerari – la nostra è solo un’ipotesi che offriamo alla discussione – potrebbe dipendere dalla scelta di una linea educativa che trascura i contenuti. “Primato dell’evangelizzazione” verrebbe allora tradotto da molte di queste sperimentazioni di tipo catecumenale come preoccupazione di “mostrare un volto accogliente, sorridente, positivo della Chiesa”, senza esplicitare più apertamente ciò che è specifico nella fede cristiana.
Questo sembrerebbe confermato – ma anche questa è solo un’ipotesi che offriamo alla discussione – da una preferenza accordata ad alcune dimensioni del ruolo dei catechisti che non vengono chiamati ad una specifica presentazione del “mistero” di Cristo, bensì, solo per citare un esempio, a «mediare, accompagnare, facilitare il confronto fra i presenti, riconducendo qualora serva, la discussione sul tema centrale facendo in modo che ciascuno possa avere il proprio spazio di intervento»[14].
In sintesi – è il problema che vogliamo porre – l’assenza di una presentazione della questione di Dio e della sua rivelazione, della questione dell’uomo come aperto all’Infinito, della questione dell’Incarnazione e della questione della peculiarità del cristianesimo rende difficile l’utilizzo di questi itinerari ai fini di un “primato dell’annunzio”. Le questioni che interessano chi non crede e chi non sa ancora se vale la pena credere non vengono esplicitate negli itinerari.
D’altro canto tali scelte pongono domande ulteriori. È un giusto atteggiamento educativo non toccare proprio queste questioni con i bambini, quasi che essi non si pongono grandi domande? Ed, ancora di più, non è in fondo trascurare troppo la condizione adulta dei genitori il sorvolare su questioni così decisive?
Qui appare profondamente utile – profetica, si dovrebbe dire – la prospettiva catechetica di Benedetto XVI. Ogni volta che Benedetto XVI presenta un determinato aspetto della fede cristiana in una catechesi, in un testo scritto o in un’omelia, appare immediatamente evidente all’ascoltatore la “novità” cristiana.
Dire “novità” implica dire ciò che non esisteva “prima”, ciò che non esiste “al di fuori”. E questo dinanzi alle questioni fondamentali dell’esistenza e della fede.
Ma dire “novità” implica anche dire “differenza”. Mai le grandi affermazioni della fede sono evocate dal pontefice senza un riferimento a ciò che l’uomo penserebbe di esse se non esistesse la rivelazione cristiana. Perché l’uomo che si pone in ascolto della chiesa ha un suo punto di partenza che non è la rivelazione. Questo punto deve sempre essere evocato, tenuto presente, esplicitato nella catechesi, soprattutto se essa si vuole caratterizzare come “annunzio”.
Ma esplicitare la “novità” e la “differenza” cristiana implica anche la scoperta della “motivazione” della fede. Essa è l’ipotesi che “seduce”, mentre la vita, senza la prospettiva aperta dal Vangelo, si manifesta più povera. Ed una vera “motivazione” non può non soffermarsi ad indicare i “perché”.
Tale “motivazione” non può d’altronde, che valere se non come “compimento” di un attesa che l’uomo scopre di avere. Non come semplice “rottura” dell’esistente – anche se la fede è certamente indeducibile dall’esistente – ma come realtà che porta a compimento ciò che altrimenti sarebbe solo “promessa” e “attesa”.
Insomma, una catechesi che voglia riscoprire la sua dimensione di “primo annunzio” non può non affrontare le seguenti questioni[15]:
- che cosa c’è propriamente di nuovo nella fede cristiana?
- che cosa c’è propriamente di diverso nella fede cristiana?
- qual è la motivazione di questa novità e di questa diversità?
- che cosa c’è di bello in questa diversità?
- perché questa novità “porta a compimento”non cancellando, ma insieme svelando l’inadeguatezza dell’umano?
La catechesi è chiamata a ripensarsi a partire da questa prospettiva. Essa deve presentare, innanzitutto, cosa è il cristianesimo. Se la fede non può essere presupposta, allora deve essere presentata. Questa sembra essere la prima, grande provocazione, che uno stile catecumenale offre alla catechesi dell’Iniziazione cristiana: una provocazione ancora da affrontare. Decidersi per uno “stile catecumenale” vuol dire innanzitutto concentrarsi sulla grande questione da cui dipendono tutte le altre: perché dovrei essere cristiano?
Merita sottolineare che questa questione non può essere risolta una volta per tutte. Se le diverse sperimentazioni scelgono la via di dedicare il primo anno – e conseguentemente il primo volume dei loro sussidi – alla proposta della fede, anche il prosieguo del cammino dovrà essere continuamente illuminato dall’annuncio della novità cristiana. Non si potrà, solo per fare un esempio, aiutare a comprendere il valore della liturgia e dei sacramenti semplicemente descrivendoli o vedendone il loro rapporto con la Bibbia. Sarà necessario, soprattutto, motivare perché il cristianesimo non abolisce il rito e come lo rinnova, qual è la peculiarità e la bellezza della liturgia cristiana e perché essa si differenzia da ogni altra forma rituale elaborata nel tempo dagli uomini, portandole però a compimento in tutto ciò che avevano di positivo.
(continua)
Note al testo
[1] Premesse della CEI alla traduzione italiana del RICA, 1 (anno 1978). Come è noto la seconda indicazione è quella della stretta relazione che esiste tra Iniziazione cristiana e comunità ecclesiale, la terza è quella dell’organica connessione dei tre Sacramenti dell’Iniziazione. Su queste ulteriori indicazioni si tornerà più avanti.
[2] Si pensi, ovviamente, innanzitutto alla Nota pastorale sul primo annuncio del Vangelo Questa è la nostra fede (2005) ed alla Lettera ai cercatori di Dio (2009), entrambe della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi. Fra gli studi, cfr. C. Bissoli, Il 1° annuncio. Una traccia per una comprensione migliore, in “Catechesi” 79 (2009-2010) 4, pp. 68-77, C. Cacciato (a cura di), Il primo annuncio tra “kerigma” e catechesi, LDC, Leumann, 2010, E. Biemmi, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna, 2011.
[3] Così, ad esempio, il Progetto Emmaus di A. Fontana – M. Cusino, LDC, Leumann, 2006, l’itinerario Buona notizia di P. Sartor – A. Ciucci, EDB, Bologna, 2009 e l’Iniziazione cristiana dei ragazzi. Itinerario di tipo catecumenale della diocesi di Cremona, Queriniana, Brescia, 2006.
[4] Così l’itinerario proposto dalla parrocchia di Mattarello in diocesi di Trento, Figli della resurrezione, LDC, Leumann, 2009.
[5] Così l’itinerario Lo racconterete ai vostri figli dell’Ufficio catechistico della diocesi di Trento, EDB, Bologna, 2003.
[6] Nel volume Abbiamo trovato un tesoro. Un primo annunzio della Buona notizia ai ragazzi, di A. M. Monaco – V. Spicacci, Centro Ambrosiano, Milano, 2010.
[7] Così l’itinerario di M. Zagara – G. Calabrese, Sì ci sto!, Paoline, Milano, 2005.
[8] Così l’itinerario a cura degli Uffici catechistici di Brescia, Genova, Venezia, La via, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2011.
[9] A. Scattolini (a cura di), Mi racconti di Gesù? Itinerario per l’iniziazione cristiana con le famiglie, EDB, Bologna, 2007. Come è noto, si caratterizza non tanto per i contenuti proposti, quanto per il tentativo di recuperare, attraverso la proposta di quattro tempi (quattro tipologie diverse di vivere gli incontri che si ripetono ciclicamente), una maggiore condivisione di vita con i bambini e le loro famiglie (I tempo: incontro con i genitori, II tempo, incontro dei genitori con i figli in famiglia, III tempo, incontro di catechesi con i bambini in un tempo più disteso, IV tempo, domenica con le famiglie).
[10] Mi racconti di Gesù. Guida I anno, p. 10.
[11] Lo fa l’itinerario La via, ma solo con i genitori, nel IV volume, Gerusalemme, pp. 33-36, dove si affrontano esplicitamente le posizioni scientiste che si oppongono risolutamente all’idea di creazione.
[12] Per quanto questo tema sia qui appena accennato e per di più solamente al IV volume del Catechismo dei fanciulli e dei ragazzi CEI, è comunque paradossalmente più sviluppato che negli itinerari di stile catecumenale successivi (Vi ho chiamato amici, pp. 6-36).
[13] L’unico testo che riprende in qualche modo nel I anno lo schema quaresimale è l’itinerario di P. Sartor – A. Cucci, Buona notizia 1, che, dopo una tappa dedicata all’accoglienza, presenta tre brani evangelici (Zaccheo, la tempesta sedata ed il cieco di Gerico), per mostrare Gesù che si avvicina, che vince le paure e che illumina la vita, cui seguono due ulteriori tappe dedicate alla morte in croce per amore ed alla resurrezione.
[14] Uffici catechistici di Brescia, Genova, Venezia, La via, San Paolo, 2011, 1 Betlemme, p. 9.
[15] Si pensi, solo per richiamare alcune espressioni bibliche che aiutano in maniera evocativa a meditare le domande appena esplicitate, a testi come «Non abbiamo mai visto nulla di simile», «Ed erano stupefatti», «Dio nessuno lo ha mai visto, ma...», «Tu solo hai parole di vita eterna», «In questi tempi che sono gli ultimi, Dio ha parlato...». Un’espressione di At 2,37, cara al cardinale vicario Agostino Vallini e che sta guidando la verifica sull’iniziazione cristiana della diocesi di Roma, sintetizza tutto questo: «si sentirono trafiggere il cuore» all’annunzio delle parole di Pietro.