Licei classisti?, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. la sezione Educazione e scuola.
Il Centro culturale Gli scritti (18/2/2018)
1/ Un questionario obbligatorio da 1500 caratteri richiesto dal Ministero e non uno “post pubblicitario” per incoraggiare la "gente bene" a iscriversi
È grave il fatto che, in merito alla vicenda che è stata definita “dei licei classisti”, si continui ad indicare come “spot pubblicitario” quello che è un report richiesto in via obbligatoria dal Ministero: si tratta del RAV (Rapporto di autovalutazione) che ogni scuola è tenuta a compilare. Il controllo delle fonti dovrebbe essere il minimo richiesto ad un giornalismo decente.
Il RAV è un questionario per autovalutarsi elaborato da esperti INVALSI e rivolto a tutte le scuole italiane - quindi anche ai licei classici. Esso si apre con queste domande al punto 1.1.B dal titolo “Composizione della popolazione studentesca”:
- Qual è il contesto socio-economico di provenienza degli studenti?
- Qual è l'incidenza degli studenti provenienti da famiglie svantaggiate?
- Quali caratteristiche presenta la popolazione studentesca (situazioni di disabilità, disturbi evolutivi, ecc.)?
- Ci sono studenti con cittadinanza non italiana?
- Ci sono gruppi di studenti che presentano caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza socio economica e culturale (es. studenti nomadi, studenti provenienti da zone particolarmente svantaggiate, ecc.)?
Dinanzi a tale sequenza di domande, gli istituti, a nostro avviso, si sarebbero dovuti rifiutare di redigere il RAV tanto esso è equivoco.
Infatti, cosa intende insinuare il questionario di autovalutazione quando accomuna “nomadi”, “situazione di disabilità”, “studenti provenienti da famiglie svantaggiate”, “studenti con cittadinanza non italiana”? Vuol dire che queste categorie di persone sono, nella mente degli esperti INVALSI che hanno redatto il questionario, problematiche? Perché non si domanda piuttosto quanti studenti abbiano calzini a tinta unita, quanti a pallini e quanti rigati?
Il fatto che i RAV di licei classici diversi, da Roma, a Milano, a Genova, presentino risposte analoghe deve far riflettere. Non sono i licei stessi ad essere classisti: sono le domande del questionario ad esserlo e a generare risposte omologhe.
Ma, più ancora di questo, è indicativo il fatto che il Ministero abbia pubblicato sul proprio sito le risposte di tutte le scuole italiane e dei licei in questione senza sentire il bisogno di commentarle e sollevare obiezioni, bensì le contestazioni siano venute solo da giornalisti.
A sottolineare ulteriormente la banalità dell’impostazione di tali questionari sta il fatto che essi specificano chiaramente che si deve rispondere alle cinque domande su indicate con non più di 1500 caratteri: su questioni riguardanti simultaneamente gli studenti migranti, gli studenti nomadi, gli studenti provenienti da famiglie svantaggiate, gli studenti con BES (bisogni educativi specifici) e con DSA (disturbi specifici di apprendimento) debbono bastare 1500 battute!
Verrebbe da chiedere quanti nomadi, quanti stranieri, quante persone con BES e DSA siano assunti in pianta stabile, con ricco stipendio, fra gli esperti INVALSI e quanti appartenenti alle stesse “categorie” lavorino ai principali quotidiani nazionali: forse gli esperti INVALSI ed i principali quotidiani sono classisti?
B/ La risposta errata dei licei
Alcuni licei hanno “abboccato” a questo modo assurdo di porre le questioni, facendo vanto di lavorare con studenti di elevato stato sociale e alieni dalle caratteristiche “problematiche” indicate.
Essi avrebbero dovuto limitarsi a descrivere i dati di fatto, dichiarando che, come è ovvio, la compresenza di alunni ben preparati nei licei classici migliora la qualità dell’apprendimento, ma aggiungendo anche i limiti di tale condizione: essa non permette loro di incontrare situazioni di vita diverse dalla propria e questo secondo aspetto, invece, impoverisce la ricchezza della scuola.
Analogamente non si ravvisa una distinzione - in quelle 1500 battute - fra disagio economico e difficoltà di diverso tipo. Negli anni passati era frequente incontrare nei licei classici studenti di famiglie non benestanti che, però, investivano tantissimo sull’educazione dei figli per permettere loro di migliorare la condizione culturale e poi lavorativa. Era forte la convinzione che l’istruzione fosse decisiva per il cambiamento della propria condizione. Si trovavano così nella stessa classe alunni di famiglie benestanti e di famiglie non benestanti, uniti però dalla voglia di imparare e dalla spinta delle famiglie ad impegnarsi nello studio.
Comunque, è profondamente errato che l'assenza fra gli studenti di categorie dichiarate "disagiate" dagli esperti INVALSI sia anche lontanamente proposta come un vanto: tale mancanza è invece una ferita.
In un liceo, infatti, che si richiami alla cultura greca deve essere chiaro come sia stata proprio quella cultura, pur sempre grande nell'esaltazione delle doti della bellezza e della ragione, ad essersi poi integrata, a partire dal I millennio, con il cristianesimo fino a divenire una cultura nuova che attesta il valore e la dignità di ogni persona.
Un liceo classico non si vanta allora di non avere persone con disagio, ma anzi sostiene i suoi alunni, che sa avere fratelli e sorelle con disabilità - le disabilità, infatti, o le difficoltà di apprendimento, non sono determinate dal ceto sociale, ma toccano indiscriminatamente ogni condizione sociale e ogni età - o sa avere in casa anziani con ridotte capacità rispetto all'età giovanile, ad un profondo amore, includendo tali temi nel percorso formativo ed aprendo gli studenti ad esperienze reali di servizio e di incontro con le categorie ritenute "disagiate" dal RAV. Diversi dei licei attaccati sulle pagine dei giornali hanno subito risposto di avere tali esperienze di inclusione nei loro percorsi formativi e di lavorare costantemente con i propri studenti su tali temi, pur non avendo richieste dirette di iscrizione al proprio istututo da parte di studenti provenienti dalle situazioni di disagio indicate dagli esperti INVALSI.
C/ Il vero problema dell’assenza di nomadi o migranti o persone con DSA e BES nei licei classici, come nelle facoltà di fisica o di matematica, non sta nel loro essere classisti, bensì nelle carenze dell’approccio educativo delle elementari e delle medie, così come nello svuotamento della scuola come possibile e reale “ascensore sociale”
Ora l’assenza in un liceo classico di studenti provenienti da famiglie “nomadi”, di studenti figli di “migranti”, di studenti con BES o DSA, resta il problema reale che deve essere ben compreso e analizzato al fine di modificare la situazione.
Certamente il liceo classico è una scuola d’eccellenza e non può e non deve abbassare il livello del proprio insegnamento, altrimenti renderebbe l’intera nazione italiana incapace di formare persone che siano in grado di offrire un contributo competente alla ricerca ed al futuro del paese. Chiunque abbia frequentato il liceo classico - ma ciò vale anche lo scientifico - ricorda il caso di compagni che hanno preferito, dopo il primo anno, cambiare istituto o per difficoltà con la grammatica greca o, molto più semplicemente, perché non avevano voglia di vivere con ritmi serrati di studio.
Analogamente, se si riscontrasse che in una Facoltà di Fisica o di Matematica sono pochi o insistenti i figli di “nomadi”, o di “migranti” o di studenti con BES e DSA, non sarebbe tout court corretto accusare le facoltà scientifiche di classismo.
Gli studi classici come quelli di fisica e matematica, ricordano che l’educazione non è solo socializzazione, ma anche istruzione ed apprendimento: le due dimensioni del processo sono entrambe costitutive e nessuna delle due può essere trascurata.
Ma, l’essere scuola d’eccellenza è cosa ben diversa dall’essere riservata solo a giovani cresciuti in famiglie benestanti. L’accesso ad uno studio di alta qualità deve essere questione di capacità e non di ceto sociale. Un giovane di famiglia poverissima, ma versato negli studi, deve poter accedere ad un liceo classico come agli studi di fisica teorica.
Questo chiama in causa innanzitutto l’intero ciclo di studi: infatti, deve essere la scuola elementare e media (la primaria e la secondaria di primo grado) a mettere in grado chiunque lo desideri di accedere ad un liceo classico e di portare a termine con successo e gioia gli studi.
Nei licei classici in questione sui quotidiani non si è accolti a partire da complicati test di ammissione, bensì semplicemente facendone richiesta ed abitando nel territorio di competenza. La grande questione è, allora, se le scuole elementari e medie siano non solo in grado di preparare “nomadi”, “studenti non italiani” e studenti con BES e DSA ad un liceo classico, ma più ancora se se lo pongano come obiettivo importante al quale riservare energie.
La domanda non è retorica. Noi riteniamo che tale obiettivo debba essere perseguito e che esso vada difeso con una precisa e chiara proposta culturale che manca totalmente, invece, nella mens del legislatore e dell’amministratore della cosa scolastica.
Se è vero che l’Italia sorge e cresce a partire dalle radici della cultura classica e di quella scientifica, se è vero che l’Italia è nata e cresce in riferimento a Socrate, ai sofisti e ad Archimede, come a Voltaire e a Darwin e Freud, se tutto questo è vero, una scuola elementare e media che non riuscisse a far desiderare il liceo classico a “nomadi”, a “studenti non italiani”, a “studenti con BES e DSA”, si rivelerebbe inadeguata e mostrerebbe che le risorse utilizzate a vantaggio di queste categorie sono in realtà spese male.
La domanda vera è se gli investimenti riservati a studenti di categorie di studenti che gli esperti INVALSI ritengono disagiate siano capaci di incidere nelle scuole elementari e medie elevando il livello di cultura.
Se non si registra alcun accesso a scuole di eccellenza da parte di studenti delle categorie che il RAV ministeriale dichiara disagiate ciò vuol dire che la proposta formativa - con i fondi ad essa riservati - non è in grado di adempiere alle finalità che si è posta poiché fallisce nel sostenere un reale progresso nello studio dei giovani.
Gli studenti figli di “migranti “hanno il diritto e il dovere di venire in possesso di quei testi e di quegli autori che sono alla base della storia nazionale e della sua identità, dal mondo classico all’illuminismo ed alla scienza. Solo se giovani “migranti” raggiungeranno livelli di eccellenza nei licei classici, appassionandosi alla cultura classica e a quella scientifica, il processo di integrazione si potrà dire compiuto: saranno essi stessi, infatti, ad incoraggiare i loro amici giunti più recentemente in Italia a crescere in una visione critica e classicamente fondata di cultura.
Si noti bene che la discussione sui licei classisti tace della pubblicistica che vorrebbe, a partire da importanti testate giornalistiche, che il classico sia una forma di istituto ormai totalmente superato: frequente è la proposta di chiudere le cattedre di latino e di greco, ma anche di filosofia e di storia, in quanto esse sarebbero superate. Come possono le famiglie con figli con difficoltà puntare fin dalle prime classi delle elementari a preparare un bambino al liceo classico se tutto il sistema educativo deprezza gli studi classici e pretende di svuotarli di valore?
La schizofrenia del sistema educativo che accusa esclusivamente i licei di non integrare non riguarda solo i primi anni di studi, bensì anche il prosieguo di essi nell’università per studenti con disabilità. Ci permettiamo di suggerire a questo proposito la lettura del bellissimo libro di Patrizia Ciccani, Zia, ma lo sai che sei un po’ strana? L’autrice, in modo autobiografico, racconta le sue disavventure di ricercatrice che non ha potuto avere accesso ad un posto stabile come docente in università, nonostante fosse un’“eccellenza” nel campo dell’integrazione pedagogica di persone con disabilità.
Abbiamo bisogno, invece, che persone con disabilità entrino in un percorso formativo di eccellenza per offrire il loro contributo illuminante. Ciccani ha potuto frequentare con grande successo il liceo, avendo avuto ottime scuole elementari e medie, ma è stata poi bloccata nel percorso post-universitario, dove non sempre vigono criteri di merito. Qui è in questione non il periodo previo delle elementari e delle medie, bensì la chiusura sempre possibile di settori dell’ambiente universitario laddove essi fossero regolati non dal merito, bensì da promozioni dovute a criteri diversi.
La questione, allora, è ben più ampia della scorretta elaborazione del questionario RAV e delle risposte che esso ha avuto.
Il vero problema è che una scuola che punti oggi all’eccellenza e alla valorizzazione del patrimonio classico, includendo ogni studente e senza abbassare la qualità del proprio insegnamento, è tutta da pensare dalle elementari alla ricerca post-universitaria. Se si intende promuovere gli studi classici si deve ripensare tutta la scuola elementare e media perché prepari e anzi faccia desiderare l’accesso a tali studi e prepari ad essi. Analogamente devono essere ripensate le modalità di assegnazione delle cattedre in università, così come delle tessere da giornalista nei principali quotidiani, così come la qualità dei requisiti di coloro che debbono propinare questionari alla scuola stessa.
Nella mia classe di Liceo classico non c’erano solo figli di benestanti, ma anche figli di famiglie estremamente semplici che ritenevano, però, importante investire con sacrificio per permettere ai propri figli di crescere a confronto con la cultura classica: intendiamo ancora scommettere su questo?
Io, da parte mia, sì.