1/ Il viaggio in Egitto del Papa. I musulmani hanno visto il coraggio più grande, di Wael Farouq 2/ Cairo, dalla conferenza di al-Azhar il tentativo di uscire dal binomio islam e violenza, di Fady Noun 3/ Islam Béheiri: la visita del Papa occasione persa da Al-Azhar. Un’intervista a cura di Loula Lahham 4/ Ahmad el-Tayyeb, il grande imam di Al Azhar, la modernità dell’islam e i suoi nemici, di Fady Noun
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1/ Il viaggio in Egitto del Papa. I musulmani hanno visto il coraggio più grande, di Wael Farouq
Riprendiamo da Avvenire del 3/5/2017 un articolo di Wael Farouq. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli cfr. la sezione Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (8/5/2017)
«Prima d’oggi rinnegavo il mio amico / se la sua religione non s’accordava alla mia / Ora, il mio cuore accetta ogni forma / è pascolo per le gazzelle, convento per i monaci / tempio per gli idoli, Ka`ba per il pellegrino / tavole della Torà e libro del Corano / Io seguo la religione dell’amore ovunque mi conducano i suoi cammelli / L’amore è la mia religione e la mia fede». Sebbene la realtà dei musulmani, oggi, abbondi di violenza che sgorga da cuori privi di amore e di fede, non esiste città islamica in cui essi non fremano dalla commozione al ritmo di questi versi del sommo maestro Ibn Arabi (1164-1240).
Cantiamo all’amore come a un lontano ricordo, una desiderata speranza, una cosa preziosa ereditata e poi smarrita. Mentre Ibn Arabi scriveva questi versi in Andalusia, in Egitto un giovane frate, di ritorno dall’accampamento nemico, affondava i piedi nel limo lasciato dalla piena del Nilo, l’anima rapita dal ringraziamento a Dio: al contrario di quanto tutti si aspettavano, il sultano Kamil al-Malik non l’aveva sgozzato. L’aveva ascoltato, era stato generoso con lui, aveva promesso di non chiudere le porte alla testimonianza di fede nel suo regno. Il Sultano era stato colpito dal coraggio del frate che aveva messo a repentaglio la propria vita per la sua salvezza. E il Sultano era stato coraggioso, non per aver sconfitto e respinto i crociati, bensì per aver creduto che quel giovane uomo di Dio, giunto con l’esercito nemico, lo amasse davvero e fosse pronto al martirio per amor suo. Non c’è coraggio più grande del credere che qualcuno ci ami.
A questo coraggio Ibn Arabi dà il nome di fede. Prima della visita del Papa al Cairo, l’immagine più diffusa, in Egitto e in Italia, era quella del pontefice sovrastato da una colomba della pace con le ali spiegate e le piramidi sullo sfondo. Immagine che, dopo la visita papale, è stata sostituita da quella di san Francesco che abbraccia il Sultano e, sotto, la foto del Papa che abbraccia lo Sheykh di al-Azhar. L’intesa espressa da quell’abbraccio, l’accordo storico sul battesimo che avvia la fine della divisione fra la Chiesa cattolica e quella copta, la celebrazione della più grande messa nella storia dell’Egitto moderno – cui hanno partecipato cattolici e ortodossi e presenziato musulmani, trasmessa in diretta e seguita dall’intero mondo musulmano – ,così come l’invito degli intellettuali egiziani a studiare il discorso del Papa nelle scuole, sono tutti grandi risultati.
Tuttavia, non sono nulla di fronte al cambiamento di coscienza testimoniato dal passaggio dalla prima alla seconda immagine. I simboli astratti della prima immagine – l’abito papale, la colomba e le piramidi – si sono trasformati, nella seconda immagine, nell’abbraccio di due persone, espressione d’amore. Un amore che non occupa solo lo spazio dell’immagine, ma anche il tempo. La storia è divenuta presente, san Francesco e il Sultano sono tornati ad agire nella coscienza collettiva.
San Francesco che, al tempo delle crociate, nella sua Prima Regola, invitò alla convivenza con i musulmani e alla testimonianza del Vangelo attraverso una vita condivisa; e il Sultano che, nonostante la sua vittoria, rinunciò alla Terra Santa e aprì un corridoio per i pellegrini cristiani. L’eredità del loro incontro non è più perduta. Ce ne siamo riappropriati – come dice Goethe – dopo averla riguadagnata con questa visita. Oggi, l’amore per l’Altro che Ibn Arabi smise di rinnegare non è più soltanto canto, è divenuto esperienza vissuta, conoscenza che non può essere definita da simboli, ma solo dalla presenza con la quale il canto diventa preghiera. Che sia così.
2/ Cairo, dalla conferenza di al-Azhar il tentativo di uscire dal binomio islam e violenza, di Fady Noun
Riprendiamo dall’Agenzia di stampa Asianews del 28/4/2017 un articolo di Fady Noun. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli cfr. la sezione Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (8/5/2017)
Il Cairo (AsiaNews) - “Fare la pace è un compito sacro, perché Gesù stesso afferma: Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. È il reverendo Jim Winkler, segretario generale del Consiglio nazionale delle Chiese di Cristo, negli Stati Uniti, il primo a prendere la parola e a inaugurare il congresso internazionale di al-Azhar dedicato alla pace. All’improvviso, questo aspetto assume una dimensione metafisica. Il pastore americano viene presto seguito, nel medesimo spirito, dal reverendo Olav Fyske, segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese, che esprime gli stessi concetti.
Riuniti nella grande sala polivalente dell’hotel Fairmont, la folla dei congressisti venuti dai quattro angoli del mondo musulmano, fino all’estrema Cina, sembra un “pastore senza gregge” al quale Gesù ha equiparato la folla che lo seguiva. Essa rappresenta un mondo vulnerabile contraddistinto dalla violenza, privato dell’abbondanza, spogliato dei suoi diritti, afflitto dalla povertà, dominato, sfruttato, emarginato. Questa sala è oggi la montagna in cui Gesù pronuncia le sue Beatitudini: dottori della legge o persone semplici, stanziali o migranti, poveri o sovralimentati del pianeta, padri e madri in lacrime, sono tutti orfani della pace e sono tutti là per cercare una via di uscita dall’inferno dell’odio e della violenza in cui il mondo è precipitato senza sapere come uscirne. I partecipanti rappresentano circa 560 milioni di musulmani nel mondo.
“La speranza, solo il nostro vivere comune la può infondere”. È il vescovo copto-ortodosso Bola che parla, a nome di Tawadros II, capo spirituale di nove milioni di copti ortodossi, fino a ieri in Kuwait, ma che sarà di ritorno entro oggi per incontrare il papa. “Non siamo noi a vivere in Egitto - ha detto il patriarca - ma è l’Egitto a vivere in noi. A cosa serve pregare in chiese senza patria? Sarebbe meglio pregare in una nazione senza chiese”. Le parole di Tawadros sono cariche di patriottismo, al contrario della mentalità dimessa che alberga in noi. La Chiesa dei copti ortodossi sta promuovendo con audacia e abnegazione una cultura dell’incontro e della resistenza. La persecuzione è stata a lungo il suo pane quotidiano, anche se oggi le cose stanno per cambiare.
“Vengo da Tanta, città teatro dell’attentato la domenica delle Palme in cui sono morte 28 persone e altre 95 sono state ferite” ricorda il vescovo Bola. “Abbiamo risposto alla violenza con palme e ramoscelli di ulivo. La palma - aggiunge - è il simbolo dell’elevazione e della conquista della gloria. Al terrorismo e alla violenza, noi rispondiamo con la pace”. Egli invita anche gli Stati che finanziano la guerra e i mercanti di armi a rinunciare alla loro ipocrisia. Il vescovo prega anche perché “siano prosciugate le fonti del pensiero takfirista, così come le fonti di finanziamento del terrorismo”.
La povertà, l’ignoranza, l’estrema ingiustizia che sono inflitte alla Palestina, il doppio gioco dell’amministrazione americana sono anch’essi invocati come elemento di frustrazione e di violenza. “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace, come diceva papa Paolo VI negli anni ’70 del secolo scorso. Cinquant’anni più tardi, queste parole non hanno perso niente della loro attualità”.
Questi temi torneranno come elementi ricorrenti per tutta la mattinata di oggi, durante la quale sono previsti gli interventi dell’imam di al-Azhar Ahmad el-Tayyeb e del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, venuto anche per ritrovare “suo fratello” Francesco, atteso per il pomeriggio. Lo stesso Bartolomeo si è fatto portavoce di una “pace globale” e loda “il coraggio e la visione di questa iniziativa globale” che ha portato l’imam di al-Azhar a convocare il congresso. E nota con giustezza che in luogo della post-modernità tanto decantata da alcuni araldi del mondo industriale, questo è il tempo della post-laicità, con “l’esplosione della appartenenza religiosa” anziché la sua scomparsa. L’opposizione irriducibile il patriarca di Costantinopoli la individua nel binomio fondamentalismo/relativismo. Egli ne ha ben donde quando afferma che i termini di questa antinomia sono la violenza, anche se una è attiva, mentre la seconda è “fredda”. Per giungere all’affermazione secondo cui “il fondamentalismo è uno zelo che non si basa sulla verità, una falsa religiosità” e assicura, fra gli applausi, che “l’islam non è sinonimo di violenza” e che “la pace può essere raggiunta solo attraverso voci di pace”. Radicale. Per rispondere alle aspettative ardenti dei popoli, la religione deve basarsi sui quattro pilastri di libertà, giustizia e della solidarietà. E della compassione, conclude, precisando che questo sforzo dovrà essere su scala mondiale per avere successo.
Anche l’imam Ahmad el-Tayyeb, dal suo pulpito, prenderà la parola per parlare di un problema che assilla la mente del presidente Abdel Fattah al-Sisi, il quale lo sprona tutti i giorni a combattere con maggiore vigore l’ideologia dello Stato islamico. Pessimista, l’imam dal volto scuro sostiene che “la storia è un succedersi di guerre intervallate da brevi schiarite di pace, e non il contrario”.
La condizione di guerra e di violenza è dunque il destino dell’umanità? “Se il Dio dei cristiani - sostiene l’imam, in un ragionamento opposto - e quello dei musulmani è lo stesso, non può contraddirsi nella sua essenza, la sua misericordia e la pace”. Egli conclude con una difesa dei passi del Corano in cui si parla di violenza affermando che, nell’islam, “l’uso della violenza è codificato” e che “la guerra è strettamente difensiva, mai offensiva”. Parole che lasciano insoddisfatti gli esegeti cristiani.
È dunque con circospezione che viene affrontato il tema dell’esegesi. Sappiamo quanto i musulmani siano reticenti a sottoporre il Corano a una analisi storica e critica. Si dirà, ed è un bene, che “una cattiva interpretazione conduce a una cattiva interpretazione dell’altro” e, in alcuni casi, alla violenza, nella misure in cui l’altro diventa “il nemico ontologico”. Di valore diverso, nessuno degli interventi di ieri ha approcciato il tema da una prospettiva diversa. Erano tutte finalizzate a penetrare il vortice ideologico, politico e religioso che agita il mondo nel suo attuale turbinio.
3/ Islam Béheiri: la visita del Papa occasione persa da Al-Azhar. Un’intervista a cura di Loula Lahham
Riprendiamo dall’Agenzia di stampa Asianews del 2/5/2017 un’intervista a cura di Loula Lahham. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli cfr. la sezione Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (8/5/2017)
Il Cairo (AsiaNews) - Islam Béheiri è un intellettuale islamico, uscito da poco di prigione dopo essere stato condannato dalla magistratura egiziana per aver espresso giudizi critici verso al-Azhar, la più importante istanza sunnita del mondo musulmano. Parole, quelle pronunciate all’epoca dallo studioso, considerate come diffamatorie verso la religione musulmana. Condannato a cinque anni di carcere, egli ha visto in un secondo momento ridotta a un anno la pena; infine, nel dicembre scorso è arrivato il decreto presidenziale di scarcerazione in anticipo sui tempi previsti e la conseguente ripresa dell’attività di critico e studioso.
Béheiri ha lanciato numerosi appelli alla riforma del discorso religioso e a elaborare una nuova interpretazione dei libri classici della giurisprudenza islamica. Testi che, a suo avviso, sono in alcuni passaggi un vero e proprio inno alla violenza.
Lo studioso, nel corso del colloquio, ha voluto fornire una lettura personale dell’intervento del grande imam Amad Al-Tayeb, davanti a papa Francesco, nel contesto della conferenza internazionale di pace promossa dall’università islamica il 28 aprile scorso.
Ecco, di seguito, l’intervista di Islam Béheiri ad AsiaNews:
Cosa ne pensa della visita di papa Francesco, che ha più volte respinto il legame fra violenza e islam?
È stato un grande onore per noi che il papa sia venuto in Egitto. Egli ha molto parlato dell’Egitto, qui e in precedenza, e ha presentato il proprio cordoglio per tutte le perdite subite. A mio avviso egli incarna perfettamente gli insegnamenti del cristianesimo, come la tolleranza, e non ha voluto indicare con precisione le vere ragioni della violenza di matrice religiosa. Egli cerca in realtà di voltare pagina e di dare seguito a un nuovo inizio con i rappresentanti dell’islam. Questa cosiddetta “Conferenza di pace” ha avuto un enorme successo a livello mediatico su scala globale, ma non cambierà nulla nella realtà dei fatti. Non vi è nulla di specifico nella lotta al terrorismo. Quanti si illudono che il terrorismo di matrice religiosa farà un passo indietro sono dei sognatori. È ancora troppo presto. Nessuno vuole davvero contrastare queste ideologie e in questo modo Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico] continuerà la propria azione.
Nel suo intervento il grande imam di al-Azhar ha dichiarato che non vi sono giustificazioni logiche alla violenza, se non l’ideologia post moderna e il desiderio di alcune potenze di vendere armi. Queste, per lui, sono le sole ragioni della violenza. Che ne pensa?
Ciò che ha detto non ha alcun senso. Se così fosse, lo Stato islamico avrebbe promosso il pensiero post-moderno. Questa non è nemmeno una possibilità. Le mie ricerche personali non mi hanno mai portato a credere che Daesh abbia una ideologia post-moderna o possieda una nozione di esistenzialismo, per fare un esempio. È come se qualcuno ci dicesse che durante il giorno, il sole non brilla affatto.
Per quanto concerne il traffico di armi, sono davvero stupefatto. Non capisco come lo sceicco di al-Azhar abbia potuto dire una cosa simile. Se egli crede che il terrorismo sia dovuto unicamente al traffico di armi, ci troviamo davvero di fronte a un problema grave: la persona chiamata a combattere per prima il terrorismo religioso non conosce nemmeno le cause della sua esistenza.
Tutto l’Egitto deve far fronte al problema, perché al-Azhar è prima di tutto una istituzione legata allo Stato. E ribadisco che se le ragioni del terrorismo religioso sono il pensiero postmoderno e il traffico di armi, viviamo nel mondo dei sogni. Vi sono infatti dei testi nella nostra giurisprudenza classica che incitano alla violenza. Vediamo persone che si fanno saltare in aria uccidendo decine di persone perché hanno letto testi che danno loro carta bianca per uccidere chiunque, per la semplice ragione che possiedono una fede incrollabile in base alla quale fanno del bene verso Dio immolandosi e uccidendo molte altre persone insieme a loro. Qui non si tratta solo di traffico di armi. Invito l’amministrazione egiziana a rivedere minuziosamente le opinioni dello sceicco Al-Tayeb. Perché se quella è la sua definizione di terrorismo, e se quella è la ragione e le sue conseguenze, in base al suo pensiero, lo Stato non sarà mai in grado di mettere fine alle violenze.
Il grande imam ha inoltre parlato delle guerre di religione e del fatto che sono sempre esistite in tutte le fedi. Egli ha menzionato le Crociate e le Guerre mondiali…
Non vi è scritto da alcuna parte nei libri di storia che le Crociate avessero delle ragioni di tipo religioso quale loro fondamento. Si trattava di ragioni esclusivamente politiche. Inoltre nel 1994, papa Giovanni Paolo II se ne è scusato a nome dell’Europa. E ancora, non vi era alcuna dimensione religiosa nelle guerre mondiali. Non so se lo sceicco se ne rende conto o no, ma i libri che vengono insegnati all’interno della sua istituzione non hanno altra interpretazione che l’incitazione alla violenza. E queste interpretazioni, sfortunatamente, non sono affatto sbagliate. Potrei anche aggiungere che il problema non è la nostra errata interpretazione dei discorsi. Il terrorismo è direttamente legato agli insegnamenti dei nostri testi, con una propria comprensione naturale e logica, che risale a mille anni fa. Vorrei tanto che lo sceicco si scusasse per questo e per ciò che i musulmani hanno commesso nel Medio evo e nei tempi moderni.
Che intendete dire? Cosa dovrebbe fare di preciso?
Io chiedo ad al-Azhar di smetterla di mostrare al mondo libri scritti da certi imam del Medio evo, che esso commercializza come fossero il retaggio del vero islam. Perché quanto è contenuto in questi libri è quanto, alla lettera e fino all’ultima virgola, quanto compie all’atto pratico Daesh.
Nel suo intervento, il grande imam ha condannato le interpretazioni postmoderne, la filosofia sperimentale e il vuoto spirituale che esse causano. Lei è d’accordo su questo punto?
Penso che lo sceicco di al-Azhar abbia scelto male le parole del suo discorso. Egli dovrebbe prima di tutto capire le ragioni del terrorismo per poterle contrastare. Questa conferenza di pace non porta da nessuna parte. È una commedia assai distante dalla realtà.
Il grande imam non vuole aprire a nuove interpretazioni, ma al tempo stesso invita a “purificare l’immagine della religione”. Non è questa una contraddizione?
Certo che si contraddice. Se volesse davvero porre rimedio a ciò che succede, avrebbe ascoltato quanti lo invitavano a fare una seconda lettura di questi testi e a dire che ciò che vi è scritto al loro interno non corrisponde a verità. Questi imam di un tempo hanno offuscato il nostro modo di vedere le cose, hanno peccato contro l’islam per oltre 1400 anni. Hanno fatto del male alla nostra gente, all’immagine dell’islam e anche alle relazioni dell’islam con le altre religioni. Lo sceicco non vuol sentire parlare di nuova interpretazione. Egli la combatte con ferocia e intenta processi contro quanti la vogliono. In realtà, egli è una fonte di perenne contraddizione. In una dichiarazione rivolta all’Occidente, egli ha affermato che l’islam non invita all’uccisione dell’apostata. Ma in Egitto, egli si permette di dire che l’islam incoraggia a farlo.
4/ Ahmad el-Tayyeb, il grande imam di Al Azhar, la modernità dell’islam e i suoi nemici, di Fady Noun
Riprendiamo dall’Agenzia di stampa Asianews dell’1/5/2017 un articolo di Fady Noun. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli cfr. la sezione Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (8/5/2017)
Il Cairo (AsiaNews) – Dietro lo sguardo obliquo di Ahmad al Tayyeb , il grande imam di Al Azhar, che lo fa sembrare come un animale braccato, si nasconde “un grande timido”, assicura l’ex ministro libanese della Cultura, Tarek Mitri. Egli lo conosce dai tempi dell’università passati a Parigi: uno seguiva gli studi di filosofia delle relazioni internazionali, l’altro di filosofia delle religioni. Siamo ben lontani dalle immagini di feroce “guardiano del dogma” o di “grande inquisitore” che ci si può fare nel seguire la sua carriera pubblica.
Figlio dello sheikh di una “tarika”, una via sufi di Said (Alto Egitto), Ahmad el-Tayyeb, 71 anni, ha anche una solida formazione filosofica acquisita alla Sorbona, nei corsi di Paul Ricoeur. “Il suo pensiero religioso è perciò informato da una parte dal misticismo e dall’altra dalla filosofia” precisa Tarek Mitri. “Egli non è un ‘fakih’, un giurista o un canonista”.
Nel discorso che ha pronunciato all’università di Al Azhar lo scorso 27 aprile, l’imam ha richiamato “l’esistenzialismo” e ha parlato della “post-modernità”. Solo esibizionismo? L’ex ministro libanese va contro questo giudizio e commenta: “Quando si esprime in pubblico, l’imam si trova in una logica di scontro fra la fede religiosa e il nichilismo moderno. Ma in realtà. È un uomo che è in dialogo con la modernità. Vi è dunque l’uomo e la funzione. In pubblico, la funzione prende il sopravvento, ma io credo che egli sia spinto dalla preoccupazione di rendere il messaggio religioso plausibile, credibile agli occhi dei ‘moderni’. Egli è cosciente che vi è una modernità piena di angoscia nel mondo musulmano”.
Sul piano pubblico, il grande imam di Al Azhar, nominato dall’allora presidente Hosni Mubarak nel 2010, è certo approvato da molti, ma è anche assalito dalle critiche. I fondamentalisti lo detestano e il potere politico cospira per rimuoverlo. Nel 2011, durante le giornate rivoluzionarie che hanno cacciato il presidente Mubarak, i rivoluzionari lo hanno tacciato di essere un alleato del regime. Lui, senza essere rivoluzionario, era molto sensibile a quanto reclamavano i giovani. Per questo, le persone del potere hanno perso fiducia in lui, sospettandolo di essere troppo favorevole alle nuove idee.
“Fatto senza precedenti – precisa l’on. Mitri – l’imam ha deciso di fare di Al Azhar un luogo di dialogo. Egli ha creato la Beit el A’ila el Masria (la Casa della famiglia egiziana), un luogo dove tutti i capi religiosi cristiani si sentono a casa loro e dove si cerca di risolvere, di disinnescare le tensioni confessionali, di portare soluzioni puntuali a problemi puntuali, come si fa in una famiglia. Poi ha riunito diverse volte negli ultimi due anni intellettuali islamisti più o meno moderati, come anche dei liberali musulmani e cristiani. Da ciò è nato l’impegno sulla nozione dello Stato costituzionale. Egli ha anche proclamato – dietro consultazione con un gran numero di intellettuali da tutte le posizioni – una carta delle libertà che va molto lontano: libertà artistiche, libertà intellettuali e perfino libertà di coscienza, anche se non si usa questa parola. Infine, egli ha cercato di infondere il concetto di cittadinanza nel mondo islamico, rifluito nel colloquio del marzo scorso”.
Il nome dell’imam di Al Azhar è stato applaudito in modo caloroso alla messa celebrata dal papa il 29 aprile. Citato nei ringraziamenti finali dal patriarca dei copti cattolici, il suo nome è stato applaudito dalla folla insieme a quello del presidente al Sisi e a quello di Tawadros II. “Dolce consolazione in mezzo a tante amarezze”, commenta Terek Mitri, alla fine della visita del papa. E proprio come il papa, che egli ha abbracciato in pubblico, l’imam si trova davanti un’opposizione interna tenace e talvolta anche menzognera da parte dei rigoristi del suo campo.