Ma sarebbe mai nato l’umanesimo senza tradizione cristiana?, di Adriano Fabris
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Riprendiamo da Avvenire del 7/12/2013 un articolo scritto da Adriano Fabris. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (15/12/2013)
È uscito in questi giorni sulla rivista 'il Mulino' un ampio e appassionato appello a favore della cultura umanistica a firma di Alberto Asor Rosa, Roberto Esposito ed Ernesto Galli della Loggia. Hanno ragione i tre autori: la situazione è davvero grave. Si profila il collasso dei modelli culturali che hanno fatto la storia del nostro Paese a partire dal secondo dopoguerra. È in gioco l’apporto che la tradizione italiana, con la sua specificità e le sue radici, può dare alla costruzione di un pensiero comune, in grado di sostenere un’Europa non più solo unita da vincoli economici. Da qui l’urgenza dell’appello e il motivo per cui esso coinvolge studiosi da tempo impegnati in battaglie culturali di vario tipo, ma certo di estrazione e sensibilità politiche molto diverse.
Le conseguenze di questa situazione sono sotto gli occhi di tutti. Asor Rosa, Esposito e Galli della Loggia ne sottolineano alcune, soprattutto per quel che riguarda l’ambito della formazione. Senza il riferimento alla cultura umanistica viene infatti meno un approccio critico alle cose, e ogni azione sembra poter essere sostituita da processi tecnologici che basta solo eseguire. Le domande sul senso di ciò che stiamo facendo sembrano trovare risposta, erroneamente, nelle spiegazioni che dei fenomeni possono essere date.
Tutto rischia di essere appiattito su di un’unica dimensione tecnico-scientifica. E anche nei rapporti interumani domina, così potremmo chiamarla, la 'dittatura della procedura'.
Non sembra che ci rendiamo sempre conto di quel che si perde: una perdita non solo di parti della nostra storia, ma soprattutto di alcune possibilità che l’essere umano ha tradizionalmente espresso. La soluzione di ogni problema sembra essere demandata all’uso delle tecnologie, senza che ci sia bisogno di chiedersi se quest’uso sia valido, giusto, buono. Si diffonde una concezione ideologica della ricerca scientifica, che peraltro non corrisponde al modo in cui gli scienziati fanno ricerca e alla consapevolezza che essi hanno della parzialità dei risultati raggiunti.
Hanno dunque ragione, ripeto, Asor Rosa, Esposito e Galli della Loggia con il loro appassionato appello. E hanno ancor più ragione quando, in questa situazione di emergenza, essi chiedono il contributo di tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro Paese. A tale scopo essi prospettano «la necessità di un nuovo nesso fra le culture politiche italiane». Questo nesso è necessario se non si vuole che la difesa dell’umanesimo risulti un gesto irrilevante. Ma per ottenere lo scopo, per giungere cioè alla più ampia aggregazione culturale su questioni così decisive e urgenti, bisogna davvero essere disposti al dialogo. Non bisogna dimenticare aspetti decisivi della storia italiana ed europea. E invece, ad esempio, nel testo non si parla mai di religioni. Né si fa riferimento all’apporto che la tradizione ebraico- cristiana ha dato in Occidente alla definizione dell’umano.
Analogamente la storia culturale d’Italia, qui brevemente tratteggiata, tralascia alcuni passaggi importanti, come ad esempio l’umanesimo cristiano del Quattro e Cinquecento, e accenna invece, con giudizio abbastanza scontato, alla stagione della Controriforma.
E infine non considera il fatto che, da quasi vent’anni, la questione dell’essere umano è al centro dell’attenzione teorica e pratica del cattolicesimo del nostro Paese. Anzi, proprio al tema del 'nuovo umanesimo', il cui riferimento per il credente è in Gesù Cristo, sarà dedicato nel 2015 il quinto Convegno nazionale della Chiesa italiana. Forse tutto ciò deriva dall’interesse prevalentemente politico della ricostruzione che ci viene proposta dai tre autori. Lo si vede dalla parte conclusiva del loro scritto. Ma 'politico' non può significare 'parziale'. Se l’urgenza, dunque, è di ripristinare una cultura politica in Italia su base davvero umanistica, allora è necessario promuovere l’apporto di tutti. La posta in gioco è troppo alta. La posta in gioco è il nostro futuro.