La cellula di mezzanotte [Messa di mezzanotte nel covo dei nemici], di Giovannino Guareschi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /12 /2015 - 21:06 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un testo di Giovannino Guareschi pubblicato il 23/12/2015 e tratto da Mondo Candido, 1948-1951. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (27/12/2015)

Don Camillo si è rifiutato di celebrare una funzione di ringraziamento («un Tedeo») perché il capo dei rossi ha salvato la pelle da un attentato. E Peppone, per protesta, ha indetto uno sciopero religioso di tutti i suoi.

«Gesù,» diceva al Cristo crocifisso dell’altare «io li aspetto a Natale. Non s’è mai dato, in tanti anni che son qui, che siano mancati alla Messa di mezzanotte. E la notte di Natale ritorneranno. È impossibile che possano rinunciare alla Messa di mezzanotte. Giubài, quando l’altr’anno era ricercato dalla polizia per via di quel pasticcio, la notte della Vigilia ritornò a galla e io lo vidi là in fondo, in quell’angolo, intabarrato fino agli occhi. Gesù, fidatevi di me.»
«Io mi sono sempre fidato di te» rispondeva il Cristo sorridendo. «Ma tu poi ti fidi di te?»
«Be’… abbastanza. Però, più che altro, io mi fido di voi (…).»

E venne la Vigilia di Natale, cadde la notte e la chiesa era piena di luci e di canti; ma, seduti sulle dure panche dello squallido salone della Casa del Popolo, uomini cupi ascoltavano in silenzio Peppone che leggeva roba che nessuno sapeva cosa fosse. Ogni tanto, nelle pause, il vento della notte portava le note dell’organo della chiesa ad appiccicarsi contro i vetri delle finestre del salone.

La Messa finì alla sveltina perché don Camillo era nervoso: aveva un chiodo piantato nel cervello, un chiodo che gli dava un fastidio tremendo.
Rimasto solo in chiesa, si svesti in fretta e andò a sbarrare la porta col catenaccio. Camminò in su e in giù per qualche minuto, poi si fermò davanti al Cristo crocifisso.
«Gesù,» disse «avete visto?»
«Ho visto» rispose il Cristo. «Ti sei fidato troppo di te, don Camillo.»
«No: mi sono fidato di voi» precisò don Camillo.
«Quindi, adesso hai perso la fede in me!»

Don Camillo si indignò.
«Gesù,» protestò «questo mai! Sarebbe come uno che ha fame e, lì sulla tavola, c’è un pezzo di pane e l’uomo dice: “Lo so che Dio non mi lascerà morire di fame” e se ne sta lì senza muovere un dito. È logico che, se non allunga la mano e non prende il pane, Dio non può prendere il pane e metterglielo in bocca. Insomma, uno, anche quando ha una grande fiducia nella Divina Provvidenza, non deve rinunciare a ragionare. E, ragionando, uno conclude che se il pane non va verso di lui, è lui che deve andare verso il pane. D’altra parte lo dice anche la sacra scrittura: se la montagna non va a Gesù, Gesù va alla montagna
Cristo sorrise.
«Don Camillo, veramente la frase è: “Se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna”.»
«Perdonate,» si dolse don Camillo «credetemi, io…»

«Non ho niente da perdonarti, don Camillo: non sono le parole quelle che contano, sono le intenzioni.»
Don Camillo si passò la grossa mano sulla fronte e guardò su, verso il Cristo. Ma pensava a Maometto e il Cristo, che lo sapeva, sorrise.

«Compagni,» stava dicendo Peppone «adesso, per finire degnamente questa democratica riunione vibrante di fede, io vi leggerò un magistrale profilo di Mao Tsetung» quando la porta si spalancò ed entrò un grosso uomo intabarrato che, passando come un panzer tra le panche, arrivò davanti al palco sul quale stava Peppone, salì la scaletta e, spalancato il tabarro, cavò fuori una vecchia cassetta grigioverde che mise con violenza sul tavolino di Peppone.
Tutti quelli delle prime due file di panche la conoscevano a memoria, quella vecchia cassetta grigioverde, perché l’avevano vista tante volte in montagna, quando don Camillo rischiava le pallottole per arrivare fin lassù. E si alzarono.
Don Camillo sollevò il coperchio della cassetta ed ecco sorgere l’altarino da campo. Peppone intanto si era alzato ed era sceso dal palco.
Don Camillo si volse un momento e fece un grugnito.
Allora, caracollando, lo Smilzo salì la scaletta e arrivò al fianco di don Camillo, come aveva fatto tante volte lassù. Poi lo aiutò a vestirsi, accese le candele e, quando fu ora, si inginocchiò a lato dell’altare.
Fu una Messa povera, roba da soldati, quasi clandestina. Ma avevano spento le luci della sala e le candele dell’altarino facevano un bell’effetto
. E poi, le note dell’organo della chiesa, quelle che erano venute ad appiccicarsi ai vetri delle finestre del salone, erano ancora vive e palpitanti e così c’era anche una lontana musica nell’aria.