1/ «Tutti abbiamo la stessa possibilità di crescere, di andare avanti, di amare il Signore, di fare cose buone, di capire la dottrina cristiana, e tutti abbiamo la stessa possibilità di ricevere i sacramenti. Capito? Quando, tanti anni fa – cento anni fa, o di più – il Papa Pio X disse che si doveva dare la comunione ai bambini, tanti si sono scandalizzati. “Ma quel bambino non capisce, è diverso, non capisce bene…”. “Date la comunione ai bambini”, ha detto il Papa, e ha fatto di una diversità una uguaglianza, perché lui sapeva che il bambino capisce in un altro modo». Udienza di papa Francesco ai partecipanti al Convegno per persone disabili 2/ «Conosciamo l’obiezione che, soprattutto in questi tempi, viene mossa davanti a un’esistenza segnata da forti limitazioni fisiche. Si ritiene che una persona malata o disabile non possa essere felice. Invece il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente “perfette”, per non dire “truccate”, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto. E’ sempre una questione di amore, non c’è un’altra strada. La vera sfida è quella di chi ama di più. Quante persone disabili e sofferenti si riaprono alla vita appena scoprono di essere amate!». Papa Francesco nella messa per il Giubileo degli ammalati e delle persone disabili
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1/ «Tutti abbiamo la stessa possibilità di crescere, di andare avanti, di amare il Signore, di fare cose buone, di capire la dottrina cristiana, e tutti abbiamo la stessa possibilità di ricevere i sacramenti. Capito? Quando, tanti anni fa – cento anni fa, o di più – il Papa Pio X disse che si doveva dare la comunione ai bambini, tanti si sono scandalizzati. “Ma quel bambino non capisce, è diverso, non capisce bene…”. “Date la comunione ai bambini”, ha detto il Papa, e ha fatto di una diversità una uguaglianza, perché lui sapeva che il bambino capisce in un altro modo». Udienza di papa Francesco ai partecipanti al Convegno per persone disabili
Riprendiamo sul nostro sito il discorso tenuto da papa Francesco nell’udienza ai partecipanti al Convegno per persone disabili promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana l’11/6/2016. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Disabilità e catechesi nella sezione Catechesi, scuola e famiglia. Cfr. anche la Playlist Disabilità e catechesi nel Canale YouTube Catechisti Roma.
Il Centro culturale Gli scritti (14/6/2016)
La prima domanda era molto ricca, molto ricca. E parlava delle diversità. Tutti siamo diversi: non c’è uno che sia uguale all’altro. Ci sono alcune diversità più grandi o più piccole, ma tutti siamo diversi. E lei, la ragazza che ha fatto la domanda, diceva: “Tante volte abbiamo paura delle diversità”. Ci fanno paura. Perché? Perché andare incontro a una persona che ha una diversità non diciamo forte, ma grande, è una sfida, e ogni sfida ci fa paura. E’ più comodo non muoversi, è più comodo ignorare le diversità e dire: “Tutti siamo uguali, e se c’è qualcuno che non è tanto ‘uguale’, lasciamolo da parte, non andiamo incontro”. E’ la paura che ci fa ogni sfida; ogni sfida ci impaurisce, ci fa paura, ci rende un po’ timorosi. Ma no! Le diversità sono proprio la ricchezza, perché io ho una cosa, tu ne hai un’altra, e con queste due facciamo una cosa più bella, più grande. E così possiamo andare avanti. Pensiamo a un mondo dove tutti siano uguali: sarebbe un mondo noioso! E’ vero che alcune diversità sono dolorose, tutti lo sappiamo, quelle che hanno radici in alcune malattie… ma anche quelle diversità ci aiutano, ci sfidano e ci arricchiscono. Per questo, non bisogna avere mai paura delle diversità: quella è proprio la strada per migliorare, per essere più belli e più ricchi.
E come si fa questo? Mettendo in comune quello che abbiamo. Mettere in comune. C’è un gesto bellissimo che noi persone umane abbiamo, un gesto che facciamo quasi senza pensarci, ma è un gesto molto profondo: stringere la mano. Quando io stringo la mano, metto in comune quello che ho con te – se è uno stringere la mano sincero –: ti do la mano, ti do ciò che è mio e tu mi dai ciò che è tuo. E questa è una cosa che fa bene a tutti. Andiamo avanti con le diversità, perché le diversità sono una sfida ma ci fanno crescere. E pensiamo che ogni volta che io stringo la mano a un altro, do qualcosa del mio e ricevo qualcosa di lui. Anche questo ci fa crescere. Questo è ciò che mi viene come risposta alla prima domanda.
Ho dimenticato qualcosa della prima domanda, ma la dirò adesso con questa che ha fatto Serena. Serena mi mette in difficoltà, perché se io dico quello che penso… Ha parlato poco, tre/quattro righe, ma le ha dette con forza! Serena ha parlato di una delle cose più brutte che ci sono fra noi: la discriminazione. E’ una cosa bruttissima! “Tu non sei come me, tu vai di là e io di qua”. “Ma, io vorrei fare la catechesi…” – “In questa parrocchia no. Questa parrocchia è per quelli che si assomigliano, non ci sono differenze…”. Questa parrocchia è buona o no? [Aula:Nooo!] Che cosa deve fare, il parroco?... Convertirsi? E’ vero che se tu vuoi fare la comunione, devi avere una preparazione; e se tu non capisci questa lingua, per esempio se sei sordo, devi avere la possibilità in quella parrocchia di prepararti con il linguaggio dei sordi. Ecco, questo è importante! Se sei diverso, anche tu hai la possibilità di essere il migliore, questo è vero. La diversità non dice che chi ha i cinque sensi che funzionano bene sia migliore di chi – per esempio – è sordomuto. No! Questo non è vero! Tutti abbiamo la stessa possibilità di crescere, di andare avanti, di amare il Signore, di fare cose buone, di capire la dottrina cristiana, e tutti abbiamo la stessa possibilità di ricevere i sacramenti. Capito? Quando, tanti anni fa – cento anni fa, o di più – il Papa Pio X disse che si doveva dare la comunione ai bambini, tanti si sono scandalizzati. “Ma quel bambino non capisce, è diverso, non capisce bene…”. “Date la comunione ai bambini”, ha detto il Papa, e ha fatto di una diversità una uguaglianza, perché lui sapeva che il bambino capisce in un altro modo. Quando ci sono diversità fra noi, si capisce in un altro modo. Anche a scuola, nel quartiere, ognuno ha la sua ricchezza, è diverso, è come se parlasse un’altra lingua. E’ diverso, perché si esprime in un modo diverso. E questo fatto è una ricchezza. Quello che ha detto Serena succede, tante volte; succede tante volte ed è una delle cose più brutte, più brutte delle nostre città, della nostra vita: la discriminazione. Con parole offensive, anche. Non si può essere discriminati.
Ognuno di noi ha un modo di conoscere le cose che è diverso: uno conosce in una maniera, uno conosce in un’altra, ma tutti possono conoscere Dio. [Una bambina si avvicina al Papa] Vieni, vieni… Questa è coraggiosa! Vieni… Questa non ha paura, questa rischia, sa che le diversità sono una ricchezza; rischia, e ci ha dato una lezione. Questa mai sarà discriminata, sa difendersi da sola! Ecco. Serena, non so se ho risposto alla tua domanda. Nella parrocchia, nella Messa, nei Sacramenti, tutti sono uguali, perché tutti hanno lo stesso Signore: Gesù, e la stessa mamma: la Madonna. Capito?
[Si avvicina un’altra bimba] Vieni, vieni… Un’altra coraggiosa.
Il padre che ha parlato prima ha fatto alcune domande che sono collegate a quello che ha detto Serena: come accogliere tutti. Ma se tu… – non dico a te, perché so che tu accogli tutti –; ma pensa a un sacerdote che non accoglie tutti: che consiglio darebbe il Papa? “Chiudi la porta della chiesa, per favore!”. O tutti, o nessuno. “Ma no – pensiamo a quel prete che si difende – ma no, Padre, no, non è così; io capisco tutti, ma non posso accogliere tutti perché non tutti sono capaci di capire…” – “Sei tu che non sei capace di capire!”. Quello che deve fare il prete, aiutato dai laici, dai catechisti, da tanta, tanta gente, è aiutare tutti a capire: a capire la fede, a capire l’amore, a capire come essere amici, a capire le differenze, a capire come le cose sono complementari, uno può dare una cosa e l’altro può darne un’altra. Questo è aiutare a capire. E tu hai usato due parole belle: accogliere e ascoltare. Accogliere, cioè ricevere tutti, tutti. E ascoltare tutti. Vi dico una cosa. Credo che oggi nella pastorale della Chiesa si fanno tante cose belle, tante cose buone: nella catechesi, nella liturgia, nella carità, con gli ammalati… tante cose buone. Ma c’è una cosa che si deve fare di più, anche i sacerdoti, anche i laici, ma soprattutto i sacerdoti devono fare di più: l’apostolato dell’orecchio: ascoltare! “Ma, Padre, è noioso ascoltare, perché sono sempre le stesse storie, le stesse cose…” – “Ma non sono le stesse persone, e il Signore è nel cuore di ognuna delle persone, e tu devi avere la pazienza di ascoltare”. Accogliere e ascoltare. Tutti. E credo che con questo ho risposto alle domande.
Io avevo preparato per voi un discorso, e il Prefetto [della Casa Pontificia] lo consegnerà perché sia conosciuto da tutti. Perché leggere un discorso è anche un po’ noioso… E c’è un momento, quando uno legge un discorso, in cui, con una certa furbizia, incominciano a guardare l’orologio, come per dire: “Ma quando finirà di parlare, questo?”. Perciò il discorso lo leggerete voi.
Vi ringrazio tanto per questo dialogo, per questa visita, per questa bellezza delle diversità che fanno comunità: l’una dà all’altra e viceversa, e tutte fanno l’unità della Chiesa. Grazie tante. E pregate per me.
[Si avvicina un bambino] Vieni, vieni anche tu…
Adesso, rimanete seduti tranquilli, e come buoni figli preghiamo la Mamma, la Madonna. Tutti insieme preghiamo la Madonna. Ave, Maria…
[Benedizione]
E per favore pregate per me. Grazie.
2/ «Conosciamo l’obiezione che, soprattutto in questi tempi, viene mossa davanti a un’esistenza segnata da forti limitazioni fisiche. Si ritiene che una persona malata o disabile non possa essere felice. Invece il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente “perfette”, per non dire “truccate”, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto. E’ sempre una questione di amore, non c’è un’altra strada. La vera sfida è quella di chi ama di più. Quante persone disabili e sofferenti si riaprono alla vita appena scoprono di essere amate!». Papa Francesco nella messa per il Giubileo degli ammalati e delle persone disabili
Riprendiamo sul nostro sito l’omelia di papa Francesco nella Messa del 12/6/2016 in occasione del Giubileo delle persone malate e disabili. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Disabilità e catechesi nella sezione Catechesi, scuola e famiglia. Cfr. anche la Playlist Disabilità e catechesi nel Canale YouTube Catechisti Roma.
Il Centro culturale Gli scritti (14/6/2016)
«Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,19). L’apostolo Paolo usa parole molto forti per esprimere il mistero della vita cristiana: tutto si riassume nel dinamismo pasquale di morte e risurrezione, ricevuto nel Battesimo. Infatti, con l’immersione nell’acqua ognuno è come se fosse morto e sepolto con Cristo (cfr Rm 6,3-4), mentre, quando riemerge da essa, manifesta la vita nuova nello Spirito Santo. Questa condizione di rinascita coinvolge l’intera esistenza, in ogni suo aspetto: anche la malattia, la sofferenza e la morte sono inserite in Cristo, e trovano in Lui il loro senso ultimo. Oggi, nella giornata giubilare dedicata a quanti portano i segni della malattia e della disabilità, questa Parola di vita trova nella nostra Assemblea una particolare risonanza.
In realtà, tutti prima o poi siamo chiamati a confrontarci, talvolta a scontrarci, con le fragilità e le malattie nostre e altrui. E quanti volti diversi assumono queste esperienze così tipicamente e drammaticamente umane! In ogni caso, esse pongono in maniera più acuta e pressante l’interrogativo sul senso dell’esistenza. Nel nostro animo può subentrare anche un atteggiamento cinico, come se tutto si potesse risolvere subendo o contando solo sulle proprie forze. Altre volte, all’opposto, si ripone tutta la fiducia nelle scoperte della scienza, pensando che certamente in qualche parte del mondo esiste una medicina in grado di guarire la malattia. Purtroppo non è così, e anche se quella medicina ci fosse, sarebbe accessibile a pochissime persone.
La natura umana, ferita dal peccato, porta inscritta in sé la realtà del limite. Conosciamo l’obiezione che, soprattutto in questi tempi, viene mossa davanti a un’esistenza segnata da forti limitazioni fisiche. Si ritiene che una persona malata o disabile non possa essere felice, perché incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del piacere e del divertimento. Nell’epoca in cui una certa cura del corpo è divenuta mito di massa e dunque affare economico, ciò che è imperfetto deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati e mette in crisi il modello dominante. Meglio tenere queste persone separate, in qualche “recinto” – magari dorato – o nelle “riserve” del pietismo e dell’assistenzialismo, perché non intralcino il ritmo del falso benessere. In alcuni casi, addirittura, si sostiene che è meglio sbarazzarsene quanto prima, perché diventano un peso economico insostenibile in un tempo di crisi. Ma, in realtà, quale illusione vive l’uomo di oggi quando chiude gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità! Egli non comprende il vero senso della vita, che comporta anche l’accettazione della sofferenza e del limite. Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente “perfette”, per non dire “truccate”, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto. Come sono vere le parole dell’apostolo: «Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti» (1 Cor 1,27)!
Anche il Vangelo di questa domenica (Lc 7,36–8,3) presenta una particolare situazione di debolezza. La donna peccatrice viene giudicata ed emarginata, mentre Gesù la accoglie e la difende: «Ha molto amato» (v. 47). E’ questa la conclusione di Gesù, attento alla sofferenza e al pianto di quella persona. La sua tenerezza è segno dell’amore che Dio riserva per coloro che soffrono e sono esclusi. Non esiste solo la sofferenza fisica; oggi, una delle patologie più frequenti è anche quella che tocca lo spirito. E’ una sofferenza che coinvolge l’animo e lo rende triste perché privo di amore. La patologia della tristezza. Quando si fa esperienza della delusione o del tradimento nelle relazioni importanti, allora ci si scopre vulnerabili, deboli e senza difese. La tentazione di rinchiudersi in sé stessi si fa molto forte, e si rischia di perdere l’occasione della vita: amare nonostante tutto. Amare nonostante tutto!
La felicità che ognuno desidera, d’altronde, può esprimersi in tanti modi e può essere raggiunta solo se siamo capaci di amare. Questa è la strada. E’ sempre una questione di amore, non c’è un’altra strada. La vera sfida è quella di chi ama di più. Quante persone disabili e sofferenti si riaprono alla vita appena scoprono di essere amate! E quanto amore può sgorgare da un cuore anche solo per un sorriso! La terapia del sorriso. Allora la fragilità stessa può diventare conforto e sostegno alla nostra solitudine. Gesù, nella sua passione, ci ha amato sino alla fine (cfr Gv 13,1); sulla croce ha rivelato l’Amore che si dona senza limiti. Che cosa potremmo rimproverare a Dio per le nostre infermità e sofferenze che non sia già impresso sul volto del suo Figlio crocifisso? Al suo dolore fisico si aggiungono la derisione, l’emarginazione e il compatimento, mentre Egli risponde con la misericordia che tutti accoglie e tutti perdona: «per le sue piaghe siamo stati guariti» (Is 53,5; 1 Pt 2,24). Gesù è il medico che guarisce con la medicina dell’amore, perché prende su di sé la nostra sofferenza e la redime. Noi sappiamo che Dio sa comprendere le nostre infermità, perché Lui stesso le ha provate in prima persona (cfr Eb 4,15).
Il modo in cui viviamo la malattia e la disabilità è indice dell’amore che siamo disposti a offrire. Il modo in cui affrontiamo la sofferenza e il limite è criterio della nostra libertà di dare senso alle esperienze della vita, anche quando ci appaiono assurde e non meritate. Non lasciamoci turbare, pertanto, da queste tribolazioni (cfr 1 Ts 3,3). Sappiamo che nella debolezza possiamo diventare forti (cfr 2 Cor 12,10), e ricevere la grazia di completare ciò che manca in noi delle sofferenze di Cristo, a favore della Chiesa suo corpo (cfr Col 1,24); un corpo che, ad immagine di quello del Signore risorto, conserva le piaghe, segno della dura lotta, ma sono piaghe trasfigurate per sempre dall’amore.