Papa Francesco a Sarajevo 1/ «Miliziani hanno costretto don Vinko a calpestare il rosario. Uno, sguainando la spada, lo ha minacciato di massacrarmi se non lo avesse calpestato. Gli ho detto: "Lasciate che mi uccidano, ma, per l'amore di Dio, non calpestatelo"». La testimonianza di tre vittime 2/ «Non avete diritto di dimenticare. Non per vendicarvi, ma per fare pace. Per amare come loro hanno amato. Nel vostro sangue, c’è il sangue di questi tre martiri». Discorso di Papa Francesco dopo le tre testimonianze 3/ «Islamici, ortodossi, ebrei, cattolici e altre minoranze - tutti insieme, gioiosi! Facciamo la scommessa su questo. I politici sono chiamati ad un’azione che salvaguardi i diritti fondamentali della persona, tra i quali spicca la libertà religiosa». Discorso nell’incontro con le Autorità 4/ «Il dialogo interreligioso, prima di essere discussione sui grandi temi della fede, è una “conversazione sulla vita umana”. In esso si condivide la quotidianità dell’esistenza. È sempre bene ricordare che il dialogo presuppone una identità formata: senza questa, il dialogo è inutile. Mentre facciamo giusta memoria del passato, evitiamo le recriminazioni, ma lasciamoci purificare da Dio. Attestare che è possibile vivere uno accanto all’altro, nella diversità ma nella comune umanità». Discorso nell’Incontro interreligioso 5/ «Non dice “Beati i predicatori di pace”. Dice: «Beati gli operatori di pace», cioè coloro che la fanno. Non illudiamoci che questo dipenda solo da noi! Cadremmo in un moralismo illusorio. La pace è dono di Dio, perché Lui può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori». Omelia
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1/ «Miliziani hanno costretto don Vinko a calpestare il mio rosario con le sue scarpe. Lui ha rifiutato. Uno dei miliziani, sguainando la sua spada, ha minacciato il parroco di massacrarmi se non avesse calpestato e profanato il rosario. Allora ho detto al parroco: "Don Vinko, lasciate pure che mi uccidano, ma, per l'amore di Dio, non calpestatelo"». La testimonianza di tre vittime al Papa
Riprendiamo dal sito di Avvenire del 6/6/2015 un articolo redazionale. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/6/2015)
"Molti mi suggerirono di scappare. Ma io non ho voluto lasciare soli i miei parrocchiani. Lo stesso hanno fatto quasi tutti i sacerdoti della mia diocesi, tra i quali otto sono stati uccisi o sono morti per le conseguenze delle torture". Ha rivissuto gli orrori della guerra nei Balcani degli anni '90, papa Francesco, nell'incontro con il clero nella cattedrale di Sarajevo. Drammatiche le testimonianze del conflitto fratricida ascoltate da un prete, un frate e una suora. Come quella di don Zvonimir Matijevic, sacerdote di Banja Luka.
"La Domenica delle Palme, il 12 aprile 1992, dopo la messa i soldati mi hanno catturato e portato nella città di Knin, nella vicina Croazia. Più volte mi hanno percosso fino al punto di farmi perdere conoscenza a causa del dolore. Hanno cercato di farmi dire, pubblicamente in televisione, che sono un criminale di guerra, che i sacerdoti sono criminali e che educano criminali". Ma don Zvonimir, che per quello che ha subito oggi è affetto da sclerosi multipla, era piuttosto pronto a morire.
"Hanno deciso di portarmi all'ospedale in fin di vita - ha ricordato, con la voce che si incrinava -. Il medico ha dovuto, con un intervento chirurgico, estrarre numerosi grumi di sangue. In seguito mi hanno detto di avermi somministrato sei dosi di sangue per farmi sopravvivere". Il Papa, al termine della testimonianza, ha abbracciato lungamente il sacerdote e si è chinato a baciargli le mani.
Anche il francescano frà Jozo Puskaric si commuove mentre rievoca e viene poi abbracciato dal Papa. "Il 14 maggio 1992 poliziotti serbi sono arrivati nella casa parrocchiale e mi hanno portato al campo di concentramento, insieme a molti miei parrocchiani, pur non avendo fatto nulla di male. La parrocchia, a Bosanski Samac, è rimasta senza popolazione e la maggior parte delle case distrutte". Frà Puskaric, che allora aveva 40 anni, ha detto di aver trascorso quattro mesi nel campo di concentramento: 120 giorni sono stati come 120 anni o più.
Abbiamo vissuto in condizioni disumane! Per tutto il tempo abbiamo patito la fame e la sete; in tutti quei giorni e quelle notti abbiamo vissuto senza le minime condizioni igieniche, senza poterci lavare, rasare, tagliare i capelli; ogni giorno venivamo maltrattati fisicamente, picchiati, torturati con diversi oggetti, con le mani e con i piedi... Colpendomi, mi hanno rotto, tra l'altro, tre costole".
Inumani anche i trattamenti raccontati da suor Ljubica Sekerija, delle Figlie della Divina Carità, che allora era a Travnik, in Bosnia centrale. "Quando è scoppiata la guerra, sono comparsi miliziani stranieri provenienti da alcuni paesi arabi del Medio Oriente", ha rammentato, spiegando di essere stata portata via il 15 ottobre 1993 da combattenti armati con un camioncino insieme al parroco don Vinko e a tre laici della Caritas. Nel loro quartier generale, "i miliziani hanno costretto don Vinko a calpestare il mio rosario con le sue scarpe. Lui ha rifiutato. Uno dei miliziani, sguainando la sua spada, ha minacciato il parroco di massacrarmi se non avesse calpestato e profanato il rosario. Allora ho detto al parroco: "Don Vinko, lasciate pure che mi uccidano, ma, per l'amore di Dio, non calpestate il nostro oggetto sacro".
La religiosa ha ripercorso le continue provocazioni e umiliazioni, gli insulti osceni ricevuti, i calci, le percosse. "In quei momenti difficili, don Vinko ci ha detto sottovoce: 'Non temete, vi ho dato l'assoluzione a tutti. Ora siamo pronti a morire in pace!'".
"Quella notte ci hanno picchiato tutti", ha ricordato la suora. A un certo punto "ho sentito la canna del fucile sulla mia fronte e una voce che mi ordinava di confessare l'Islam come unica e vera religione. Ero spaventata ma restavo zitta, e la stessa voce mi ha ordinato di non riferire a nessuno quelle cose, altrimenti la mia testa sarebbe finita all'inferno. Ho pensato che fosse arrivato il momento della mia morte". Suor Ljubica, poi liberata da un altro miliziano, oggi può raccontare quell'esperienza. Ma le ferite dentro restano ancora aperte.
2/ «Non avete diritto di dimenticare la vostra storia. Non per vendicarvi, ma per fare pace. Non per guardare a queste testimonianze come a una cosa strana, ma per amare come loro hanno amato. Nel vostro sangue, nella vostra vocazione, c’è la vocazione, c’è il sangue di questi tre martiri». Discorso di Papa Francesco nella Cattedrale di Sarajevo dedicata al Sacro Cuore di Gesù, ai sacerdoti, le religiose, i religiosi e i seminaristi, dopo aver ascoltato le tre testimonianze
Riprendiamo sul nostro sito il discorso di Papa Francesco nella Cattedrale di Sarajevo dedicata al Sacro Cuore di Gesù, ai sacerdoti, le religiose, i religiosi e i seminaristi, dopo aver ascoltato le tre testimonianze. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/6/2015)
Ho preparato un discorso per voi, ma dopo aver sentito le testimonianze di questo Sacerdote, di questo Religioso, di questa Religiosa, sento il bisogno di parlarvi a braccio.
Loro ci hanno raccontato vita, ci hanno raccontato esperienze, ci hanno raccontato tante cose brutte e belle. Consegno il discorso – che è bello – al Cardinale Arcivescovo.
Le testimonianze parlavano da sole. E questa è la memoria del vostro popolo! Un popolo che dimentica la sua memoria non ha futuro. Questa è la memoria dei vostri padri e madri nella fede: qui hanno parlato solo tre persone, ma dietro di loro ci sono tanti e tante che hanno sofferto le stesse cose.
Care sorelle, cari fratelli, non avete diritto di dimenticare la vostra storia. Non per vendicarvi, ma per fare pace. Non per guardare [a queste testimonianze] come a una cosa strana, ma per amare come loro hanno amato. Nel vostro sangue, nella vostra vocazione, c’è la vocazione, c’è il sangue di questi tre martiri. E c’è il sangue e c’è la vocazione di tante religiose, tanti preti, tanti seminaristi. L’autore della Lettera agli Ebrei ci dice: Mi raccomando, non dimenticatevi dei vostri antenati, quelli che vi hanno trasmesso la fede. Questi [indica i testimoni] vi hanno trasmesso la fede; questi vi hanno trasmesso come si vive la fede. Lo stesso Paolo ci dice: “Non dimenticatevi di Gesù Cristo”, il primo Martire. E questi sono andati sulle tracce di Gesù.
Riprendere la memoria per fare pace. Alcune parole mi sono rimaste nel cuore. Una, ripetuta: “perdono”. Un uomo, una donna che si consacra al servizio del Signore e non sa perdonare, non serve. Perdonare un amico che ti ha detto una parolaccia, con il quale avevi litigato, o una suora che è gelosa di te, non è tanto difficile. Ma perdonare chi ti picchia, chi ti tortura, chi ti calpesta, chi ti minaccia con il fucile per ucciderti, questo è difficile. E loro lo hanno fatto, e loro predicano di farlo!
Un’altra parola che mi è rimasta è quella dei 120 giorni del campo di concentramento. Quante volte lo spirito del mondo ci fa dimenticare questi nostri antenati, le sofferenze dei nostri antenati! Quei giorni sono contati, non per giorno, ma per minuti, perché ogni minuto, ogni ora è una tortura. Vivere tutti insieme, sporchi, senza pasto, senza acqua, con il caldo o con il freddo, e questo per tanto tempo! E noi, che ci lamentiamo quando abbiamo un dente che ci fa male, o che vogliamo avere la tv nella nostra stanza con tante comodità, e che chiacchieriamo della superiora o del superiore quando il pasto non è tanto buono… Non dimenticate, per favore, le testimonianze dei vostri antenati. Pensate a quanto hanno sofferto queste persone; pensate a quei sei litri di sangue che ha ricevuto il padre – il primo che ha parlato – per sopravvivere. E fate una vita degna della Croce di Gesù Cristo.
Suore, sacerdoti, vescovi, seminaristi mondani, sono una caricatura, non servono. Non hanno la memoria dei martiri. Hanno perso la memoria di Gesù Cristo crocifisso, l’unica gloria nostra.
Un’altra cosa che mi viene in mente è quel miliziano che ha dato la pera alla suora; e quella donna musulmana che adesso vive in America, che portò da mangiare… Tutti siamo fratelli. Anche quell’uomo crudele ha pensato… non so che cosa ha pensato, ma ha sentito lo Spirito Santo nel suo cuore e forse ha pensato a sua mamma e ha detto: “Prendi questa pera e non dire nulla”. E quella donna musulmana andava oltre le differenze religiose: amava. Credeva in Dio e faceva del bene.
Cercate il bene di tutti. Tutti hanno la possibilità, il seme del bene. Tutti siamo figli di Dio.
Benedetti voi, che avete così vicine queste testimonianze: non dimenticatele, per favore. La vostra vita cresca con questo ricordo. Io penso a quel sacerdote, al quale è morto il papà quando era bambino, poi è morta la mamma, poi è morta la sorella, ed è rimasto solo… Ma lui era il frutto di un amore, di un amore matrimoniale. Pensate a quella suora martire: anche lei era figlia di una famiglia. E pensate anche al francescano, con due sorelle francescane; e mi viene in mente quello che ha detto il Cardinale Arcivescovo: che cosa succede al giardino della vita, cioè la famiglia? Una cosa brutta, succede: che non fiorisce. Pregate per le famiglie, perché fioriscano in tanti figli e ci siano anche tante vocazioni.
E finalmente, vorrei dirvi che questa è stata una storia di crudeltà. Anche oggi, in questa guerra mondiale vediamo tante, tante, tante crudeltà. Fate sempre il contrario della crudeltà: abbiate atteggiamenti di tenerezza, di fratellanza, di perdono. E portate la Croce di Gesù Cristo. La Chiesa, la santa Madre Chiesa, vi vuole così: piccoli, piccoli martiri, davanti a questi piccoli martiri, piccoli testimoni della Croce di Gesù.
Il Signore vi benedica! E, per favore, pregate per me. Grazie.
3/ «Islamici, ortodossi, ebrei, cattolici e altre minoranze - tutti insieme, gioiosi! Questa è la speranza! Facciamo la scommessa su questo. I responsabili politici sono chiamati al nobile compito di essere i primi servitori delle loro comunità con un’azione che salvaguardi in primo luogo i diritti fondamentali della persona umana, tra i quali spicca quello alla libertà religiosa». Discorso di Papa Francesco nell’incontro con le Autorità al Palazzo Presidenziale
Riprendiamo sul nostro sito il discorso di Papa Francesco nell’incontro con le Autorità al Palazzo Presidenziale. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/6/2015)
Signori Membri della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina,
Signor Presidente di turno,
Membri del Corpo Diplomatico,
Cari fratelli e sorelle!
Ringrazio vivamente i membri della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina per la gentile accoglienza, e in particolare per le cordiali espressioni di saluto rivoltemi a nome di tutti dal Signor Presidente di turno Mladen Ivanić. È per me motivo di gioia trovarmi in questa città che ha tanto sofferto per i sanguinosi conflitti del secolo scorso e che è tornata ad essere luogo di dialogo e pacifica convivenza. E’ passata da una cultura dello scontro, della guerra, a una cultura dell’incontro.
Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina rivestono uno speciale significato per l’Europa e per il mondo intero. Da secoli in questi territori sono presenti comunità che professano religioni diverse e appartengono a diverse etnie e culture, ciascuna delle quali è ricca delle sue peculiari caratteristiche e gelosa delle sue specifiche tradizioni, senza che questo abbia impedito per lungo tempo l’instaurarsi di relazioni reciproche amichevoli e cordiali.
Anche la stessa struttura architettonica di Sarajevo ne porta visibili e consistenti tracce, poiché nel suo tessuto urbanistico sorgono, a breve distanza l’una dall’altra, sinagoghe, chiese e moschee, tanto che la città ricevette l’appellativo di “Gerusalemme d’Europa”. Essa infatti rappresenta un crocevia di culture, nazioni e religioni; e tale ruolo richiede di costruire sempre nuovi ponti e di curare e restaurare quelli esistenti, perché sia assicurata un’agevole, sicura e civile comunicazione.
Abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti. È necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui.
In tal modo, anche le gravi ferite del recente passato possono essere rimarginate e si può guardare al futuro con speranza, affrontando con animo libero da paure e rancori i quotidiani problemi che ogni comunità civile è chiamata ad affrontare.
Sono venuto come pellegrino di pace e di dialogo, 18 anni dopo la storica visita di san Giovanni Paolo II, avvenuta a meno di due anni dalla firma degli Accordi di Pace di Dayton. Sono lieto di vedere i progressi compiuti, per i quali occorre ringraziare il Signore e tante persone di buona volontà. È però importante non accontentarsi di quanto finora realizzato, ma cercare di compiere passi ulteriori per rinsaldare la fiducia e creare occasioni per accrescere la mutua conoscenza e stima. Per favorire questo percorso sono fondamentali la vicinanza - la vicinanza! - e la collaborazione della Comunità internazionale, in particolare dell’Unione Europea, e di tutti i Paesi e le Organizzazioni presenti e operanti sul territorio della Bosnia ed Erzegovina.
La Bosnia ed Erzegovina è infatti parte integrante dell’Europa; i suoi successi e i suoi drammi si inseriscono a pieno titolo nella storia dei successi e dei drammi europei, e sono nel medesimo tempo un serio monito a compiere ogni sforzo perché i processi di pace avviati diventino sempre più solidi e irreversibili.
In questa terra, la pace e la concordia tra Croati, Serbi e Bosgnacchi, le iniziative volte ad accrescerle ulteriormente, le relazioni cordiali e fraterne tra musulmani, ebrei, cristiani e altre minoranze religiose, rivestono un’importanza che va ben al di là dei suoi confini. Esse testimoniano al mondo intero che la collaborazione tra varie etnie e religioni in vista del bene comune è possibile, che un pluralismo di culture e tradizioni può sussistere e dare vita a soluzioni originali ed efficaci dei problemi, che anche le ferite più profonde possono essere sanate da un percorso che purifichi la memoria e dia speranza per l’avvenire. Io ho visto oggi questa speranza in quei bambini che ho salutato all’aeroporto - islamici, ortodossi, ebrei, cattolici e altre minoranze - tutti insieme, gioiosi! Questa è la speranza! Facciamo la scommessa su questo.
Abbiamo tutti bisogno, per opporci con successo alla barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate, di riconoscere i valori fondamentali della comune umanità, valori in nome dei quali si può e si deve collaborare, costruire e dialogare, perdonare e crescere, permettendo all’insieme delle diverse voci di formare un nobile e armonico canto, piuttosto che urla fanatiche di odio.
I responsabili politici sono chiamati al nobile compito di essere i primi servitori delle loro comunità con un’azione che salvaguardi in primo luogo i diritti fondamentali della persona umana, tra i quali spicca quello alla libertà religiosa. In tal modo sarà possibile costruire, con concretezza d’impegno, una società più pacifica e giusta, avviando a soluzione, con l’aiuto di ogni componente, i molteplici problemi della vita quotidiana del popolo.
Perché ciò avvenga è indispensabile l’effettiva uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e nella sua attuazione, qualunque sia la loro appartenenza etnica, religiosa e geografica: così tutti indistintamente si sentiranno pienamente partecipi della vita pubblica e, godendo dei medesimi diritti, potranno attivamente dare il loro specifico contributo al bene comune.
Illustri Signori e Signore,
la Chiesa Cattolica partecipa, attraverso la preghiera e l’azione dei suoi fedeli e delle sue istituzioni, all’opera di ricostruzione materiale e morale della Bosnia ed Erzegovina, condividendone le gioie e le preoccupazioni, desiderosa di testimoniare con impegno la sua speciale vicinanza verso i poveri e i bisognosi, mossa nel fare questo dall’insegnamento e dall’esempio del suo divino Maestro, Gesù.
La Santa Sede si felicita per il cammino fatto in questi anni ed assicura la sua sollecitudine nel promuovere la collaborazione, il dialogo e la solidarietà, sapendo che la pace e il reciproco ascolto in una convivenza civile e ordinata sono le condizioni indispensabili per un autentico e duraturo sviluppo. Essa auspica vivamente che la Bosnia ed Erzegovina, con l’apporto di tutti, dopo che le nuvole nere della tempesta si sono finalmente allontanate, possa procedere sulla via intrapresa, in modo che, dopo il gelido inverno, fiorisca la primavera. E si vede fiorire qui la primavera.
Con questi sentimenti imploro dall’Altissimo pace e prosperità per Sarajevo e tutta la Bosnia ed Erzegovina. Grazie.
4/ «Il dialogo interreligioso, prima ancora di essere discussione sui grandi temi della fede, è una “conversazione sulla vita umana”. In esso si condivide la quotidianità dell’esistenza. È sempre bene ricordare che il dialogo, per essere autentico ed efficace, presuppone una identità formata: senza identità formata, il dialogo è inutile o dannoso. Mentre facciamo giusta memoria del passato, anche per imparare le lezioni della storia, evitiamo i rimpianti e le recriminazioni, ma lasciamoci purificare da Dio, che ci dona il presente e il futuro. Attestare che è possibile vivere uno accanto all’altro, nella diversità ma nella comune umanità ». Discorso di Papa Francesco nell’Incontro ecumenico ed interreligioso presso il Centro Studentesco Francescano Internazionale
Riprendiamo sul nostro sito il discorso di Papa Francesco nell’incontro con le Autorità al Palazzo Presidenziale. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/6/2015)
Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di partecipare a questo incontro, che riunisce i rappresentanti delle confessioni religiose presenti in Bosnia ed Erzegovina. Rivolgo un cordiale saluto a ciascuno di voi e alle vostre comunità, e ringrazio in particolare per le cortesi espressioni e le riflessioni che sono state proposte. E sentendole posso dirvi che mi hanno fatto bene!
L’incontro di oggi è segno di un comune desiderio di fraternità e di pace; esso dà testimonianza di un’amicizia che state costruendo negli anni e che già vivete nella quotidiana convivenza e collaborazione. Essere qui è già un “messaggio” di quel dialogo che tutti cerchiamo e per il quale lavoriamo.
Vorrei specialmente ricordare, quale frutto di questo desiderio d’incontro e di riconciliazione, l’istituzione, nel 1997, del locale Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che raduna musulmani, cristiani ed ebrei. Mi rallegro per l’opera che il Consiglio sta svolgendo con la promozione di diverse attività di dialogo, il coordinamento di iniziative comuni e il confronto con le Autorità statali. Il vostro lavoro è molto prezioso in questa regione, e a Sarajevo in particolare, crocevia di popoli e di culture, dove la diversità, se da un lato costituisce una grande risorsa che ha permesso lo sviluppo sociale, culturale e spirituale di questa regione, dall’altro è stata motivo di dolorose lacerazioni e sanguinose guerre.
Non è un caso che la nascita del Consiglio per il Dialogo Interreligioso e le altre apprezzabili iniziative in campo interreligioso ed ecumenico siano avvenute alla fine della guerra, come una risposta all’esigenza di riconciliazione e di fronte alla necessità di ricostruire una società dilaniata dal conflitto. Il dialogo interreligioso, infatti, qui come in ogni parte del mondo, è una condizione imprescindibile per la pace, e per questo è un dovere per tutti i credenti (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 250).
Il dialogo interreligioso, prima ancora di essere discussione sui grandi temi della fede, è una «conversazione sulla vita umana» (ibid.). In esso si condivide la quotidianità dell’esistenza, nella sua concretezza, con le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze; si assumono responsabilità comuni; si progetta un futuro migliore per tutti. Si impara a vivere insieme, a conoscersi e ad accettarsi nelle rispettive diversità, liberamente, per quello che si è. Nel dialogo si riconosce e si sviluppa una comunanza spirituale, che unifica e aiuta a promuovere i valori morali, i grandi valori morali, la giustizia, la libertà e la pace. Il dialogo è una scuola di umanità e un fattore di unità, che aiuta a costruire una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto.
Per questo motivo, il dialogo interreligioso non può limitarsi solo a pochi, ai soli responsabili delle comunità religiose, ma dovrebbe estendersi quanto più è possibile a tutti i credenti, coinvolgendo le diverse sfere della società civile. E un’attenzione particolare meritano in tal senso i giovani, chiamati a costruire il futuro di questo Paese. Tuttavia, è sempre bene ricordare che il dialogo, per essere autentico ed efficace, presuppone una identità formata: senza identità formata, il dialogo è inutile o dannoso. Questo lo dico pensando ai giovani, ma vale per tutti.
Apprezzo sinceramente quanto avete fatto sino ad ora e vi incoraggio in questo vostro impegno per la causa della pace, della quale voi, come leader religiosi, siete i primi custodi qui in Bosnia ed Erzegovina. Vi assicuro che la Chiesa Cattolica continuerà a dare il suo pieno appoggio e ad assicurare la sua completa disponibilità.
Siamo tutti consapevoli che c’è ancora tanta strada da percorrere. Non lasciamoci, però, scoraggiare dalle difficoltà e continuiamo con perseveranza nel cammino del perdono e della riconciliazione. Mentre facciamo giusta memoria del passato, anche per imparare le lezioni della storia, evitiamo i rimpianti e le recriminazioni, ma lasciamoci purificare da Dio, che ci dona il presente e il futuro: Lui è il nostro futuro, Lui è la fonte ultima della pace.
Questa città, che nel recente passato è tristemente diventata un simbolo della guerra e delle sue distruzioni, questa Gerusalemme d’Europa, oggi, con la sua varietà di popoli, culture e religioni, può diventare nuovamente segno di unità, luogo in cui la diversità non rappresenti una minaccia, ma una ricchezza e un’opportunità per crescere insieme. In un mondo purtroppo ancora lacerato da conflitti, questa terra può diventare un messaggio: attestare che è possibile vivere uno accanto all’altro, nella diversità ma nella comune umanità, costruendo insieme un futuro di pace e di fratellanza. Si può vivere facendo la pace!
Sono grato a tutti voi per la vostra presenza e per le preghiere che avrete la bontà di offrire per il mio servizio. Da parte mia, vi assicuro che pregherò altrettanto per voi, per le vostre comunità, e di cuore lo farò. Il Signore ci benedica tutti.
Adesso invito tutti a fare questa preghiera. All’Eterno, all’Unico e Vero Dio Vivente, al Misericordioso.
PREGHIERA
Dio Onnipotente ed eterno,
Padre buono e misericordioso;
Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili;
Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe,
Re e Signore del passato, del presente e del futuro;
unico giudice di tutti gli uomini,
che ricompensi con la gloria eterna i tuoi fedeli!
Noi, discendenti di Abramo secondo la fede in Te, unico Dio,
ebrei, cristiani e musulmani,
umilmente siamo davanti a Te
e con fiducia Ti preghiamo
per questo Paese, la Bosnia ed Erzegovina,
affinché possano abitarvi in pace e armonia
uomini e donne credenti di diverse religioni, nazioni e culture.
Ti preghiamo, o Padre, perché ciò avvenga
in tutti i Paesi del mondo!
In ognuno di noi rafforza la fede e la speranza,
il rispetto reciproco e l’amore sincero
per tutti i nostri fratelli e sorelle.
Fa’ che, con coraggio, ci impegniamo
a costruire la giustizia sociale,
ad essere uomini di buona volontà,
pieni di comprensione reciproca e di perdono,
pazienti artigiani di dialogo e di pace.
Tutti i nostri pensieri, le parole e le opere
siano in armonia con la Tua santa volontà.
Tutto sia per Tuo onore e Tua gloria e per la nostra salvezza.
Lode e gloria eterna a Te, nostro Dio!
Amen.
5/ «Non dice “Beati i predicatori di pace”: tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera. No. Dice: «Beati gli operatori di pace», cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale. Non illudiamoci però che questo dipenda solo da noi! Cadremmo in un moralismo illusorio. La pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui, con il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne». Omelia di Papa Francesco nella Santa Messa presso lo Stadio Koševo
Riprendiamo sul nostro sito l’omelia di Papa Francesco nella Santa Messa presso lo Stadio Koševo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/6/2015)
Cari fratelli e sorelle,
nelle Letture bibliche che abbiamo ascoltato è risuonata più volte la parola “pace”. Parola profetica per eccellenza! Pace è il sogno di Dio, è il progetto di Dio per l’umanità, per la storia, con tutto il creato. Ed è un progetto che incontra sempre opposizione da parte dell’uomo e da parte del maligno. Anche nel nostro tempo l’aspirazione alla pace e l’impegno per costruirla si scontrano col fatto che nel mondo sono in atto numerosi conflitti armati. È una sorta di terza guerra mondiale combattuta “a pezzi”; e, nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima di guerra.
C’è chi questo clima vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi. Ma la guerra significa bambini, donne e anziani nei campi profughi; significa dislocamenti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate. Voi lo sapete bene, per averlo sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra!
All’interno di questo clima di guerra, come un raggio di sole che attraversa le nubi, risuona la parola di Gesù nel Vangelo: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). È un appello sempre attuale, che vale per ogni generazione. Non dice “Beati i predicatori di pace”: tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera. No. Dice: «Beati gli operatori di pace», cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Beati sono coloro che seminano pace con le loro azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia… Questi sì, «saranno chiamati figli di Dio», perché Dio semina pace, sempre, dovunque; nella pienezza dei tempi ha seminato nel mondo il suo Figlio perché avessimo la pace! Fare la pace è un lavoro da portare avanti tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi.
E come si fa, come si costruisce la pace? Ce lo ha ricordato, in maniera essenziale, il profeta Isaia: «Praticare la giustizia darà pace» (32,17). “Opus iustitiae pax”, secondo la versione della “Vulgata” diventata un celebre motto, adottato anche profeticamente dal Papa Pio XII. La pace è opera della giustizia. Anche qui: non una giustizia declamata, teorizzata, pianificata… ma la giustizia praticata, vissuta. E il Nuovo Testamento ci insegna che il pieno compimento della giustizia è amare il prossimo come sé stessi (cfr Mt 22,39; Rm 13,9).
Quando, con la grazia di Dio, noi seguiamo questo comandamento, come cambiano le cose! Perché cambiamo noi! Quella persona, quel popolo, che vedevo come nemico, in realtà ha il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa anima. Abbiamo lo stesso Padre nei cieli. Allora la vera giustizia è fare a quella persona, a quel popolo, ciò che vorrei fosse fatto a me, al mio popolo (cfr Mt 7,12).
San Paolo, nella seconda Lettura, ci ha indicato gli atteggiamenti necessari per fare la pace: «Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei confronti di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (3,12-13).
Ecco gli atteggiamenti per essere “artigiani” di pace nel quotidiano, là dove viviamo. Non illudiamoci però che questo dipenda solo da noi! Cadremmo in un moralismo illusorio. La pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui, con il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della sua pace. E, andando in profondità, l’Apostolo dice che la pace è dono di Dio perché è frutto della sua riconciliazione con noi. Solo se si lascia riconciliare con Dio, l’uomo può diventare operatore di pace.
Cari fratelli e sorelle, oggi domandiamo insieme al Signore, per intercessione della Vergine Maria, la grazia di avere un cuore semplice, la grazia della pazienza, la grazia di lottare e lavorare per la giustizia, di essere misericordiosi, di operare per la pace, di seminare la pace e non guerra e discordia. Questo è il cammino che rende felici, che rende beati.