La Vergine della Carità del Cobre nella storia cubana, di Lucia Capuzzi
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Riprendiamo da Avvenire del 21/9/2015 un articolo di Lucia Capuzzi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (27/9/2015)
Nei suoi quaranta centimetri d’altezza, la “Cachita” – come viene chiamata familiarmente - racchiude l’essenza più profonda della cubanità. Fin da quando fu ritrovata, la Vergine della Carità del Cobre si è incarnata nella storia della nazione caraibica. Papa Francesco pregherà davanti alla sua statua stasera, nella Basilica minore del Santuario a dedicato a Santiago.
A scoprire la statua nella baia di Nipe furono, nel 1612, esponenti dei gruppi sociali tenuti rigorosamente ai margini della società coloniale: due indios e uno schiavo nero. Componenti imprescindibili del popolo-poliedro di Cuba.
I combattenti indipendentisti – i cosiddetti “mambises” - nel corso dell’Ottocento, si radunavano dietro l’effige della Cachita. E Ernest Hemingway le regalò la medaglia del Nobel, ottenuto nel 1954. Lui, non credente, volle esprimere in tal modo l’omaggio al Paese che gli aveva ispirato lo straordinario “Il vecchio e il mare”. Nel tempo, i doni alla Vergine sono cresciuti.
Il Santuario bianco - che svetta sulle rocce rosse dove fino a 15 anni fa si estraeva rame, in spagnolo “cobre” – ne raccoglie migliaia e migliaia. A portarli persone anonime, artisti, sportivi, politici, generali in una processione incessante: ogni giorno, decine di pellegrini arrivano nel paesino situato a 18 chilometri da Santiago, dove è custodita la Vergine della Carità.
L’affetto per la Cachita è trasversale rispetto a condizione sociale, orientamento religioso e politico. Nella stanza degli ex voto si trova il ritratto di due giovani guerriglieri, Fidel e Raúl Castro, portato dalla madre, Lina Ruz, mentre combattevano sulla Sierra Maestra. O l’opera completa del più noto cantore della Revolución, Silvio Rodríguez. Come pure il premio Ortega y Gasset della dissidente Yoani Sánchez. La Vergine dal manto dorato accoglie tutto e tutti. Ora come 402 anni fa, quando andò incontro a due indios e uno schiavo nero.
È quello stesso popolo ad affollare il viale che collega il paesino di El Cobre al Santuario bianco dove, dal 1926, si trova la Vergine. La processione quotidiana ridà vita alle rocce rosso e argento da cui un tempo si estraeva il rame – in spagnolo “cobre” -: la prima miniera spagnola in terra d’America ha chiuso quindici anni fa. Da allora la zona si è spopolata di residenti. Da Santiago, però, arrivano ogni giorno furgoni scassati - o almendrón – straripanti di girasoli.
Tutti vogliono portare un girasole alla Madonna. La gente associa il giallo al manto dorato della “Cachita”. “In realtà è una moda relativamente recente. Fino a dieci, vent’anni fa si portavano fiori bianchi o azzurri, in genere rose e gigli”, racconta, in un angolo della chiesa, il parroco Eugenio Castellanos. Alla nuova “tendenza” ha probabilmente contribuito anche il tracollo economico degli anni Novanta. “Il girasole è il fiore più comune e meno costoso. Il che lo rende popolare fra quanti hanno meno risorse”, aggiunge. A dispetto dell’egualitarismo rivoluzionario, i differenti tipi di omaggi floreali riflettono il processo di “ri-stratificazione” sociale in corso.