Come parlare a scuola del Natale, di Mitra e delle divinità solari?, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Educazione e scuola e Catechesi e liturgia.
Il Centro culturale Gli scritti (16/12/2018)
Bisognerà pure avere il coraggio di dire qualcosa di interessante a scuola sul Natale, superando il noioso storicismo che attanaglia ogni questione viva, rendendo la scuola nozionista.
Una via maestra è quella di interrogare il rapporto fra il Natale, le feste di Mitra e quelle delle divinità solari.
Non tramite la storicistica – e irrisolvibile - discussione a riguardo di quale festa sia da considerare matrice delle altre.
In realtà non vi è alcuna filiazione diretta di tali feste le une dalle altre.
Tutte, invece, dipendono dal passaggio decisivo, a livello esperienziale, del ritorno alla vittoria della luce: a partire dal solstizio d’inverno le giornate tornano ad allungarsi.
Le tre diverse celebrazioni nascono a partire dalla crisi del paganesimo. Ognuna delle nuove religioni è la manifestazione del fatto che il paganesimo non toccava più i cuori e le menti. Era ormai freddo, astratto e avvertito come tale. Il paganesimo morì nel cuore dei romani e, più in genere, nel cuore degli appartenenti alle diverse regioni della civiltà ellenistica.
Nessuno vi aderiva più né con il cuore, né con la mente. Il politeismo divenne, in età ellenistica, formalismo rituale.
Tutti cercavano perciò una nuova luce, qualcosa che desse calore e che indicasse la strada per una nuova rinascita.
Le tre nuove religioni intesero tutte, autonomamente, indicare l’oriente, il sorgere di una nuova luce, l’origine di una nuova nascita verso cui “orientarsi”.
E tutte e tre intesero dire che il solstizio d’inverno, considerato dal punto di vista meramente scientifico e astronomico, era troppo debole per riempire il vuoto lasciato dalla fine culturale del paganesimo. Il politeismo moriva nei cuori, pur essendo la religione del potere, ed il suo vuoto non poteva essere riempito dalla mera constatazione che il tempo tornava ad allungarsi e le stagioni rigide cedevano via via il passo ad una stagione più mite.
No, l’esigenza era ben più profonda e toccava la possibilità di incontrare Dio stesso, la stessa luce.
Gli adoratori della divinità solare ritennero per un certo tempo che essa potesse sostituirsi, come un enoteismo, all’antico paganesimo. Ma il popolo avvertì che tale proposta era anch’essa arida e inconcludente come il paganesimo al tramonto.
La stessa via tentarono i seguaci del culto mitraico – portato a Roma dai legionari e riservato solo a maschi. Ma anche qui l’esoterismo e la complicatezza di tale culto fallirono, non riuscendo a riscaldare i cuori degli uomini.
La religione, invece, di colui che dice “Io sono la luce, io sono la vita, io sono l’amore di Dio” penetrò nel cuore degli uomini del tempo, che ben compresero che il sole che riprende a “guadagnar vittoria” a partire dal solstizio d’inverno, era solo un segno del vero “sole”, della vera “luce”, del vero “caldo” che illumina le menti e rinfranca i cuori.
Come dirà poi Francesco d’Assisi: «Laudato sie, mi’ Signore, […] spezialmente [per] messor lo frate Sole, […] de Te, Altissimo, porta significazione».
Non una derivazione, dunque, della celebrazione del 25 dicembre a partire dall’una o dall’altra delle diverse visioni religiose, bensì tre visioni in parallelo, di tre modalità che esprimevano lo stesso desiderio di rivolgersi al vero “sole”, quello capace di illuminare e riscaldare il cammino dell’uomo (due verbi che esprimono il desiderio di conoscenza e di salvezza).
Delle tre solo una si rivelò affidabile, credibile e capace di ciò che prometteva: illuminare e riscaldare il cammino dell’uomo.
Chi credette ad essa credette che la fiducia che essa riscuoteva e meritava derivava proprio dal non essere una qualche concezione umana, bensì un dono dall’alto.
Di questo bisognerebbe parlare nel presentare il Natale. Non di noiose questioni nozionistiche su presunte precedenze e dipendenze, bensì piuttosto dell’esigenza che l’uomo ha di un sole più grande del sole stesso. E della diversa affidabilità delle risposte che vennero trovate a tale bisogno e desiderio.
Presentandole pluralisticamente, se necessario, per valutarle, le une dinanzi alle altre.