L'inquilino che rompeva i soffitti. Individuata al civico 19 del vicolo del Divino Amore a Campo Marzio la casa romana di Michelangelo Merisi da Caravaggio, di Pietro Caiazza

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 17 /07 /2010 - 22:29 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 18/7/2010 un articolo scritto da Pietro Caiazza. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (17/7/2010)

Giunto a Roma verso il 1592 e dopo alcuni anni di nera miseria, Caravaggio fu accolto, come è noto, dal cardinale Del Monte in Palazzo Madama dal 1595 al 1601 circa. Dopo il successo e la fama a seguito dei capolavori nella cappella Contarelli (in San Luigi dei Francesi) e nella cappella Cerasi (in Santa Maria del Popolo), e in circostanze che ancora precisamente sfuggono, si trasferì - 1602-1603 circa - probabilmente presso i fratelli Mattei.

Nel 1603 prese in affitto per conto proprio fino al 1605 una casa nel vicolo di San Biagio, come si chiamava all'epoca l'attuale vicolo del Divino Amore che oggi congiunge piazza Borghese e via dei Prefetti, in Campo Marzio.

Individuare con precisione questa casa mantiene una sua importanza non solo come mero dato biografico, ma perché il pittore dopo due anni fu accusato dalla proprietaria, Prudenzia Bruni, di aver rotto un "suffitto": e su questa semplice notizia si è costruita, negli ultimi decenni, una teoria secondo la quale Caravaggio andava rompendo i soffitti delle case per una sorta di "prassi pittorica": il che è ancora tutto da dimostrare.

Sulla scorta di una segnalazione del Bousquet del 1953, Marini nel 1981, in Antologia di Belle Arti, puntualizzò le ragioni che suggerivano di ritenere che la casa fosse situata in quella stradina, ipotizzando l'ingresso all'attuale civico 22 come "probabile portone della casa abitata dal Caravaggio nel 1605"; nel 1993, in Artibus et Historiae, Marini ritenne che il pittore risiedesse "presso la casa al n. 41 del vicolo di San Biagio" ma confondendo, a mio avviso, il numero progressivo degli "stati d'anime" (che si riferisce ai "fuochi", ossia ai nuclei familiari dell'intera parrocchia, che nel 1605 erano 116) con quello delle case (che alla medesima data erano in tutto 90).

Nello stesso 1993 Riccardo Bassani e Fiora Bellini pubblicarono il testo (attualmente in restauro) del contratto mediante il quale Caravaggio, il 16 settembre 1603, prendeva in affitto quella casa. In esso è registrata una descrizione abbastanza precisa dell'edificio: infatti Prudenzia Bruni, proprietaria (meglio che "affittacamere") e abitante in una casa "attaccata/contigua", concedeva in affitto a Caravaggio salam cum duabus cameris ut diceret al piano cum suffittis et eorum stantis superioribus, ac cum cantina suptus dictam domum, cortile, et horto in ea existentes nec non cum usu et facultate abuendi aquam a puteo in ipso presente dictae domus existens (sic).

Si trattava dunque di una costruzione "cielo-terra" a due piani, con vani al pianterreno e al primo piano: "al piano" (terra) esistevano una sala (o "stanzone", come si esprime Marini) e due camere cum suffittis (ed è importante notare come si parli qui di "soffitti" per indicare il lato inferiore della copertura degli ambienti al piano terra); si saliva poi al primo piano, dove esistevano eorum stantis superioribus che evidentemente si sovrapponevano alla superficie della sala e delle due camere site "al piano" terra; esisteva poi un cortile interno, al centro del quale era un puteo, provvisto anche di un horto, di entrambi i quali il Caravaggio aveva per contratto il diritto di servirsi; e infine esisteva un porticato interno che si affacciava su detto cortile, dato che il contratto venne stipulato in discoperto domo (sic), e cioè sotto una loggia o loggiato.

Questi essendo i dati, le circostanze e la documentazione, non si sa se può essere stato un rassegnato ma ingannevole scetticismo da parte degli studiosi ad aver impedito finora di proseguire le ricerche nella individuazione precisa della casa nella quale Caravaggio abitò per due anni. Il problema era infatti quello di identificare soprattutto un edificio, o un gruppo di edifici, nell'attuale vicolo del Divino Amore, che potessero ancora custodire tracce di un cortile, di un pozzo, di un portichetto e di un orto. Oggi la casa - a due soli piani - posta al civico 19 appare, nel suo impianto, corrispondente alla descrizione presente nell'atto del 1603, in quanto tutti gli elementi in esso descritti risultano sostanzialmente presenti in tale edificio, come le foto documentano.

Esistono infatti nel vestibolo al piano terra, subito dopo il cancello d'ingresso, a destra, una porta che immette in quella che doveva essere la "sala" (o "stanzone") e le due camere cum suffittis e a sinistra, le scale che portano alle "stanze superiori". Oltrepassato il vestibolo, nell'ampio cortile rettangolare interno esiste l'impianto evidente di un pozzo, la cui canna cilindrica sotterranea deve essere stata riempita e coperta, mentre la "vera" del pozzo deve essere stata abbattuta e al suo posto, al centro della circonferenza della vecchia "vera", è stato impiantato un lampione per l'illuminazione del cortile.

E tuttavia, il fatto che nel cortile vi fosse originariamente un pozzo sembra testimoniato ictu oculi dal superstite disegno in travertino della circonferenza centrale (corrispondente all'antica "vera"), nonché dalle quattro diagonali che da essa si dipartono fino ai quattro angoli principali del cortile, dove esistono ancora, e sono perfettamente conservate e funzionanti, le quattro caditoie necessarie per convogliare l'acqua piovana nella cisterna sotterranea e quindi nel pozzo medesimo: le leggere pendenze della pavimentazione sagomata in selci del cortile, inclinanti verso le quattro caditoie e con il cerchio centrale a un livello leggermente più sollevato, testimoniano dell'antico impianto del pozzo. Sul fondo del cortile esiste, distinto da un muretto, uno spazio che attualmente risulta florido di piante, arbusti ed alberelli di modesta altezza ma che non smentisce la probabile antica destinazione a orto di quella parte del cortile.

Infine, rivolgendo dal cortile lo sguardo indietro, verso l'accesso che dal vestibolo immette nel cortile, emerge in tutta la sua nitidezza l'antico portichetto su due ordini (al piano terra e al primo piano) che corrisponde esattamente al discoperto domo nel quale il contratto di affitto fu stipulato: tale portichetto, della profondità di circa un metro e mezzo, corre lungo tutto il lato interno della casa (in linea parallela alla facciata sul fronte del vicolo), ed esso probabilmente - ma questo lo diranno gli architetti - si continuava una volta lungo il lato sinistro del cortile stesso, forse in contiguità con la casa in cui abitava la proprietaria Prudenzia Bruni. Il portichetto, impiantato su quattro robuste colonne o pilastri quadrati, regge poi un secondo ordine di colonne ugualmente quadrate, ma più leggere, che costituiscono il loggiato delle stanze al primo piano, limitato da ringhiere che affacciano sul cortile.

Pare difficile negare che proprio questo edificio a un piano sia esattamente la casa abitata dal Caravaggio in quei due anni dal 1603 al 1605: in ogni caso a ulteriori accertamenti, di natura architettonica e storico-archivistico-catastale, sono affidati i riscontri e le verifiche necessari per dilucidare ogni eventuale residuo dubbio.

E tuttavia, come si può comprendere, forse il ritrovamento preciso della casa abitata dal Caravaggio non si limita a essere un mero dettaglio cronachistico-biografico, dato che investe anche problematiche relative alla sua tecnica pittorica e alla sua poetica (specie per l'uso delle fonti di luce): e, di questo, si dovrà ancora discutere.

(©L'Osservatore Romano - 18 luglio 2010)


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