Quando sono i maleducati a insegnarci l’educazione, di Annalisa Teggi
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Annalisa Teggi pubblicato il 21/5/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (24/5/2015)
Matteo Renzi si è giocato l’asso del paradosso chestertoniano per replicare a Ferruccio De Bortoli che gli aveva dato del maleducato di talento. E la frase di Chesterton citata dal premier suona davvero bene: «Democrazia significa governo dei maleducati, mentre aristocrazia significa governo degli educati male», ma questa traduzione italiana è imprecisa, tanto che per rispettare il senso originale (che gioca su “uneducated” e “badly educated”), io mi sarei spinta a una versione libera: «Democrazia significa governo del volgo, mentre aristocrazia significa governo della volgarità».
Il volgo è ineducato, ed è sano; certi potenti sono talmente educati, da commettere delle volgarità. Un’educazione basata su ideologie riduttive e spregiudicate distorce il sano senso comune, che invece appartiene alla tradizione popolare, la quale è sempre stata custode delle verità umane basilari. Questo intendeva dire Chesterton, ed è senz’altro una provocazione, rivolta però al mondo della scuola più che al mondo della politica.
Intanto, mentre Renzi replicava a De Bortoli, un vero maleducato di talento come Roberto Benigni commemorava Dante al cospetto dei membri del Senato. E il suo è proprio un esempio di come un certo tipo di maleducazione sia un vero talento da mettere a frutto. La vivace irriverenza di Benigni ci ha senz’altro educato a Dante in questi anni, cioè ce lo ha restituito umano e vivo, mentre una certa imbalsamata cultura – fin troppo educata ed erudita – si limita ancora a venerarlo sul suo bel piedistallo, come ci s’inginocchia di fronte a un morto al cimitero.
Insomma, a volte serve un maleducato per ricordarci cos’è l’educazione. Mi spiego: studiare Dante, nella maggior parte delle nostre aule scolastiche, si riduce a fare la parafrasi. È educativo? Dubito. Eppure proprio la Divina Commedia comincia con un gesto educativo esemplare: Virgilio guida Dante fuori dalla selva e la prima cosa a cui lo introduce è il buio dell’inferno in cui risuonano urla e bestemmie. Ecco un vero gesto maleducato, che frantuma le formalità ed entra a gamba tesa nella sostanza del dramma umano.
La luce di una triste ribalta si è posata su Mattia Sangermano, il giovane intervistato durante gli scontri della frangia violenta dei No Expo a Milano, che aveva ingenuamente dichiarato il suo assenso a spaccare tutto. In una dichiarazione successiva, e dopo una bella lavata di testa da parte dei genitori, ha chiesto scusa, ma soprattutto ha mostrato con un candore disarmante, e molto probabilmente involontario, tutta la sua fragilità alle prese con la selva intricata della gioventù. A un certo punto ha detto: «Io sono ancora studente, purtroppo»; forse si riferiva a una carriera scolastica sfortunata o forse al poco entusiasmo verso la scuola, però quel “purtroppo” è la vera sfida della riforma scolastica. Quella che comincia in classe ogni benedetto giorno.
Forse è bene che gl’insegnanti non mettano in cantina gli altoparlanti usati durante il grande sciopero del 5 maggio, perché occorre che continuino ad alzare la voce anche in aula e che, metaforicamente s’intende, facciano i maleducati.
Sotto quel “purtroppo” è rintanato un grumo di confusa ma viva umanità che chiede un salutare spintone per uscire dalla sua selva, e non una carezza intellettuale.