Testimonianze di donne migranti e profughe 1/ «La maman mi ha portato dallo stregone per il giuramento, cioè che non sarei mai scappata con i soldi della signora, non l'avrei mai denunciata e rimborsato il viaggio. Poi hanno preso le mutandine, un po' di capelli della testa, peli delle parte intime e un po' di sangue legati insieme, mi hanno assicurato che mi sarà restituito tutto quando avrò finito di pagare il mio debito. È stato vicino al mare che ho saputo che tutte le ragazze che vengono in Italia sono costrette a fare le prostitute: mi sono resa conto che non era vero e che il lavoro che mi avevano promesso nel supermercato era tutto un inganno. Volevo chiedere aiuto ma come fare?». 2/ «In Iran era attivo il regime di mullah, io ero contro le dittature religiose. Una notte abbiamo creduto di essere alla fine e che i lupi ci avrebbero mangiato o forse ci avrebbero trovate, arrestate, stuprate, torturate. Ma Dio era con noi, non ci ha abbandonato, ha ascoltato la nostra preghiera»
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Riprendiamo sul nostro sito due testimonianze di donne giunte in Italia e ospitate in una casa famiglia di suore. Abbiamo omesso dal loro resoconto ogni riferimento personale. Nelle due testimonianze gli unici aggiustamenti hanno riguardato la punteggiatura e qualche parola altrimenti difficile da comprendere. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione.
Il Centro culturale Gli scritti (20/5/2018)
1/ «La maman mi ha portato dallo stregone per il giuramento, cioè che non sarei mai scappata con i soldi della signora, non l'avrei mai denunciata e rimborsato il viaggio. Poi hanno preso le mutandine, un po' di capelli della testa, peli delle parte intime e un po' di sangue legati insieme, mi hanno assicurato che mi sarà restituito tutto quando avrò finito di pagare il mio debito. È stato vicino al mare che ho saputo che tutte le ragazze che vengono in Italia sono costrette a fare le prostitute: mi sono resa conto che non era vero e che il lavoro che mi avevano promesso nel supermercato era tutto un inganno. Volevo chiedere aiuto ma come fare?»
Mi chiamo […], ho 19 anni, sono nigeriana. Mio padre si chiamava […]: è morto il […] 2016. Mia madre si chiama […]: è morta il […] 2003. Ho 2 sorelle che si chiamano […] di 27 anni e […] di 14 anni.
Tutto è andato senza intoppi fino al 2003, quando è morta mia madre per un taglio cesareo per la nascita della mia sorellina. Questo è stato l'inizio della nostra sofferenza. Siamo andate a vivere con la mia nonna (madre di mia madre) che ha preso cura di noi soprattutto della mia sorellina appena nata.
Il mio padre aveva ogni responsabilità fino al 2005, quando ha risposato un'altra donna. In casa non c'era più pace, si continuava a litigare. Allora mio padre ha affittato una casa, ma nel 2012 si è ammalato di un brutto male, ma si dava sempre da fare. Visto che la moglie litigava sempre con la padrona di casa, ha costruito una casa ed è andato a vivere con la moglie; hanno avuto 4 figli. Prima della morte di mia madre, mio padre ha avuto altri 2 figli con altre due donne, in totale eravamo 9 figli, 6 femmine e tre maschi.
Ho frequentata la scuola elementare, la secondaria fino a 12 anni. Mio padre si è sempre preso cura di me e delle mie sorelle, poi si è ammalato, la nonna era sempre più vecchia: ho pensato di andare via e andare a vivere con mio zio a Lagos, ma avevo fatto i conti male perché la moglie di mio zio mi trattava come una schiava. Sono tornata da mia nonna in Nigeria, volevo continuare a studiare, mio padre mi ha detto: "Tu pensi allo studio ed io sono molto malato, vedi se trovi qualcuno che ti può aiutare". Ho pianto per tanti giorni perché vedevo i miei sogni andare in frantumi.
Trovavo fatica a vivere nel villaggio, mia nonna molto vecchia faceva fatica a prendersi cura di noi. Sono partita per Benin a vivere con un’amica; ho trovato lavoro in un bar, lavoro molto pesante, e tutte le cose erano molto difficili per me.
Avevo perse tutte le speranze. Un giorno è venuta una signora e mi ha chiesto se mi piacerebbe andare in Italia, [dicendo che] sua sorella ha un supermercato e cerca personale per aiutare a vendere. Ho pensato che era un'ottima occasione, non avrei pagato più l'affitto ogni mese.
Non sapevo nulla dell'Italia e del viaggio e di tutte le difficoltà che avrei incontrate. La signora mi ha anche detto che per arrivare in Italia occorrevano due o più settimane. Mi ha portato dallo stregone per il giuramento, cioè che non sarei mai scappata con i soldi della signora, non l'avrei mai denunciata e rimborsato il viaggio. Poi hanno preso le mutandine, un po' di capelli della testa, peli delle parte intime e un po' di sangue legati insieme, mi hanno assicurato che mi sarà restituito tutto quando avrò finito di pagare il mio debito.
Il 25 febbraio del 2016 io e la mia amica […] abbiamo iniziato il lungo viaggio; il giorno successivo siamo arrivate a Kano e […] ha chiamato la signora; lei ha mandato una persona a prenderci e ci ha accompagnato in un ristorante per mangiare.
Poi assieme ad altre sei persone ci siamo messi in viaggio. Siamo arrivate in Niger a mezzanotte; al mattino è venuto un uomo a prenderci e abbiamo proseguito il viaggio.
Siamo arrivate ad Agadez molto tardi, era buio, sono venuti due uomini del Niger e ci hanno accompagnate al GHETTO. In questo luogo vi erano tanti nigeriani.
Il lunedì mattina è arrivata una macchina (chilux), ci hanno sistemate all'interno con cibo ed acqua, in tutte eravamo 25 persone, abbiamo iniziato il viaggio nel deserto del Sahara con tanta sabbia, caldo di giorno e molto freddo di notte. Due ragazze sono svenute, poi è finito anche il cibo e l'acqua, siamo arrivati in un posto dove vi erano molte pietre e la macchina non passava, ci hanno fatto salire a piedi.
È stato un viaggio molto difficile, Dio nella sua bontà mi ha dato la forza per andare avanti, la nostra pelle è diventata quasi bianca e il nostro viso bruciacchiato.
Senza più ne cibo né acqua. Dopo 5 giorni nel deserto siamo arrivati a SABA in Libia, era venerdì mattina. È venuto un uomo a prendere me e la mia amica […], ci ha portato in una casa che si chiama Ghetto dove c'erano tante persone; siamo rimaste tre giorni, poi ci hanno accompagnate in un'altra casa dove ci hanno dato un passaporto falso, ci hanno comprato dei vestiti lunghi e una sciarpa come le donne della Libia.
Il lunedì mattina ci hanno svegliate alle cinque del mattino per prepararci e partire per Tripoli. Non siamo passate per il deserto, ma l'uomo che guidava quel giorno era un arabo, non capiva l'inglese, perciò ha preso un'altra strada, ci hanno tolto i soldi, i cellulari.
Abbiamo passato il primo e il secondo punto di controllo senza problemi, poi un altro uomo arabo ha fermato la macchina, parlava arabo e noi non abbiamo capito cosa dicevano, ci hanno fatto scendere dalla macchina vicino ad una moschea, per strada non si vedeva anima viva.
Ci siamo nascoste, abbiamo avuto tantissima paura. Un ragazzo che era con noi ha chiamato l’"uomo connessione". È arrivato un altro uomo per guidarci e abbiamo continuato il viaggio: non sapevamo che il peggio doveva ancora venire.
Siamo arrivati a un posto di blocco, il macchinista ha parlato con i soldati i quali ci hanno fatto scendere, lasciare le nostre borse e seguirli. Ci hanno arrestate, ci hanno portato in una stanza dove c’erano moltissime persone. Durante la notte sono venuti dei soldati e con la macchina ci hanno portato ad una destinazione sconosciuta, abbiamo attraversato il deserto e il viaggio è durato più di un'ora.
Poi ci ha fatto scendere e fatte entrare in una piccola stanza dove c'erano le galline, non c'era la luce ed era tanto sporco e tanta puzza. Solo allora abbiamo capito che siamo stati venduti [come schiave]. Un uomo del Ghana che lavorava per l'uomo arabo ha detto che siamo stati rapiti e di chiamare il nostro “uomo-connessione”.
Siamo state trattate molto male, ci davano un po' di pane e un po’ di acqua una volta al giorno, non c'era un bagno, tutto si svolgeva in quella piccola stanza. Poi a noi si sono aggiunte altre sei persone, si respirava a fatica e c'era tanto cattivo odore.
Il sabato mattina hanno liberato me e la mia amica; e questa volta, attraverso il deserto, ci hanno portato a Tripoli. Il nostro “connessione” ci ha mandato a prendere con un taxi a casa sua, abbiamo finalmente fatto la doccia, mangiato e riposato, pagato per lui che ci ha detto che ha pagato per noi 500 dinas per la nostra libertà.
Siamo stati da lui 3 giorni, poi ci hanno accompagnato al ghetto, un luogo dove vive moltissima gente. Il mattino dopo ci hanno accompagnato in una casa vicino al mare, eravamo 50 ragazze in una stanza, 300 in un'altra, si dormiva sul pavimento, siamo rimaste lì tre settimane, il cibo che avevamo portato era finito.
Tutte le mattine un signore arabo veniva a prendere alcune di noi per fare l'amore. Ho conosciuto un ragazzo che si chiama Ali, del Ghana, era tra quelli selezionato dall'arabo per il controllo della casa. Ali mi ha aiutato con il cibo e l'acqua: abbiamo sentito molte brutte storie di questo posto, persone picchiate a morte, lasciate morire di fame ecc...
È stato vicino al mare che ho saputo che tutte le ragazze che vengono in Italia sono costrette a fare le prostitute: mi sono resa conto che non era vero e che il lavoro nel supermercato era tutto un inganno. Volevo chiedere aiuto ma come fare? Avevo deciso di non dire nulla alla mia amica e una volta in Italia di non andare da quella donna.
II 29 marzo, dopo aver gonfiato il gommone, ci hanno fatto salire, eravamo 115 persone. Era notte, ognuno pregava in cuor suo perché la traversata era molto difficoltosa, il gommone incominciava a rompersi e ad entrare l'acqua. Abbiamo iniziato a gridare, il pomeriggio una nave è venuta a salvarci. Ci hanno dato il pane e l'acqua e dei vestiti perché i nostri erano tutti bagnati, più tardi siamo passati su un'altra nave. Vi erano molte persone di diversi paesi dell'Africa, ci hanno separati, le donne dai maschi, ci hanno servito la pasta e l'acqua e finalmente il 31 marzo siamo arrivati in Italia.
Scesi dalla nave abbiamo visto tante persone uomini e donne tutti bianchi. Ci hanno dato le scarpe e ci hanno intervistate ad uno ad uno per tutto il giorno, io avevo una gran paura che venisse quella signora a prendermi. Poi una signora di nome […], una giornalista e un avvocato a noi ragazze ci hanno portato in un luogo separato dagli uomini e ci hanno fatto capire che in Italia le cose che ci hanno detto in Nigeria sono tutte false. La prostituzione è una gran brutta cosa: le madam non permettono che si vada in ospedale quando si sta male, non permettono di avere i documenti, di prenderci tutti i nostri soldi e ogni uomo può far di noi quello che vuole.
Lei ci ha dato il suo numero di cellulare e di chiamarla quando vogliamo e abbiamo bisogno di aiuto: il giorno dopo io e alcune ragazze abbiamo chiesto aiuto, ci hanno messo in un luogo separato a dormire, il giorno dopo una macchina ci ha accompagnati a Melillo Siracusa.
Gli operatori sono stati molto gentili. […] ha telefonato e ha detto di stare tranquille. II 4 aprile siamo andate ad Acireale in una comunità, la mia amica è rimasta ad Acireale, a me mi hanno trasferita in un'altra comunità che si chiama "Pellettier", tutte ragazze italiane, nessuna che parla inglese.
Mi hanno mandata a scuola perché imparassi l'italiano. Quando ho compiuto 18 anni, mi hanno trasferita a Catania nella casa LO SPRAL [SPRAR]. Ho cercato la protezione internazionale, sono stata anche a Penelope per incontrare la commissione; grazie a Dio ho avuto i documenti il 10 aprile per motivi umanitari, la carta d'identità, il codice fiscale, ho fatto l'esame di terza media...
A Catania ho conosciuto una signora che aiuta le ragazze straniere, è un avvocato che si chiama […], lei mi ha fatto conoscere una famiglia italiana, una coppia con 2 figli; ho trascorso la Pasqua e l'estate da loro.
Dopo 6 mesi il mio progetto era terminato e ho commesso un grande errore, sono andata a vivere con il mio ragazzo. Ho lasciato la comunità e sono andata a vivere con lui, le cose non andavano bene tra noi. Ho capito che non era l'uomo giusto per me. Sono andata con un altro ragazzo, anche lui mi trattava male, un giorno mi ha schiaffeggiato e mi ha mandato fuori di casa, ho chiamato […], la moglie del pastore della chiesa che frequentavo, lei mi ha accompagnata in una casa di accoglienza; ho scoperto poi che ero a un mese e una settimana di gravidanza.
Poi il mio ragazzo mi ha chiamata, mi ha chiesto scusa, gli ho detto che ero incinta e aspettavo un bambino, lui mi è sembrato molto felice e ha promesso di prendersi cura di me e del bambino e sono tornata da lui. Le cose sono andate bene tra noi fino al 19 dicembre 2017. Un giorno abbiamo litigato un'altra volta, mi ha schiaffeggiato, mi ha messo con le spalle al muro e mi dato della stupida idiota e tante altre parole. Ho chiamato […] e le ho raccontato cosa mi era successo. Una amica di […] mi ha consigliato di allontanarmi da lui.
Dopo Natale [...] mi ha trovato una casa famiglia a Roma, ero felice, finalmente potevo essere libera, mi ha acquistato il biglietto aereo e sono partita, il 20 gennaio. [.] era all'aeroporto a prendermi, mi ha accompagnata nella casa di accoglienza delle suore della […].
Le suore mi trattano molto bene: si chiamano Suor […], Suor […] e Suor […] dormo in una cameretta singola con il bagno all'interno. Sono molto felice, l'unico problema è non avere un sostegno economico per me e mio figlio che nascerà a luglio.
2/ «In Iran era attivo il regime di mullah, io ero contro le dittature religiose. Una notte abbiamo creduto di essere alla fine e che i lupi ci avrebbero mangiato o forse ci avrebbero trovate, arrestate, stuprate, torturate. Ma Dio era con noi, non ci ha abbandonato, ha ascoltato la nostra preghiera»
Mi chiamo […], sono nata in Iran nel 1966, sono una rifugiata politica e sono sposata.
Ho lasciato l'Iran 30 anni fa, quando avevo 21 anni. Mia madre stava dormendo. L’ho guardato per l'ultima volta a lungo poi sono uscita con il cuore a pezzi, perché ero certa che non l'avrei vista mai più: "Mia cara madre, ciao". Un bacio, poi con il cuore in gola sono uscita di casa.
Questo è l'ultimo ricordo che ho di mia madre in Iran. Lei non ha mai saputo dove mi ero rifugiata (dopo anni l'ho sentita e mi ha raccontata la sua grande sofferenza nel cercarmi inutilmente e senza sapere dove mi trovassi).
In Iran era attivo il regime di mullah, io ero contro le dittature religiose. Per questo volevano arrestarmi, perciò con una mia amica di nome Fariba, aiutati da suo padre, anche lui contro i mullah, siamo scappate nella città di Salmas, poi dalle montagne dell'Iran a quelle della Turchia.
Era inverno ed era molto freddo. Ci siamo smarrite. Stanche e congelate, una notte abbiamo creduto di essere alla fine e che i lupi ci avrebbero mangiato o forse ci avrebbero trovate, arrestate, stuprate, torturate.
Ma Dio era con noi, non ci ha abbandonato, ha ascoltato la nostra preghiera. Abbiamo costeggiato un fiume e siamo arrivati ad un villaggio con i vestiti tutti bagnati, abbiamo bussato ad una casa, una famiglia gentilmente ci ha accolte, ci hanno data una stanza per riposare. Il giorno dopo, alle quattro del mattino, ci siamo messe in cammino per dieci giorni finché siamo arrivate in un campo dell'Irak ai confini della Turchia.
Poi il campo è stato bombardato dal regime dell'Iran e molti dei miei amici sono stati uccisi. Ci sono molte cose che vorrei raccontare, ma non conosco bene l'italiano perciò mi limito a dirne solo alcune.
In Irak non c’erano le condizioni naturali per vivere. Eravamo sempre in guerra, preoccupati e stressati. Nel 2014 sono venuta in Italia, mi hanno dato i documenti, poi il mio “organo” mi ha trasferito in Germania prima e poi in Francia. Nel 2016 sono tornata in Italia.
I miei più bei ricordi sono quelli di aver vissuto nella casa famiglia con suor […] e suor […]. Loro mi hanno dato forza e sicurezza nel momento di bisogno e mi sono sentita non più sola, ma sostenuta da persone che mi vogliono bene e di cuore io le ringrazio, mentre il governo italiano fa fatica a gestire i moltissimi rifugiati che continuano ad arrivare ogni giorno in Italia e fa fatica ad aiutare gli stessi italiani che non hanno un lavoro sicuro e una casa.
Io sono una rifugiata politica e ho il diritto di essere assicurata. Il continuo andare nei vari uffici dove non trovi mai chi ti aiuta a darti un po' di sicurezza serenità ti deprime. Il problema non è nelle persone che sono rifugiate, ma nei governi che hanno perso la fiducia della propria gente, spendono miliardi per fare le guerre e non pensano alle persone.
I governi non amano il loro popolo, li sacrificano, come il regime iraniano: ogni giorno arrestano, ogni giorno ci sono esecuzioni, persone che vengono torturate da oltre quarant’anni. Il popolo iraniano non conosce più la tranquillità. In passato l'Iran era la “sposa” del Medio Oriente: e ora?