Gustav Klimt, Vision o Without Hope, trasformati in Hope I e II. L’assoluta incomprensione della poetica del maestro della secessione Viennese, trasformato in campione di speranza, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 01 /09 /2025 - 09:10 am | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezioni Arte e fede e, in particolare, Gustav Klimt: “Il mio regno non è di questo mondo”. Un oro che inganna e la ricerca di un “bacio” metafisico, perché quello umano è troppo deludente, di Andrea Lonardo

Il Centro culturale Gli scritti (1/9/2025)

Due diverse opere di Klimt sono oggi note con il titolo di Hope: Hope 1 e Hope 2. La prima, un olio su tela dipinta nel 1903 ca., è oggi presso la National Gallery of Canada ad Ottawa. La seconda, con tecnica mista, è oggi presso il MoMA (Museum of Modern Art) di New York.

Come già sottolineammo in Gustav Klimt: “Il mio regno non è di questo mondo”. Un oro che inganna e la ricerca di un “bacio” metafisico, perché quello umano è troppo deludente, di Andrea Lonardo, mostrando l’assoluta incomprensione moderna di ciò che Klimt dipinse, in Hope I (1903) è certamente al centro una donna in cinta e, quindi, tutto aprirebbe di per sé al futuro e alla speranza: si tratterebbe di una maternità non sacra, ma umana.

Eppure, il pittore fa subito comprendere che così non è: il volto della donna in attesa è turbato e per niente felice. Ma, ancor più significativo, è che sopra il suo capo sia dipinto un teschio.

Quella nascita è già avviluppata dalla mancanza di speranza: quel bambino e quella donna sono destinati a morire e non vi è alcuna speranza.

Inoltre, altre figure tenebrose appaiono nell’opera in alto a problematizzare la “speranza”.

Alcuni autori hanno preteso di vedere nell’opera il desiderio di scandalizzare da parte di Klimt, presentando la nudità della donna, in chiave anti-borghese, mentre lo scandalo che Klimt pone in rilievo non è la dimensione anti-borghese della maternità nuda, bensì la presenza “ossessiva” della morte che è signora anche quando la vita sembra affermarsi. La vita e addirittura il nascere sono una “vittoria” solo apparente.

In Hope 2 Klimt carica, alla sua nuova maniera, l’opera di ori e di luce e solo una critica ingenua legge nuovamente in questo sfavillare di luci il trionfo dell’amore – così come solo scorrettamente si può vedere nel Bacio klimtiano un apprezzamento dell’amore, mentre la donna vi è inginocchiata dinanzi all’uomo che è in piedi, in segno di sottomissione; vedi su questo il già citato Gustav Klimt: “Il mio regno non è di questo mondo”. Un oro che inganna e la ricerca di un “bacio” metafisico, perché quello umano è troppo deludente, di Andrea Lonardo.

Anche in Hope 2, invece, Klimt è ossessionato dal nulla. Infatti, dinanzi a quella luminosità apparente, ecco che egli dipinge anche qui un teschio, questa volta proprio sopra il grembo in cinta della donna, e in basso appaiono tre donne che a torto vengono definite “oranti”: esse sono, invece, piangenti, costernate.

Nuovamente solo chi va oltre lo sfavillare dei colori si accorge della problematicità della lettura della vita proposta da Klimt.

Quella donna, col seno nudo, madre in attesa, è in realtà già in attesa della sconfitta propria di ogni donna e di ogni bambino dinanzi alla morte.

È chiaro che i titoli di Hope sono moderni e non corrispondono minimamente alla poetica klimtiana. Hope 2 era stata chiamata, in realtà, dal pittore Vision, forse ad indicare quella “visione” che egli proponeva della morte presente in agguato a porre termine alla vita, fin dal suo primo apparire.