Il Natale a scuola? Purché non sia qualcosa di infantilistico, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. la sezione Educazione scuola e cultura.
Il Centro culturale Gli scritti (30/12/2018)
N.B. Questo testo è stato pubblicato volutamente quando la scuola e l’università hanno già chiuso prima del Natale, perché intende essere una riflessione per gli anni a venire e non un corpo contundente.
Reggia di Caserta, Presepe napoletano
La scuola smette di essere se stessa quando infantilizza e banalizza ogni cosa.
È importante ribellarsi quando, dinanzi al Natale, la questione si riduce a fare degli squallidi “lavoretti” che, ovviamente, non possono essere adatti in classi interculturali o dinanzi a chi proviene da famiglie che, comunque, non intendono celebrare il Natale. Oppure tutto si riduce ad esibire Presepi negli androni.
Una proposta adeguata all’attuale situazione culturale di crisi non può essere offerta costruendo presepi con la carta igienica o con la pasta, colorando Madonne di azzurro, unendo puntini di modo che appaia la Natività: è necessaria, invece, un salto di qualità che insegni come parlare del cristianesimo in un contesto interculturale e come, al contempo, tornare ad alzare l’asticella in una scuola che non può essere un baby-sitting, ma deve formare cittadini adulti che se ne intendano del cuore dell’uomo, dei suoi bisogni e delle sue grandi domande.
Per lo stesso motivo non è educativa l’opposta linea censurante che rifiuta di affrontare la questione del Natale e che tutto banalizza e deprime con sciape canzonette sulla pace, l’amore, quasi che l’unica parola scolastica sensata sia il “volemose bene”, pronunciata con alunni e maestri vestiti da Babbo Natale, con i colori a ciò inventati dalla Coca Cola.
Affrontare di petto la questione del Natale è tanto più necessario in un Paese conflittuale e allo sbando: senza un protagonismo della scuola - e dell’università che forma i futuri docenti - in materia, i politici dell’una e dell’altra parte si impadronirebbero/impadroniranno sempre più del Natale, vuoi per farne un simbolo identitario e farlo diventare un corpo contundente, vuoi per rifiutarlo e adeguarsi al “credo” multiculturalista - che in realtà multiculturale non è, perché annulla ogni differenza culturale non sapendola affrontare, per limitarsicosì al minimo comune multiplo consumistico che tutto riduce e ingloba, sposando solo gli aspetti commerciali del Natale, della Pasqua, di Halloween, ecc. ecc.
La politica non può e non deve esonerare di fatto la scuola - e l’università che forma i docenti - dal suo ruolo che è, invece, quella di introdurre alla realtà globale e, quindi, anche ai temi della differenza, della fede e del cristianesimo, senza censurarsi ed evitando il rischio di divenire di “plastica” e politicamente corretta. Una cultura politicamente corretta è la fine stessa della cultura.
I contenuti, prima delle “attività”
Non si deve mai dimenticare – in un sistema educativo che tutto ha ridotto ad attività, cancellando contenuti ed esperienze - che ciò che conta innanzitutto non è ciò che si fa a scuola a Natale, ma piuttosto cosa si dice del Natale, perché la scuola - e l’università che forma i docenti - è innanzitutto contenuto, interpretazione del reale, coltivazione di quella curiosità che ha chi, dinanzi ad ogni cosa, si interroga sul perché.
Non ha alcun senso, perciò, una presentazione del Natale che non sia teologica, che non si interroghi cioè su quale novità sia proposta dal Natale nella comprensione del divino, novità che deve essere conosciuta anche da chi la rifiuta e, quindi, presentata anche in ambito interculturale.
Questo permette di rifuggire da tutte le banalità infantilistiche tipo: “Anche Gesù ha avuto una mamma, perché tutti abbiamo una mamma”, oppure che inventa disegni per mostrare come era fatta la casa di Gesù, come si pescava al tempo di Gesù, cosa facevano i pastori al tempo di Gesù, e cacabandole varie. Tale tipo di proposta è assolutamente inadeguata perché nozionistica e storicistica.
Si tratta, invece, non di chiedere un’adesione alla fede cristiana – ciò sarebbe grave per la scuola – bensì di mettere a contatto con la pretesa cristiana all’interno della ricerca umana di un senso alla vita.
Il bisogno umano di una luce più grande del sole e il solstizio d’inverno
Una via maestra è certamente quella di presentare il legame che si è creato fin dalle origini con il solstizio d’inverno. In classe è importante, da un punto di vista culturale, sfatare la falsa leggenda che diverse religioni pretendano che le loro divinità siano nate il 25 dicembre.
È vero, invece, che ogni vera ricerca di Dio si misura con la necessità di una luce e di un calore che riscaldi il gelo che scende nel cuore degli uomini e nella storia intera. Da sempre il tornare ad allungarsi delle giornate e la vittoria del sole sul gelo sono stati un simbolo eterno adatto ad esprimere la domanda dell’uomo se esista una speranza affidabile per il domani.
Ogni comparazione fra le religioni che aiuta a cogliere come tutte si radichino a partire dal desiderio dell’uomo di sapere se esista un Dio personale che riscaldi ed illumini ben più del sole stesso è seria. Ogni comparazione che pretende invece che le religioni derivino le una e dalle altre, litigando su quale di esse sia stata la prima a proporre la celebrazione del solstizio è sciocca e falsa.
La questione del senso della vita e del calore e della luce necessarie a vivere bene è questione percepibile con passione da ogni studente, grande o piccolo che sia, credente o ateo, o appartenente a qualsiasi religione.
Anche l’illuminismo – con i suoi “lumi” – anche la massoneria, anche il “sol dell’avvenire” socialista si sono proposti come luce che illumina e riscalda, perché tale è la questione. Non si può parlare del Natale senza parlare di quale luce possa illuminare il mondo e di quale calore lo possa riscaldare.
Se si vuole utilizzare un approccio storico, si può indagare sulla crisi del paganesimo ellenistico: quando il politeismo entrò in crisi e la civiltà ellenistica smise di credere alle proprie divinità, ecco che gli uomini del tempo si domandarono se esistesse una divinità capace di offrire la propria luce e il propria calore agli uomini - più tardi Francesco d’Assisi, ponendo la stessa questione, affermò poeticamente che il sole “de te, Altissimo, portava significatione”, credendo che la stella a noi più vicina rimandasse con evidenza all’esistenza di quel Dio del quale il sole non può che essere solo un segno.
Ecco il senso immenso della festa del Natale, delle ricorrenze del culto di Mitra, delle celebrazioni della fede enoteistica ed eliocentrica di Costanzo Cloro, padre di Costantino: dinanzi all’insufficienza del sole “naturale”, “scientifico”, dinanzi alla pura “natura” che ciclicamente tutto distrugge e fa rinascere, il Natale cristiano, così come il culto di Mitra, così come i culti solari, si interrogarono se esistesse un altro sole, più carico di senso, di salvezza e di calore dello stesso disco solare.
Questo tipo di approccio è certamente rispettoso della storia, ma è al contempo esistenziale e interculturale. Pone la grande questione del Natale: il Presepe fece breccia nei cuori perché riscaldava davvero, mentre ciò non avvenne nel lungo periodo con Mitra o con il culto del dio solare (cfr. su questo Come parlare a scuola del Natale, di Mitra e delle divinità solari?, di Andrea Lonardo). E fece breccia generando esperienze di amore fra gli uomini, proprio perché aveva innanzitutto riscaldato i cuori, perché era misericordia e non legge moralistica che si limitava a chiedere sacrifici e impegni.
Questo non vuol dire – e la scuola non lo deve mai dimenticare - che la nascita di Gesù debba necessariamente riscaldare il cuore degli uomini di oggi: la scuola non può omettere di ricordare, però, che allora la nascita di Gesù venne percepita così e che tuttora ciò avviene nelle case di tutto il mondo nelle quali ad ogni Natale si costruisce il Presepe. La scuola deve affrontare la realtà e non chiedere adesione alla fede.
Cfr. su questo, anche Non è il Sol dell’avvenire a derivare dal Natale così come non è il Natale a derivare dal culto di Mitra, né viceversa.
La via dei riti e delle tradizioni come tipiche espressioni umane
Una seconda e complementare via, “alta” e non banalizzante o consumistica, per affrontare il Natale a scuola è quello di ricordare come nelle diverse regioni esistano riti. Esistono i riti – che sono esperienze vere e reali - perché il desiderio di luce e di senso presente in tutti non può essere meramente interiore, ma deve essere espresso.
La fede si esprime sempre attraverso riti comunitari, perché siamo tutti uomini e donne fatti di carne e non esseri puramente spirituali. Condividiamo le emozioni ed i pensieri tramite i riti.
Il rito è un fattore interculturale: disprezzare e censurare i riti vuol dire disprezzare e censurare le persone.
La scuola - e l’università che prepara i docenti - deve aiutare ad avere una lettura alta e non dispregiativa della capacità rituale dell’uomo, altrimenti cesserebbe di essere interculturale.
In particolare, in questa prospettiva rituale, non potrà mancare un riferimento a Francesco d’Assisi che, se non fu il vero e proprio inventore del Presepe che era già ampiamente dipinto e scolpito, fu però l’iniziatore del Presepe vivente, disposto intorno alla celebrazione eucaristica (cfr. su questo Il presepe di Greccio e l’eucarestia: l’esperienza di Francesco d’Assisi, di Andrea Lonardo).
Tale vie permette di mostrare come proprio attraverso la realizzazione dei Presepi familiari la dolcezza del calore di quel Gesù Bambino sia entrata nei secoli nelle case, generando delle diversità regionali (e anche etniche), che merita presentare e conoscere a scuola.
Si potrà studiare a Roma la specificità del Presepe Romano (con l’ambientazione nella campagna romana e con i ruderi del mondo classico in decadenza), a Napoli del Presepe napoletano, come presentare nelle diverse regioni i personaggi caratteristici di quella tradizione, come Benino napoletano e Dormiglione bolognese, come Festoso toscano o Gelindo piemontese, come Meraviglia bolognese o come Sbaundatu o Scantatu ra stidda in Sicilia, o ancora come Caganer catalano – perché anche lo scurrile può essere posto nel Presepe.
La via dell’inclusività
Un’ulteriore via complementare è quella di sottolineare l’inclusività del Presepe e del Natale. Tale riferimento non può e non deve mai mancare: è assolutamente necessario parlare del Presepe come di una delle tradizione che più hanno contribuito nella storia del Paese all’inclusività (si può anche lavorare in classe, insieme agli studenti di diverse tradizioni religiose o ateistiche, su quali riti le diverse religioni o le diverse opzioni ateistiche abbiano elaborato per esprimere il loro desiderio di fare posto ai credenti di altre religioni e agli stessi non credenti di destra o di sinistra).
L’inclusività è un dato talmente importante del Presepe che ancora oggi intellettuali di ogni tendenza ne scrivono sui giornali sostenendo che chi fa il Presepe e poi non accoglie lo straniero o chi è in difficoltà non sarebbe nemmeno autorizzato a tenere un Presepe in casa, tale è il riconoscimento pubblico del valore inclusivo del Presepe stesso.
La tradizione di collocare qualsiasi tipo di figura, credente e non credente, intorno al Bambino è di un’importanza straordinaria. Nel Presepe ogni tipo di lavoro è apprezzato (dal pastore all’arrotino, dal cuoco al soldato), ogni età è rappresentata (dal bamino all’anziano), addirittura ogni esponenete di partito può essere rappresentato (si pensi alle figure che si vendono a San Gregorio Armeno a Napoli, ove si vendono statuette di tutti i personaggi buoni o cattivi del tempo presente).
Soprattutto è la memoria della fatica di quella semplice famiglia in viaggio, è il racconto di Maria e Giuseppe, mentre lei è incinta o ha appena partorito, che non cessa di interrogare sull’inclusività del Natale e del mondo che lo pone al centro.
Rondoni ha scritto pagine profonde su come il Presepe sia per natura inclusivo e su come esso non possa essere letto come un simbolo contundente, bensì sia una storia, che spalanca nuove possibilità di leggere la vita attraverso la semplice via del suo racconto:
Rondoni invita a collocare nel Presepe anche figure che permettano di non dimenticare gli sventurati del nostro tempo, per mantenerne viva la memoria: è una via da seguire nella scuola.
Non è necessario che la scuola sfiguri ascientificamente la realtà del Presepe quais fosse necessario inventarsi dati astorici per renderlo interculturale.
Non si deve avere paura, perciò, di spiegare come, fino all’arrivo di Magi, non vi sia nel Presepe alcun africano, alcun arabo, alcun palestinese, e nemmeno alcun occidentale, bensì vi siano solo ebrei, cioè asiatici. Onorare Maria e Giuseppe, che poi circoncideranno il bambino, vuol dire onorare la storia di Israele e del popolo ebraico, senza il quale quel Presepe non ci sarebbe stato (cfr. Arabi o ebrei? Chi c’era nel presepe?, di Andrea Lonardo).
Il Presepe non è luogo di inclusione perché lì vi sarebbero già arabi o occidentali – il che è falso.
Così come non è necessaria la falsa affermazione che Giuseppe e Maria fossero profughi, poiché essi lo divennero quando fuggirono in Egitto, anche se non lo erano affatto quando nacque il bambino a Betlemme. Gli archeologi francescani di Terra Santa hanno mostrato come vada interpretata l’affermazione del vangelo di Luca “Poiché non c’era posto per loro nell’alloggio”: Maria e Giuseppe giunsero a Betlemme probabilmente ospiti di qualche loro parente e, poiché la stanza maggiore – l’“alloggio” – era adibito alla famiglia ospitante con i loro figli, essi vennero ricoverati nella grotta a ridosso della quale era costruita la casa, come si vede in un’analoga abitazione negli scavi archeologici di Nazaret.
Divennero poi profughi quando Erode inferocì contro i bambini di Betlemme: furono cioè profughi in Egitto, dove tuttora la Chiesa copta venera i luoghi dove si rifugiarono i tre, custodendoli con amore anche dopo secoli e secoli di persecuzione.
Verissimo, invece, è che il Presepe evoca una situazione di povertà – e tale doveva essere l’alloggio di Betlemme. Il racconto, comunque, del peregrinare alla ricerca di “alloggio” è stato poi creato dalla tradizione (famosa è la lirica di Gozzano in proposito) e può essere utilizzato come si vedrà più avanti nella parte dedicata al recitare.
È l’arrivo dei Magi, invece, oltre ovviamente alla presenza della Famiglia di Gesù e delle statuine con i lavoratori di ogni tipo, ad essere il grande segno interculturale. Con i Magi è il mondo intero che irrompe in quella scena. Prima di allora le religioni erano concepite come etniche, legando insieme persone che condividevano la stessa discendenza.
L’arrivo di quei sapienti lontani rappresenta, invece, l’ingresso di gente di ogni etnia e regione in un’unica storia, non più legata solo ad una discendenza fisica o territoriale.
Infatti, l’arrivo dei Magi – che molti ritengono fossero persiani – venne subito interpretato come il compimento della profezia che aveva annunciato che un giorno tutti i popoli si sarebbero riuniti per adorare Dio.
È per questo che i magi vengono oggi raffigurati come appartenenti ai tre continenti, uno di carnagione scura a rappresentare l’Africa, uno più orientale a rappresentare il mondo ad est della terra di Israele, ed uno a rappresentare l’occidente. Ma possono anche essere raffigurati di età diversa a rappresentare le tre età della vita: uno più giovane, il secondo di mezza età, l’ultimo anziano (cfr. su questo I Tre filosofi/Re Magi in Giorgione nell’interpretazione di Salvatore Settis).
Con l’arrivo dei magi, così, quel Presepe non è più solo legato alla terra di Israele, bensì diviene universale.
Studiando l’evoluzione nella rappresentazione dei Magi – in pittura e nei presepi - si può riflettere a scuola sull’inclusività del Presepe.
Se il Natale e i Presepi non venissero più studiati, verrebbe a mancare esattamente quella peculiare storia di inclusività, quel peculiare racconto di accoglienza, che tanta carità ha generato e genera nei secoli.
La scuola - e l’università prima di essa - deve qui rovesciare il discorso dei predicatori, laicisti o cristiani che siano, che legge il Presepe in primo luogo in chiave moralistica come se si limitasse ad esprimere i “doveri” e le “leggi” dell’accoglienza.
La proposta del segno del Presepe permette, invece, prima ancora, di offrire motivazioni e sostegno all’immaginario degli studenti, perché venga loro la voglia di accogliere, proprio perché si sono stupiti di ciò che il Natale è.
La scuola deve dare linfa e forza alle future azioni dei suoi studenti e non pretendere che essi siano già bravi, limitandosi a giudicare della loro rispondenza o meno a quanto richiesto dal programma e dai “doveri”. Nella storia del Presepe si esprime, infatti, l’immagine di ciò che è vita e carne e sangue della storia di carità che gli studenti ricevono, mentre si preparano a loro volta a proseguirla con la loro vita.
Infine, non si deve dimenticare ciò che hanno autorevolmente richiamato alcuni commentatori laici: chi ritenesse che il Presepe possa offendere l’islam, sarebbe lui stesso islamofobo e in un grado molto alto di islamofobia, perché starebbe implicitamente dichiarando che i musulmani sono talmente intolleranti da richiedere la cancellazione di quelli che sono i segni normali in ogni città e paese italiano.
Chi afferma che è necessario nascondere i Presepi per non offendere, non si rende conto che sta accusando in maniera pesantissima determinate religioni che riterrebbe non essere nemmeno in grado di vedere costruire Presepi dagli amici dei propri figli: l’accusa gravissima che egli indirettamente rivolge è quelle religioni non siano in grado di coabitare con gli altri in Italia.
La scuola deve agire contro l’islamofobia di costoro, mostrando che è vero esattamente il contrario: che a scuola esiste una modalità per presentare il Natale e il Presepe e che esiste un’integrazione reale. Deve mostrare che non esistono ghetti dove i segni della tradizione italiana debbano essere nascosti.
Se i cristiani che sono minoranza in paesi a maggioranza musulmana, induista o buddista chiedessero la cancellazione dei segni di quelle religioni nelle scuole di quel determinato paese, sarebbero islamofobi, induistofobi, buddistofobi e intolleranti, come allo stesso modo chi chiedesse la cancellazione dei segni del cristianesimo dalla scuola italiana sarebbe un cristianofobo: perché qualcuno dovrebbe sentirsi offeso nell’appartenere ad una scuola che presenta ciò che è tipicamente italiano, pur senza invitare ad aderirvi? Perché dovrebbe sentirsi offeso di vivere in mezzo a ciò che è assolutamente normale in Italia? (cfr. si questo Sul Presepe a scuola 1/ [Non c’è gesto più islamofobo che censurare la nostra vita comunitaria e nascondere il nostro vero volto di fronte ai musulmani come se noi per primi li ritenessimo non in grado di accettare ciò che siamo. Non all’altezza. Tutti in blocco fanatici e ottusi], di Michele Serra 2/ Essere laici non significa negare la religione, di Antonio Polito.
Dinanzi alla questione dell'inclusività può essere proposta un'attività esperienziale invitando qualche missionario e qualche associazione che si occupa di accoglienza a raccontare della loro vita ed elaborare un progetto comune proprio in vista del Natale.
La questione teologica che non può mancare
Ma la questione decisiva che non si può omettere nella presentazione del Natale è quella relativa all’Incarnazione, questione teologica e interculturale decisiva. Il Natale è portatore di una nuova concezione della Parola di Dio, che resta nuova per chi crede e per chi la rifiuta.
Quel bambino è la Parola. La Parola di Dio non è più un libro. Quel Bambino è più grande di un Libro. È la Parola definitiva. È la chiave per capire ogni libro, compresa la Bibbia. La Bibbia è Parola di Dio, ma non è “la” Parola di Dio.
“La” Parola di Dio si è fatta carne e – come ebbe a dire Papa Francesco – “la Parola di Dio precede ed eccede la Scrittura”.
I cristiani non hanno una festa della discesa della Parola, bensì la festa dell’Incarnazione di Dio. Quando un cristiano afferma che “Dio è amore”. Lo afferma perché egli è venuto in mezzo a noi, fino a farsi carne per abbracciarci e farsi abbracciare. Non gli è bastato parlarci, ma ha voluto farsi vedere ed essere toccato, per parlare a noi “come un amico parla ad un amico” (cfr. su questo La Dei Verbum: la novità di un approccio personalistico alla rivelazione. I cinque punti nodali di un magnifico documento, di Andrea Lonardo).
Il Natale rimanda alla questione dell’essenza del cristianesimo. È assolutamente il caso di mostrare come nel Natale si giochi tutta la verità – o meno – della fede cristiana, tutto ciò che essa afferma dell’amore e della vita. Si può riandare anche a testi come quello di R. Guardini, L’essenza del cristianesimo, Brescia, Morcelliana, per approfondire tutto questo, per “distinguere la polpa dalla buccia”. Perché è di questo e non di altro che si sta parlando.
Cantare il Natale
Le canzoni del presepe e i canti natalizi sono quanto di più popolare esista.
Se proprio si dovessero eliminare alcuni canti dalle classi scolastiche, le prime canzoni a dover scomparire dovrebbero essere quelle sponsorizzate dall’industria consumistica che detiene il mercato, quelle canzoni che durano lo spazio di un’estate e poi vengono abbandonate per sempre
I canti del popolo, invece, quelli dei nonni e dei bisnonni, andrebbero studiati e cantati perché sono appunto i canti del popolo.
Come insegnano in maniera straordinaria musicisti come Ambrogio Sparagna – vedi le diverse edizioni della ChiaraStella a Roma e nelle diverse sale da concerto d’Italia, ad esempio Natale è anche il canto di un popolo. I canti della Chiarastella, di Ambrogio Sparagna - o Gianni Aversano, i canti popolari attraversano la storia ed esprimono l’amore, il dolore e l’anelito religioso della gente semplice d’Italia.
Questi canti possono essere studiati e insegnati nelle scuole proprio perché parte della storia italiana. Si potranno scegliere anche canti propri delle regioni alle quali appartengono le scuole.
Fondamentale sarà studiare in classe anche canti natalizi delle diverse tradizioni in chiave interculturale. Non dovrebbero, infatti, mai mancare oggi canti natalizi dell’America Latina, così come non dovrebbero assolutamente mancare canti della tradizione ortodossa, sia essa bizantina, rumena, russa o copta (e così via).
L’ascolto e l’esecuzione di canti delle diverse tradizioni renderebbe lo spettacolo pre-natalizio un vero momento di crescita e di formazione.
In tale contesto avrebbero senso eseguire anche canti festivi natalizi “non credenti”, quelli che accuratamente sostituiscano alle parole della fede termini più generici come pace, amore, festa, amicizia, “volemose bene”.
Sarebbe un’occasione preziosa per confrontare quelli popolari e quelli più recenti, anche per approfondire la questione della consistenza delle espressioni e del linguaggio poetico a confronto.
L’insieme dei canti, quelli popolari italiani, quelli natalizi stranieri, e questi ultimi recenti più censurati nelle parole, aiuterebbero a dare ai bambini una visione d’insieme.
Ovviamente tutti potrebbero cantare tutti i canti, sia i bambini di famiglie cristiane quei canti che escludono volutamente il nome di Gesù, sia i bambini di famiglie non credenti quei canti più antichi che lo contengono, esattamente come si leggono e si declamano in classe Dante e Leopardi, Manzoni e Verga.
Si possono, infine, cantare anche le Ninna nanne a Gesù Bambino, con le stesse modalità interculturali fin qui ricordate.
Disegnare il Natale
Piuttosto che colorare cose già fatte è il caso qui di lasciare i bambini liberi di disegnare il Natale.
Un amico sardo mi raccontò di sua madre maestra che, in occasione del Natale, si ritrovò altri maestri contro qualsiasi ipotesi di disegni sul Natale, perché c’era un bambino di un'altra religione.
Lei rispose con una controdomanda. “Voi, colleghi, siete per la libertà di espressione? I bambini, dopo la lezione della Montessori, debbono essere liberi di manifestare il loro pensiero?”
“Certo” – risposero tutti.
“Bene, allora, bambini, disegnate voi cosa è il Natale per voi, nessuno si senta obbligato a dover disegnare qualcosa di preciso, ma disegnate ciò che liberamente vi viene in mente e vi piace disegnare”
I bambini disegnarono il Presepe, qualcuno vi aggiunse i propri genitori a fianco della mangiatoia, altri l’albero altri la loro cameretta perché avrebbero riposato senza andare a scuola.
La maestra, allora, si fece interpretare i disegni dai diversi bambini e pian piano spiegò loro meglio cosa avevano dipinto.
Ecco come il disegno libero permette di parlare del Natale e del suo significato per chi ha famiglie credenti, ma anche del semplice riposo, del semplice stare a casa o del ricevere i regali, per chi non ha nessuna intenzione di pensare a Gesù Bambino.
Recitare il Natale
Anche nel recitare e preparare spettacoli, bisogna che i bambini siano accolti per ciò che essi sono.
Una professoressa di una scuola media si trovò in una situazione analoga alla precedente. Volendo far recitare gli alunni per Natale si trovò dinanzi all’obiezione di colleghi che non lo ritenevano opportuno per la presenza di un bambino musulmano nella classe.
Lei risolse in maniera semplicissima il problema, conquistandosi la fiducia dei colleghi.
Lo spettacolo si aprì con l’ingresso dell’alunno musulmano che recitava se stesso: “Sono Muhammad, sono musulmano e non so bene cosa è il Natale. Voi amici che siete cristiani potete raccontarmelo per favore, così come io vi racconterò nel corso dell’anno di alcune feste che celebro?”
Egli recitava la parte del musulmano che vive in una nazione che pratica il dialogo interculturale, cioè recitava se stesso, senza dover fare la parte dell’angelo o di Giuseppe o di Maria!
Entrarono a quel punto in scena i suoi compagni che, con assoluta spontaneità, rappresentarono il Natale, perché essi lo vivevano in famiglia.
A quel punto Muhammad raccontò anche lui che riteneva Gesù un inviato di Allah, un profeta nato da Maria vergine, per una benevolenza misteriosa di Allah. E che la grande differenza dai suoi compagni era che lui riteneva che Gesù non fosse morto in croce, ma che riteneva la crocifissione un’invenzione dei cristiani, che avrebbero falsificato in quel punto la vera storia di Gesù. Ma che, nonostante questo, egli riteneva Gesù un vero inviato di Allah, giusto e buono.
Divenne così possibile anche un aperto dialogo su come Gesù fosse visto differentemente dall’islam e dal cristianesimo (cfr. su questo I musulmani di fronte al mistero della croce: rifiuto o incomprensione?, di M. Borrmans e Il Vangelo di Barnaba, un apocrifo musulmano medioevale: “dare corpo” alla gesuologia islamica omettendo la croce e reinserendo circoncisione e sacrifici animali, di Andrea Lonardo).
Oltre ad accorgimenti interculturali come questi, è bene, comunque, non infantilizzare mai, anche qui, il Natale, bensì rivolgersi a testi seri e provati dal tempo.
Ovviamente è bene rifarsi in primis a quelli evangelici.
Si può mettere in scena anche il primo Presepe francescano a Greccio, così come le fonti francescane lo raccontano.
Si può ricorrere anche a testi diversi da quelli strettamente legati al Presepe.
Si pensi al meraviglioso Canto di Natale di Charles Dickens (qui un file video che lo racconta 1/ Un Canto di Natale, di Charles Dickens. Video della riduzione trasmessa da TV2000 con la recitazione di Giovanni Scifoni e l'introduzione di Andrea Cavallini 2/ Un Canto di Natale, di Charles Dickens. Riduzione e commento di Andrea Cavallini)
Oppure si può mettere in scena il celebre racconto di Henry (qui il testo Il dono dei Magi, di O. Henry).
O ancora si possono mettere in scena o anche semplicemente leggere, con opportuni adattamenti, i racconti sul Natale del grandissimo Guareschi (si potrebbero vedere a scuola anche i film di Peppone e don Camillo per poi discutere dell’anima comunista e cattolica dell’Italia e della loro convivenza)
- La luce che non si spegne, di Giovannino Guareschi
- In una manona il tepore del Bambinello. Il presepe di don Camillo e Peppone, di Giovannino Guareschi
- La recita della poesia di Natale a casa Guareschi, di Giovanni Guareschi
Oppure si può recitare Buzzati: «Senza Dio anche il cappone arrosto sembra sabbia tra i denti». Il Santo Natale raccontato da Dino Buzzati
Un’ulteriore via ancora è quella percorsa dalle recite messicane dette Las posadas mexicanas o dalla loro versione italiana ne La notte santa di Guido Gozzano (1914): in esse si immaginano Maria e Giuseppe che non trovano accoglienza nelle diverse locande di Betlemme, nella notte di Natale. Qui, come si è detto, anche se in maniera ascientifica, si immaginano Maria e Giuseppe come profughi.
Realizzare il Presepe
A questo punto si può dire qualcosa anche sulla realizzazione stessa di un Presepe.
Forse la cosa più importante da dire è che deve essere bello.
Può essere di concezione antica o moderna (penso a quelli che realizza mio fratello), ma deve essere bello. Con materiali poveri o pregiati, ma bello.
Anche qui vale la pena, comunque, anche nell’invenzione di modalità moderne, rifarsi alla tradizione che, una volta studiata, permette di reinterpretare personaggi che sarebbero altrimenti dimenticati.
Qui solo alcuni spunti di autori che hanno riflettuto sui diversi personaggi:
Non si mancherà di far conoscere le diverse tradizioni tipiche. Ad esempio, a Roma, non potrà non essere studiata la tradizione del Presepe romano. Esso, in piena corrispondenza con la storia peculiare dell’urbe, ambienta sempre la Natività in un rudere romano, per indicare il passaggio dal mondo classico al cristianesimo. La caratteristica peculiare di Roma è la sua duplice fondazione da parte di Romolo e Remo e poi di Pietro e Paolo!
Chi vuole capire Roma mai deve dimenticare le sue origini classiche e scientifiche e, insieme, mai può porre nell’oblio la sua rinascita cristiana: la tensione feconda fra le due eredità è la storia di Roma. E la tradizione del Presepe romano la ricorda ampiamente. Ecco di nuovo un elemento interculturale nel Presepe romano – classicità e cristianesimo – dove chi non fosse cristiano può lavorare alla parte classica e viceversa, oppure si possono scambiare le parti proprio per indicare che questa è Roma e chi non ne apprezza tutte le sue componenti non sarò in grado di amarla e di capirla.
Qualche testo di riferimento sull’albero di Natale e su Babbo Natale
In maniera interculturale, similmente a quanto già indicato più sopra, è possibile affrontare il tema dell’Albero di Natale, mostrando come la sua storia non dipenda tanto da una dipendenza filogenetica da miti precedenti. Ci si può soffermare, invece, su come sia molto più importante un rapporto di molte religioni e di molte ideologie - e anche di partiti politici - con il simbolo dell’“albero” e del “sempreverde”.
Cfr. su questo: L’albero di Natale? Cristiano, non pagano, di Roberto Beretta
Per Babbo Natale, che porta il non relativistico nome di Babbo Natale e non di Babbo Feste, segno che il nome Natale può essere sdoganato, cfr. invece:
- 1/ Cosa chiede davvero un bambino - e ciascuno di noi - a Babbo Natale? Gli auguri di Natale di Andrea Lonardo 2/ Babbo Feste, non Babbo Natale. Babbo Natale è un’espressione poco laica e troppo cattolica. Nota semi-seria, di Andrea Lonardo (il secondo articolo è ovviamente ironico)
- Babbo Natale non si è rimpicciolito. Piuttosto ho esteso l’idea (da Gilbert Keith Chesterton)
Un’immagine per concludere
Le immagini e i Presepi nati dall’intuizione di piccola sorella Magdeleine, fondatrice delle Piccole Sorelle di Gesù, esprimono con un’immagine contemporanea la novità del Natale: “Da diversi anni sogno, come se la vedessi, una nuova immagine della Madonna. Non una Madonna che stringe teneramente fra le braccia il suo piccolo Gesù, ma che invece lo porge al mondo: e il suo piccolo Gesù ha solo qualche mese, è avvolto in fasce e così, sdraiato fra le sue mani, la Madonna lo porge con un gesto che dovrebbe essere così eloquente che tutti abbiano voglia di prenderlo” (cfr. L’icona della Madonna dell’AXA e Testi di piccola sorella Magdeleine sulla rappresentazione della Madonna).
N.B. Se non ne aveste ancora abbastanza, cfr.
- Non ci sono più le mezze gioie e le mezze stagioni. Il Natale o è grande o non è: «Dio ha generato colui senza del quale niente assolutamente è, e Maria ha partorito colui senza del quale niente è bene». Un augurio da Andrea Lonardo