“Perché, da iraniana, ho sofferto nel vedere il velo sul palco delle sardine. Perché gran parte di voi femministe e persone di sinistra date sempre la parola solo alle donne musulmane col velo? Perché non date mai voce a tutte quelle donne che ogni giorno lottano per toglierselo il velo, in Italia e nel mondo?”. L’accorato appello di una donna iraniana che vive in Italia, di Atussa Tabrizi (con una nota de Gli scritti)
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Riprendiamo dal sito della rivista Micromega un articolo di Atussa Tabrizi, pubblicato il 19/12/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Islam e Dialogo inter-culturale.
Il Centro culturale Gli scritti (29/12/2019)
N.B. de Gli scritti
Riprendiamo questo articolo non perché lo condividiamo integralmente, bensì perché pone due questioni importanti.
Innanzitutto, quella della vera inter-cultura che, per essere tale, deve non solo accogliere le diversità, ma chiedere alle diversità di aprirsi alla laicità, alla Costituzione italiana, alla storia di libertà del nostro paese in cui si è venuti, per scelta o per forza, ad abitare.
La seconda, però, è altrettanto importante: l’amore per lo straniero, la solidarietà che chiede di accogliere non può oggi non misurarsi con il fatto che i poveri della terra, sudamericani o dell’Europa orientale, dell’Africa o del Medio Oriente, sono molto religiosi, sia che siano cristiani sia che siano musulmani. Ora un atteggiamento di vera integrazione implica anche che non si disprezzi la dimensione religiosa per loro così importante al punto da manifestarsi anche pubblicamente.
A modesto avviso dei redattori de Gli scritti la cultura dominante in Europa è indietro sia nel chiedere alle diverse persone che giungono in Europa di accogliere pienamente i valori della libertà, sia nell’apprezzare, contestualmente, la dimensione religiosa di cui esse sono portatrici.
Ci si fa scudo di una solo dichiarata difesa della “diversità” per esonerarsi dall’esigere che si aderisca pienamente alla cultura europea e per esonerarsi parimenti dal dichiarare una positiva accettazione della dimensione religiosa della vita.
Mi chiamo Atussa, sono una donna, sono iraniana e sono atea. Quello che ho visto una settimana fa sul palco delle sardine a Roma mi ha fatto male, come quando in Iran sono stata arrestata dalla polizia morale perché non ero vestita adeguatamente (avevo una sciarpa sui capelli). Non sono sicura se le sardine hanno intenzione di lottare per la laicità o vogliono solo andare contro il razzismo di persone come Meloni e Salvini, ma chiaramente non hanno nessuna idea di cosa sia la laicità dello Stato. Vanno contro croci e madonne di Salvini e Meloni con il velo e con pensieri oscurantisti.
Il velo per me, in quanto donna iraniana, è simbolo di oppressione, simbolo del male. Non so cosa pensavano le sardine quando hanno deciso di presentare Nibras Asfa come un simbolo di laicità contro Meloni e Salvini, ma chiedo loro se non potevano dare voce a un’altra donna. Una donna – italiana o straniera – che crede nella laicità e nella libertà delle donne.
Se voi, sardine, come la maggior parte delle persone di sinistra e delle femministe italiane, pensate davvero che sostenere una donna col velo significa sostenere la sua libertà, state sbagliando. È vero che ci sono persone come Meloni e Salvini che non vedono bene le donne con il velo, ed è vero che le donne con il velo vengono disturbate per strada nei paesi occidentali, ma non dobbiamo e non dovete dimenticare che nei paesi musulmani le donne che decidono di mettere il velo sono la minoranza, se non proprio inesistenti. La maggioranza delle donne sono obbligate a metterlo, e non appena ne hanno l’occasione se lo tolgono.
Guardate il mio paese per esempio, guardate come le donne tolgono il velo sapendo che saranno arrestate e condannate al carcere o anche peggio. Guardate le donne in Arabia Saudita che con quella piccola, finta libertà che hanno ottenuto ultimamente la prima cosa che fanno è togliere il velo. Guardate le donne come Ayan Hirsi Ali. Perché la maggior parte di voi femministe e di sinistra non parla mai di queste donne ma invece sempre, dico SEMPRE, delle donne musulmane col velo. Perché non date mai voce a una donna di origine straniera contro il velo e contro l’islam? Perché non sostenete mai queste persone?
Sicuramente andare contro il cristianesimo di Salvini e Meloni scegliendo l’islam è la scelta più sbagliata. Non si può lottare per la laicità presentando una donna musulmana, come non si può farlo con una suora cristiana. Se volete andare avanti a lottare contro i pensieri oscurantisti di Salvini e Meloni, l’islam non è la scelta giusta.
Le donne musulmane che credono nella laicità e vogliono cambiare qualcosa per le donne dovrebbero sostenere le donne che lottano per la libertà in paesi come Arabia Saudita, Iran, Indonesia. E invece spesso le donne che non mettono il velo sono considerate contro l’islam, blasfeme, non modeste e addirittura prostitute. E chi critica l’islam è considerato islamofobo e razzista.
La parola islamofobia è stata inventata dai musulmani con il supporto di una grande parte delle persone di sinistra per collegare subito qualsiasi tipo di critica contro l’islam al razzismo. Mentre, come sappiamo, essere musulmano non è una caratteristica di un gruppo di persone legata a una “razza”. Se volete chiamarmi islamofoba avete il mio permesso, perché io veramente ho una fobia dell’islam, perché l’islam mi ha fatto sempre male. Sia quando vivevo in Iran, sia adesso che sono qui in Italia.
Peggio di tutto questo è presentare tutte le donne immigrate come donne simili a Nibras Asfa, mentre anche qui in Italia tante donne immigrate soffrono e lottano per la loro libertà fuori dalla gabbia dell’islam e del velo.
Mie care sardine, se volete fare i veri rivoluzionari, se volete cambiare qualcosa, non dovete dare precedenza alle donne col velo, ma esattamente al contrario dovete dare spazio alle donne che lottano per i loro diritti, nei paesi in cui anche lottare per un proprio diritto è punibile, e dovete imparare da loro come si lotta contro qualsiasi tipo di oscurantismo.
Voglio concludere ripetendo quello che ho detto all’inizio: mi chiamo Atussa, sono orgogliosamente una donna, sono iraniana, sono atea e sono orgogliosamente contro l’islam e il velo.