Piccola nota sul quarto verbo di Amoris laetitia, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. la sezione Famiglia e affettività.
Il centro culturale Gli scritti (26/3/2017)
Pelagio Palagi, Ritratto della famiglia Insom
(incompiuto), 1815
Tutti i commentatori, nell’analizzare Amoris laetitia, ricordano che tre verbi sono molto importanti nel lessico dell’esortazione di papa Francesco. Sono: accompagnare, discernere e integrare. Questo è profondamente vero.
Infatti, fra i termini più utilizzati questi tre verbi sono centrali. “Accompagnare” ricorre 60 volte. “Discernere” ricorre 46 volte. “Integrare” ben 31 volte[1]. Papa Francesco insiste con grande sapienza su questi atteggiamenti, su questi verbi, perché le famiglie oggi hanno bisogno di essere “accompagnate”, perché i giovani hanno bisogno di imparare a “discernere” la volontà di Dio, perché tanti desiderano scoprire come essere “integrati”, mentre vivono schiacciati dal giudizio degli altri. Senza “accompagnamento”, senza “discernimento”, senza “integrazione”, non ci sarà la letizia dell’amore.
L’importanza di questi atteggiamenti emerge se solo si considera quanto manchi ai giovani la trasmissione di una capacità di “discernimento”. La spiritualità antica aiutava a discernere i sentimenti, introduceva alle emozioni, ai desideri, al modo in cui ci si orienta nell’amore, nella vocazione, nella fede[2].
Ma papa Francesco indica un quarto verbo necessario, un quarto atteggiamento, che struttura Amoris laetitia: è il “mostrare” la “gioia” (il verbo “mostrare” ricorre 40 volte e il vocabolo “gioia” ricorre 53 volte).
Tale “mostrare la gioia” dell’essere sposi è una cosa sola nell’esortazione con il “testimoniare” (30 volte), con il “generare” (7 volte), con il “chiamare” ed “essere chiamati” all’amore (41 volte). Se si sommano le diverse ricorrenze la capacità di “proporre” il matrimonio come via di gioia ricorre con una frequenza molto maggiore dell’“accompagnare”, del “discernere” e dell’“integrare”.
Una delle grandi novità di Amoris laetitia è data proprio dalla comprensione del fatto che non si tratta oggi tanto di presentare la visione “giusta” del matrimonio, quanto piuttosto di far innamorare di essa, come già dice il titolo del documento: la “letizia dell’amore”. Le coppie hanno bisogno di scoprire perché vale la pena sposarsi, cosa c’è di straordinariamente ricco e prezioso nella famiglia e perché la vita è povera se si rifiuta il matrimonio.
Come in Evangelii Gaudium si invita ad una catechesi kerygmatica, ad una catechesi cioè che sappia mostrare la bellezza, il calore, la fecondità, la grandezza, la novità, l’aspetto liberante della fede, così in Amoris laetitia si sottolinea il bisogno che il matrimonio sia testimoniato in opere e parole in modo tale che nasca il desiderio di esso.
Come in Evangelii Gaudium si parla dell’omelia presentandola come il dialogo di una madre con i suoi figli, così in Amoris laetitia si insiste su di un linguaggio carico di passione che faccia riscoprire che non esiste letizia senza amore: l’incontro con coppie anche anziane, che conservano la gioia, diviene esperienza che interroga i più giovani sul proprio futuro.
Si tratta insomma non solo di accompagnare chi ha già scoperto l’amore, ma di farlo scoprire annunciandolo e mostrandolo. Il matrimonio, proprio come la fede, per papa Francesco deve essere nuovamente “proposto”. Un linguaggio appassionato e argomentato deve nuovamente mostrare come l’amore può vincere la morte e il peccato (cfr. Ct 8,6 «perché forte come la morte è l’amore»). È necessaria, insomma, una testimonianza dolce e forte di coppie che si amano per toccare i cuori delle giovani generazioni.
Accompagnare, discernere e integrare aiutano chi ha già intuito che nell’amore vi è un tesoro, ma prima ancora, per papa Francesco, è mostrare la gioia del matrimonio ciò che permette di accompagnare nel cammino e, prima ancora, di iniziarlo per chi ancora non ha la minima idea che lì vi sia un tesoro.
Note al testo
[1] Qualcuno aggiunge un ulteriore verbo, accogliere (in realtà il verbo accogliere come atteggiamento della Chiesa nei confronti delle famiglie è utilizzato solo 7 volte nell’esortazione, mentre più spesso appare ad indicare l’accoglienza che le famiglie stesse debbono avere nei confronti del dono dei figli). Amoris laetitia preferisce qui il verbo integrare.
[2] Sequeri, ad esempio - non a caso scelto da papa Francesco per guidare l’Istituto di studi sulla famiglia Giovanni Paolo II al Laterano -, ha più volte sottolineato come il cristianesimo contemporaneo sia incapace di educare ai “sensi spirituali”: «Abbiamo bisogno di una nuova estetica della relazione con Dio. Attualmente la catechesi e la comunicazione cristiana non hanno a disposizione una propria lingua per parlare, interpretare, comunicare la relazione del Signore nella dimensione dell'estetico: che vuole dire emozioni, sentimenti, passioni, conflitti, rivolgimenti. È il trionfo dello psicologismo di piccolo cabotaggio. "Stare bene dentro, non stare bene dentro; trovarsi, non trovarsi; essere se stessi, non essere se stessi...". È tutta retorica che viene soltanto da fuori, acchiappata dalle "Lettere al direttore", da qualche manualetto di psicanalisi per i meno abbienti. Una volta quella lingua ce l'avevamo; ha dovuto cedere perché la complessità dell'esperienza cosciente con cui le giovani generazioni ormai si osservano è infinitamente superiore già a quella della mia generazione. Non poteva reggere quell'insieme di istruzioni della tradizionale "direzione spirituale": ma non c'è stata sostituzione. E quindi, l'universo della risonanza, le figure del desiderio, quell'intreccio indissolubile del corporeo e dello psichico che formano la vita propria di ciascuno, sono oggi privi di un'adeguata sapienza cristiana. Così si cercherà o di ignorarle esponendo principi e verità, o di assimilarle surrettiziamente lasciandosi condizionare da ciò che oggi si sente che i giovani in giro pensano. Una dottrina dei sensi spirituali è una dottrina del discernimento delle emozioni che Dio suscita; imparare a nominarle, imparare ad approfondirle, imparare a frequentarne le risorse e il senso, non accontentarsi di dire "l'entusiasmo che Dio ti mette, il gusto della vita". C'è una lingua terribile che stiamo ereditando anche nel cristianesimo dei giovani che è una specie di trasformazione messianica del narcisismo: "non mi sento più bene con", "mi sento bene con"; mi sento bene con Dio, mi sento bene con questo, mi sento bene con quell'altro.... Che cosa è diventato l'altro? Uno stimolo: "mi sento bene con". E l'altro come sta? "Affari suoi": Non è precisamente l'amore cristiano» (in P. Sequeri, Fare memoria dell’amore di Dio fra i giovani oggi, on-line su Gli scritti).