Sul senso religioso. Lettera pastorale dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini (poi papa Paolo VI) all'arcidiocesi ambrosiana per la Quaresima 1957. «Occorre una riabilitazione razionale del senso religioso. Dobbiamo comprendere come esso sia non solo parte naturale e spontanea, ma legittima, della psicologia umana; e non solo legittima, ma parte necessaria e bellissima. È stato troppo confuso con forme inferiori dello spirito, imperfette, infantili, sentimentali, ingenue, superstiziose; bisogna assegnargli il posto e la funzione che gli sono dovuti. L'uomo insensibile alla religione non è un essere affrancato da un antico complesso d'inferiorità; è lui stesso un essere diminuito e mortificato. La libertà maggiore, di cui sembra godere, è quella dell'ignorante che non conosce le regole del gioco e se ne spaccia maestro. Bisogna ricordare tutto questo per avere un'immensa riverenza per il fanciullo. Già gli è dovuta come nuova e tenera creatura della terra; ricordate il saggio pagano Giovenale: “Grande rispetto è dovuto al fanciullo”»

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 15 /05 /2016 - 22:00 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito www.chiesadimilano.it la Lettera pastorale dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini all'arcidiocesi ambrosiana per la Quaresima 1957. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Catechesi, scuola e famiglia.

Il Centro culturale Gli scritti (15/5/2016)

Venerabili Confratelli e diletti Figli,

Il periodo quaresimale, al quale ci appressiamo, ci invita tutti a ripensare ai nostri rapporti con Dio ed a conformare la nostra vita alle esigenze ed alle grazie, che da tali rapporti derivano, come nostro Signor Gesù Cristo ha rivelato ed ha stabilito, quale mediatore fra gli uomini e Dio, instaurando quella religione nella quale sola possiamo trovare salvezza.

Immenso è questo disegno, che descrive l'arco misterioso che congiun­ge terra e cielo, e trova in Cristo il suo centro (cfr. Eph. 1, l0). Noi ci limitiamo, questa volta, a considerare un unico punto di esso, quello a noi vicino, quello che da noi parte e di cui noi abbiamo qualche naturale esperienza, quello che la nostra capacità umana dovrebbe curare ed educare, perché corrisponda al piano della divina rivelazione; vogliamo dire la nostra umana attitudine alla vita religiosa. Vogliamo parlarvi brevemente del senso religioso.

L'argomento non ci è suggerito da speculazioni particolari, quanto piuttosto dall'esperienza pastorale, dalla conoscenza cioè e dal contatto che andiamo prendendo col nostro popolo fedele e con la società profana che ci cir­conda

Ministri di Dio, noi siamo obbligati a fare del senso religioso campo nostro lavoro, oggetto del nostro interesse, materia delle nostre cure; lo vorremmo vigile, retto, pronto agli atti che gli sono propri; lo vorremmo diffuso negli animi e nella condotta degli uomini, alimentato, guidato, sublimato dalla fede e dalla grazia di Cristo.

Ardente in alcuni, lo troviamo debole, assopito, intermittente, talvolta spento in molti altri; soffocato, deriso, sostituito da altri sentimenti, in quelli che reputano la religione espressione inferiore e superata dello spirito umano, o la negano e la odiano, secondo le forme ormai molteplici dell'ateismo, o dell'empietà, o dell'irreligiosità moderna.

Ecco: davanti a noi si stende il panorama del nostro mondo contemporaneo, pieno di vita, di pensiero, di attività, di conquiste. La città terrena va trasformandosi e costruendosi in nuove e grandi forme di civiltà. L'uomo cresce: di numero, di cultura, di potenza. Studi ed affari, imprese ed interessi, macchine e soldi, viaggi e ricchezze, divertimenti e piaceri, sogni e progetti assorbono il suo spirito, che si è fatto chiaro, calcolatore, operoso, sociale, edonista. L’attualità lo prende. Anche le sue speranze sono diventate dinamiche per il presente. La terra è il suo regno. Ed il regno dei cieli? E la vita futura? E il destino soprannaturale dell'uomo? E il mistero della vita e dell'universo? E Dio? L'uomo moderno va perdendo il senso religioso.

Ecco perché ci sembra importante, venerabili Fratelli e carissimi Figli, richiamare la vostra attenzione su questo primo gradino della vita religiosa e morale, che reputiamo soggettivamente fondamentale sia per quanto ri­guarda l'ordine dei nostri pensieri, sia per le conseguenze pratiche che ne derivano.

Vediamo, intanto di chiarire, con la semplicità propria d'una Lettera pastorale che cosa intendiamo per senso religioso. L'espressione sembra vaga ed incerta, perché si riferisce a particolari atti dello spirito, i quali sono per ciò stesso di difficile definizione, ed hanno spesso le più varie interpretazioni.

Di queste non parleremo, anche se la cultura moderna ne ha volgarizzate parecchie, sia nel campo degli studi filosofici, etnici, psicologici, che in quello degli studi propriamente religiosi. Accenniamo soltanto ad una, quella del modernismo, il quale, partendo da premesse agnostiche, ha dato un'interpre­tazione immanentistica al senso religioso, e lo ha fatto scaturire dalle penombre della subcoscienza, quasi un bisogno del divino, che va creandosi il suo termine, e che diventando così cosciente e combinandosi con qualche dato storico e sensibile, si afferma come fede e religione. E ricordiamo come questa valutazione abusiva del senso religioso abbia avuto esplicita e meritata condanna nella famosa Enciclica Pascendi del Santo Pontefice Pio X, nel 1907.

Noi diremo piuttosto che il senso religioso è un'attitudine naturale dell'essere umano a percepire qualche nostra relazione con la divinità.

E lo diremo sentimento religioso quando questa attitudine si pone in esercizio, quando cioè si riempie delle percezioni sue proprie, sebbene nel linguaggio corrente spesso senso e sentimento religioso siano usati liberamente l'uno per l'altro.

E notiamo subito che il senso religioso non è in tutti egualmente vivo e sviluppato, sia riguardo al possesso nativo: vi è chi ha una sensibilità religiosa più pronta e più fine, chi invece più tarda e più ottusa, come l'orecchio musicale; e sia riguardo all'educazione o alla trascuranza, che si è data a questo dono dello spirito. I bambini, i puri di cuore, i veglianti, i sapienti, i mistici hanno, in forme diverse, questa stupenda attitudine in grado superiore.

Questa attitudine può essere perfezionata da un fattore soprannaturale, la grazia; e sappiamo quanto questo dono divino infonda finezza e vigore al senso religioso naturale, abilitandolo ad aspirazioni ed a percezioni supe­riori.

Quando, ad esempio, la Sacra Scrittura parla d'uno «spirito» che vivifica (cfr. Is. 42, 1; Ps. 50, 12; Zach. 12, l0; Ez. 36, 26; Act. 2, 17-18) o parla d'un «senso» nuovo (cfr. Rom. 12,2; Phil. 1,9; 1 Jo 5,20) o del «senso di Cristo» (I Cor 2, 16), noi pensiamo che si possano applicare queste espressioni anche all'accresciuta capacità e vivacità del senso religioso naturale, in cui l'afflato d'un soprannaturale carisma è stato infuso.

I moderni chiamano tutte queste incipienti manifestazioni spirituali col termine comprensivo di religiosità, indicando così la propensione alle cose di religione. Esso indica cioè l'aspetto soggettivo del fatto religioso, la disposizione dell'anima a intuire ed a cercare Dio, a trattare con Lui, a credere, a pregare. ad amare Dio, ad avvertire il carattere sacro delle cose o delle persone, a connettere una responsabilità trascendente all'operare umano. Dà in concreto la misura di quanto un soggetto umano, e non soltanto la natura umana considerata in astratto, sia capax Dei[1], capace di Dio.

Per comprendere l'importanza dell'argomento dobbiamo accennare ad altri termini, che, più o meno esattamente, sono comunemente impiegati per desi­gnare questa propensione dell'uomo verso Dio. Ricordiamo così ciò che gli antichi chiamavano, e che ancor oggi il buon popolo cristiano chiama, il timor di Dio, non già come dono conseguente alla fede (cfr. S. Th., II, II,7, l) e alla grazia (cfr. S. Th., II, II,19, 9), o nel significato preciso di perplessità e di paura, quanto piuttosto di coscienza del sovrano ed onnipresente Essere divino, al Quale, appena avvertito, ci attrae e dal Quale ci respinge una spontanea soggezione. (cfr. Lc. 5, 8). Con S. Tommaso, lo potremmo ascrivere fra le native aspirazioni (vires appetitivae) dell'uomo, soggette all'impero della ragione, ma che si orientano istintivamente a Dio, quasi condotte da un potere superiore (II, II,68, 4).

Altri parlano di pietà, come d'una delle manifestazioni dello spirito umano, più connaturate, più nobili, più feconde, a cui pensiero, amore, arte, vita hanno dato tributo d’inestimabili tesori e da cui hanno avuto inesauribili fonti di superiori energie. Ma la pietà è già atto religioso consumato, e designa l'uomo presente a Dio in amorosa riverenza (cfr. De Luca, Arch.)[2]. Altri parlano di religione, genericamente.

Ma qui [vogliamo] per ora considerare il senso religioso come l'apertura dell'uomo verso Dio, l’inclinazione dell'uomo verso il suo principio e verso il suo ultimo destino; l’avvertenza indistinta, balenata intuitivamente alla sua coscienza, del proprio essere dipendente e responsabile; il pronunciamento informe e naturale dell’anima circa il proprio arcano rapporto verso l'Essere supremo; il nativo gesto della natura umana in atteggiamento di adorazione e di supplica; l’esigenza dello spirito verso un Infinito personale, come dell'occhio verso la luce del fiore verso il sole.

E’ importante ed è bello notare come questa primigenia direzione dell'uomo deriva dalla  intrinseca ed essenziale struttura. Ricordiamo la celebre frase di Sant'Agostino: Fecisti nos ad Te; Tu, o Signore ci hai fatti rivolti a Te (Conf. 1,1)

Questo ci sembra il senso religioso. Non è, come si vede, espressione ben  determinata, ma è ormai entrata nell'uso per indicare quanto vi è di immediato e di soggettivo nel fatto religioso. È, in un certo senso, anteriore al ragiona­mento, ma trae dalla realtà la sua ragion d'essere. «Movimento religioso della natura umana, se non è per vizio mentale o morale pervertita, o addirittura accecata» (Spiazzi). Più precisamente, si tratta di «una conoscenza pre­filosofica, che è virtualmente metafisica». (Maritain, Approches de Dieu, Alsatia, Paris, s.d.). E all'analisi accurata ed onesta questa immediata percezione religiosa rivela un implicito e rapidissimo ragionamento, che qui sarebbe lungo descrivere, e ci riporta a quelle «vie» che salgono alla certezza dell'esistenza di Dio, ed a quelle che tentano di sapere qualche cosa di Lui: le une e le altre lo dicono sostanzialmente valido e ben orientato. Maestri attendibili classificano il senso religioso nel senso comune, e questo dimostrano essere la riserva delle certezze primordiali e fondamentali, proprie della ragione naturale spontanea, che ha l'intuizione dei primi principi e che ha nell'essere il suo oggetto formale.

Altri infine parlano di esperienza religiosa, altri di idea religiosa.

Ma per concludere su questo punto potremmo, più completamente, attribuire alla espressione considerata di «senso religioso» il significato ricco e complesso di orientamento - istintivo, cosciente, razionale e morale, sia naturale, che soprannaturale - della vita umana verso Dio.

Noi dovremmo documentare con la parola di Dio, contenuta nella Sacra Scrittura, quale sia la considerazione dovuta a questa insita vocazione, naturale prima e poi soprannaturale, che portiamo in noi, e che qui designiamo col termine di senso religioso. Ma sarebbe assai lungo il farlo, anche se meravigliosamente istruttivo, perché tutta la Rivelazione annuncia tale vocazione, la ammette, la stimola, la educa, la corregge, la eleva, la soddisfa, la beatifica. Il grande e ineffabile dialogo tra Dio e l'uomo, che costituisce appunto la nostra religione, suppone nell'uomo stesso un'attitudine recettiva particolare. Se l'uomo cerca ed ascolta la parola di Dio, la Verità salvatrice entra nell'anima e genera nuovi rapporti fra Dio e l'uomo, la fede, la vita soprannaturale. Ma se l'uomo non ascolta, Dio parla invano; un dramma tremendo si apre. Dappertutto nella Bibbia si presenta questa alternativa decisiva. L'ascoltare dell'uomo è atto, per eccellenza, razionale e volontario, pieno e cosciente dell'ossequio tributato a Dio rivelante (cfr. Rom. 1, 19-20; 2, 15; 10,17; 12, 1; I Thess. 2, 13; ecc.), ma suppone una maturazione interiore, lavorata dalla grazia, d'una nativa e onesta disposizione all'incontro con Dio. A questa disposizione umana al divino si riferiscono innumerevoli passi della Sacra Scrittura; anzi questo rife­rimento forma uno dei temi ricorrenti del libro divino, sempre rivolto a risve­gliare l'anima ed a suscitarvi sentimenti di ricerca religiosa, di attesa, di inquie­tudine, di rimorso, di speranza. Le storie bibliche, ad esempio, educano il senso religioso a scoprire i disegni di Dio negli avvenimenti e nella vita; i salmi sono un sospiro e un canto, in cui il senso religioso trova ispirata espressione; e quando i profeti alzano la loro voce, eco di quella divina, vogliono ridestare nel popolo la coscienza religiosa; così nel vangelo la predicazione del regno di Dio, e poi quella della vigilanza e della parusia sempre mirano a ravvivare il senso religioso, quasi indispensabile capacità di accogliere, comprendere, seguire i divini messaggi.

Né dissimile è l'insegnamento dei grandi spiriti che dalla scuola del Vangelo hanno attinto gli insegnanti per cui sono chiamati Dottori nella Chiesa di Dio. Ascoltiamo, ad esempio, il nostro Sant'Ambrogio nel suo commento al Salmo 118: «L'anima del giusto è come sposa del Verbo. Se essa desidera, se aspira, se prega, e prega assiduamente, prega senza discutere, e tutta si protende nel Verbo, d'un tratto le pare di udire la voce di lui, che pure non vede, e con intimo senso riconosce il profumo della sua divinità; ciò sperimentano per lo più coloro che bene credono. Subito si riempiono di grazia spirituale le narici dell’anima, che sente presso di sé il respiro della presenza di lui, che essa cerca, e dice: Ecco, è lui, ch'io ricerco, lui, ch'io desidero» (P.L. 15, 1270).

Questa è già esperienza religiosa consumata, a cui l'anima dei buoni può giungere; ma altra vi è, a cui ogni anima è inclinata. Ci insegna S. Agostino: «...non so quale intima coscienza invita, quasi pubblicamente e privatamente tutte le anime migliori a cercare Iddio e a servirlo» (De utilitate credendi, XVI, 34).

E che tale esperienza religiosa non sia contraria alla nostra razionalità, e che questa non possa in sé risolvere e vanificare la forma religiosa del pensiero, ci ammonirà ancora Sant'Agostino, che scrive: «...il principio dell'umana salvezza è che la filosofia, cioè la ricerca della sapienza, non è una cosa ed altra è la religione» (De vera religione, 8).

Venerabili Fratelli e diletti Figli,

Abbiamo voluto premettere qualche nozione, sorvolando su le profondità della delicatissima materia, perché crediamo che la questione religiosa contem­poranea vada principalmente studiata e risolta su questo piano, quello del senso religioso. Perché, ove questo mancasse, che varrebbe la nostra religione esteriore? Ci sentiremmo ammonire da Cristo: «Questo popolo mi onora con. le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (Mt. 15, 8). Per di più, al tempo nostro, ove il senso religioso mancasse anche la pratica religiosa presto verrebbe meno. È questo un punto capitale, a nostro avviso, per l'età in cui viviamo. Riportiamo perciò l'attenzione sopra il senso religioso, perché, sebbene esso non sia ancora la religione, ne costituisce tuttavia la base soggettiva, senza la  quale o la .religione rimane esteriore, formalista, inoperosa. e fragile - pericolo  di ieri e di sempre -, ovvero essa cade addirittura, - pericolo di oggi.           

Perciò poniamo la nostra attenzione pastorale su questo problema decisivo: come conservare, come tener desto, come indirizzare il nostro senso religioso?

Se questo costituisce il punto di partenza della nostra aspirazione alla con­cezione religiosa della vita e del mondo, e se esso costituisce il punto iniziale d'arrivo dell'ineffabile iniziativa di Dio desideroso di venire in comunione con noi, come disporremo questa nostra testa di ponte per ricevere l'Ospite trascen­dente? È chiaro che la vita religiosa sarà tanto più ricca e perfetta, quanto meglio la nostra capacità recettiva dei doni divini sarà predisposta ad accoglierli. Così è chiaro che, dove il senso religioso è pigro e spento, la venuta di Dio all'anima, trova la porta chiusa.

Inoltre il senso religioso, sintesi dello spirito, ricevendo la parola divina, impegna con la mente anche le altre facoltà, e dona un prezioso apporto, quella rispondenza cioè che noi chiamiamo il cuore, e diviene senso di presenza e di comunione, proprio della religione, facendo sì che la parola divina non sia ricevuta solo passivamente, ma in modo invece da ricavarne un caldo atto di vita.

Domandiamoci ora quali sono, in generale, le nostre presenti condizioni rispetto al senso religioso. .

Ed innanzi tutto vogliamo chiederci perché il nostro tempo sia in condizioni meno favorevoli al senso religioso che quello anteriore. Esso infatti non trova nell'atmosfera culturale, morale e sociale moderna le condizioni migliori per la sua difesa e per la sua educazione; e di conseguenza la vita religiosa facilmente decade.

L'osservazione è facile. Il popolo non ha oggi la sensibilità religiosa che aveva ieri. L'osservanza dei doveri religiosi esige ora maggiore fatica che non in passato. Le persone che sono più impegnate nelle attività caratteristiche della vita moderna: lo studio scientifico, il lavoro industriale, la macchina, la tecnica, la burocrazia, lo sport, l'economia, il divertimento, ecc., sono meno disposte all'atto religioso, che non quelle non ancora afferrate dalla febbre di questo intenso operare. Molta gioventù è affascinata dalla faccia fenomenica del mondo circostante, e subito è iniziata all'arte della critica corrosiva; arriva, si; ma non senza pazienza, e saggezza, e fatica di educatori ai valori dello spirito, alla sensibilità. religiosa, alla vita interiore; è, in genere, distratta, più tentata dal calcolo egoistico, che da ideali eroici, insofferente di raccoglimento, poco atta alla poesia, alla preghiera. Le vocazioni religiose non si pronunciano che con difficoltà nell'eccitazione esteriore, in cui si forma la psicologia della gioventù moderna.

.Anche la donna, più ricca dell'uomo di istinti vitali, e perciò di senso religioso, oggi risponde meno alla sua nativa chiamata alla pietà e alla bontà. Nell'ambito stesso dei credenti l'attività prevale su l'orazione, la vita esteriore su l'interiore, e talvolta la valutazione dei mezzi umani sembra soverchiare quella dei mezzi soprannaturali. La vita contemplativa è quasi deserta; la nostra società manca di silenziosi, di solitari, di ricchi d'interiorità, come manca di cenobi spirituali e di cori oranti, che guidino ed accompagnino l'incerto pellegrinare umano verso il suo supremo destino.

L'azione temporale, anche fra i cristiani, prevale, non solo per la presente necessità, che la impone come doverosa milizia, ma nella stima comune, come la sola pratica, la sola conclusiva.

La spiegazione invece è difficile. Implicherebbe lo studio dei più vasti e dei più complessi movimenti dello spirito moderno. Ma siccome questa analisi è stata compiuta già da autorevolissimi maestri, possiamo semplicemente indicare, fra i tanti, alcuni punti, molto generali, a cui si riducono le spiegazioni cercate.

1 - Il primo è l'umanesimo profano. Cioè lo sforzo di fare dell'uomo termine di se stesso e di tutte le cose. L'uomo al posto di Dio. Il fatto ha lunga storia, come ben si sa: l'uomo, inebriato del suo sapere e del suo potere, delle sue scoperte e dei suoi strumenti, tende ad affermare la sua autonomia, la sua supremazia, la sua sufficienza; dallo studio dell'essere è passato allo studio della coscienza, e si è creduto arbitro del suo pensiero; come poi ciò egli possa sostenere nella logica della ragione e nel corso della pratica è difficile dire; anzi, alla fine, appare assurdo; ma tant'è, così dev'essere; e l'idolatria dell'uomo viene a sostituire il culto di Dio. A questo antropocentrismo si rannodano numerosi sistemi filosofici, che hanno distolto lo spirito umano dal suo ordina­mento a Dio, con spegnimento del senso religioso, e con innumerevoli e indescrivibili perniciose conseguenze; citiamo, tanto per averli presenti, termini noti e fatali: razionalismo, illuminismo, naturalismo, agnosticismo, idealismo, esistenzialismo, ed oggi, in pratica, il laicismo e l'ateismo.          .

E ricordiamo che un umanesimo siffatto, tutto inteso all'esaltazione dell'uomo e all'oblio o alla negazione di Dio, mentre crede d'aver con ciò sottratto l'uomo da indebita e importuna soggezione e d'avergli conferito un più alto grado di dignità, perde con ciò stesso il vero titolo della grandezza e della dignità umana, che è quello delle sue relazioni con Dio e con Gesù Cristo. «L'uomo, ci ricorda l'alta e franca parola di Pio XII, è immagine di Dio uno e trino, e quindi anch'egli persona, fratello dell'Uomo-Dio Gesù Cristo, e con lui e per Luierede di una vita eterna: ecco qual è la sua vera dignità»[3].

2 - Il secondo è la manomissione dell'ordine morale anch'essa tanto diffusa, tanto varia, tanto illustrata dalle più sottili e strane teorie. Anche l'ordine morale è orientato a Dio e da Dio dipende. L'azione umana ha in sé stessa un invito alla trascendenza, seguendo il quale si arriva alle soglie di Dio. Così che chi bene agisce, giunge alla luce (Jo. 3, 21). Il più caratteristico fenomeno moderno, in fatto di azione, è invece lo sforzo di emanciparla da ogni riferimento che vada al di là della coscienza e della legge positiva, questa privata di fondamento intrinseco ed assoluto, quella ridotta al narcisismo d'un'analisi psicologica. La libertà non è più la facoltà di bene operare; ma, resa fine a sé stessa, è licenza di operare in modo qualsiasi. La deontologia, priva di leggi e di sanzioni divine, finisce per mancare di vigore e di senso. Il peccato non esiste più. E per sostenere questo tremendo principio, fonte di anarchia morale, si soffoca ogni vero rimorso, ogni pentimento reduce alla casa del padre (cfr. Lc 15, 18-20). Senso morale e senso religioso restano o cadono insieme. Le crisi di costume diventano crisi di fede.

3 - Il terzo, forse il più diffuso, non sarebbe per sé cattivo, se in pratica non impedisse il normale sviluppo dello spirito. Si tratta della conquista del mondo naturale. Quel mondo che è direttamente proporzionato alle capacità conoscitive dell'uomo perciò estremamente interessante, ma oggi, in moltissimi spiriti, quasi esc1usivamente assorbente. La conquista del mondo naturale, nei nostri tempi, ha potentemente impegnata l'attenzione dell'uomo su le proprietà della materia, e tanto ad essa l’ha avvinta da non lasciargli più altro vedere. Essa si è mostrata carica di segreti e feconda di forze. Dalla osservazione appassionata di questi segreti e di queste forze è nata la scienza, e il carattere di certezza ch'essa acquistava ha fatto bandire dallo spirito ogni altro genere di certezza, come gratuita o superstiziosa. La scienza ha assoldato il lavoro, e il lavoro ha domato la natura, e l'ha resa utile all'uomo. L'incantesimo dell’utilità s'è ag­giunto a quello della certezza. La tecnica ha tutto trasformato in strumento.

L'arte della produzione ha così trionfato: industria e commercio hanno attorniato l'uomo moderno di così abbondanti e raffinate ricchezze materiali da insinuargli la ricorrente tentazione e poi l'inebriante impressione d'essere felice e di poter racchiudere in questa potente e meravigliosa esperienza tempo­rale il circolo d'ogni realtà oggettiva, il suo mondo, e di ogni soddisfazione soggettiva, il suo spirito; e l'uomo si è da sé interdetto di uscire da questa stupenda gabbia materialista; ha dimenticato, ha negato Dio.

È avvenuto così che il senso religioso del nostro popolo si è affievolito. È bene questo? È stato necessario, per spegnere in lui il desiderio di Dio, bendargli gli occhi, cioè togliergli la capacità di cercare e di guardare oltre se stesso e le cose non badando che, con questa fatale cecità, egli stesso e le cose perdevano prima di senso vero, poi di valore. La sensibilità religiosa, e poi la religione stessa sono state screditate da alcuni come fasi rudimentali del progresso umano, evoluto ormai in quella scientifica; sono state assorbite da altri, come forme incipienti dello spirito, nell'attività del pensiero cosciente di sé, e non più teso verso l'Essere primo; sono state licenziate da molti come inutili cose, per rivolgere le attività umane alle realtà concrete della vita temporale e sociale; sono poi state soffocate ai nostri giorni da velenose o brutali oppressioni persecutrici.

L'uomo moderno ha trascurato lo studio dell'essere, in se stesso, e dell'anima; si è limitato allo studio dei fenomeni delle cose e alle esperienze della psicologia. D'una sua angelica, ma connaturata capacità ad attingere un al di là, oltre la natura sperimentabile, d'una sua inestinguibile sete di varcare il confine del mondo finito, d'una sua elementare, necessità di ricavare dall'Assoluto e dal Necessario le ragioni logiche anche per le sue scienze positive, non si è più curato: ed è questa l'origine dei drammi spirituali, culturali, sociali, e politici del mondo contemporaneo, al quale manca, nel suo vorticoso movimento, l'asse centrale di sicurezza, di ordine e di pace.

Venerabili Fratelli e diletti Figli,

Nostra missione dev'essere la restaurazione del senso religioso. A questa missione ci chiama la nostra fortuna e la nostra responsabilità di cristiani. Ci chiama altresì la decadenza religiosa del nostro tempo, come pure la nostalgia degli spiriti veglianti e sofferenti nel mondo letterario e filosofico e nella vita vissuta. Ci chiama lo stato di crisi, in continuo travaglio, in continua speranza, della vita sociale.

Le voci di queste chiamate andrebbero bene ascoltate, interpretate, e meditate. Tanti studiosi e maestri le hanno raccolte, e tanti le vanno commentando. Non sarà difficile che voi ne abbiate istruttiva notizia.

Noi qui vogliamo essere semplici e pratici, e racchiudiamo perciò in alcuni paragrafi i nostri doveri principali per la fioritura vitale del senso religioso.

l - Occorre, innanzi tutto, una riabilitazione razionale del senso religioso. Dobbiamo comprendere come esso sia non solo parte naturale e spontanea, ma legittima, della psicologia umana; e non solo legittima, ma parte necessaria e bellissima. È stato troppo confuso con forme inferiori dello spirito, imperfette, infantili, sentimentali, ingenue, superstiziose; bisogna assegnargli il posto e la funzione che gli sono dovuti. Dobbiamo essere persuasi della insopprimibile necessità di dare alla religione il suo salutare primato ed il suo specifico campo d'azione. E dobbiamo difendere nell'opinione del mondo contemporaneo tale necessità, e presidiarla, di conseguenza, del rispetto e della cura, che merita il senso religioso. L'uomo insensibile alla religione non è un essere affrancato da un antico complesso d'inferiorità; è lui stesso un essere diminuito e mortificato. La libertà maggiore, di cui sembra godere, è quella dell'ignorante che non conosce le regole del gioco e se ne spaccia maestro.

Tocca principalmente agli apologisti e agli uomini di pensiero far questo; e noi auspichiamo che la cultura cattolica, anche in Italia, sappia sempre meglio suscitare voci nuove, squillanti, originali, convincenti di professionisti della verità. Come essi debbano, anche fra di noi, sempre rinnovarsi e ricavare da una più diretta ed accurata conoscenza delle scienze moderne e dell'anima contemporanea, osando espressioni originali e approfondite della dottrina or­todossa, non è qui il luogo di dire; basti qui plaudire a chi lavora in questo senso e basti altresì incoraggiarne lo sforzo per nuovi, significativi e vittoriosi risultati. La battaglia della cultura cattolica deve, ora più che mai, continuare.

2 - Bisogna che questa difesa del senso religioso sia ben consapevole delle due forme precipue di attacco che gli vengono dalle tendenze spirituali negative contemporanee, specialmente nel campo della vita pubblica: una, piuttosto diffusa nei ceti borghesi, è il laicismo; l'altra, che circola preferibilmente negli strati marxisti e rivoluzionari, ed è l'ateismo. Temi immensi, questi, che non intendiamo ora trattare.

Non possiamo tuttavia non ricordare come il primo si afferma in Italia come residuo d'un periodo storico superato, e che ora invece si pone come epilogo d'un processo storico, culturale e politico, di emancipazione dello Stato dalla chiesa, e quindi dalla religione; e sembra giustificato dal fatto che è legittima­mente riconosciuta, anche dalla Chiesa, una sovranità temporale allo Stato, mentre gli è sottratta la competenza in materia religiosa. La sfera della, vita pubblica dovrebbe perciò essere, secondo il laicismo, immune da ogni influsso religioso e morale derivato dal cattolicesimo; donde uno zelo anticonfessionale e antireligioso in tanti uomini della vita pubblica, nei quali i principi liberali si sono, tramutati in un'intransigenza sospettosa e dogmatica. Una paura, li muove, quella del cosiddetto clericalismo (altra parola che esigerebbe lungo esame), cioè del prevalere abusivo dei motivi religiosi e dell'organizzazione ecclesiastica nel campo vastissimo della competenza statale e della materia profana. Non si avvedono che la paura è, come ogni criterio passionale, cattiva consigliera di espressioni politiche infelici, a cui il laicismo farebbe da cattivo cemento, atto, se mai, non ad unire forze vive ed operanti a bene del popolo, ma a disgregarne la spirituale compagine e a riaprire antichi dissidi. Paura poi, che non sembra punto giustificata, sia per il fermo rispetto che la Chiesa pone ai limiti. della propria sfera d'azione, sia per i criteri di civile libertà da cui è ora informata la vita pubblica italiana. Come non si avvedono che il laicismo odierno sconfessa la storia, tanto religiosa e spirituale, della civiltà italiana, e trascura elementi preziosi e fondamentali dell'anima della nostra gente, quando esso anche non offenda, almeno intenzionalmente, precisi obblighi di leggi positive che circondano la religione, come tante altre libere espressioni dello spirito di particolari condizioni giuridiche. A questo laicismo politico, che finisce per inaridire il senso religioso, vorremmo ricordare quanto questo abbia storicamente concorso alle grandi affermazioni della politica italiana. (Valga, per tutte, la parola di Dante; «Romanum imperium de fonte nascitur pietatis» - De Monarchia, II, V, 5.)

Si afferma il secondo, cioè l'ateismo, come fenomeno di materialismo accentuato e progressivo, fino ad uno scientismo intransigente e muto sui grandi problemi dell'essere e della vita, insensibile ad ogni forma di pensiero, che non sia quella d'un preconcetto e chiuso positivismo.

Poi si afferma, specialmente nei movimenti antisociali di  massa come fenomeno di revulsione spirituale, che nella esasperazione della coscienza d'ingiustizie patite o di brame insoddisfatte, fa d'una qualsiasi dottrina - oggi il materialismo dialettico - un dogmatismo messianico e fanatico, e ne cava tante energie per un operare tenace e violento, suggestivo talvolta, quanto altrettante smentite, teoriche e pratiche, alle affermazioni, da cui era ciecamente o astutamente partito: la recente tragedia ungherese insegni.

E così Dio, non più cercato, non più ammesso come termine luminoso e felice del pensiero e della vita, rinasce, nell'uno e nell'altra, come pauroso e fatale tormento.

3 - Problema dell'età nostra è perciò quello di rieducare la mentalità moderna a «pensare Dio».

In una grande via d'una città europea era appeso, or non è molto, uno striscione, con la scritta: pensate a Dio.

Intanto, vogliamo ancora una volta ripetere questa semplice e fondamentale affermazione, che l'occhio sincero vorrà onestamente e pazientemente esplorare: il senso religioso non è una forma deteriore dello spirito umano; è una forma nativa e rispettabile; è una forma legittima, nobile e indispensabile. Intendiamoci. Considerata nel suo aspetto istintivo; essa è forma primitiva, e va integrata nello sviluppo armonico delle facoltà superiori, l'intelligenza e la volontà, e dev'essere diretta dal pensiero nell'azione. La sua espressione spontanea non è a sé sufficiente; lasciata a sé, la spinta iniziale del senso religioso può condurre a deviazioni non poche, a manifestazioni capricciose e superstiziose, ad un pietismo deplorevole e pericoloso. Essa poi sorpassa l'attività logica e misurata dello spirito critico e sconfina nella poesia e nella preghiera, tenta di attingere un Oggetto che supera gli oggetti della conoscenza diretta ed evidente; e perciò va guidata. Filo lanciato nel vento, il senso religioso, se non incontra una mano celeste, che di là lo attiri e lo congiunga con la realtà del mistero divino, quali nostri messaggi recherà veramente al regno dei cieli; quali a noi, non dubbi; non fallaci, potrà esso recare?

Tutta la storia delle religioni è là per documentare l'instancabile conato, tante volte umile e sublime, tante altre fantastico ed ignobile, dell'anima umana verso il divino; ma sempre sterile alla fine, se Dio stesso non avesse, nella sua infinita saggezza, nella sua immensa bontà, preso l'iniziativa della rivelazione, della instaurazione cioè della vera religione. Sì, occorre una religione vera per difendere il senso religioso dal troppo facile pericolo di sbandamento. Le e­spressioni religiose o spiritualistiche, che non hanno per guida la verità; non offrono garanzie di salute, e danno spesso motivo di illusioni, di aberrazioni, di rovine. Oggi, ad esempio, lo spiritismo, in cui si esprime una superstiziosa e capricciosa curiosità, è diventato, in certi paesi, una piaga sociale. Così, per citare altro esempio, l'irenismo, cioè il principio che tutte le religioni sono buone, e che una vale l'altra, va diffondendo una falsa pace negli spiriti che fa del rimanente sentimento religioso, espresso nelle credenze più varie; un elemento di confusione spirituale e sociale, e prepara la via all'indifferenza ed allo scet­ticismo, senza poter più trarre dai valori religiosi, così vanificati, l'energia salutare loro propria.   .

Chi è avveduto, ed in genere l'uomo positivo moderno lo è, non vuole ammettere simili mistificazioni; e perciò diffida del senso religioso, come d'una guida cieca; ed impaziente per le sue imponderabili esigenze e per le sue evidenti stranezze, lo respinge e lo spegne. Ciò spiega molto della irreligiosità del nostro tempo. Ma non così bisogna fare. Ha fatto così anche Pilato (cfr. Gv 18, 38): facciamola finita con queste discussioni vane e fanatiche. Si deve invece riflettere che il senso religioso spontaneo non è un criterio di verità; è un bisogno di verità. Soffocare questo bisogno è contraddire alla natura umana e violare l'opera e il disegno di Dio. La soluzione c'è. Ed ecco precisarsi il nostro dovere.

Dicevamo che l'attenzione umana, dal vivere moderno, è impegnata nella conquista del mondo circostante. Ne avviene che la conoscenza, dell’immediato interessa l'uomo d'oggi più del sostanziale; le apparenze più dell’essere, il visibile più dell'invisibile, la materia più dello spirito, le cause prossime più delle cause superiori, il proprio più dell'altrui, il presente più del passato e del futuro, la terra più del cielo, l'utile più dell'onesto, il piacere più del dovere, il mondo più del paradiso, l'uomo più di Dio.  

Il lavoro, attività principale dell'uomo moderno, fonte per lui di meritate soddisfazioni e di legittimo orgoglio, crea in lui l'impressione di esclusiva potenza, e circoscrive il suo campo di osservazione. Nasce una mentalità che diventa facilmente areligiosa, e, per poco che sia accentuata, diventa irreligiosa. Ma non è mentalità completa; è unilaterale, è mortificata. Mentalità completa sarà se avrà curiosità e coscienza delle leggi scientifiche, di cui il lavoro si vale, e se, avverten­dole, scoprirà in esse il postulato d'un Pensiero trascendente, creatore e ordinatore.

Così la scienza, che sovrasta il lavoro, e che parimente sembra appagare la sete del pensiero: lo appaga sì, ma lo tiene alla conoscenza del come, non del perché profondo ed essenziale dell'universo meraviglioso, ch'essa esplora e contempla; e perciò, se rimane sola regina dello spirito umano, anch'essa lo trattiene e lo mortifica, gli vieta quell'ulteriore sviluppo, ch'è proprio della filosofia e della religione, e a cui lo spirito finalmente tende.

L'uomo moderno ha perciò bisogno di non essere interdetto dallo schermo delle cose in cui impegna la sua attenzione a guardare oltre le cose stesse. Bisogna attivare in lui un dinamismo ancor più intelligente, bisogna restituirgli la curiosità metafisica, l'ambizione di risalire alla ragion d'essere di ciò che gli sta davanti. Questo passaggio speculativo, che segna il trionfo della mente umana, avviene naturalmente nell'osservazione delle cose create da Dio (Rom. l, 20). Non potrebbe oggi avvenire nell'osservazione delle cose create, per così dire, dall’uomo? cioè dai risultati del suo ingegno e del suo lavoro, dai suoi strumenti; dalle sue macchine? L'uomo moderno si specchia in esse, fiero e soddisfatto di contemplarvi i segni del suo ingegno e della sua opera. Ma non potrebbe, con uno sforzo ancora più intelligente, contemplarvi la rivelazione del pensiero e dell'opera di Dio? è questo sforzo che occorre all'uomo moderno per integrare il ciclo della sua virtù cogitativa e per ritornare religioso. Come sempre nel campo religioso, un atto d'umiltà, ch'è semplicemente onestà e verità, sarà necessario: un meccanico, davanti alla sua macchina, dovrà dire contento: è nuova, è mia;. ma dovrà aggiungere ancor più contento e pensoso: io ho più scoperto, che inventato; ho scoperto proprietà e leggi anteriori al mio pensiero; io non ho fatto che applicarle; io sono arrivato più vicino alla mani­festazione naturale d'una Sapienza, che non conoscevo, a cui prima non pensavo; sono arrivato ad un incontro insospettato con Dio. Se in passato la natura era intermediaria fra Lui e la mente umana, perché oggi l'opera tecnica e dell'arte non lo potrebbe essere?

Questa è, secondo noi, una delle chiavi per risolvere il problema della resti­tuzione alla civiltà dell'industria e della tecnica, della scienza e dell'arte la perduta religiosità. Questa è la via per dare al lavoro la sua spiritualità. Questo è il modo per far germinare dai cantieri, pesanti di materia, il fiore della preghiera e della gioia.

E forse l'alba di questa nuova spiritualità non è lontana. La ricerca appas­sionata. delle nuove virtualità della materia, l'ambizione di ricavarne non solo ricchezze utili, ma opere perfette, macchine e prodotti ammirabili, lo studio concomitante di dare all'officina, allo strumento, al prodotto una linea estetica, l'aspirazione a celebrare idealmente il lavoro, sono tanti indizi d'un umanesimo spiritualista, che sta per sgorgare dalla nostra età materialista. E il presagio è stupendo: la materia non è per nulla ripudiata, è sublimata; il lavoro non è mortificato, è redento; la civiltà non è arrestata, è umanizzata, è cristianizzata.

Possibile che gli intellettuali non se ne avvedano? E perché molti di essi si attardano ancora a bruciare un servile incenso ad un opaco e superato mate­rialismo? Possibile che i politici delle «aperture» non si accorgano che una finestra sta per aprirsi sul mondo del lavoro, per mostrare quanto povero sia il loro pensiero filosofico, e perciò quanto privo di legittima autorità per dirigere il cammino del popolo lavoratore? e sta per aprirsi, per dare a questo popolo nuova luce, e nuova aria alla sua fatica e alla sua speranza?

Per quanto riguarda il campo nostro; noi ancora desideriamo che sia data ai lavoratori la più amorosa assistenza, sociale, professionale, religiosa. Vorremmo che essi potessero comprendere il torto loro fatto costringendoli ad una visione materialista della vita, e riconoscessero come la nostra concezione spiritualista abbia assai più stima della loro personalità, e prometta loro, con il consegui­mento d'ogni legittimo bene temporale, l'immensa ricchezza dell'anima, pensante, pregante e credente. Vorremmo che le scuole del lavoro facessero loro intravedere questa vocazione, questa redenzione, questa nobiltà religiosa dell'opera umana. Vorremmo che la fatica dei lavoratori avesse, intangibile e sacro, il suo riposo festivo. Vorremmo che le feste del lavoro fossero coronate di fiori, di canti, di idee, di preghiere; diventassero davvero feste dello spirito. Vorremmo che ancora la preghiera si associasse al lavoro; lo consolasse, lo nobilitasse, lo santificasse.

Il progresso popolare è incamminato verso questo spiritualismo, auspice la Chiesa di Cristo.

Così auguriamo che sia della economia industriale moderna, di quella che nel possesso e nella fortunata conquista delle ricchezze può trovare più grave ostacolo a risalire dal cerchio economico a quello religioso: quanto ciò sia difficile lo dice il Vangelo, così severo e minaccioso verso i «ricchi» ( cfr. Lc 6, 24).

Ma fortunatamente nel nostro momento storico la sapienza guadagna anche nel campo di chi possiede e amministra ricchezze temporali: la funzione sociale, e perciò non più egoista, di queste è oggi affermata senza riserve teoriche; quelle pratiche vanno cedendo all'impero d'una ragione collettiva, che si suole chiamare democratica; la subordinazione dell'economia alla legge morale va affermandosi con evidente beneficio sia dell'economia che della morale; l'interesse per rendere buone e serene le relazioni umane si estende e si impone fino a cambiare i termini della dialettica sociale, dalla lotta alla collaborazione; e così via.

La strada è buona, è strada che sale. Quando giungerà a scoprire nei beni economici, non un privilegio, ma un servizio, da esercitare col gesto misterioso della Provvidenza e col cuore fraterno che sperimenta essere meglio dare che ricevere (Act. 20, 35), il senso religioso della vita bagnerà di lacrime il ciglio asciutto di chi ancora pensasse di saziare col pane indigesto della materia la segreta fame dello spirito.

4 – Una parola dobbiamo dire per quanto riguarda il senso religioso nei fanciulli.

La parola veramente spetta ai genitori cattolici ed ai bravi maestri.

Abbiano essi quanto più chiaro possibile il concetto della loro missione anche a riguardo del senso religioso dei loro piccoli. Anche in questo campo  vale il principio invalso nell'educazione moderna: più che imporre, estrarre. Il fanciullo, nella provvista nativa dei doni della vita, possiede anche questo, d'essere dotato di senso religioso. Ancora implicito, ancora confuso, ma c'è, nell'anima intatta del fanciullo. Il fanciullo battezzato poi possiede più ricca questa virtualità; al dono della pietà naturale si è aggiunto quello della pietà soprannaturale. Le sue condizioni reali sono state elevate dal grado di figlio dell'uomo a quello di figlio adottivo di Dio. Dio gli è vicino, lo veglia, lo ama, come Padre. Bisogna ricordare tutto questo per avere un'immensa riverenza per il fanciullo. Già gli è dovuta come nuova e tenera creatura della terra; ricordate il saggio pagano: «Grande rispetto è dovuto al fanciullo»[4]. Ricordate tanto di più le tremende parole di Cristo per la stessa creatura, se la pensiamo da lui rigenerata nella grazia e circondata dall'assistenza silenziosa e misteriosa degli angeli: «Guai a colui dal quale parte lo scandalo» (Mt. 18, 7). Il nostro mondo è, sotto questo aspetto, colpevole di flagrante contraddizione con i suoi stessi principi e con la prodigalità delle sue sapienti cure per l'infanzia e per l'adolescenza, perché, mentre non cessa di circondare il fanciullo dell'arte peda­gogica e sanitaria più progredita, consente poi che letture, spettacoli e sport profanatori siano facilmente a lui accessibili e determinino nel suo spirito perturbazioni nocive e forse fatali al suo equilibrio psichico e morale, Si colti­vano e si calpestano fiori; con gelosa cura si coltivano, e con colpevole indifferenza si calpestano.         

La grande smania del fanciullo di sapere il perché delle cose trova facile e sapiente soddisfazione dall'educatore avveduto che gli parla di Dio,  abbrevia il cammino della piccola mente alla sorgente ineffabile, cammino, che l'uomo maturo distenderà in ampie e complicate perifrasi; fino all'esaurimento, fino allo smarrimento, per arrivare, stanco conquistatore, alla medesima meta, e per sentirsi dire beatamente da Cristo: «Se non vi farete come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt. 18, 3). Il fanciullo ha più facile accesso a Dio, ed è in questo maestro di quel suo maestro, che abbia saputo coltivare in lui il senso religioso cristiano. Bisogna intanto che il maestro mostri di prendere sul serio l'anima del fanciullo, e che gli parli, innanzi tutto, con il suo esempio; e bisogna che parola, sentimento, atto siano tutt'uno nel momento religioso, insieme in entrambi. Pregare insieme, fanciullo ed educatore, è fra le cose più belle e più profonde che riservi la vita, ed è tesoro della famiglia cristiana, della nostra scuola e della parrocchia. Pregare insieme, con quel «sentimento familiare e soprattutto filiale, che unisce il fedele a Dio», e che si chiama pietà (Grand­maison)[5], è un'esperienza originale dell'educazione cattolica: trasferire dal nido paterno l'affetto più naturale e più caro al Dio Padre dell'universo, e dilatarlo, senza diluirlo, sì bene accendendolo di entusiasmo, all'infinito, è la lezione prima di religione ai nostri fanciulli; la quale, se ben data, se ben viva, può seminare nei loro cuori il concetto esatto, per tutta la vita, dei meravigliosi rapporti di amore, che legano l'uomo a Dio, e curvano Dio verso l'uomo. Bisogna insegnare al fanciullo non solo a dire le preghiere, ma a dirle come espressione della mente e del cuore; non solo a imparare il catechismo, ma a sapervi collegati i suoi e gli altrui destini; non solo ad andare in Chiesa, ma a considerarla come tempio sacro delle leggi del vivere. Si abituerà così all'avver­tenza della presenza del Signore, al gusto della bontà e dell'onestà, al desiderio del dovere disinteressato, alla fiducia in tutte le contingenze della vita.

La disciplina dei sacramenti ha perciò nel fanciullo un'importanza decisiva, come si sa; la Confessione come scuola profonda e soave del bene e del male; la Comunione, come attesa trepida e incontro gioioso del grande Amico; la Cresima; - alla quale dovrebbe essere dato un risalto particolare nell'educazione religiosa del fanciullo ed un carattere pedagogico suo proprio -, come risveglio della coscienza responsabile e forte nel cuore dell'adolescenza.

E che dovremmo dire della gioventù? Questa meriterebbe un discorso speciale; e noi siamo pieni di commozione quando vi pensiamo. Età della crisi, età della scelta, la gioventù è la più esposta a subire l'influsso areligioso ed antireligioso del nostro tempo. Ma età del pensiero, età dell'amore, la gioventù è la più capace di comprendere il valore religioso della vita e di dare alla sua pietà un profondo significato personale, che acquista spesso una drammatica espressione morale, una forma di fedeltà immolata e totale, piena di slancio appassionato, se pur ancora mal sicura, come un volo, ma splendida e generosa, appunto come un volo miracoloso, librato nei cieli dell'eroismo. e della poesia. Ci limitiamo a dire che il senso religioso nei giovani va assistito e curato, come in nessun altro periodo della vita: la direzione spirituale è, in questo periodo, pedagogia provvidenziale, delicatissima e di alto interesse.

Venerabili Fratelli e diletti Figli,

Non solo nell’età giovanile, ma in ogni fase della vita il senso religioso deve essere assistito da un magistero e da un ministero competente. La Chiesa, maestra delle verità divine e ministra dei nostri rapporti con Dio, questo fa. È la sua grande missione, che si dimostra oggi tanto più provvida e necessaria, quanto meno l’uomo moderno è idoneo a conservare, ad alimentare, a seguire rettamente la sua naturale orientazione verso Dio: il fascino delle cose, conquistate dalle sue mani, lo incanta, e gli crea l'illusione di potere con esse saziare la sua sete d’Infinito. La voce del Profeta può risuonare appropriata anche per il tempo nostro: «Due mali ha fatto il mio popolo; hanno abbandonato me, fonte d’acqua viva, e si sono scavati delle cisterne; cisterne screpolate, che non possono contenere acqua». (Jer. 2, 13). Sedotto e deluso, l'uomo, moderno si tormenta e si  esaspera; si abbandona agli istinti più capricciosi e perversi, come già San Paolo, per analoghe condizioni, denunciava (Rom. l, 22, ss.) e come tanta moderna letteratura miseramente e sciaguratamente documenta. Lo slancio disperato dello spirito umano verso un'inafferrabile perfezione testimonia ancora la nostra vocazione ad un incontro ignoto e risolutivo, che Cristo, benedetto, Lui solo, ci ha preparato.

Egli viene. Ci attrae e ci commuove, dapprima; poi ci istruisce e ci converte. Sì, ci con quella sua forte e tremenda lezione della Croce,  e quindi ci apre l’ineffabile Presenza; la Presenza del Dio vivo e vero, nel mistero abba­gliante dell'unità del suo Essere in tre distinte Persone, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.

La verità, la bellezza, la bontà, la pace, la felicità, la vita sono il suo dono, pregustato e promesso.

Egli viene con umile scuola; la scuola del Vangelo alla quale dobbiamo ritornare, come fanciulli, se vogliamo confortare di rinascenza vitale il nostro senso religioso e riempirlo di «spirito e verità» (Jo.4,23). Egli ci ha comunicato il senso soprannaturale della vita. Egli ci ha iniziati a scoprire dappertutto, nel volto umano specialmente, il senso del sacro. Le relazioni con Dio sono scoperte, in ogni cosa e in ogni momento; la dipendenza dalla sua azione creatrice e dalla sua amorosa provvidenza è così vissuta nel Vangelo che, sotto questo aspetto, nulla è profano, perché nulla è da sé, nulla è per sé. Pensiamo, anche solo un istante, allo sguardo di Cristo su la scena della sua umana esperienza: come noi vediamo la luce del sole nelle forme e nei colori delle cose, così Egli vede e ci fa vedere l’avvolgente e patema presenza di Dio. Le cose sono per Lui specchio d’un’amorosa provvidenza (cfr.. Mt. 6, 26; l0, 29), e riflesso della sapienza e della bellezza di Dio (cfr. Mt. 6, 28-29). Per Lui tutto è simbolo, tutto è linguaggio: ricordiamo l'arte deliziosa e misteriosa delle sue narrazioni figurate e paraboliche: comuni oggetti del viver quotidiano e semplici vicende di questo mondo diventano crisalidi da cui si dischiudono dogmi immensi umano-divini. Egli ci ha dato il vero e profondo senso religioso: i suoi insegnamenti su gli uomini (cfr. Mt. 18, 2; 18, 14; 21, 34), su i costumi (cfr. Mt. 11, 16-17), sul dolore(cfr. Lc. 23,27), su la gioia (cfr. Jo. 16, 22), sul peccato (Mt. 18, 8; Lc. 15, 7); sull'autorità (cfr. Jo. 19,20), su la morte (cfr. Lc. 16, 19, ss.; Jo. 11,25), su ogni cosa (cfr., Mt. 12, 36); noi citiamo alla rinfusa per dire che la sua scuola c’introduce nel mistero, senza suscitare fantasie gratuite, e risolve la tormentosa - anche se, per chi ancora non Gli è vicino, tanto feconda - inquietudine umana, in una corroborante chiarezza di giustizia e di amore, e, per chi Lo accoglie, in una pace sovrana del cuore (Jo. 14, 27; 15, 11).

Scuola Sublime ed elementare, da cui possiamo ricavare, al nostro scopo un duplice insegnamento pratico: lo studio e l'amore della Sacra Scrittura, special­mente con la recita dei Salmi, e con la meditazione del Vangelo in modo particolare, sono indispensabili e inesauste sorgenti .per nutrire in noi un vero e profondo senso religioso; e, in secondo luogo, la proiezione del senso religioso stesso sulla vita vissuta, come il costume cristiano c’insegna; proiezione su la nostra giornata: ecco le preghiere quotidiane; su quanto entra nella nostra vita: ecco le candide benedizioni della mensa e della casa, della letizia e del dolore, del gioco e del lavoro, dello strumento e della bandiera, della salute e della malattia, della scuola e dell'officina, della culla e della tomba.

La benedizione è diventata atto religioso frequente e comune. Spesso è domandato anche da persone lontane, o per cose remote dall'ambito propria­mente sacro.     

Purché sincero il sentimento e onesta la cosa, purché pio e degno il gesto, sta bene. La Chiesa è abbondante nel suo rituale; appunto perché interpreta con egregia larghezza il senso sacro portato dal Vangelo. Anche nelle case della nostra Città abbiamo diffuso un librino, «il Rituale della Famiglia», per abituare i fedeli all'uso confidente e familiare della preghiera. ­

Ma Gesù Cristo, come sappiamo, ha specificamente istituito segni sacri, i sacramenti, e creato un ordine di persone, il sacerdozio per dispensarli. Ha insegnato una dottrina affidandone agli apostoli la divulgazione e la custodia.

E’ nata così la forma gerarchica e ufficiale della religione da Lui instaurata: - la chiesa docente e santificante. La predicazione e la liturgia. Persone, luoghi, tempi, libri, oggetti, gesti, riti sono diventati sacri. L'arte specialmente lo è diventata, quando si è fatta docile alla contemplazione ed al culto, ed ha cercato nella sincera esperienza dei doni dello Spirito Santo la capacità di captare in forme sensibili le voci dell'arcano divino e la bellezza delle profondità invisibili.     

Predicazione e liturgia: le grandi fontane dello spirito religioso. Non ne diciamo di più, per questa volta. Ci limitiamo a ricordare come questi tesori ci siano vicini nell'osservanza di quel capitale precetto, ch'è l'assistenza alla santa Messa festiva. Questa è la base pratica della vita spirituale; questa è l'indispen­sabile alimento del senso religioso e della professione cristiana. Tutto dev'essere fatto per difendere questa sapientissima osservanza; tutto per impedire che la profanità della fatica manuale o professionale ne soffochi la puntuale ricorrenza, o che, il divertimento festivo, la classifichi fra le occupazioni imbarazzanti, noiose o superflue. Tutto, diciamo al Clero ed ai fedeli, alle Autorità ed ai benpensanti; e sia questa la nostra paterna raccomandazione, il nostro grido affettuoso, con cui chiudiamo, tutti benedicendo, questa nostra lettera pastorale. Non senza tuttavia chiedere a quel Dio, che ha immesso nell'uomo il senso religioso, il dono della pietà. Sì, Venerabili Fratelli e carissimi Figli, per l'inter­cessione di Maria Santissima e piissima: sia a noi l'interiore impulso dello Spirito Santo guida a rivolgere al sommo, ottimo Iddio

- l'animo nostro vivo, perché s'illumini della sua Presenza il nostro cosciente pensiero;

- l'animo nostro cercante, perché si apra alla scoperta della sua misteriosa, Sapienza; .

- l'animo nostro stanco, perché si conforti nella fiducia della sua Provvidenza;

- l'animo nostro opaco, perché si svegli alla trasparenza della sua Bellezza;

- l'animo nostro inquieto, perché si plachi all'armonia della sua Pace;

- l'animo nostro dolorante; perché si innalzi all'offerta alla sua Bontà;

- l'animo nostro colpevole, perché si lavi delle lacrime che la sua Giustizia fa beate;

- l'animo nostro smisurato, perché si inebri del suo Amore infinito.

Note al testo

[1] Espressione ricorrente nella Patristica latina; cfr. ad esempio RUFINO, Expositio symboli 11, 12 e AGOSTINO Enarr. in psalm, LXVI, 3.

[2] Riferimento a G. DE LUCA, Archivio Italiano per la Storia della Pietà, Edizioni di Storia e Letteratura,. Roma, 1951 ss.

[3] Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII…, X, p. 265.

[4] Maxima debetur puero reverentia, GIOVENALE, Sat. 14, 47.

[5] Cfr. L. DE GRANDMAISON s. I., La Religion Personnelle, Gabalda, Paris 1930; ed. ital., Morcelliana, Brescia, 1934, p, 13. L'opera è stata tradotta da G.B. Montini, che ne scrisse anche la prefazione.