La passione del professore. L’insegnante di lettere: tra tecnica, flessibilità ed educazione linguistica, di Linda Cavadini
- Tag usati: educazione, scuola
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo dal sito http://www.laletteraturaenoi.it un articolo di Linda Cavadini pubblicato il 13/6/2016. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Educazione e scuola.
Il Centro culturale Gli scritti (3/7/2016)
Le passioni son così contagiose che
passano con la massima facilità da una persona all’altra
e producono un moto corrispondente in tutti i cuori umani
(Hume, Trattato sulla natura umana)
Ho tra le mani «i manifesti della scuola futurista» progettati dai miei ragazzi, uno recita: «Noi aboliamo la scuola. Da oggi il suo nome sarà Tempo libero. I professori non dovranno avere più di 35 anni e non ci saranno donne. Sono aboliti grembiuli divise e cravatte, saranno permesse solo le anticravatte di metallo leggerissimo e lucentissimo. Niente banchi e cattedre, noi insegneremo nei giardini, nei bar e sui treni. Prima di ogni lezione suoneremo la musica roboante e ascolteremo il rumore della città.» Portarli all’imitazione del linguaggio e dei contenuti dell’avanguardia futurista è stato un lungo percorso: prima abbiamo letto e osservato tutti i manifesti, compresi quelli della cucina e della moda femminile; poi abbiamo studiato il lessico e i contenuti e in ultimo abbiamo analizzato la loro realizzazione pratica, e non vi dico le facce dei miei studenti di fronte ad un balletto futurista su musica di Virgilio Mortari. Per farlo abbiamo usato strumenti diversi: video, immagini, mappe concettuali, testi scritti e compiti di realtà caricati a mo’ di ipertesto, o ipermedia se preferite, sulla piattaforma padlet. Credo di poter dire che ora sappiano cosa sia il Futurismo, anche e soprattutto grazie a questo compito di realtà. Enrico, uscendo dall’aula, mi incalza: «Prof è stato faticoso, ma a cosa serve?»: la sua domanda mi rimbomba nel petto. L’ho pensata tante volte anche io (ma non ho mai avuto il coraggio di farla) mentre al liceo mi spaccavo la testa sulle traduzioni. Lasciamo lì sospesa per un attimo la risposta, la riprenderemo in seguito.
In questi anni, la scuola e la società stanno rincorrendo faticosamente il «qui ed ora», il metodo, ciò che è utile, quantificabile, spendibile, efficiente e funzionale. A noi docenti viene chiesto, giustamente, di essere tecnici della didattica, il che significa concretamente: progettare e compilare protocolli, programmazioni, monitoraggi, griglie di valutazione e autovalutazione; utilizzare tecniche e tecnologie diverse per favorire l’apprendimento degli studenti; coordinare team, commissioni e progetti. Chiariamo un punto, prima dell’accusa di essere reazionaria: io faccio coding coi miei ragazzi e lo ritengo importante, sono nel gruppo di autovalutazione della mia scuola, impiego quotidianamente le nuove tecnologie, utilizzo una piattaforma di e-learnig, navigo parecchio in rete, non mi arrischio con la robotica per limiti personali, ma cerco di spingere perché il mio istituto si muova in tal senso. Eppure, sempre più spesso, provo una certa insofferenza verso questa necessità di analisi, di griglie di monitoraggio e autovalutazione e verso la spasmodica ricerca di dimostrare, quantificare e scomporre gli apprendimenti. Al contempo, soprattutto alla scuola media, avverto forte la pressione a essere un docente flessibile e funzionale, un intrattenitore, uno che può insegnare qualunque cosa, dalla prevenzione alle sostanze, al pensiero computazionale, alle life skill, ma rigorosamente con metodi nuovi e accattivanti. Ma io sono un insegnante di lettere e voglio restarlo (senza dimenticare tutto il resto). Cosa fare, da dove partire, dunque? Credo che il mio primo compito come docente di italiano alla scuola media sia l’educazione linguistica fatta anche attraverso la letteratura: riscrivere “Alla sera” in un linguaggio moderno è un esercizio di interpretazione, di lessico, di grammatica, di ermeneutica insomma. E così, nella penna di Simone, lo spirto guerrier ch’entro me rugge è diventato, dopo innumerevoli passaggi (parafrasi letterale, parafrasi interpretativa, riscrittura personale) quel demonio mai in pace assetato di lotta che urla dentro di me. Con buona pace di Foscolo. La letteratura è disciplina aperta e reticolare, ingresso in altri mondi, è bellezza e passione, è parola che ha infinite possibilità: a noi docenti il compito di mediare tutto ciò, utilizzando strumenti diversi in cui trovano spazio le tecnologie, la lezione frontale, i laboratori di scrittura, tutti i testi e i media possibili, perché la didattica è vincente solo se integrata. Ci sono i testi, ci sono i ragazzi, ci siamo noi: come innestare il dialogo? Usando un fil rouge necessario all’insegnamento: la passione, perché senza passione non c’è insegnamento, non c’è relazione.
Dobbiamo insegnare la passione
«Di tutti questi tre anni, a me è piaciuta solo la Divina Commedia: me la ricordo ancora bene». Kevin è uno di quegli studenti che ti mettono in croce: il suo percorso scolastico è drammatico anche se abbiamo provato veramente di tutto. Se dovessi essere valutata in base ai suoi risultati scolastici, sarei immediatamente licenziata: scrive in modo semplice e spesso scorretto, non ha mai fatto un compito di grammatica, usa un lessico da strada. Eppure Dante lo ha catturato, lo ha appassionato: io non so se può bastare, anzi presumibilmente no, ma ho imparato stando coi ragazzi che il poco può essere tantissimo, tutto dipende dallo sguardo con cui li si guarda. Noi, in classe, non leggiamo le opere per descriverle, ma per capirle e vivere un po’ con loro, per farci conquistare e per appassionarci: sono felice che Kevin sia stato in compagnia di Dante e so che senza la scuola ciò non sarebbe stato possibile. La prima volta che sono entrata in un’aula ho avuto la certezza di aver trovato il luogo in cui la mia passione per la letteratura e per i ragazzi avrebbe potuto prendere forma: ancora oggi è un sentimento che provo, ben conscia della fatica. E’ dalla passione che scaturisce la mia voglia di ricerca e studio di testi, di metodi, di approcci, essa è la chiave fondamentale per far nascere la curiosità, l’attrazione e dunque il sapere. Attenzione, per passione non intendo le parole tronfie dei parolai, quelli per cui tutto è bello, facile e grandioso: quella di Madame Bovary non è passione, è distruzione ed egoismo. La passione è umiltà, è costanza, è serietà, è il tempo dilatato e continuo dello studio: senza passione non c’è conoscenza. Ed essa è contagiosa: di fronte a un docente appassionato gli studenti non potranno che riconoscerne la coerenza e quantomeno domandarsi ma cos’ha di così speciale quella roba lì per cui ‘sto tizio si infervora tanto? Noi docenti abbiamo il compito preciso non di insegnare con passione, ma di insegnare e testimoniare la passione, ben consapevoli che questo non significa automaticamente che i ragazzi studieranno e si appassioneranno a loro volta. La nostra passione si misura dall’accuratezza con cui prepariamo una lezione, dalla cura con cui ci sforziamo di farla apprendere, da come viviamo la scuola e il nostro essere intellettuali. Le tre passioni necessarie: studio, relazione, partecipazione (ovvero amore per la materia, per i ragazzi, per la scuola). Qualche settimana fa sono entrata in classe e la Lim (lavagna interattiva multimediale) non ne voleva sapere di accendersi, così ed è stata provvisoriamente sostituita dalla cara vecchia lavagna d'ardesia che non usavo da 10 anni. Quella mattina è andato a farsi benedire tutto il lavoro preparato: con me avevo solo «Ed è subito sera» di Quasimodo. Ho scritto la poesia alla lavagna e dato loro i nostri tradizionali venti minuti per scrivere cosa per loro significasse la poesia, provando a fare una parafrasi non letterale. Alla fine Irene se ne è uscita con questa parafrasi:
«Tutti stanno soli in se stessi, trapassati da un attimo di felicità che subito finisce con la morte. Penso sia vero che ognuno è solo con se stesso, condividendo solo dentro di sé cosa realmente pensa delle cose e delle persone, poi tutto finisce. Questa poesia ci fa capire che nulla è infinito». Ho poi spiegato il significato di poesia ermetica e Alessandro ha colto provocatoriamente nel segno chiedendomi: «Prof. ma se la poesia è chiusa come un barattolo con chiusura ermetica, se la apriamo e la spieghiamo, fa la muffa come i sottaceti?» E allora abbiamo discusso se si possa spiegare la poesia, su cosa si perda traducendola in prosa, sul senso di fare poesie dal significato criptato e nascosto. La loro conclusione è che la poesia va spiegata, ma non troppo (perdonateli, sono all’esordio con la letteratura). Mi sono accorta che, anche se la LIM mi aveva abbandonato e non avevo potuto mostrare video, schemi e ammennicoli vari, c'era tutto il necessario: i versi, il dialogo, il professore e i ragazzi. Il fondamento della scuola sono i testi, la relazione tra docente e studente e la partecipazione con l’ambiente intorno. Noi docenti dobbiamo essere cultori della nostra materia e continuare a studiarla; non dobbiamo focalizzarci solo sulla didattica, su come si insegna, ma è necessario che teniamo desta l’attenzione sui contenuti che portiamo in classe, su ciò che insegniamo: quella è e deve essere la nostra prima vera passione. Ma attenzione, fare il docente a scuola non è essere un critico letterario o un docente universitario: noi siamo lì con e per gli studenti, inseriti in un contesto preciso; non possiamo sottrarci alla relazione, che non è relazione amicale, di supporto, di cura. E’ relazione tra docente e discente per l’acquisizione del sapere. Il docente lavora a scuola, insieme ad altri docenti, non è una monade che entra dal portone ed esce: deve partecipare attivamente alla vita del suo istituto e non solo a ciò che gli compete per obblighi di un contratto rimasto ad un tempo passato. Mi stupisco sempre che nella scuola ci siano persone con mille incarichi ed altre che non ne accettano alcuno: il nostro lavoro non può e non deve esaurirsi nell’aula e nel tavolo su cui studiamo e correggiamo le verifiche. La passione per la scuola è fondamentale. Un professore, un maestro che non studia costantemente, non entra in relazione con gli studenti e non partecipa alla vita della scuola non è un professore, non è un maestro, non è un professionista, è solo "uno di passaggio”, di cui non rimarrà nulla, un’occasione sprecata per sé e per gli altri. Ah, per tornare all’inizio, se vi chiedete cosa io abbia risposto alla domanda di Enrico: «A che serve scrivere una poesia futurista?» questa è stata la mia risposta: «A niente, ovvio. Ma è stato bello no? Avete dato un senso e un significato a qualcosa che prima vi era oscuro.» Mi ha sorriso e annuito. E io sono certa abbia capito.