«Uno dei peggiori crimini commessi dai comunisti nel nostro paese», di Angelo Bonaguro
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Angelo Bonaguro pubblicato il 31/12/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Il novecento: il comunismo nella sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (6/3/2016)
I cimiteri sono luoghi che generalmente non vengono inseriti nei percorsi per i turisti. A Praga ce ne sono alcuni che invece meritano una visita: il primo e più famoso è l’antico cimitero ebraico. Poi c’è il monumentale, sul colle del Vyšehrad, un’oasi tranquilla e panoramica dominata dalle guglie neogotiche della basilica dei santi Pietro e Paolo; nel piccolo cimitero riposano tra gli altri la scrittrice Božena Němcová, i musicisti Smetana e Dvořák. Qui si trova il cenotafio di Milada Horáková, giurista e rappresentante dell’opposizione politica condannata a morte dal regime comunista nel 1950; vicino alla basilica, assieme alle suore è sepolto il teologo Josef Zvěřina.
I drammatici eventi seguiti alla Primavera del 1968 si ritrovano nel cimitero di Olšany, a poche centinaia di metri da piazza Venceslao, dove c’è la tomba di Jan Palach, massiccia, sempre adorna di nastrini e lumini. Poco più avanti, nel nuovo cimitero ebraico, con un certo impegno si può trovare la tomba di Franz Kafka. Oltrepassato il colle, si scende all’ampio cimitero di Vinohrady che ospita nella cappella principale i defunti della famiglia Havel.
Ma nella periferia settentrionale c’è un cimitero molto particolare: quello di Ďáblice, antico borgo incorporato nella capitale dal 1968. Letteralmente il toponimo equivale alla parola «diavolessa», anche se trae origine da un personaggio medievale. Pochi minuti di autobus dalla metro di Ládví e si arriva all’ingresso dell’unico cimitero cubista di tutta Europa, progettato da Vlastislav Hofman nel 1912. Lo stile è riconoscibile fin nei dettagli, compresi rubinetti e cestini dell’immondizia. Questo, che è il secondo camposanto più esteso di Praga, dagli anni ’40 è stato usato per inumare in fosse comuni defunti «scomodi», persone non identificate, suicidi, e infine gli avversari politici. Troviamo vicini vittime e carnefici della seconda guerra mondiale: i paracadutisti che attentarono alla vita del governatore Heydrich accanto allo stesso gerarca nazista, mentre nel cortile d’onore si ricordano i partigiani jugoslavi e italiani, e le vittime dell’insurrezione del ‘45.
Il regime comunista utilizzò Ďáblice fino al 1960 per seppellirvi i «politici» condannati a morte o che non sopravvissero agli interrogatori e al carcere: centinaia di vittime, molte delle quali anonime e sepolte di nascosto – basti pensare al caso di don Toufar, il sacerdote martire di cui è in corso la causa di beatificazione, qui tumulato con il nome di «Josef Zouhar».
Del resto, la direttiva segreta del ministro della sicurezza Bacílek del novembre 1952 prevedeva o di cremare le salme di «terroristi e agenti» oppure, nel caso di inumazione, di agire in segreto per evitare «espressioni di simpatia» da parte di parenti e conoscenti. Dal ’61 la zona delle fosse comuni fu destinata a discarica, e solo nel 1968 alcuni ex-detenuti politici sollevarono il caso: furono individuate una settantina di fosse profonde 2 metri e mezzo, contenenti in totale circa 3000 salme. Ad agosto però i tank sovietici e poi i rovi ebbero la meglio sul recupero della memoria, fino all’89.
Oggi l’area è stata risistemata, sulle lapidi si leggono nomi noti e meno noti della resistenza anticomunista. Pochi passi lungo il viale così carico di storie eroiche e drammatiche dell’epoca totalitaria, e ci si arresta agghiacciati di fronte alla striscia di terreno costellata di 43 piccole lapidi che chiude il lato est: sono i figli delle detenute «politiche» nati, tolti alle madri e morti nel carcere di Pankrác per mancanza di assistenza adeguata o in conseguenza di violenze inferte alle madri, e poi gettati nelle fosse comuni (a volte «chiuse» con cadaveri di adulti).
Boženka Bryxiová è nata il 14 dicembre 1958 ed è vissuta un solo giorno. Oggi avrebbe 60 anni, forse non avrebbe fatto nulla di «importante» nella vita, e si confonderebbe tra le anziane che gestiscono i gabinetti della metro – peraltro assai puliti. O chissà, magari avrebbe scoperto una cura contro il cancro…
Finora è risultato impossibile mappare esattamente il sottosuolo, e non esistono ricerche specifiche sul tema; si trovano testimonianze sparse qua e là nelle memorie degli ex-detenuti. Dagmar Šimková scrive di ufficiali della polizia politica che «prendevano a calci le donne incinte fino a farle abortire»: «Il procuratore urlò che eravamo infami, vigliacche e assassine della nazione, acqua sporca che scola nel canale del tradimento, umanità scadente, che deve essere dimenticata per sempre dalla storia di questo paese».
Ci si chiede quale ideologia perversa, quale disprezzo per l’umano abbia potuto permettere che questi bambini fossero sepolti di nascosto in una fossa comune, senza nemmeno rispettare la dignità loro e delle loro madri. «È indubbiamente uno dei peggiori crimini commessi dai comunisti nel nostro paese», ha commentato uno degli attivisti che ogni anno commemorano le piccole vittime del totalitarismo in occasione della Giornata Internazionale del Bambino. Vengono in mente le pagine di Péguy dedicate ai santi innocenti: mentre fuori dal carcere costruivano la gabbia del socialismo, «loro piangevano, e ridevano, e poppavano, e strillavano, e dormivano. Era la loro grande, la loro più seria occupazione».