Ora di religione e pluralismo, l’Italia fa scuola in Europa. È il fondamento di una cultura solidale. Scelta dall’88%, di Carlo Cardia
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Riprendiamo da Avvenire del 27/1/2017 un articolo di Carlo Cardia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sotto-sezioni Educazione e Insegnamento della religione (IdR) e Educazione e intercultura.
Il Centro culturale Gli scritti (5/1/2017)
Il risultato dell’indagine condotta da diversi istituti ricerca, e per il quale l’88% dei ragazzi, o delle loro famiglie, sceglie liberamente di seguire l’ora di religione nella scuola statale, è una notizia buona, sorprendente solo per alcuni, e suggerisce più d’una riflessione.
Siamo di fronte a un dato che unisce la società civile al di là delle differenze ideali a culturali, e che ha una radice importante nella storia unitaria d’Italia, non da tutti conosciuta.
I nostri Padri risorgimentali, pur nell’ambito di un separatismo nel quale s’intrecciavano modernità, asprezze e lungimiranza, posero alcuni principi a base del rapporto tra scuola e religione: con la Legge Casati nel 1859, che istituisce scuola pubblica e prevedeva, tra i simboli da valorizzare, il Crocifisso, e la Legge Coppino del 1877 che completa il quadro scolastico e disciplina la scuola elementare.
Il primo risultato fu che, pur non prevedendo l’insegnamento religioso dalle scuole superiori, esso rimase nelle scuole elementari lasciando ai Comuni e alle famiglie la facoltà di istituirlo: pressoché tutte le famiglie scelsero di avvalersene. Di grande interesse le motivazioni espresse da politici e costituzionalisti dell’epoca, per i quali una scuola senza Dio incontrava l’ostilità popolare, mentre la religione giovava a educare buoni cittadini.
Una lezione di saggezza, rispettosa di sentimenti profondi, che ha garantito un esito decisivo: dall’Unità d’Italia, tutti i nostri bambini hanno avuto a scuola un’educazione e una formazione religiosa basilare per la loro crescita. Più volte, in Parlamento alcuni proposero di abolire questa scelta scolastica fondamentale, ma ogni volta la proposta venne respinta.
Il grande dibattito alla Costituente del 1946-47 ha sfiorato più volte il tema dell’insegnamento religioso, e s’è concluso con la definizione del pluralismo previsto negli articoli 7 e 8, che hanno coniugato la ricezione dei Patti Lateranensi del 1929 con la piena libertà di ogni confessione religiosa: prospettiva che s’è realizzata più tardi con la revisione del Concordato e le prime Intese con altri culti.
Nel dibattito sulle grandi riforme dell’ordinamento si formò, tra il 1976 e il 1984, un’ampia maggioranza favorevole alla conferma dell’insegnamento religioso, e si rinnovò la sua disciplina in rapporto alla libertà di scelta dei ragazzi e delle famiglie: un obiettivo molto sentito da Paolo VI che promosse e seguì da vicino le prima parte delle trattative per il nuovo testo pattizio.
Esponenti politici e culturali d’ogni schieramento, da Giovanni Spadolini a Gaetano Arfè, da Paolo Bufalini a Pietro Scoppola, vollero con convinzione questo risultato, e ricordo personalmente che nel 1984 Enrico Berlinguer, all’atto di assicurare il consenso parlamentare del proprio partito al nuovo Concordato, motivò la condivisione piena dell’insegnamento religioso con l’esigenza che la scuola garantisse ai ragazzi un discorso sui valori e i princìpi etici fondamentali.
Ancora oggi c’è chi alimenta una specie di leggenda metropolitana, per la quale il nostro sarebbe l’unico Paese ad avere un Concordato, e a prevedere la cosiddetta 'ora di religione' nelle scuole. Niente di più inesatto, dal momento che i Concordati con la Chiesa cattolica e le Intese con altri culti sono in Europa alcune decine, e l’insegnamento religioso, per via concordataria o con leggi unilaterali, è oggi impartito nell’80% dei Paesi europei, nel Nord, nel Centro, a Ovest e a Est, ed è stato reintrodotto in quasi tutti i Paesi ex comunisti, a cominciare dalla Russia: Polonia, Romania, Croazia, Paesi Baltici.
Le scelte italiane del Novecento, alla Costituente e poi nel 1984, hanno avuto un valore anche oltre i nostri confini, ispirando una svolta positiva nei rapporti tra Stato e Chiesa in diverse Paesi europei: prima con la revisione dei Concordati in Spagna, Portogallo, Austria, poi dopo la fine della glaciazione comunista che in Russia e nell’Est europeo aveva azzerato ogni rapporto tra scuola e religione, il modello italiano s’è affermato un po’ dovunque, ispirando le nuove legislazioni ecclesiastiche e civili.
Si conferma, inoltre, un elemento specificamente italiano: l’aver impostato con il nuovo Concordato l’insegnamento religioso in un orizzonte di apertura e conoscenza culturale ha incontrato il favore delle famiglie e dei giovani, perché risponde a domande ed esigenze proprie di una società aperta al pluralismo e interculturalità nel rispetto del diritto dei genitori di istruire e educare i figli secondo i propri valori e orientamenti religiosi e ideali.
La scelta così ampia della popolazione scolastica, infine, testimonia la capacità professionale di tanti insegnanti di religione, che s’impegnano con intelligenza e abnegazione nell’assolvere la propria missione in condizioni non sempre facili. Queste valutazioni dovrebbero scoraggiare chi ogni tanto cerca di sminuire l’Irc, proponendo un più vago insegnamento delle religioni, che ricondurrebbe tutto in una nebulosa relativistica.
E possono spingere tutti noi a valutare il bene prezioso che l’insegnamento religioso costituisce per la scuola di oggi. Esso rappresenta un insostituibile legame con la nostra tradizione e identità culturale, e risponde oggi alle esigenze di una società globalizzata e insieme interculturale, nella quale si sente il bisogno di costruire dal profondo un tessuto di solidarietà che aggreghi persone, famiglie, gruppi etnici, e lo faccia iniziando dalla formazione dei più giovani.
La presenza religiosa nelle scuole non garantisce soltanto la religione cattolica, è assicurata dalle Intese anche ad altre Confessioni, a cominciare da quella ebraica, che prevedono lo studio del fatto religioso, o specificamente lo studio dell’ebraismo.
E a nessuno sfugge che il pluralismo religioso nella scuola risponde anche alle esigenze poste dall’immigrazione, che fa avvicinare sempre più i nostri ragazzi ai giovani che vengono da tutto il mondo: esso permette, tra l’altro, di promuovere principi essenziali come quelli della giustizia, per l’abbattimento dei privilegi e la cura dei più poveri, e della solidarietà che deve plasmare i rapporti sociali e internazionali. L’ispirazione religiosa può costituire il fondamento più solido di una cultura solidale che innesti nel processo formativo delle nuove generazioni valori insostituibili per l’evoluzione che sta vivendo la nostra società e per il conseguimento del bene comune.