Peppone e Don Camillo, da Mondo piccolo di Guareschi alla serie cinematografica con Fernandel e Gino Cervi: appunti senza alcuna pretesa, di A.L.
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Il centro culturale Gli scritti (25/9/2010)
Il copione del film Don Camillo era pronto il 22 giugno 1950; l'anno precedente era stata pubblicata la scomunica per i cristiani che votavano Partito Comunista – ma la richiesta di acquistare i diritti era già del 5 giugno 1948! La centrale comunista di Reggio Emilia cercò di boicottare le riprese del film, intimando ai suoi aderenti di non partecipare alle riprese nemmeno come comparse: era un delitto collaborare con i cattolici. In un famoso dibattito pubblico Guareschi stesso affrontò la questione dichiarando che era riuscito in un miracolo, quello di “rendere simpatico un comunista”.
La regia fu proposta a registi italiani famosi come De Sica, Blasetti, Camerini, Zampa, ma tutti si rifiutarono, poiché si toccava il tema allora scottante del comunismo.
Si propose allora di girare il film ad un regista francese, Julien Duvivier, che accettò. Guareschi provò una scena come Peppone, ma alla fine ci si risolse per la scelta di Gino Cervi, cui però furono applicati i baffi.
La chiesa fu molto prudente all'uscita del film, mantenendo distacco dalla pellicola, che fu criticata da alcune riviste cattoliche.
Lo stupore per la nascita di un bambino è una delle tante evidenze che unisce i due protagonisti. Don Camillo partecipa della gioia della nascita dell'ultimogenito di Peppone, sebbene questi voglia dargli Lenin come terzo nome. È Gesù stesso a ricordare a don Camillo che senza il battesimo il bambino non sarebbe salvo.
Anche il rispetto vero e non apparente dei morti e della loro storia è un'evidenza condivisa da tutti. Se la maestra del paese chiede che la sua bara sia rivestita della bandiera dell'Italia monarchica, così sarà fatto e gli stessi comunisti porteranno il feretro, pur con l'odiata bandiera, per rispetto a colei che ha speso la vita per istruire l'intero paese.
In fondo, nel racconto, tutto ciò che essenzialmente riguarda l'uomo è sacro.
Ai seminaristi andrebbero mostrati Don Camillo ed Il ritorno di don Camillo per discutere a confronto le figure di don Camillo e del povero don Pietro che viene chiamato a sostituirlo nella seconda pellicola. In cosa si differenziano le due figure? Cosa manca al secondo? Che tipologie di sacerdoti vengono rappresentate, per quanto in maniera macchiettistica, dai due film che mettono in scena i due parroci?
La questione dell'anima! Straordinario questa storia nella storia. Il vecchio medico del paese, credente e reazionario, chiede di comprare l'anima dell'operaio comunista che afferma non esservi niente nell'uomo oltre alla materia: la puoi vendere, tanto dici che non è niente, che non esiste! Il medico vuole dimostrare - e Guareschi con lui - l'importanza dell'anima. La scelta di proporre un medico, un uomo di scienza, come assertore dell'esistenza dell'anima, è ovviamente voluta. L'operaio, pur non essendo in grado di fornirne una spiegazione precisa, avverte il malessere di aver venduto la propria anima al medico e, alla fine, la rivorrà indietro, rasserenandosi solo al momento della distruzione del contratto di vendita della propria anima. L'uomo, in fondo, sa di avere un'anima.
Nei contenuti extra si trova questa dichiarazione di Guareschi:
«La famiglia non è più di moda. La famiglia è superata. E da tutte le parti si fa il possibile per distruggerla. Però io sono del parere che la famiglia abbia ancora una funzione, anche se tutti cercano di trasformare la casa in un alloggio con comodo di cucina e genitori e figli a mezzo servizio».
Si racconta dello struggente articolo su Oggi di Guareschi (per gentile concessione presente su questo stesso sito Un autore in cerca di sei personaggi, di Giovannino Guareschi) all'indomani del matrimonio della figlia: come padre, in fondo, continuava a ripetersi che il prete alla fine avrebbe invitato gli sposi, alla fine della cerimonia, a tornare ognuno a casa propria dai genitori. Guareschi, con una battuta, afferma di esser partito con la propria motocicletta al seguito della figlia in viaggio di nozze, ma di essere tornato indietro solo. In quella prima notte delle nozze della figlia sentì la casa vuota e percepì la solitudine.
Guareschi dichiara di ricorrere talvolta ad una «fede che è tutta istinto e che non è avvelenata dal ragionamento».
Guareschi dichiara che Mondo piccolo – ed i film su don Camillo – esprimeva in forma poetica un desiderio comune, quello di vedere comporre amichevolmente un dissidio che sembrava insanabile: Mondo piccolo parla della speranza che alberga nei cuori.
Guareschi fu internato in un lager nazista perché ritenne di non poter venire meno al dettato della propria coscienza ed al giuramento che aveva prestato come militare.
Oltre ai terribili lager nazisti conobbe poi le carceri italiane, unico giornalista italiano a scontare ben 409 giorni di galera, senza alcuno sconto di pena, con l'accusa di diffamazione. Infatti fu assurdamente condannato una prima volta nel 1950 per una vignetta satirica nella quale irrideva al fatto che il senatore Luigi Einaudi, poi presidente della repubblica, aveva fatto stampare delle etichette per i vini di cui era produttore con la dicitura “Nebiolo-Poderi del senatore Luigi Einaudi”.
Tale pena si sommò poi a quella che gli fu comminata in un secondo processo, quando nel 1954, fu accusato di aver diffamato Alcide De Gasperi pubblicando due lettere che portavano la sua firma e che erano datate al 1944, nelle quali si chiedeva il bombardamento delle periferie di Roma per fiaccare la difesa nazista. Nel corso del processo non fu ammessa la perizia calligrafica, che Guareschi aveva fatto eseguire prima di pubblicare le lettere.
Dalla prigione si rifiutò di chiedere la grazia. Dirittura morale di un giornalismo di altri tempi che risponde pienamente di ciò che scrive! Ma anche dirittura di un costume legislativo che, pur nell'evidente ingiustizia con cui fu trattato Guareschi, difendeva però l'idea che la stampa non poteva diffamare senza fondamento le persone. Si noti che nel 1954 Guareschi era ormai famosissimo, non solo per i suoi scritti, ma anche per i primi due film, Don Camillo e Il ritorno di don Camillo, che erano già usciti nel 1952 e nel 1953.
Fa riflettere il fatto che un sacerdote e non un laico venga con naturalezza posto a rappresentare la fede cristiana. In fondo, nell'opera letteraria e nell'edizione cinematografica, i laici cattolici sono in ombra. Spesso, inoltre, sono figure meno aperte al mondo di quella del loro parroco, don Camillo. D'altro canto, è vero che i sacerdoti sono stati investiti nella storia della chiesa da un compito di rappresentanza (cfr. le riflessioni di A. Faivre, Ordonner la fraternité. Pouvoir d’innover e retour à l’ordre dans l’Église ancienne). Don Camillo, anche in questo, è testimone di una ricchezza della storia italiana ed, insieme, di un suo limite.
In Don Camillo e l'onorevole Peppone riemerge il ruolo della famiglia. È don Camillo a salvare la famiglia di Peppone, quando quest'ultimo sta per tradire la moglie. Il valore della famiglia è condiviso dai protagonisti dell'una e dell'altra parte. Se, verbalmente, la parte comunista afferma che il sentimentalismo è borghese, d'altro canto più in profondità condivide con la controparte l'evidenza che sui sentimenti non è lecito scherzare.
Anche la resistenza unisce Peppone e don Camillo. Il film mette in evidenza - come sempre in maniera ironica - la compresenza di comunisti e cattolici nella resistenza. E l'episodio narrato non si allontana dalla realtà storica.
Forte e condiviso è anche il riferimento alla patria ed, in fondo, anche al sacrificio di tanti giovani in occasione della I guerra mondiale.