Da soli all’esame di maturità, qualcosa sta cambiando? L’esperienza da commissario esterno in una scuola romana: tutti gli alunni di un’intera classe all’interrogazione senza nessuno che fosse venuto ad assistere. Un caso?, di Roberto Contu
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Riprendiamo da Romasette di Avvenire del 4/7/2018 un articolo di Roberto Contu. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Educazione e scuola.
Il Centro culturale Gli scritti (8/7/2018)
In questi giorni sono stato impegnato come commissario esterno per l’Esame di Stato. È un osservatorio particolare, quello del commissario esterno. Con l’uscita delle nomine entri di colpo nella vita di ragazzi che non conosci, ma che dopo qualche ora già ti hanno studiato al microscopio su gruppi Facebook («cosa chiede, come interroga, è tirchio o no nei voti»). Poi arriva il giorno della prima prova, il silenzio e gli sguardi western che ti piovono addosso la mattina, quando entri nella scuola passando in mezzo a loro («è lui, sì, è lui, è cattivo, no, sembra tranquillo, ci farà copiare, no non pare proprio»).
Tre giorni di scritti in cui la comunicazione è ridotta al minimo («silenzio per favore, ti serve un altro foglio, firma qui, ok, ci vediamo all’orale»). Il tempo di memorizzare qualche cognome durante le correzioni delle prove, una valutazione complessa fatta su fantasmi dai contorni appena accennati e finalmente iniziano gli orali in cui, solo per un’ora circa, quei ragazzi prenderanno vita di fronte a te. Ed è a questo punto che questa volta ho notato qualcosa di nuovo.
Faccio e vedo fare esami da tanti anni. Se c’era un rito che mi sembrava garantisse continuità tra la mia maturità anni Novanta (fatta di materie scelte all’orale, voti in sessantesimi e buste delle prove portate dai carabinieri) e quelle vissute da docente (negli anni diventate saggi brevi, voti in centesimi, plico telematico) era proprio la prova orale. E non tanto per le modalità di svolgimento, che negli anni appunto sono cambiate, quanto nella liturgia umana che da sempre mi è parsa uguale a se stessa.
Lo studente nervoso con la camicia bianca o blu, a nascondere una t-shirt comunque stampata nello sguardo o nel taglio dei capelli. La studentessa con le ballerine e il vestito elegante, a nascondere leggings e smalti fluorescenti comunque stampati nello sguardo o nel piercing sul naso. Ma soprattutto, le amiche e gli amici venuti ad assistere e fare coraggio all’amico o all’amica, i genitori defilati e mal sopportarti dal figlio o dalla figlia, quasi imboscati sul corridoio.
Ecco, da questo punto di vista quest’anno è capitato qualcosa di diverso: tutti gli alunni di una classe intera, escluso uno accompagnato dal fratello, hanno sostenuto l’esame orale completamente da soli, senza nessuno che fosse venuto ad assistere. Quando ne ho chiesto ragione a uno dei commissari interni, rimasto sorpreso pure lui, mi sono sentito rispondere che quella non era una classe particolarmente unita. Eppure la giustificazione mi è parsa assolutamente insufficiente. Dove erano i genitori, dove erano soprattutto gli amici e le amiche, e non solo i compagni di classe, ma gli amici e le amiche del pomeriggio, della squadra di calcio, della scuola di danza, del gruppo parrocchiale o del semplice muretto d’incontro?
Sono tornato a casa con tante domande in testa. Sarà stato un caso, sicuramente in altre commissioni ci saranno stati amici, genitori, e compagni a sostenere quel ragazzo (che anni fa ero stato io ed ero stato accompagnato da tutti loro) di fronte a quella commissione così minacciosa. Forse. Oppure qualcosa sta veramente cambiando nell’idea stessa di socialità e relazione, si è sempre più soli, anche in un momento così carico di senso come l’ultimo atto di un lungo percorso scolastico. Continuo a pensarci. A tra quindici giorni.