«Il catechista non può dimenticare, soprattutto in un contesto di indifferenza religiosa, che la sua parola è sempre un primo annuncio. E quando dico primo annuncio non lo intendo solo in senso temporale. È necessario che il catechista comprenda la grande sfida che si trova dinanzi su come educare alla fede, in primo luogo, quanti hanno un’identità cristiana debole e, per questo, hanno bisogno di vicinanza, di accoglienza, di pazienza, di amicizia. Non dimentichiamo di far cogliere con la nostra catechesi la contemporaneità di Cristo. Nella vita sacramentale, infatti, che trova il suo culmine nella santa Eucaristia, Cristo si fa contemporaneo con la sua Chiesa». Videomessaggio del Santo Padre Francesco ai partecipanti al Convegno internazionale su “Il catechista, testimone del mistero”, organizzato dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione
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Riprendiamo sul nostro sito il testo del Videomessaggio del Santo Padre Francesco ai partecipanti al Convegno internazionale su “Il catechista, testimone del mistero”, organizzato dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione del 22/9/2018. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Catechesi e famiglia. Per la relazione di Andrea Lonardo in quel Convegno, cfr. Catechesi kerygmatica e Iniziazione cristiana, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (30/9/2018)
Carissimi catechisti e catechiste, buongiorno!
Avrei tanto desiderato condividere con voi di persona questo momento importante del vostro radunarvi insieme per riflettere sulla seconda parte del Catechismo della Chiesa Cattolica, che tocca contenuti importanti e basilari per la Chiesa e per ogni cristiano, come la vita sacramentale, l’azione liturgica e il loro impatto sulla catechesi. Mons. Fisichella mi ha informato che siete in tanti, circa 1.500 catechisti, e che venite da 48 Paesi diversi, in molti casi accompagnati dai vostri Vescovi, che saluto cordialmente. Grazie per la vostra presenza. Grazie per l'entusiasmo con cui vivete il vostro essere catechisti nella Chiesa e per la Chiesa.
Ricordo con piacere il primo incontro che ebbi con voi nell’Anno della Fede, nel 2013, e come vi chiesi di «essere catechisti!, non lavorare da catechisti: questo non serve! Io lavoro da catechista perché mi piace insegnare. Ma se tu non sei catechista, non serve. Non sarai fecondo, non sarai feconda! Catechista è una vocazione: essere catechista, questa è la vocazione, non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto fare i catechisti, ma esserlo, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza»
Oggi mi trovo a Vilnius per il viaggio apostolico nei Paesi Baltici che era stato programmato da diverso tempo. Approfitto di questi strumenti efficaci della tecnologia per stare con voi e indirizzarvi alcuni pensieri che mi premono, perché la vostra vocazione ad essere catechisti assuma sempre di più una forma di servizio che viene svolto nella comunità cristiana e che richiede di essere riconosciuto come un vero e genuino ministero della Chiesa, di cui abbiamo particolarmente bisogno.
Penso spesso al catechista come colui che si è messo al servizio della Parola di Dio, che questa Parola frequenta quotidianamente per farla diventare suo nutrimento e poterla così partecipare agli altri con efficacia e credibilità. Il catechista sa che questa Parola è «viva» (Eb 4,12) perché costituisce la regola della fede della Chiesa (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 21; Lumen gentium, 15).
Il catechista, di conseguenza, non può dimenticare, soprattutto oggi in un contesto di indifferenza religiosa, che la sua parola è sempre un primo annuncio. Pensate bene questo: in questo mondo, in quest’area di tanta indifferenza, la vostra parola sempre sarà un primo annuncio, che arriva a toccare il cuore e la mente di tante persone che sono di attesa di incontrare Cristo.
Anche a loro insaputa, ma sono in attesa. E quando dico primo annuncio non lo intendo solo in senso temporale. Certo, questo è importante, ma non è sempre così. Primo annuncio equivale a sottolineare che Gesù Cristo morto e risorto per amore del Padre, dona il suo perdono a tutti senza distinzione di persone, se solo aprono il loro cuore a lasciarsi convertire! Spesso non percepiamo la forza della grazia che, anche attraverso le nostre parole, tocca in profondità i nostri interlocutori e li plasma per permettere loro di scoprire l’amore di Dio.
Il catechista non è un maestro o un professore che pensa di svolgere una lezione. La catechesi non è una lezione; la catechesi è la comunicazione di un’esperienza e la testimonianza di una fede che accende i cuori, perché immette il desiderio di incontrare Cristo. Questo annuncio in vari modi e con differenti linguaggi è sempre il “primo” che il catechista è chiamato a realizzare!
Per favore, nella comunicazione della fede non cadete nella tentazione di stravolgere l’ordine con il quale da sempre la Chiesa ha annunciato e presentato il kerigma, e che trova riscontro anche nella struttura dello stesso Catechismo. Non si può, ad esempio, anteporre la legge, fosse anche quella morale, all’annuncio tangibile dell’amore e della misericordia di Dio. Non possiamo dimenticare le parole di Gesù: “Non sono venuto a condannare, ma a perdonare...” (cfr Gv 3,17; 12,47).
Alla stessa stregua, non si può presumere di imporre una verità della fede prescindendo dalla chiamata alla libertà che questa comporta. Chi ha esperienza dell'incontro con il Signore si ritrova sempre come la samaritana che ha desiderio di bere un’acqua che non si esaurisce, ma nello stesso tempo corre subito dagli abitanti del villaggio per farli venire da Gesù (cfr Gv 4,1-30).
È necessario che il catechista comprenda, quindi, la grande sfida che si trova dinanzi su come educare alla fede, in primo luogo, quanti hanno un’identità cristiana debole e, per questo, hanno bisogno di vicinanza, di accoglienza, di pazienza, di amicizia. Solo così la catechesi diventa promozione della vita cristiana, sostegno nella formazione globale dei credenti e incentivo ad essere discepoli missionari.
Una catechesi che intende essere feconda e in armonia con l’insieme della vita cristiana trova nella liturgia e nei sacramenti la sua linfa vitale. L’iniziazione cristiana richiede che nelle nostre comunità si attui sempre di più un percorso catechetico che aiuti a sperimentare l’incontro con il Signore, la crescita nella sua conoscenza e l’amore per la sequela. La mistagogia offre delle opportunità fortemente significative per compiere questo percorso con coraggio e decisione, favorendo l’uscita da una fase sterile della catechesi, che spesso allontana soprattutto i nostri giovani, perché non ritrovano la freschezza della proposta cristiana e l’incidenza nella loro vita.
Il mistero che la Chiesa celebra trova la sua espressione più bella e coerente nella liturgia. Non dimentichiamo di far cogliere con la nostra catechesi la contemporaneità di Cristo. Nella vita sacramentale, infatti, che trova il suo culmine nella santa Eucaristia, Cristo si fa contemporaneo con la sua Chiesa: la accompagna nelle vicende della sua storia e non si allontana mai dalla sua Sposa. È Lui che si rende vicino e prossimo con quanti lo ricevono nel suo Corpo e nel suo Sangue, e li rende strumento del perdono, testimoni della carità con quanti soffrono, e partecipi attivi nel creare la solidarietà tra gli uomini e i popoli.
Come sarebbe utile per la Chiesa se le nostre catechesi fossero improntate nel far cogliere e vivere la presenza di Cristo che agisce e opera la nostra salvezza, permettendoci di sperimentare fin da adesso la bellezza della vita di comunione con il mistero di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo!
Vi auguro di vivere questi giorni con intensità, per portare poi alle vostre comunità la ricchezza di quanto avete vissuto in questo incontro internazionale. Vi accompagno con la mia benedizione e, per favore, non dimenticate di pregare per me. Grazie.