1/ Iraq. La sovranità del popolo iracheno sorvolata ancora una volta dai razzi. Lo spazio aereo e il territorio sono oramai una sorta di bene «indisponibile», di Camille Eid 2/ Iran. Gli ayatollah, la salma di Soleimani e tanta propaganda. La morte di Soleimani è un'occasione per Teheran per ricercare il consenso interno, a due mesi dall'ondata di proteste contro il governo costate almeno 200 morti, di Camille Eid
1/ Iraq. La sovranità del popolo iracheno sorvolata ancora una volta dai razzi. Lo spazio aereo e il territorio sono oramai una sorta di bene «indisponibile», di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire del 9/1/2020 un articolo di Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Per la pace contro la guerra.
Il Centro culturale Gli scritti (12/1/2020)
L’escalation tra gli Stati Uniti e l’Iran ha fatto ancora una volta un’altra vittima eccellente: la sovranità irachena. Il confronto, condotto a suon di missili, si svolge nei territori di un Paese ufficialmente sovrano, trasformato suo malgrado in una “no man’s land” in cui i cieli e le terre diventano una sorta di «beni indisponibili» dello Stato. Informando magari Baghdad dei loro piani.
Così, il premier iracheno Adel Abdul-Mehdi che aveva riferito venerdì di essere stato avvisato da Washington pochi minuti prima del raid contro Soleimani, è tornato ieri a dichiarare di aver ricevuto dopo la mezzanotte un avvertimento verbale da parte dell’Iran (poi passato agli americani) in cui gli è stato comunicato che la risposta all’uccisione del generale sarebbe iniziata a breve contro le basi Usa.
Una magra consolazione per le autorità irachene, che si vedono affidare il ruolo di casella postale per conto dei belligeranti, o peggio da testimoni della fine del sogno di vedere il loro Paese libero dalla duplice morsa americano-iraniana in cui è stretto dal 2003.
«Né Usa né Iran», hanno scandito milioni di civili iracheni negli ultimi mesi, per dire no a una guerra per procura nel loro Paese, in cui le vittime sarebbero soprattutto irachene. Gianandrea Gaiani, direttore di “Analisi Difesa”, ricorda che l’accordo militare fra Iraq e Usa «prevede di ospitare queste forze militari per aiutare gli iracheni a combattere il Daesh, non per accoppare chiunque voglia Trump».
Il presidente non è comunque nuovo a simili atteggiamenti. Nella notte di Natale del 2018, era atterrato con la first lady, senza avvisare i padroni di casa, nella base di Ain al-Asad (la stessa colpita dai pasdaran iraniani), nella sua prima visita da comandante in capo dell’esercito statunitense.
L’improvvisata aveva alzato le critiche delle autorità irachene, che non avevano avuto remore a parlare di «insulto alla sovranità nazionale», anche perché non vi era stata la visita al premier Abdul-Mehdi, programmata in un primo momento. Alcuni deputati avevano quindi sollecitato una seduta straordinaria del Parlamento per discutere delle «palesi violazioni alla sovranità nazionale e per fermare gli stolti atteggiamenti di Trump che deve capire che l’occupazione americana dell’Iraq è finita».
Peggio. Nel suo discorso, Trump aveva spiegato ai militari americani che quella base verrà utilizzata anche per future azioni in Siria, cosa che aveva fatto infuriare altri deputati iracheni.
Si potrebbe obiettare che la sovranità dell’Iraq risulta ridotta ormai da decenni, prima ancora della caduta di Saddam Hussein nel 2003. L’istituzione della “no fly zone”, voluta in primis dagli Usa per impedire all’aviazione del dittatore di bombardare i curdi, ha dato il primo colpo di piccone alla piena sovranità di Baghdad.
I vicini dell’Iraq non sono stati comunque da meno in tutto questo periodo. I soldati turchi e iraniani non hanno mai esitato a sconfinare in territorio iracheno per dare la caccia a formazioni curde ostili, nonostante le proteste di Baghdad. Nel 2015 gli iracheni hanno fatto notare che Ankara ha abbattuto un caccia russo che aveva violato per 17 secondi il suo spazio aereo, mentre se ne impipa bellamente della loro sovranità, entrando ben più in profondità e per diversi giorni. La sovranità sembra, purtroppo, una questione di opinioni.
2/ Iran. Gli ayatollah, la salma di Soleimani e tanta propaganda. La morte di Soleimani è un'occasione per Teheran per ricercare il consenso interno, a due mesi dall'ondata di proteste contro il governo costate almeno 200 morti, di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire del 7/1/2020 un articolo di Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (12/1/2020)
Folla al corteo per la sepoltura di
Soleimani a Kerman, sua città natale - Ansa
La morte di Qassem Soleimani sta fornendo agli ayatollah una grande spinta per ricompattare la popolazione attorno al regime, sfruttando il nome del generale a due mesi dall’ondata di proteste che ha provocato almeno duecento morti in diverse città dell'Iran.
La salma di Soleimani è, infatti, al centro di un’inedita mobilitazione popolare attraverso una “peregrinatio” in tutto il Paese che ricorda il giro organizzato nel 2016 a Cuba per rendere omaggio a Fidel Castro, percorrendo al contrario il medesimo viaggio di 900 chilometri fatto nel 1959 dal Líder Maximo e i suoi “barbudos”. Dopo il primo corteo funebre indetto nelle vie di Baghdad, una marea umana di iraniani ha accolto sabato il corpo di Soleimani ad Ahzaz, sul confine con l’Iraq, per ricordare l’esperienza bellica del generale ucciso nel corso della lunga guerra Iran-Iraq (1980-1988). Dopo ha preso il volo verso la città santa sciita di Mashad, nell’estrema parte nordorientale del Paese, per fare successivamente ritorno a Teheran e a Qom, rispettivamente la capitale politica e religiosa dell’Iran. Oggi, approderà alla sua ultima tappa di Kerman, la città natale di Soleimani, dove sarà finalmente sepolto.
Nelle diverse tappe, è lo stesso scenario che si presenta. Una folla immensa si accalca attorno alle bare che attraversano a stento le vie cittadine. Piange e chiede vendetta. Contrariamente ai seguaci della dottrina wahhabita che biasima il pianto sul morto considerandolo una sorta di «ribellione» alla volontà divina, gli sciiti lasciano libero sfogo alle proprie espressioni di lutto. Lo stesso Soleimani era stato ripreso in lacrime al funerale del commilitone Hassan Shateri, un generale dei pasdaran ucciso nel 2013 sulla strada che porta da Damasco a Beirut. Molti issano bandiere colorate sciite con la scritta «Intigam» (Vendetta, ndr) oppure poster freschi di stampa che ritraggono Soleimani, presentato come «shahid» (martire) e «hajj», il titolo che porta chi effettua il pellegrinaggio alla Mecca. Che Soleimani sia un «martire» non ha ombra di dubbio per nessuno di loro. Sulla camionetta che porta i corpi dei caduti, i pasdaran faticano a restituire alla folla le keffiah o altri indumenti dopo averli strofinati contro le bare a mo’ di benedizione. Sulla bandiera che avvolge la bara del generale una scritta in persiano: «Sardar-e sepahbod-e shahid Qassem Soleimani», il comandante generale martire. Ieri, lo stesso ayatollah Khamenei ha sostato davanti a questa per dare l’ultimo saluto al «martire vivente», trattenendo a stento la sua emozione.
Le gigantografie seminate da Hezbollah nei quartieri sciiti di Beirut inneggiano addirittura a «sayyed alshuhadà», al signore dei martiri, mentre quelle distribuite a Gaza dai diversi movimenti palestinesi vicini a Teheran lo presentano più cautamente come «grande leader e generale martire».
La fantasia iraniana – cara all’iconografia post-rivoluzionaria – raggiunge l’apice con un quadro che ritrae un sorridente Soleimani accolto festosamente in Paradiso dall’imam Hussein, il martire sciita per eccellenza, raffigurato di spalle per non infrangere un tabù islamico. Attorno ai due, si stagliano le figure di Khomeini e di una decina di militanti «martiri». Tra questi, il pasdaran Hassan Tehrani Moghaddam, “padre” del programma missilistico iraniano rimasto ucciso in una esplosione nel 2011, e Imad Mughnieh, comandante militare dell’Hezbollah, ucciso in circostanze misteriose nel 2008 a Damasco. Il titolo: «Al tuo comando, imam Hussein!».
Soleimani accolto in Paradiso da Hussein,
con Khomeini che sorride
Soleimani in lacrime al funerale di Shateri nel 2013