La scuola è occupata, prof., di Andrea Monda
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Riprendiamo dal Blog di Saverio Simonelli un articolo di Andrea Monda pubblicato il 5/11/2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/11/2013)
Oggi è successo qualcosa di strano, insolito. Vado come ogni mattina a scuola, cuffie alle orecchie e chissà quale musica in testa, ed ecco che entrando finisco per sbattere nel portone… il portone è infatti chiuso, ma non è mai chiuso, non l’ho mai visto chiuso, che è successo? Busso e il portone si apre, solo un piccolo spiraglio, e una voce mi spiega: “La scuola è occupata, prof, se vuole entrare può farlo dall’altra entrata”.
Riconosco anche il volto del ragazzo che parla, è un mio studente. Sono preso in contropiede e non riesco ad articolare una qualsiasi risposta, troppo tardi, il portone si chiude, secco. Sbuffo. Ma non mi resta altro da fare: faccio il giro ed entro dall’entrata posteriore. Salgo al primo piano, nella zona della sala professori e ci trovo, appunto, i professori, ma tutti insieme, che gironzolano, senza sapere bene cosa fare. Questo è l’unico piano che ci è concesso frequentare dalla benevolenza degli studenti, che invece dilagano nel cortile e nei piani superiori, dove sono le aule, ora totalmente a loro disposizione.. cosa ci faranno mi chiedo.
La situazione è davvero da spaesamento. Le finestre del primo piano sono aperte e tutti noi, docenti, sentiamo il caos degli 800 ragazzi, i nostri studenti, che stanno dibattendo e decidendo della nostra sorte, di cosa sarà di questa giornata così paradossale, dove tutto è rovesciato. Soprattutto dal punto di vista dei “riti”, sì perché in fondo la vita è fatta di riti.
Mi viene in mente la bellissima pagina de Il Piccolo Principe:
“Il piccolo principe ritornò l’indomani. “Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe. ”Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”. “Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe. “Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza”. Così il piccolo principe addomesticò la volpe”.
Alla fine i ragazzi hanno deciso di continuare a dibattere per poi votare (ed io ancora non so se domani avremo lezione regolare o no). Quanto è faticosa la democrazia, ma è stato davvero notevole, inusuale, stare lì, in quei corridoi in mezzo ai tanti professori tutti come impacciati, sorpresi, interdetti, chiusi in un’impotenza che ci rendeva goffi e nervosi, come quando il conducente dell’autobus prende una strada che non è quella solita, perché c’è stata una deviazione o perché il conducente stesso non conosce il percorso (capita anche questo, a Roma).
Una situazione per noi professori a dir poco inquietante, stralunata, l’ideale per l’incipit di un romanzo o l’inizio di un film, anche d’azione, una situazione creata dall’assenza dei riti, dal blocco delle operazioni quotidiane: prendere il caffè alla macchinetta, trovare tra i tanti il registro della propria classe, salire ognuno nell’aula della prima ora, fare l’appello…
A fronte di questa sospensione dei riti, pochi metri sotto di noi, nel cortile gremito dagli studenti vocianti, la situazione opposta: il rito per eccellenza per ogni scuola italiana, da 45 anni a questa parte, l’occupazione. Rito autunnale, di passaggio, di iniziazione, rito che più tradizionale non si può. Con l’arrivo dell’Avvento non c’è solo la raccolta delle castagne, la caduta delle foglie e i preparativi del Natale, c’è anche la scuola che, puntualmente, si deve occupare, perché “così si è sempre fatto”. Spesso i giovani sono più vecchi dei vecchi: oggi era buffo chiedere il motivo, la ragione di questa occupazione.. nessuno tra gli occupanti la conosceva.
In questa strana mattinata di novembre ho capito l’ambiguità dei riti, vedendone due contrapposti: uno sospeso e uno esausto. Ora l’assenza dei riti è brutta perché, ha ragione la volpe, il rito è il prezzo della felicità, ma il rito assolutizzato, fine a se stesso, forse è anche peggio, sa di fanatismo, quella cosa che secondo Santayana “consiste nel raddoppiare gli sforzi quando si è dimenticato lo scopo”.