1/ Alfie, che notte infinita. Un bimbo e i suoi, lasciati soli, di Marina Corradi 2/ Alfie Evans, bambino, di Andrea Lonardo
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1/ Alfie, che notte infinita. Un bimbo e i suoi, lasciati soli, di Marina Corradi
Riprendiamo da Avvenire del 25/4/2018 un articolo di Marina Corradi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Vita.
Il Centro culturale Gli scritti (25/4/2018)
Tom e Kate Evans, genitori di Alfie
Che notte interminabile deve essere stata. Che notte infinita. Alle dieci di sera di lunedì i medici dell’Alder Hey Hospital di Liverpool avevano staccato le macchine. Poi, hanno lasciato il piccolo Alfie solo con i genitori. Doveva essere questione di pochi minuti. Tutti erano certi che il bambino non potesse respirare autonomamente. Invece, nel silenzio della piccola stanza il respiro di Alfie, 23 mesi, si è fatto strada: dapprima incerto, poi più costante. Il bambino che doveva morire non voleva morire. Nel rettangolo illuminato di una finestra d’ospedale, mentre la notte avanzava, accadeva ciò che nessuno aveva previsto. Un’ora dopo l’altra, Alfie viveva. Respirava autonomamente, anche se con fatica. Sfinita, la madre Kate si addormentava accanto a lui. «Mi sono messo a sedere con i medici e ho detto che questo stava diventando un crimine – ha raccontato il padre Tom –. Affamarlo di cibo e idratazione, potenzialmente di ossigeno. Così mi sono seduto con i dottori. Abbiamo avuto un incontro di circa 40 minuti e hanno detto di sapere che ho ragione e avevo sempre avuto ragione».
Che notte interminabile, che notte infinita. Il giovanissimo operaio che affronta i camici bianchi, tanto più dotti di lui. «Non vedete? Vive», e indica il figlio. I medici si arrendono: il piccolo Alfie per nove ore respira da solo. Infine gli ridanno ossigeno e idratazione. Il giudice che ne aveva decretato la morte convoca urgentemente un’udienza per il pomeriggio. Non era previsto, che il piccolo si ostinasse a vivere. Con la forza di un leone, pure nella fragilità della sua grave malattia. Come dicendo ai medici: ciò che sapete della vita e della morte è troppo poco, perché possiate trattare un uomo come una macchina difettosa, cui si stacca la spina. Da una stanza di un ospedale inglese una solenne lezione alla legge inglese e alla medicina occidentale, a quella che crede di conoscere tutto, dell’uomo, della sua salute e dei suoi limiti.
Volevano dargli il Fentanyl, un oppioide, al bambino, ma il padre lo ha impedito. È arrivato fino al Papa, che l’ha ascoltato e benedetto. E in un tweet che ha fatto il giro del mondo gli ha espresso sostegno. E intanto che le agenzie battevano la notizia le coscienze si risvegliavano, e l’esercito di Alfie da sparuto si andava ingrossando. Nella nuova udienza i genitori hanno chiesto che il figlio venga trasferito in Italia, in un nostro ospedale, visto che è da ieri cittadino italiano. Ed è parso di assistere a un sussulto di umanità "latina" a fronte di un imbarbarimento che contagia l’Europa, per cui c’è spazio solo per i sani e gli efficienti. Un Brave New World che pretende, sottovoce ma fermamente, che a un bambino handicappato sia data la morte. Per il "suo bene"...
E quando la sentenza è stata pronunciata, e non c’è stata una corale levata di scudi (a parte i soliti movimenti cattolici e i soliti pro life...), sembrava tutto deciso. Una benedizione, che Tom Evans, giovane proletario inglese, sia riuscito a arrivare fino al Papa. Ma nonostante quel tweet che poneva Alfie alla ribalta del mondo, che notte infinita, in quell’ospedale di Liverpool. Immaginatevi i medici che staccano le macchine e se ne vanno, a capo chino. Quei due ragazzi soli con il loro bambino.
Che tossisce, esita, sembra smettere di respirare. Poi, testardo, riprende. Si fa cianotico: il padre improvvisa una respirazione bocca a bocca, l’estremo tentativo di due ragazzi lasciati soli dai medici. Ma il tenue fiato si fa costante e autonomo, la madre culla Alfie e i due si addormentano assieme. Una foto di quell’istante gira sul web: è una maternità semplice e antica, che forse ammutolisce i fautori della sentenza di morte. La sera alcuni media inglesi battono la notizia di un aereo militare italiano pronto con un equipaggio medico sulla pista di Ciampino per portare Alfie a Roma.
La sentenza ufficiale invece consente ai genitori solo di portarlo a casa, ma fra alcuni giorni. Poi i coniugi Evans saranno liberi di portare il bambino in Italia. Qui, se ce la farà ad arrivare, sarà assistito con ogni cura per il tempo che gli resta. Coaudiuvato nel suo fragile respiro, fino all’ultimo, e fino all’ultimo accolto dalle braccia materne. Come è degno che sia assistito ogni uomo. Alfie, 23 mesi, il bambino più malato e fragile, quello che doveva morire in pochi istanti senza respiratore, è venuto a ricordare all’Europa orgogliosa e dotta cos’è un uomo, e quanto infinitamente vale.
Kate e il suo bambino Alfie
2/ Alfie Evans, bambino, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un breve articolo di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. la sezione Vita.
Il Centro culturale Gli scritti (25/4/2018)
Tom e Kate Evans, genitori di Alfie
A nessuno in terra è dato il potere di non far morire Alfie Evans. A nessun medico è data la possibilità di eliminare la morte. Alfie Evans morirà prima o poi. Questo non è in discussione: il suo disturbo neurodegenerativo probabilmente lo condurrà in breve alla morte.
Non si tratta, quindi, di salvarlo. A nessuno è dato oggi tale potere.
Si tratta, invece, di non anticiparne la morte, dando ai genitori tempo perché accompagnino fino a quel momento il bambino che amano, come è sempre avvenuto, nei secoli dei secoli.
L’apparato legislativo è stato, invece, piegato negli anni fino all’assurdo di permettere che sia lo Stato, contro il consenso dei genitori, a decidere il momento della morte: ogni uomo, invece, deve morire per la sua malattia e non perché gli vengono sottratti l'acqua, il cibo o l'ossigeno, facendolo morire di sete o di fame o soffocato.
E che tale distacco, e peggio ancora un’eventuale somministrazione di farmaci eutanasiaci, siano un’anticipazione assurda appare evidente dal fatto che, una volta distaccate le macchine, il bambino sia sopravvissuto per diverse ore. Come può un tribunale arrogarsi il diritto di anticipare la morte, sostituendosi ai genitori?
Anche solo l’ipotesi che sia “moderno” e “democratico” sostituirsi a loro, che sia “umano” decidere contro la loro volontà, dice la disumanità dei meccanismi giuridici che sono stati introdotti.
Pazzesco è questa pretesa di sostituirsi ai genitori e ai tempi del morire che non spetta a noi decidere.
Pazzesco è altresì il fatto che i giudici dichiarino “futile” la richiesta dei genitori di trasferire il bambino altrove (come ha dichiarato la BBC, citando la sentenza del giudice che ne vietava il trasferimento http://www.bbc.com/news/uk-england-merseyside-43302765).
Il caso di Alfie Evans mostra ancora una volta che esiste una visione del mondo e del diritto che pretende di estraniare i genitori dalla cura e di imporre la propria prospettiva eutanasica: i suoi promotori sono intolleranti, come la vicenda sta rivelando, e solo chi lotta con i denti riesce a strappare loro momenti di vita.
Una determinata visione dello Stato, espressa da quella che è stata giustamente chiamata “neolingua” (termine che si è fatto strada già nei grandi romanzi distopici dei primi del novecento fino a Maalouf e Wijkmark) cercano di rovesciare il tragitto elementare della vita, nascondendo il loro tratto disumano dietro parole come “alleviare le sofferenze” e “non provocare sofferenze inutili e futili”.
Per approfondire i rischi della neo-lingua promossa dalle lobby eutanasiache, vale la pena leggere il romanzo La morte moderna di Carl-Henning Wijkmark (qui una breve recensione E se giungesse il giorno nel quale vite diverse hanno diverso valore? Una recensione di Tommaso Spinelli a La morte moderna di Carl-Henning Wijkmark) e il racconto Le Pre-Persone, di Philip K. Dick.