Le due bande di chierici e lo “storytelling papale”. A volte, le due squadre dei detrattori e di supporter-difensori di Bergoglio si reggono e accreditano a vicenda. Ambedue separano il Papa dal corpo vivo della Chiesa per farne una star o un capo-partito, di Gianni Valente
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Riprendiamo da La Stampa dell’15/3/2018 un articolo di Gianni Valente. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (18/2/2018)
«Noi ci muoviamo continuamente tra due bande di preti: i clericali clericali e i clericali anticlericali» (Charles Péguy)
L’invito a camminare nella fede degli apostoli e a riscoprire la freschezza del Vangelo, con il suo tratto così elementare, poteva risultare eversivo per molti di quelli – giornalisti, chierici, intellettuali, alti ecclesiastici, “laici impegnati” di professione – che occupano qualche postazione nel grande gioco di ruolo degli apparati ecclesiali. Per molti, la via più agevole per non perdere colpi e non perdere punti è stata quella di concentrare i riflettori sulla figura del Papa. Separandolo dal corpo vivo della Chiesa per farne una monade, o una star, un capo-partito. E innescare intorno alla sua figura una polarizzazione universale, per poi delineare squadre e iniziare il derby infinito tra i detrattori e i supporter-difensori dell’attuale Successore di Pietro.
Perché il gioco funzioni, occorre tenere il Papa prigioniero nel suo personaggio. Ricondurre tutto alle “eccezionalità” o alle anomalie della sua persona. Denigrare o esaltare ogni suo gesto come espressione dei suoi gusti privati e delle sue idee personali, o dei riflessi condizionati che gli derivano dal suo percorso esistenzial-culturale. E poter incastrare anche la sua figura nella griglia dualista che legge tutto ciò che accade anche nella chiesa secondo le dialettiche tra liberal e conservative, tra destra e sinistra.
Stare tutto il tempo a disputare sui gesti e le scelte del Papa argentino è divenuta la nuova occupazione principale di un ceto di commentatori, intellettuali e giornalisti che si alzano la palla gli uni gli altri, anche quando si sbranano o fingono di sbranarsi. La comunicazione degli “house organ” cattolici a volte si adegua e strizza l’occhio, dando il suo contributo alla costruzione del “personaggio” papale, e allineandosi ai conformismi richiesti per prender parte al gioco.
A volte, le due squadre si reggono e e accreditano a vicenda. Sembrano muoversi lungo le stesse direttrici. Puntano i riflettori sul Papa, sulla sua figura, magari sulle sue originalità irrituali e sui suoi slogan, mentre nascondono i tratti elementarmente evangelici e apostolici del suo magistero.
La lobby dei piccoli inquisitori
I fustigatori di Bergoglio si aggirano tutto il giorno avidi di cogliere in fallo il Successore di Pietro. Fanno a gara a denunciare la sua ultima presunta bestemmia, il suo ultimo presunto scarto dalle forme definite della vita ecclesiale e della dottrina cattolica.
I dottrinalisti scatenati contro il Papa danno prova di non conoscere o di non amare la dottrina cattolica. Altrimenti prenderebbero atto che tutti i pronunciamenti e o suggerimenti di Papa Francesco si muovono nel grande alveo della Tradizione. Chi ama e segue la dottrina, ringrazia i Padri, i Papi e i Concili che hanno donato alla Chiesa la chiarezza luminosa di tanti simboli, definizioni e canoni. E nel contempo ripete con tutta la Tradizione della Chiesa che la dottrina di per sé non salva. E che per sperimentare la salvezza promessa da Cristo non basta avere conoscenza (gnosi) delle verità di fede e di dottrina, ma occorre essere abbracciati dalla Sua grazia e dalla Sua misericordia che perdona e guarisce. Proprio come ripete sempre anche Papa Bergoglio, senza cambiare uno iota della dottrina che ci è stata data.
L’apparato lobbistico che attacca Papa Francesco, con le sue centrali globali, le connessioni internazionali e le sotto-sezioni nazionali, è in realtà un grande fattore di devastazione della Tradizione e della memoria cristiana. Attaccano il Papa perché non parla il loro slang. Dopo che loro, con un lavoro durato interi lustri, hanno trasmutato geneticamente alcuni contenuti cristiani in ideologia di tribù identitaria, da investire nelle “battaglie culturali”. Così, tormentando il Vescovo di Roma a nome della “vera” dottrina, puntano a disorientare i semplici battezzati cattolici, ordinariamente inclini a una simpatia e una devozione istintiva (sensus fidei) per il Papa, anche quando non sono colpiti dal suo “timbro” personale.
Narcisismi “bergoglisti”
Ma anche tanti fan dichiarati del Papa sembrano muoversi nell’orizzonte mentale dei loro avversari da tastiera, che avevano già egemonizzato da tempo la piazza virtuale. Anche loro sembrano credere che la Chiesa cresce, si alimenta e cambia a forza di battaglie culturali su idee giuste. E che basta «cambiare l’agenda», trasformando le idee – interessanti, originali, ovvie, discutibili – di Papa Francesco in nuovo armamentario per nuove «cultural wars».
Così, perfino le espressioni utilizzate in maniera più ricorrente da Papa Bergoglio («Chiesa in uscita», «andare alle periferie», «conversione pastorale») possono diventare mantra di nuovi narcisismi clericali, slogan a disposizione di chi cerca visibilità e occasioni auto-celebrative giocando di sponda con la gestione dell’icona-pop papale.
Ogni rappresentazione del Papa come “fattore sorgivo”, come demiurgo di una “nuova” Chiesa e di un “nuovo” mondo finisce, alla lunga, per diventare strumento di auto-smantellamento ecclesiale. Perché mette in ombra la natura sinodale della Chiesa o la preminenza del popolo di Dio. Ma soprattutto perché occulta il dato di realtà che solo l’operare della grazia di Cristo sostiene e custodisce il Successore di Pietro, anima le strutture apostoliche della Chiesa al servizio dei battezzati, e conforta e rallegra il popolo di Dio che cammina nella storia.
Effetti collaterali
«È inevitabile che avvengano scandali», dice Gesù nel Vangelo. E Papa Bergoglio ripete che anche nella Chiesa conviene «accarezzare il conflitto», senza averne paura. Ma non è interessante litigare sui “gusti personali” del Papa, su suoi presunti “disegni”, sulle sue inclinazioni personali. E questa a volte è l’impressione data da quelli che prendono parte alla “guerra” intorno a Papa Francesco.
La “lotta continua” intorno al Papa segnala o produce una situazione patologica. Quando nella Chiesa ci si divide per partito preso e per troppo tempo sul Papa, tale fenomeno non può essere vissuto da nessuno che abbia a cuore la Chiesa come un sintomo di vivacità e di buona salute. La polarizzazione attorno al Papa, a lungo andare, logora, esaspera, rende ottusi. Euforizza solo le cordate e le cricche, quelli che puntano a lucrare visibilità e scorie di potere clerico-mondano all’ombra degli apparati ecclesiastici. Avvilisce invece il piccolo resto del popolo di Dio, che non cerca “nuove” Chiese, non si inebria con le nuove “sfide” che tanto eccitano gli auto-occupati ecclesiali. Perché vive già come un miracolo il semplice fatto di essere custodito nella fede, lungo il cammino tra le fatiche di ogni giorno, anche grazie alle parole e ai gesti del Successore di Pietro.
La “lotta continua” intorno al Papa ha un effetto inevitabile e facilmente constatabile: la crescita esponenziale di quella «autoreferenzialità» che il cardinale Bergoglio, divenuto Papa Francesco, continua a indicare come fattore d’origine di molte patologie ecclesiali.