1/ Papa Francesco: vedere, giudicare e agire da discepoli missionari, di Pietro Messa 2/ La liberazione che viene dal Vangelo, di Filippo Santoro
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1/ Papa Francesco: vedere, giudicare e agire da discepoli missionari, di Pietro Messa
Riprendiamo dal sito www.ilcattolico.it un articolo di Pietro Messa pubblicato il 30/7/2014. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, fr. la sotto-sezione Teologia pastorale e in particolare Il discernimento e le decisioni pastorali. Sergio Lanza e i pregi e i limiti del metodo vedere-giudicare-agire, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (7/1/2018)
A un anno di distanza può risultare utile riprendere i discorsi del viaggio del Papa in Brasile in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Così ecco quanto ebbe ad affermare papa Francesco nell’incontro con i vescovi responsabili del Consiglio Episcopale Latinoamericano (C.E.L.A.M.) a Rio de Janeiro domenica 28 luglio 2013: «L’opzione per la missionarietà del discepolo sarà sottoposta a tentazione. È importante sapere capire la strategia dello spirito cattivo per aiutarci nel discernimento. Non si tratta di uscire a cacciare demoni, ma semplicemente di lucidità ed astuzia evangelica. Menziono solo alcune attitudini che configurano una Chiesa “tentata”. Si tratta di conoscere certe proposte attuali che possono mimetizzarsi nella dinamica del discepolato missionario e arrestare, fino a farlo fallire, il processo di conversione pastorale.
1. La ideologizzazione del messaggio evangelico.È una tentazione che si ebbe nella Chiesa fin dal principio: cercare un’ermeneutica di interpretazione evangelica al di fuori dello stesso messaggio del Vangelo e al di fuori della Chiesa. Un esempio: Aparecida, in un certo momento, soffrì questa tentazione sotto forma di “asepsi”. Si utilizzò, e va bene, il metodo di “vedere, giudicare, agire” (cfr n. 19). La tentazione risiedeva nell’optare per un “vedere” totalmente asettico, un “vedere” neutro, il che è irrealizzabile. Sempre il vedere è influenzato dallo sguardo. Non esiste un’ermeneutica asettica. La domanda era, allora: Con quale sguardo andiamo a vedere la realtà? Aparecida rispose: con sguardo di discepolo. Così si intendono i numeri dal 20 al 32».
Ecco quanto richiamato del Documento finale della V Conferenza Generale di Aparecida ai numeri 20-32 indicati da papa Francesco come importanti per definire lo sguardo con cui si vede la realtà:
I. I discepoli missionari
20. La nostra riflessione sul cammino delle Chiese dell'America Latina e dei Caraibi ha luogo tra le luci e le ombre del nostro tempo. I grandi cambiamenti cui stiamo assistendo ci affliggono, ma non ci turbano. Abbiamo ricevuto doni inestimabili che ci aiutano a guardare alla realtà come discepoli missionari di Gesù Cristo.
21. La presenza quotidiana, e piena di speranza, di innumerevoli pellegrini ci ha ricordato i primi seguaci di Gesù Cristo che andarono al Giordano, dove Giovanni battezzava, con la speranza di incontrare il Messia (cf. Mc 1,5). Quelli che si sentirono attratti dalla sapienza delle sue parole, dalla bontà dei suoi gesti e dalla potenza dei suoi miracoli, e dalla straordinaria meraviglia suscitata dal contatto con la sua persona, accolsero il dono della fede e arrivarono a essere discepoli di Gesù. Con l'uscita dalle tenebre e dalle ombre della notte (cf. Lc 1,79), la loro vita acquistò una pienezza straordinaria: quella di essere stata arricchita dal dono del Padre. Vissero la storia del loro popolo e del loro tempo, e percorsero le vie dell'Impero romano, senza mai dimenticare l'incontro più importante e decisivo della loro vita, dal quale erano stati riempiti di luce, di forza e di speranza: l'incontro con Gesù, loro roccia, loro pace, loro vita.
22. La stessa cosa avviene a noi quando guardiamo la realtà dei nostri popoli e della nostra Chiesa, con i suoi valori, i suoi limiti, le sue angosce e le sue speranze. Mentre soffriamo e gioiamo, rimaniamo nell'amore di Cristo con lo sguardo rivolto al nostro mondo; e cerchiamo di discernere le sue vie con la gioiosa speranza e l'inenarrabile gratitudine di credere in Gesù Cristo. Egli è il Figlio del Dio vero, l'unico Salvatore dell'umanità.
L'importanza unica e insostituibile di Cristo, per noi e per l'umanità, consiste nel fatto che Cristo è la via, la verità e la vita. «Se non conosciamo Dio in Cristo e con Cristo, tutta la realtà si trasforma in un enigma indecifrabile; non c'è via e, non essendoci via, non ci sono né vita né verità».19 Nel clima culturale relativista che ci circonda diventa sempre più importante e urgente seminare e far crescere, in tutto il corpo ecclesiale, la certezza che Cristo, il Dio dal volto umano, è il nostro vero e unico salvatore.
1. Azione di grazie a Dio
23. Benedetto sia Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nella persona di Cristo (cf. Ef 1,3). Il Dio dell'alleanza, ricco di misericordia, ci ha amati per primo; immeritatamente ha amato ognuno di noi; per questo lo benediciamo, confortati dallo Spirito Santo, Spirito che dà la vita, anima e vita della Chiesa. Egli, che è stato infuso nei nostri cuori, geme e intercede per noi e ci fortifica con i suoi doni, nel nostro cammino di discepoli e missionari.
24. Benediciamo Dio con animo grato, perché ci ha chiamato a essere strumenti di quel suo Regno di amore e di vita, di giustizia e di pace, per il quale molti si sono sacrificati. Egli stesso ci ha affidato l'opera delle sue mani, perché la custodiamo e la poniamo al servizio di tutti. Ringraziamo Dio per averci fatto suoi collaboratori, per essere solidali con la sua creazione, della quale siamo responsabili. Benediciamo Dio che ci ha donato la natura creata, che è il suo primo libro, per poterlo conoscere e per poter vivere in essa come nella nostra casa.
25. Rendiamo grazie a Dio che ci ha dato il dono della parola, con la quale possiamo comunicare con lui, per mezzo del suo Figlio, che è la sua Parola (cf. Gv 1,1), e tra di noi. Gli rendiamo grazie perché, per il suo grande amore, ci ha parlato come ad amici (cf. Gv 15,14-15). Benediciamo Dio che si dona a noi nella celebrazione della fede, specialmente nell'eucaristia, pane di vita eterna. L'azione di grazie a Dio per i numerosi e ammirabili doni che ci ha dato culmina con la celebrazione centrale della Chiesa, che è l'eucaristia, alimento sostanziale dei discepoli e missionari. Ringraziamo anche per il sacramento del perdono che Cristo ci ha ottenuto sulla croce.
Lodiamo il Signore Gesù per il dono della sua santissima Madre, madre di Dio e madre della Chiesa nell'America Latina e nei Caraibi, stella dell'evangelizzazione rinnovata, prima discepola e grande missionaria del nostro popolo.
26. Nella luce di Cristo, la sofferenza, l'ingiustizia e la croce ci sollecitano a vivere come Chiesa samaritana (cf. Lc 10,25-37), ricordando che «l'evangelizzazione si è sviluppata sempre insieme con la promozione umana e l'autentica liberazione cristiana».20 Rendiamo grazie a Dio e ci rallegriamo per la fede, la solidarietà e la gioia, caratteristiche dei nostri popoli, che sono state trasmesse lungo i secoli dai nonni e dalle nonne, dalle madri e dai padri, dai catechisti, dai devoti e da tante persone anonime, la cui carità ha mantenuto viva la speranza in mezzo alle ingiustizie e alle avversità.
27. La Bibbia mostra ripetutamente che, quando Dio creò il mondo con la sua Parola, espresse la sua soddisfazione dicendo che era «buono» (Gen 1,21), e quando creò l'essere umano con l'alito della sua bocca, maschio e femmina, disse che «era molto buono» (Gen 1,31). Il mondo creato da Dio è bello. Siamo il frutto di un disegno divino di sapienza e di amore. Ma il peccato ha macchiato quella bellezza originaria, e quella bontà è stata ferita. Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, nel suo mistero pasquale, ha ricreato l'uomo facendolo figlio e gli ha dato la garanzia di cieli nuovi e di una terra nuova (cf. Ap 21,1). Portiamo in noi l'immagine del primo Adamo, ma siamo chiamati anche, sin dal principio, a realizzare l'immagine di Gesù Cristo, nuovo Adamo (cf. 1Cor 15,45). La creazione porta l'impronta del Creatore e desidera essere liberata per «entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).
2. La gioia di essere discepoli e missionari di Gesù Cristo
28. Nell'incontro con Cristo vogliamo esprimere la gioia di essere discepoli del Signore e di essere stati inviati a portare il tesoro del Vangelo. Essere cristiani non è un ufficio ma un dono: Dio Padre ci ha benedetti nel Figlio suo Gesù Cristo, salvatore del mondo.
29. La gioia che abbiamo ricevuto nell'incontro con Gesù Cristo, che riconosciamo come Figlio di Dio incarnato e redentore, desideriamo che arrivi a tutti gli uomini e le donne feriti dalle avversità; desideriamo che la gioia della buona novella del regno di Dio, di Gesù Cristo vincitore del peccato e della morte, arrivi a quanti giacciono sui bordi delle strade, chiedendo elemosina e compassione (cf. Lc 10,29-37; 18,25-43). La gioia del discepolo è un antidoto per un mondo intimorito dal futuro e oppresso dalla violenza e dall'odio. La gioia del discepolo non è un sentimento di benessere egoista, ma una certezza che sboccia dalla fede, che rasserena il cuore e ci rende capaci di annunciare la buona notizia dell'amore di Dio. Conoscere Gesù è il regalo più bello che qualunque persona possa ricevere; averlo incontrato è stato per noi l'avvenimento più bello della nostra vita, e farlo conoscere, con la nostra parola e le nostre opere, è la nostra soddisfazione più grande.
3. La Chiesa ha la missione di evangelizzare
30. La storia dell'umanità, che Dio mai abbandona, scorre sotto il suo sguardo compassionevole. Dio ha amato tanto il nostro mondo da darci il suo Figlio. Egli annuncia la buona novella del Regno ai poveri e ai peccatori. Per questo noi, come discepoli di Gesù e missionari, vogliamo e dobbiamo proclamare il Vangelo, che è Cristo stesso. Annunciamo ai nostri popoli che Dio ci ama, che la sua esistenza non è una minaccia per l'uomo, che egli sta vicino a noi con il potere di salvezza e di liberazione del suo Regno, che ci accompagna nelle tribolazioni, che alimenta incessantemente la nostra speranza in mezzo a tutte le prove. Noi cristiani siamo portatori di buone notizie per l'umanità e non profeti di sventura.
31. La Chiesa deve compiere la sua missione seguendo le orme di Gesù e assumendo i suoi stessi atteggiamenti (cf. Mt 9,35-36). Egli, che è il Signore, si è fatto servo e obbediente fino alla morte in croce (cf. Fil 2,8); egli, ricco, scelse di essere povero tra di noi (cf. 2Cor 8,9), insegnandoci l'itinerario della nostra vocazione di discepoli e missionari. Dal Vangelo apprendiamo la sublime lezione di farsi poveri seguendo Gesù povero (cf. Lc 6,20; 9,58), di annunciare il Vangelo della pace senza borsa né bisaccia, senza riporre la nostra fiducia nel denaro né nel potere di questo mondo (cf. Lc 10,4ss). Nella generosità dei missionari si manifesta la generosità di Dio, e nella gratuità degli apostoli appare la gratuità del Vangelo.
32. Nel volto di Gesù Cristo, morto e risuscitato, vilipeso per i nostri peccati e glorificato dal Padre, volto sofferente e glorioso, possiamo vedere, con lo sguardo della fede, il volto umiliato di tanti uomini e donne dei nostri popoli e, allo stesso tempo, la loro vocazione alla libertà dei figli di Dio, alla piena realizzazione della loro dignità personale e alla fraternità universale. La Chiesa sta al servizio di tutti gli esseri umani, figli e figlie di Dio.
2/ La liberazione che viene dal Vangelo, di Filippo Santoro
Riprendiamo da Avvenire del 28/9/2013 un articolo di mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, fr. la sotto-sezione Teologia pastorale.
Il Centro culturale Gli scritti (7/1/2018)
Il ruolo determinante dell’allora cardinale Arcivescovo di Buenos Aires, proprio in riferimento alla parte iniziale del documento di Aparecida, è stata evidenziata da monsignor Filippo Santoro che ad Aparecida collaborò con l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio che guidò la commissione incaricata di scrivere il documento finale dell’importante assise.
Il Magistero e l’azione pastorale di papa Francesco sono il frutto maturo della Conferenza generale dell’Episcopato latino-americano, tenutasi in Brasile nel santuario mariano nazionale di Aparecida nel maggio 2007, di cui il cardinale Jorge Mario Bergoglio è stato protagonista di primo piano. La Conferenza di Aparecida ha indicato nel “discepolo missionario” il soggetto della presenza della Chiesa nella società perché i popoli latino-americani abbiano vita piena. Il soggetto è chi è cosciente di sé, della sua originalità e della sua missione.
Il soggetto nuovo che è all’origine della liberazione cristiana nasce da qualcosa di diverso dal puro dinamismo naturale, non è frutto dello sforzo dell’uomo e nemmeno della programmazione pastorale. L’originalità è data dalla irruzione dello Spirito nella storia. Di qui la forza profetica della Chiesa latino-americana che fa sua la missione proclamata da Gesù nella sinagoga di Nazaret «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18).
Di qui la vigorosa affermazione della evangelica opzione preferenziale per i poveri. Si tratta semplicemente della povertà evangelica e della testimonianza della vita in mezzo alla gente che vediamo nell’essere e nell’agire di Papa Francesco. La disputa aperta nella teologia latino-americana non era tanto sull’uso dell’analisi marxista (per altro largamente ammessa in certi punti della galassia della Teologia della Liberazione) e meno ancora sulla necessità di una mediazione delle scienze sociali, ma sull’origine della novità cristiana e sulla sua incidenza specifica nella società dominata dalla ingiustizia, dallo sfruttamento del capitalismo neo-liberale e dalla scandalosa povertà del continente latino-americano.
Il lungo lavorìo che ha provocato le due Istruzioni della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1984 (Libertatis Nuntius) e nel 1986 (Libertatis conscientia) e che da esse è seguito, è approdato al mirabile evento di grazia che è stata la Conferenza di Aparecida, cui ho potuto partecipare. Il suo punto di partenza non è stata l’analisi sociale, ma la fede di un popolo fatto in grande maggioranza di poveri, facendo uso del metodo vedere, giudicare e agire, «a partire dagli occhi e del cuore dei discepoli missionari».
Dice il n. 19 del Documento finale: «In continuità con le precedenti Conferenze generali dell’Episcopato latino-americano, questo documento utilizza il metodo vedere, giudicare e agire. Questo metodo implica la contemplazione di Dio con gli occhi della fede attraverso la sua Parola rivelata e il contatto vivificante con i Sacramenti, cosicché, nella vita quotidiana possiamo vedere la realtà che ci circonda alla luce della sua provvidenza, giudicarla secondo Gesù Cristo, Via,Verità e Vita, e agire nella Chiesa, Corpo Mistico di Cristo e Sacramento universale di salvezza, per la diffusione del Regno di Dio, che si semina su questa terra e dà pienamente frutto in Cielo».
Il documento comincia con una solenne «azione di grazie a Dio» e ha come prospettiva «la gioia di essere discepoli e missionari di Gesù Cristo». L’Introduzione e il primo capitolo indicano la prospettiva di fede in cui si muove il testo nel suo sguardo analitico alla realtà, nello sviluppo dei criteri di giudizio e nelle prospettive di azione. È noto che il presidente della Commissione di redazione del documento finale di Aparecida era l’arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Bergoglio.
Con uno stile sapienziale il Documento di Aparecida nell’Introduzione afferma: «Ciò che ci identifica non sono le circostanze drammatiche della vita, né le sfide della società, e nemmeno le attività che dobbiamo intraprendere, quanto piuttosto l’amore ricevuto dal Padre, grazie a Gesù Cristo, per l’unzione dello Spirito Santo» (14). Questo riferimento iniziale alla SS. Trinità era stato positivamente voluto da un intervento decisivo del cardinale Bergoglio, ripreso a suo tempo con un certo rammarico in una nota della Agenzia Adista (nel n. 46 del 23-06-2007, scritta da Marcello Barros).
Scriveva Adista: «Ha commentato uno dei delegati brasiliani alla Conferenza, il vescovo di Jales dom Demetrio Valentini, la Conferenza “ha concretizzato uno dei suoi obiettivi più grandi, quello di riprendere il cammino della Chiesa dell’America Latina, rafforzandone l’identità propria e superando perplessità che ne ostacolavano l’azione”. Peccato che, una volta affermato, il metodo non sia stato poi applicato in maniera rigorosa, essendo l’analisi della realtà – il “vedere” – preceduta da un capitolo introduttivo su “I discepoli missionari”: come racconta il teologo argentino di Amerindia, Eduardo de la Serna, la richiesta di spostare questo capitolo all’inizio della seconda parte è stata respinta, in sede di votazione, malgrado fosse presentata da ben 16 presidenti di Conferenze episcopali. A esprimersi contro, prima del voto, è stato il cardinale Jorge Mario Bergoglio, presidente della Conferenza episcopale argentina e della Commissione di redazione, secondo cui, rispetto alla durezza della realtà, era meglio cominciare con una sorta di dossologia (inno di lode a Dio)».
Così lo schema del documento valorizza la tradizione della teologia e della pastorale latinoamericana, ma, allo stesso tempo, ne mette in evidenza la prospettiva di fede. Questa chiaramente non ne era assente, ma in certi sviluppi era data per scontata dovendo preoccuparsi innanzitutto della gravità di una situazione sociale piena di conflitti e soprattutto del “clamore dei poveri”. In questo senso, ci fa capire tutta la problematica la posizione di Clodovis Boff a partire da un articolo della "Revista Eclesiástica Brasileira" sul tema del povero come principio epistemologico della Teologia della Liberazione. «Quando si pone la questione del povero come principio e se si domanda se non viene prima il Dio di Gesù Cristo, la TdL suole fare un passo indietro e non lo nega. Né lo potrebbe poiché Dio si trova al primo posto, per definizione. Ciò che fa problema è la sua “indefinizione” su una questione capitale nella sfera del metodo». Il dato della fede «rappresenta un dato presupposto, che rimane alle spalle, e non un principio operante che continua sempre attivo. Ma il primato della fede come non può essere dato per scontato dal punto di vista esistenziale, anche non può esserlo dal punto di vista epistemologico» (Teologia da Libertação e volta ao fondamento, in: “REB”, 268, out/2007, passim pp. 1002-1004).
Questa ambiguità è superata dalla Conferenza di Aparecida sia nella struttura generale del documento, sia nella presenza viva della fede in ogni momento del suo svolgimento, dal guardare la dura realtà sino al giudicarla e alla prassi conseguente. Si tratta però di una ambiguità sempre presente, poiché Papa Francesco, nel suo recente viaggio in Brasile per la Gmg, nell’incontro con la Presidenza del Celam, vi tornava sopra nel punto 4, quando, presentando alcune tentazioni contro il discepolato missionario, parlava della «ideologizzazione del messaggio evangelico» e affermava: «È una tentazione che si ebbe nella Chiesa fin dal principio: cercare un’ermeneutica di interpretazione evangelica al di fuori dello stesso messaggio del Vangelo e al di fuori della Chiesa. Un esempio: Aparecida, in un certo momento, soffrì questa tentazione sotto forma di asepsi. Si utilizzò, e va bene, il metodo di “vedere, giudicare, agire” (cfr n. 19). La tentazione risiedeva nell’optare per un “vedere” totalmente asettico, un “vedere” neutro, il che è irrealizzabile. Sempre il vedere è influenzato dallo sguardo. Non esiste un’ermeneutica asettica. La domanda era, allora: Con quale sguardo andiamo a vedere la realtà? Aparecida rispose: con sguardo di discepolo. Così s’intendono i numeri dal 20 al 32. Vi sono altre maniere di ideologizzazione del messaggio e, attualmente, appaiono nell’America Latina e nei Caraibi proposte di questa indole. Ne menziono solo alcune: a) Il riduzionismo socializzante. È la ideologizzazione più facile da scoprire. In alcuni momenti fu molto forte. Si tratta di una pretesa interpretativa in base a una ermeneutica secondo le scienze sociali. Comprende i campi più svariati: dal liberismo di mercato fino alle categorizzazioni marxiste…».
Se il Papa ne parla significa che le tentazioni e le ambiguità possono sussistere ancora. Certo Aparecida ha dato un contributo notevole e ha segnato un cambiamento di posizione che è valido non solo per l’America Latina, ma per tutta la Chiesa. Questo è reso possibile dal Magistero e dalla testimonianza di papa Francesco che desidera «una Chiesa povera per i poveri».
Prima della sua elezione, Aparecida è stata pressoché ignorata sia in Italia che in Europa e in altre parti del mondo, nonostante i vari interventi dei vescovi latino-americani negli ultimi due sinodi. Aparecida, in una fase non più eurocentrica, si pone oggi come un magistero non solo regionale, ma offerto a tutta la Chiesa nelle sue scelte specifiche, che sono lo sviluppo del Vaticano II. Dall’opzione per i poveri all’inculturazione della fede, dal protagonismo dei laici alla lotta per la giustizia contro le strutture economiche e sociali ingiuste, dalle comunità ecclesiali di base alle piccole comunità ecc… Tutto è valorizzato: la vita, la famiglia, una vigorosa ripresa della religiosità popolare, la liturgia, l’arte, la cultura, le vocazioni, i giovani, i movimenti e le nuove comunità ecc. Il tema dominante rimane però la missione, particolarmente nella terza parte del Documento dal titolo suggestivo «La vita di Gesù Cristo per i nostri popoli».
Dall’esperienza latino-americana e da Aparecida deriva questo contatto diretto con la gente, questo immischiarsi con i problemi del popolo portando la speranza di Cristo. Tutto è abbracciato a partire dalla fede. Questa chiara posizione evangelica è un dono dello Spirito e della sua potenza che agisce nel popolo fedele e che culmina nella Conferenza di Aparecida. Ora papa Francesco la estende a tutta la Chiesa. Non si tratta di una particolare teologia (come si può anche notare dall’intervista rilasciata dal Papa alla “Civiltà Cattolica”), ma del cuore evangelico della liberazione cristiana. Così si prospetta non soltanto una “Missione Continentale” come sta accadendo in America Latina, ma una vera “Conversione Pastorale”, ed una “Missione Permanente”, in dialogo con le varie religioni e con le attese più vere del mondo contemporaneo.