Jean Vanier. Ci ha fatto vedere cose che non avevamo ancora visto di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 04 /08 /2019 - 16:02 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito un articolo scritto da Andrea Lonardo per il numero della rivista Ombre e Luci dedicato a Jean Vanier a pochi mesi dalla sua morte (Ombre e luci, n. 146 - Jean Vanier, anno 37 (2019), Aprile, Maggio, Giugno). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Disabilità e Maestri dello Spirito.

Il Centro culturale Gli scritti (4/8/2019)

Anche se sappiamo bene che egli dal cielo sorriderà per queste parole, nondimeno è certamente vero che Jean Vanier ha avuto una rilevanza tale nella comunità cristiana e nel mondo che egli meriterebbe di essere insignito di qualcosa di ben più significativo di un Premio Nobel per la pace. Anche se i principali quotidiani italiani non hanno nemmeno riportato la notizia della sua morte.

Chi lo ha conosciuto sa bene di aver incontrato un santo, di avere attraversato la vita di qualcuno che sarà un giorno canonizzato. Perché i santi esistono anche oggi ed il Vangelo è talmente vero che si mostra in prodigi e segni anche oggi.

Chi ha accolto la sua testimonianza sa bene che egli è stato, insieme, una figura laica che ha contribuito in maniera decisiva ad uno sguardo diverso sulla vita nelle diverse nazioni dei diversi continenti.

La sua umiltà non permetteva di cogliere immediatamente il ruolo che egli ha giocato nella storia del mondo, ma ciò non vuol dire che egli non lo abbia svolto. Ai “piccoli” Dio concede di agire nella storia in maniera ben più efficace e duratura dei potenti. Jean era a casa propria in ogni continente, atteso e benedetto ovunque.  

Si deve parlare di una vera e propria “vocazione” ricevuta da Dio che egli ha maturato negli anni e che lo ha portato nel 1964 a compiere la sua scelta definitiva di iniziare a vivere a Trosly-Breuil, con Raphael e Philippe, i due amici con i quali dette inizio alla sua avventura. Anche il tempo di tale impegno - da allora fino alla sua morte sono ben 55 anni -, dice la definitività della sua chiamata.

La sua libertà non può non essere colta anche nell’aver accettato consapevolmente che a fianco dell’Arche sorgesse Foi et Lumière/Fede e luce. Che differenza rispetto a fondatori di altri gruppi, comunità e organismi che mantengono il potere sulle loro “creature” comunitarie, mentre Jean le ha generate sapendo che avrebbero portato frutto nelle mani di altri, senza che egli ne dovesse controllare i risultati o dovesse gloriarsene.

Questo suo accettare di essere un seme gettato e non mantenuto nelle proprie mani ha fatto sì che la voce e la testimonianza di Jean penetrasse in forme diversissime in ogni angolo della terra. Ciò che si doveva cogliere non erano mai Jean, o l’Arca o Fede e luce. Ciò che era decisivo era che egli additasse l’incontro con le persone con disabilità come portatori di un dono. Era raro sentirgli dire che era bene che qualcuno si aggregasse all’Arca o a Fede e luce, o facesse, anche solo indirettamente, pubblicità ad esse. Egli parlava invece della vita e solo della vita, dei suoi amici deboli e di come essi portassero un dono che ogni persona, in qualsiasi condizione di vita avesse deciso di vivere, poteva accogliere, accogliendo loro.

Per questo egli è venuto tante volte a Roma, come ospite di tante comunità parrocchiali, ma anche per predicare esercizi spirituali a chiunque avesse avuto voglia di condividere con lui il dono dell’ascolto del Signore. Venne, ad esempio, a Santa Chiara nel 1993, poi a Santa Melania (vedi il suo dialogo con le comunità parrocchiali citate che è riportato per esteso sul sito www.gliscritti.it al link Un mondo di tenebre ed un pozzo di tenerezza dentro di noi. Una testimonianza di Jean Vanier), ma ricordo i suoi esercizi spirituali predicati a Rocca di Papa a tanti che vennero allora a trascorre una settimana di preghiera e di ricerca della propria vocazione con lui nel 1994 (le sue meditazioni sono state raccolte con il titolo Venite e vedete dalla EDB).

Jean Vanier era di tutti, era cattolico nel senso più profondo della parola. Era dei “piccoli”, ma come loro messaggero correva ovunque lo chiamassero a parlare di loro. Anche i nomi biblici scelti per l’Arca e per Fede e luce dicono il suo desiderio di essere un messaggero di Gesù e degli amici di Gesù, in un radicamento cristiano che è stato per lui sempre luce, perché fede.

Jean Vanier non ha solo creduto in Gesù. Jean lo ha amato. Ha amato Gesù. E la carità è più grande della fede. Jean ha amato Gesù e lo ha predicato nel mondo intero. E proprio per amore di Gesù ha amato i singoli volti dei suoi “piccoli” che incontrava senza mai trasformare in ideologia o messaggio partitico ciò che egli viveva, testimoniava ed annunciava. Jean era più preoccupato di “mostrare”, di “presentare”, di “offrire”, perché ognuno potesse vedere ciò che non aveva ancora mai visto.

Tale suo atteggiamento è attestato anche dalle modalità con le quali viveva e parlava dell’amarezza che provava nel vedere come in paesi progrediti del nord Europa andava crescendo lo “scarto” pre-natale delle persone con disabilità, mentre pubblicamente se ne affermava la dignità, fino alla scomparsa totale dei nati con sindrome di Down che si registra in Islanda o in Danimarca: egli ne parlava senza gridare, senza alzare la voce, ma lo stesso sussurrando che ciò non era né buono, né giusto, perché le sue parole fossero intese come amore.

Ricco è stato il contributo di Jean Vanier anche in vista di una valorizzazione a partire dai “piccoli” della realtà sacramentale: proprio dove la razionalità può essere debole o può mancare la possibilità di utilizzare la parola, il segno sacramentale diviene ancora più importante, fino ad essere talvolta l’unico linguaggio percepibile. L’eucarestia, con il segno del pane, diviene ancora più centrale, dove una riunione a mo’ di dibattito non ha senso o è impossibile. Non solo. Con Jean Vanier è divenuto evidente anche un ecumenismo a partire dai “piccoli” che spinge alla ricerca di ogni possibilità di inter-comunione, perché una persona con disabilità battezzata da ortodossa possa celebrare la stessa eucarestia con i suoi fratelli cattolici e viceversa.

Come prete di Roma - che lo ha amato e che con affetto da lui è stato trattato - questo mi sembrava peculiare da poter dire, rispetto ai tanti aspetti importantissimi della sua vita che in questo stesso numero di Ombre e luci vengono approfonditi: la sua universalità, la sua cattolicità.