Il testo integrale dell’intervista a papa Francesco degli abitanti della villa La Carcova (a cura di Alver Metalli). Dalla periferia di Buenos Aires al Papa delle periferie «La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro. Compresa la realtà di una persona, la periferia esistenziale, o la realtà del suo pensiero; tu puoi avere un pensiero molto strutturato ma quando ti confronti con qualcuno che non la pensa come te, in qualche modo devi cercare ragioni per sostenere questo tuo pensiero; incomincia il dibattito, e la periferia del pensiero dell'altro ti arricchisce».
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Riprendiamo da Avvenire del 10/3/2015 intervista a papa Francesco degli abitanti della villa La Carcova. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (10/3/2015)
La storia di questa intervista ha un punto di partenza, un epicentro nello spazio e nel tempo – possiamo anche chiamarlo così – le cui coordinate è doveroso raccontare. Lo spazio è quello della periferia di Buenos Aires, che in certi punti cambia aspetto e si trasforma in villa, o favela come la chiamano i brasiliani, o anche bidonville, nell’accezione più europea. In questo caso si tratta di villa La Carcova, nel dipartimento di León Suarez, un popoloso agglomerato sorto una cinquantina di anni fa attorno all’ultima stazione della ferrovia che portava nella grande Buenos Aires.
La coordinata temporale invece intercetta lo spazio della villa nel mese di gennaio del nuovo anno, il 2015. Il punto di intersezione spazio-temporale è una calda sera estiva nel cortile di una cappella, al termine di una processione religiosa col suo seguito di festa popolare. C’è di mezzo anche qualche bicchiere di vino a volerla dire tutta, che nella giusta misura stimola le idee ardite. Come quella di intervistare il Papa, appunto. Chi non ha domande da fargli? Quale giornalista non vorrebbe essere ricevuto e avere la possibilità di porgli delle questioni?
Il vino, come dicevamo, rende audaci. E audace era stata, un paio di mesi prima, anche l’idea di iniziare una pubblicazione interamente ideata e prodotta nella villa, con le risorse umane della villa. Nacque così La Carcova news, una rivista della villa, per la villa, scritta da ragazzi della villa.
Perché non chiedere al Papa una intervista per una rivista della villa? Per dare più forza al proposito ci fu chi suggerì che l’intervista fosse collettiva. Riassumendo: una intervista per una pubblicazione made in una villa, con domande formulate dalla gente che ci vive. Due buone idee, che potevano invogliare il Papa. Valeva la pena provarci.
E così si mise in moto la preparazione. Facilitata dal fatto che nel mese di gennaio, la Parrocchia San Giovanni Bosco, di recente costituzione, ed il suo parroco, José Maria di Paola, meglio conosciuto come padre Pepe, hanno in programma un certo numero di campeggi estivi: con bambini, con ragazzi, con adulti, con giovani che frequentano il centro di recupero dalla droga. Seicento persone, più o meno, che si sono spostate in momenti diversi chi in una località della costa per dei giorni di vacanza, chi in un pueblo della provincia argentina per delle giornate di missione.
Durante ogni campeggio alcuni minuti sono stati dedicati a spiegare il proposito di intervistare il Papa, invitando chi volesse a scrivere domande. Di bigliettini ne sono arrivati un buon numero. A questo punto non restava che eliminare le ripetizioni, sintetizzare alcune formulazioni un po’ lunghe, dare il carattere di interrogazione a pensieri che restavano sospesi ma che avevano sempre Papa Francesco, il Papa argentino, il Papa amico, come destinatario ed interlocutore.
E sperare nella sua disponibilità. Che c’è stata. Immediata e generosa. Quando padre Pepe lo scorso 7 febbraio ha avuto l'opportunità di essere ricevuto dal Papa nella casa Santa Marta gli ha consegnato le nostre domande. Francesco, con grande sorpresa di tutti e di chi scrive, decise di rispondere sul momento. A padre Pepe non restò che accendere un piccolo registratore.
Ed ecco di seguito l’intervista.
Lei parla molto di periferia. Questa parola gliel’abbiamo sentita usare tante volte. A che cosa e a chi pensa quando parla di periferie? A noi gente delle villas?
Quando parlo di periferia parlo di confini. Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso scopriamo più cose, e quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa.
Una cosa è osservare la realtà dal centro e un'altra è guardarla dall’ultimo posto dove tu sei arrivato. Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa.
La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro. Compresa la realtà di una persona, la periferia esistenziale, o la realtà del suo pensiero; tu puoi avere un pensiero molto strutturato ma quando ti confronti con qualcuno che non la pensa come te, in qualche modo devi cercare ragioni per sostenere questo tuo pensiero; incomincia il dibattito, e la periferia del pensiero dell'altro ti arricchisce.
I nostri problemi li conosce. La droga avanza e non si arresta, entra nelle villas e attacca i nostri giovani. Chi ci deve difendere? E noi come possiamo difenderci?
E’ vero, la droga avanza e non si ferma. Ci sono paesi che ormai sono schiavi della droga. Quello che mi preoccupa di più è il trionfalismo dei trafficanti. Questa gente canta vittoria, sente che ha vinto, che ha trionfato. E questa è una realtà. Ci sono paesi, o zone, in cui tutto è sottomesso alla droga.
Riguardo all'Argentina posso dire questo: fino a 25 anni fa era ancora un paese di passaggio, oggi è un paese di consumo. E, non lo so con certezza, ma credo che si produca anche.
Qual è la cosa più importante che dobbiamo dare ai nostri figli?
L’appartenenza. L’appartenenza a un focolare. L’appartenenza si dà con l’amore, con l’affetto, con il tempo, prendendoli per mano, accompagnandoli, giocando con loro, dandogli quello di cui hanno bisogno in ogni momento per la loro crescita. Soprattutto dandogli spazi in cui possano esprimersi. Se non giochi con i tuoi figli li stai privando della dimensione della gratuità. Se non gli permetti di dire quello che sentono in modo che possano anche discutere con te e sentirsi liberi, non li stai lasciando crescere.
Ma la cosa ancora più importante è la fede. Mi addolora molto incontrare un bambino che non sa fare il segno della croce. Vuol dire che al piccolo non è stata data la cosa più importante che un padre e una madre possono dargli: la fede.
Lei vede sempre una possibilità di cambiamento, sia in storie difficili, di persone che sono provate dalla vita, sia in situazioni sociali o internazionali che sono causa di grandi sofferenze per le popolazioni. Cosa le dà questo ottimismo, anche quando ci sarebbe da disperarsi?
Tutte le persone possono cambiare. Anche le persone molto provate, tutti. Ne conosco alcune che si erano lasciate andare, che stavano buttando la loro vita e oggi si sono sposate, hanno una loro famiglia. Questo non è ottimismo. E’ certezza in due cose: primo nell’uomo, nella persona. La persona è immagine di Dio e Dio non disprezza la propria immagine, in qualche modo la riscatta, trova sempre il modo di recuperarla quando è offuscata; e, secondo, è la forza dello stesso Spirito Santo che va cambiando la coscienza.
Non è ottimismo, è fede nella persona, che è figlia di Dio, e Dio non abbandona i suoi figli.
Mi piace ripetere che noi figli di Dio ne combiniamo di tutti i colori, sbagliamo ad ogni piè sospinto, pecchiamo, ma quando chiediamo perdono Lui sempre ci perdona. Non si stanca di perdonare; siamo noi che, quando crediamo di saperla lunga, ci stanchiamo di chiedere perdono.
Come si può arrivare ad essere sicuri e costanti nella fede? Noi attraversiamo alti e bassi, in certi momenti siamo coscienti della presenza di Dio, che Dio è un compagno di cammino, in altri ce ne dimentichiamo. Si può aspirare ad una stabilità in una materia come quella della fede?
Sì, è vero, ci sono alti e bassi. In alcuni momenti siamo coscienti della presenza di Dio, altre volte ce ne dimentichiamo. La Bibbia dice che la vita dell’uomo sulla terra è un combattimento, una lotta; vuol dire che tu devi essere in pace e lottare. Preparato per non venir meno, per non abbassare la guardia, e allo stesso tempo godendo delle cose belle che Dio ti dà nella vita. Bisogna stare in guardia, senza essere né disfattisti né pessimisti.
Come essere costanti nella fede? Se non ti rifiuti di sentirla, la troverai molto vicina, dentro al tuo cuore. Poi, un giorno potrà capitare che tu non senta un bel niente. Eppure la fede c’è, è lì, no? Occorre abituarsi al fatto che la fede non è un sentimento. A volte il Signore ci dà la grazia di sentirla, ma la fede è qualcosa di più. La fede è il mio rapporto con Gesù Cristo, io credo che Lui mi ha salvato. Questa è la vera questione riguardo alla fede. Mettiti a cercare tu quei momenti della tua vita dove sei stato male, dove eri perso, dove non ne azzeccavi una, e osserva come Cristo ti ha salvato. Afferrati a questo, questa è la radice della tua fede. Quando ti dimentichi, quando non senti niente, afferrati a questo, perché è questa la base della tua fede. E sempre con il Vangelo in mano. Portati sempre in tasca un piccolo Vangelo. Tienilo in casa tua. Quella è la Parola di Dio. E’ da lì che la fede prende il suo nutrimento. Dopotutto la fede è un regalo, non è un atteggiamento psicologico. Se ti fanno un regalo ti tocca riceverlo, no? Allora, ricevi il regalo del Vangelo, e leggilo. Leggilo e ascolta la Parola di Dio.
La sua vita è stata intensa, ricca. Anche noi vogliamo vivere una vita piena, intensa. Como si fa a non vivere inutilmente? E come fa uno a sapere che non vive inutilmente?
Beh, io ho vissuto molto tempo inutilmente, eh? In quei momenti la vita non è stata tanto intensa e tanto ricca. Io sono un peccatore come qualunque altro. Solamente che il Signore mi fa fare cose che si vedono; ma quante volte c’è gente che fa il bene, tanto bene, e non si vede. L’intensità non è direttamente proporzionale a quello che vede la gente. L’intensità si vive dentro. E si vive alimentando la stessa fede. Come? Facendo opere feconde, opere d’amore per il bene della gente. Forse il peggiore dei peccati contro l’amore è quello di disconoscere una persona. C'è una persona che ti ama e tu la rinneghi, la tratti come se non la conoscessi. Lei ti sta amando e tu la respingi. Chi ci ama più di tutti è Dio. Rinnegare Dio è uno dei peggiori peccati che ci siano. San Pietro commise proprio questo peccato, rinnegò Gesù Cristo… e lo fecero Papa! Allora io cosa posso dire?! Niente! Per cui, avanti!
Lei ha attorno a sé persone che non sono d’accordo con quello che fa e che dice?
Si, certo.
Come si comporta con loro?
Ascoltare le persone, a me, non ha mai fatto male. Ogni volta che le ho ascoltate, mi è sempre andata bene. Le volte che non le ho ascoltate mi è andata male. Perché anche se non sei d’accordo con loro, sempre – sempre! - ti danno qualcosa o ti mettono in una situazione che ti spinge a ripensare le tue posizioni. E questo ti arricchisce. E’ il modo di comportarsi con quelli con cui non siamo d’accordo. Ora, se io non sono d’accordo con qualcuno, smetto di salutarlo, gli chiudo la porta in faccia, non lo lascio parlare, e non gli domando le ragioni del disaccordo, evidentemente mi impoverisco da solo. Dialogando, ascoltando, ci si arricchisce.
La moda di oggi spinge i ragazzi verso rapporti virtuali. Anche nella villa è così. Come fare perché escano dal loro mondo di fantasia? Come aiutarli a vivere la realtà e i rapporti veri?
Io distinguerei il mondo della fantasia dalle relazioni virtuali. A volte i rapporti virtuali non sono di fantasia, sono concreti, sono di cose reali e molto concrete. Ma evidentemente la cosa desiderabile è il rapporto non virtuale, cioè il rapporto fisico, affettivo, il rapporto nel tempo e nel contatto con le persone. Io credo che il pericolo che corriamo ai nostri giorni è dato dal fatto che disponiamo di una capacità molto grande di riunire informazioni, dal fatto insomma di poterci muovere in una serie di cose virtualmente, ed esse ci possono trasformare in “giovani-museo”.
Un “giovane-museo” è molto ben informato, ma cosa se ne fa di tutto quello che sa? La fecondità, nella vita, non passa per l’accumulazione di informazioni o solamente per la strada della comunicazione virtuale, ma nel cambiare la concretezza dell’esistenza. Ultimamente vuol dire amare.
Tu puoi amare una persona, ma se non le stringi la mano, o non le dai un abbraccio, non è amore; se ami qualcuno al punto di volerlo sposare, vale a dire, se vuoi consegnarti completamente, e non lo abbracci, non gli dai un bacio, non è vero amore. L'amore virtuale non esiste. Esiste la dichiarazione di amore virtuale, ma il vero amore prevede il contatto fisico, concreto. Andiamo all’essenziale della vita, e l’essenziale è questo.
Dunque, non “giovani-museo” informati solo virtualmente delle cose, ma giovani che sentano e che con le mani – e qui sta il concreto – portino avanti le cose della loro vita...
Mi piace parlare dei tre linguaggi: il linguaggio della testa, il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani. Ci deve essere armonia tra i tre. In modo tale che tu pensi quello che senti e quello che fai, senti quello che pensi e quello che fai, e fai quello che senti e quello che pensi. Questo è il concreto. Restare solamente nel piano virtuale è come vivere in una testa senza corpo.
C’è qualcosa che vuol suggerire ai governanti argentini in un anno di elezioni?
Primo, che propongano una piattaforma elettorale chiara. Che ognuno dica: noi, se andremo al governo, faremo questo e quest’altro. Molto concreto! La piattaforma elettorale è qualcosa di molto sano; aiuta la gente a vedere quello che ognuno pensa. C’è un aneddoto raccontato da dei giornalisti furbetti che si riferisce ad una delle elezioni di molti anni fa. Più o meno alla stessa ora questi giornalisti si sono incontrati con tre candidati. Non ricordo bene se erano candidati a deputati o a sindaci. E chiesero a ognuno di loro: lei cosa pensa riguardo a questa cosa? Ciascuno ha detto quello che pensava e ad uno di loro un giornalista disse: "ma quello che lei pensa non è la stessa cosa che pensa il partito che lei rappresenta! Guardi la piattaforma elettorale del suo partito". Per dire che a volte gli stessi candidati non conoscono la piattaforma elettorale del proprio raggruppamento.
Un candidato deve presentarsi alla società con una piattaforma elettorale chiara, ben pensata. Dicendo "Se io verrò eletto deputato, sindaco, governatore, farò “questo”, perché penso che “questo” è quello che deve essere fatto".
Secondo, onestà nella presentazione della propria posizione.
Terzo – è una delle cose che dobbiamo raggiungere, speriamo che ci si riesca – una campagna elettorale di tipo gratuito, non finanziata. Perché nel finanziamento della campagna elettorale entrano in gioco molti interessi che poi ti chiedono il conto. Quindi essere indipendenti da chiunque mi possa finanziare la campagna elettorale. Evidentemente è un ideale, perché sempre c’è bisogno di soldi per i manifesti, per la televisione… In ogni caso che il finanziamento sia pubblico. Io, come cittadino, so che finanzio questo candidato con questa precisa somma di denaro. Che tutto sia trasparente e pulito.
Quando verrà in Argentina?
In linea di massima, nel 2016, ma non c’è ancora niente di sicuro perché bisogna trovare l’incastro con altri viaggi in altri paesi.
Per televisione sentiamo notizie che ci preoccupano e ci addolorano; che ci sono fanatici che la vogliono uccidere. Non ha paura? E noi che le vogliamo bene che cosa possiamo fare?
Guarda, la vita è nelle mani di Dio. Io ho detto al Signore: Tu prenditi cura di me. Ma se la tua volontà è che io muoia o che mi facciano qualcosa, ti chiedo un solo favore: che non mi faccia male. Perché io sono molto fifone per il dolore fisico.
A cura di Alver Metalli. Traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún
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