Incontro con i seminaristi, i novizi e le novizie. Le parole di papa Francesco (catechesi ed omelia)
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Il Centro culturale Gli scritti (14/7/2013)
1/ Discorso di papa Francesco nell’incontro con i seminaristi, i novizi e le novizie in Aula Paolo VI, sabato, 6 luglio 2013
Buona sera!
Io domandavo a mons. Fisichella se voi capite l’italiano e mi ha detto che tutti voi avete la traduzione… Sono un po’ tranquillo. Ringrazio mons. Fisichella per le parole, e lo ringrazio anche per il suo lavoro: ha lavorato tanto per fare non solo questo, ma tutto quello che ha fatto e farà nell’Anno della fede. Grazie tante!
Ma mons. Fisichella ha detto una parola, e io non so se è vero, ma io la riprendo: ha detto che tutti voi avete voglia di dare la vita per sempre a Cristo! Voi adesso applaudite, fate festa, perché è tempo di nozze… Ma quando finisce la luna di miele, che cosa succede? Ho sentito un seminarista, un bravo seminarista, che diceva che lui voleva servire Cristo, ma per dieci anni, e poi penserà di incominciare un’altra vita… Questo è pericoloso!
Ma sentite bene: tutti noi, anche noi più vecchi, anche noi, siamo sotto la pressione di questa cultura del provvisorio; e questo è pericoloso, perché uno non gioca la vita una volta per sempre. Io mi sposo fino a che dura l’amore; io mi faccio suora, ma per un “tempino…”, “un po’ di tempo”, e poi vedrò; io mi faccio seminarista per farmi prete, ma non so come finirà la storia.
Questo non va con Gesù! Io non rimprovero voi, rimprovero questa cultura del provvisorio, che ci bastona tutti, perché non ci fa bene: perché una scelta definitiva oggi è molto difficile. Ai miei tempi era più facile, perché la cultura favoriva una scelta definitiva sia per la vita matrimoniale, sia per la vita consacrata o la vita sacerdotale.
Ma in questa epoca non è facile una scelta definitiva. Noi siamo vittime di questa cultura del provvisorio. Io vorrei che voi pensaste a questo: come posso essere libero, come posso essere libera da questa cultura del provvisorio? Noi dobbiamo imparare a chiudere la porta della nostra cella interiore, da dentro. Una volta un prete, un bravo prete, che non si sentiva un buon prete perché era umile, si sentiva peccatore, e pregava tanto la Madonna, e diceva questo alla Madonna - lo dirò in spagnolo perché era una poesia bella -. Lui diceva alla Madonna che mai, mai si sarebbe allontanato da Gesù, e diceva: “Esta tarde, Señora, la promesa es sincera. Por las dudas, no olvide dejar la llave afuera” (“Questa sera, Madre, la promessa è sincera. Ma, per ogni evenienza, non dimenticarti di lasciare la chiave fuori”).
Ma questo si dice pensando sempre all’amore alla Vergine, si dice alla Madonna. Ma quando uno lascia la chiave sempre fuori, per quello che può succedere… Non va. Dobbiamo imparare a chiudere la porta da dentro! E se non sono sicura, se non sono sicuro, penso, mi prendo il tempo, e quando mi sento sicuro, in Gesù, si capisce, perché senza Gesù nessuno è sicuro! – quando mi sento sicuro, chiudo la porta. Avete capito questo? Cosa è la cultura del provvisorio?
Quando sono entrato, ho visto quello che avevo scritto. Volevo dirvi una parola e la parola è gioia. Sempre dove sono i consacrati, i seminaristi, le religiose e i religiosi, i giovani, c’è gioia, sempre c’è gioia! È la gioia della freschezza, è la gioia del seguire Gesù; la gioia che ci dà lo Spirito Santo, non la gioia del mondo. C’è gioia! Ma dove nasce la gioia? Nasce… Ma, sabato sera torno a casa e andrò a ballare con i miei antichi compagni? Da questo nasce la gioia? Di un seminarista, per esempio? No? O sì?
Alcuni diranno: la gioia nasce dalle cose che si hanno, e allora ecco la ricerca dell’ultimo modello di smartphone, lo scooter più veloce, l’auto che si fa notare… Ma io vi dico, davvero, a me fa male quando vedo un prete o una suora con la macchina ultimo modello: ma non si può! Non si può! Voi pensate questo: ma adesso, Padre, dobbiamo andare con la bicicletta? È buona la bicicletta! Mons. Alfred va con la bicicletta: lui va con la bicicletta.
Io credo che la macchina sia necessaria, perché si deve fare tanto lavoro e per spostarsi di qua… ma prendetene una più umile! E se ti piace quella bella, pensate a quanti bambini muoiono di fame. Soltanto questo! La gioia non nasce, non viene dalle cose che si hanno!
Altri dicono che viene dalle esperienze più estreme per sentire il brivido delle sensazioni più forti: alla gioventù piace andare sul filo del coltello, piace proprio! Altri ancora dal vestito più alla moda, dal divertimento nei locali più in voga - ma con questo non dico che le suore vanno in quei posti, lo dico dei giovani in generale. Altri ancora dal successo con le ragazze o con i ragazzi, passando magari da una all’altra o da uno all’altro. È questa insicurezza dell’amore, che non è sicuro: è l’amore “per prova”. E potremmo continuare… Anche voi vi trovate a contatto con questa realtà che non potete ignorare.
Noi sappiamo che tutto questo può appagare qualche desiderio, creare qualche emozione, ma alla fine è una gioia che rimane alla superficie, non scende nell’intimo, non è una gioia intima: è l’ebbrezza di un momento che non rende veramente felici. La gioia non è l’ebbrezza di un momento: è un’altra cosa!
La vera gioia non viene dalle cose, dall’avere, no! Nasce dall’incontro, dalla relazione con gli altri, nasce dal sentirsi accettati, compresi, amati e dall’accettare, dal comprendere e dall’amare; e questo non per l’interesse di un momento, ma perché l’altro, l’altra è una persona. La gioia nasce dalla gratuità di un incontro! È il sentirsi dire: “Tu sei importante per me”, non necessariamente a parole. Questo è bello…
Ed è proprio questo che Dio ci fa capire. Nel chiamarvi Dio vi dice: “Tu sei importante per me, ti voglio bene, conto su di te”. Gesù, a ciascuno di noi, dice questo! Di là nasce la gioia! La gioia del momento in cui Gesù mi ha guardato. Capire e sentire questo è il segreto della nostra gioia. Sentirsi amati da Dio, sentire che per Lui noi siamo non numeri, ma persone; e sentire che è Lui che ci chiama.
Diventare sacerdote, religioso, religiosa non è primariamente una scelta nostra. Io non mi fido di quel seminarista, di quella novizia, che dice: “Io ho scelto questa strada”. Non mi piace questo! Non va! Ma è la risposta ad una chiamata e ad una chiamata di amore. Sento qualcosa dentro, che mi inquieta, e io rispondo di sì. Nella preghiera il Signore ci fa sentire questo amore, ma anche attraverso tanti segni che possiamo leggere nella nostra vita, tante persone che mette sul cammino.
E la gioia dell’incontro con Lui e della sua chiamata porta a non chiudersi, ma ad aprirsi; porta al servizio nella Chiesa. San Tommaso diceva “bonum est diffusivum sui” - non è un latino troppo difficile! - Il bene si diffonde. E anche la gioia si diffonde. Non abbiate paura di mostrare la gioia di aver risposto alla chiamata del Signore, alla sua scelta di amore e di testimoniare il suo Vangelo nel servizio alla Chiesa.
E la gioia, quella vera, è contagiosa; contagia… fa andare avanti. Invece, quanto tu ti trovi con un seminarista troppo serio, troppo triste, o con una novizia così, tu pensi: ma qualcosa qui non va! Manca la gioia del Signore, la gioia che ti porta al servizio, la gioia dell’incontro con Gesù, che ti porta all’incontro con gli altri per annunziare Gesù. Manca questo!
Non c’è santità nella tristezza, non c’è! Santa Teresa – ci sono tanti spagnoli qui e la conoscono bene – diceva: “Un santo triste è un triste santo!”. È poca cosa… Quando tu trovi un seminarista, un prete, una suora, una novizia, con una faccia lunga, triste, che sembra che sulla sua vita abbiano buttato una coperta ben bagnata, di queste coperte pesanti… che ti tira giù… Qualcosa non va!
Ma per favore: mai suore, mai preti con la faccia di “peperoncino in aceto”, mai! La gioia che viene da Gesù. Pensate questo: quando ad un prete - dico prete, ma seminarista pure – quando ad un prete, ad una suora, manca la gioia, è triste, voi potete pensare: “Ma è un problema psichiatrico”. No; è vero: può andare, può andare, questo sì. Succede: alcuni, poverini, si ammalano… Può andare. Ma in genere non è un problema psichiatrico. È un problema di insoddisfazione? Eh, sì! Ma dov’è il centro di quella mancanza di gioia?
È un problema di celibato. Vi spiego. Voi, seminaristi, suore, consacrate il vostro amore a Gesù, un amore grande; il cuore è per Gesù, e questo ci porta a fare il voto di castità, il voto di celibato. Ma il voto di castità e il voto di celibato non finisce nel momento del voto, va avanti…
Una strada che matura, matura, matura verso la paternità pastorale, verso la maternità pastorale, e quando un prete non è padre della sua comunità, quando una suora non è madre di tutti quelli con i quali lavora, diventa triste. Questo è il problema. Per questo io dico a voi: la radice della tristezza nella vita pastorale sta proprio nella mancanza di paternità e maternità che viene dal vivere male questa consacrazione, che invece ci deve portare alla fecondità. Non si può pensare un prete o una suora che non siano fecondi: questo non è cattolico! Questo non è cattolico! Questa è la bellezza della consacrazione: è la gioia, la gioia…
Ma io non vorrei far vergognare questa santa suora [si rivolge ad una suora anziana in prima fila], che era davanti alla transenna, poverina, era proprio soffocata, ma aveva una faccia felice. Mi ha fatto bene guardare la sua faccia, suora! Forse lei avrà tanti anni di vita consacrata, ma lei ha gli occhi belli, lei sorrideva, lei non si lamentava di questa pressione… Quando voi trovate esempi come questi, tanti, tante suore, tanti preti che sono gioiosi, è perché sono fecondi, danno vita, vita, vita… Questa vita la danno perché la trovano in Gesù! Nella gioia di Gesù! Gioia, niente tristezza, fecondità pastorale.
Per essere testimoni gioiosi del Vangelo bisogna essere autentici, coerenti. E questa è un’altra parola che voglio dirvi: autenticità. Gesù bastonava tanto contro gli ipocriti: ipocriti, quelli che pensano di sotto; quelli che hanno – per dirlo chiaramente – doppia faccia. Parlare di autenticità ai giovani non costa, perché i giovani – tutti – hanno questa voglia di essere autentici, di essere coerenti. E a tutti voi fa schifo, quando trovate in noi preti che non sono autentici o suore che non sono autentiche!
Questa è una responsabilità prima di tutto degli adulti, dei formatori. È di voi formatori che siete qui: dare un esempio di coerenza ai più giovani. Vogliamo giovani coerenti? Siamo noi coerenti! Al contrario, il Signore ci dirà quello che diceva dei farisei al popolo di Dio: “Fate quello che dicono, ma non quello che fanno!”. Coerenza e autenticità!
Ma anche voi, a vostra volta, cercate di seguire questa strada. Io dico sempre quello che affermava san Francesco d’Assisi: Cristo ci ha inviato ad annunciare il Vangelo anche con la parola. La frase è cosi: “Annunciate il Vangelo sempre. E, se fosse necessario, con le parole”. Cosa vuol dire questo? Annunziare il Vangelo con l’autenticità di vita, con la coerenza di vita. Ma in questo mondo a cui le ricchezze fanno tanto male, è necessario che noi preti, che noi suore, che tutti noi, siamo coerenti con la nostra povertà! Ma quando tu trovi che il primo interesse di una istituzione educativa o parrocchiale o qualsiasi è il denaro, questo non fa bene. Non fa bene! È una incoerenza! Dobbiamo essere coerenti, autentici.
Per questa strada, facciamo quello che dice san Francesco: predichiamo il Vangelo con l’esempio, poi con le parole! Ma prima di tutto è nella nostra vita che gli altri devono poter leggere il Vangelo! Anche qui senza timore, con i nostri difetti che cerchiamo di correggere, con i nostri limiti che il Signore conosce, ma anche con la nostra generosità nel lasciare che Lui agisca in noi. I difetti, i limiti e - io aggiungo un po’ di più - con i peccati…
Io vorrei sapere una cosa: qui, nell’Aula, c’è qualcuno che non è peccatore, che non abbia peccati? Che alzi la mano! Che alzi la mano! Nessuno. Nessuno. Da qui fino al fondo… tutti! Ma come porto io il mio peccato, i miei peccati? Voglio consigliarvi questo: abbiate trasparenza col confessore. Sempre. Dite tutto, non abbiate paura. “Padre ho peccato!”. Pensate alla samaritana, che per provare, per dire ai suoi concittadini che aveva trovato il Messia, ha detto: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”, e tutti conoscevano la vita di questa donna. Dire sempre la verità al confessore. Questa trasparenza farà bene, perché ci fa umili, tutti. “Ma padre sono rimasto in questo, ho fatto questo, ho odiato”… qualunque cosa sia.
Dire la verità, senza nascondere, senza mezze parole, perché stai parlando con Gesù nella persona del confessore. E Gesù sa la verità. Soltanto Lui ti perdona sempre! Ma il Signore vuole soltanto che tu gli dica quello che Lui già sa. Trasparenza! È triste quando uno trova un seminarista, una suora che oggi si confessa con questo per pulire la macchia; domani va con l’altro, con l’altro, con l’altro: una preregrinatio ai confessori per nascondersi la sua verità. Trasparenza! È Gesù che ti sta sentendo. Abbiate sempre questa trasparenza davanti a Gesù nel confessore!
Ma questa è una grazia. Padre ho peccato, ho fatto questo, questo, questo… con tutte le parole. E il Signore ti abbraccia, ti bacia! Va’, non peccare più! E se torni? Un’altra volta. Io questo lo dico per esperienza. Io ho trovato tante persone consacrate che cadono in questa trappola ipocrita della mancanza di trasparenza. “Ho fatto questo”, umilmente. Come quel pubblicano che era in fondo al Tempio: “Ho fatto questo, ho fatto questo…”. E il Signore ti tappa la bocca: è Lui che te la tappa! Ma non farlo tu! Avete capito? Dal proprio peccato, sovrabbonda la grazia! Aprite la porta alla grazia, con questa trasparenza!
I santi e i maestri della vita spirituale ci dicono che per aiutare a far crescere in autenticità la nostra vita è molto utile, anzi indispensabile, la pratica quotidiana dell’esame di coscienza. Cosa succede nella mia anima? Così, aperto, col Signore e poi col confessore, col Padre spirituale. È tanto importante questo!
Fino a che ora, mons. Fisichella, abbiamo tempo?
[Mons. Fisichella: Se Lei parla così, fino a domani noi siamo qui, assolutamente.]
Ma lui dice fino a domani… Che vi porti un panino e una Coca Cola a ciascuno, se è fino a domani, almeno…
La coerenza è fondamentale perché la nostra testimonianza sia credibile. Ma non basta, ci vuole anche una preparazione culturale, preparazione culturale sottolineo, per dare ragione della fede e della speranza. Il contesto in cui viviamo sollecita continuamente questo “dare ragione”, ed è una cosa buona, perché ci aiuta a non dare nulla per scontato.
Oggi non possiamo dare nulla per scontato! Questa civiltà, questa cultura… non possiamo. Ma certamente è anche impegnativo, richiede una buona formazione, equilibrata, che unisca tutte le dimensioni della vita, quella umana, quella spirituale, la dimensione intellettuale con quella pastorale.
Nella formazione vostra ci sono i quattro pilastri fondamentali: formazione spirituale, ossia la vita spirituale; la vita intellettuale, questo studiare per “dare ragione”; la vita apostolica, incominciare ad andare ad annunciare il Vangelo; e, quarto, la vita comunitaria. Quattro. E per quest’ultima è necessario che la formazione sia in comunità nel noviziato, nel priorato, nei seminari…
Io penso sempre questo: è meglio il peggior seminario che nessun seminario! Perché? Perché è necessaria questa vita comunitaria. Ricordate i quattro pilastri: vita spirituale, vita intellettuale, vita apostolica e vita comunitaria. Questi quattro. Su questi quattro dovete edificare la vostra vocazione.
E qui vorrei sottolineare l’importanza, in questa vita comunitaria, delle relazioni di amicizia e di fraternità che fanno parte integrante di questa formazione. Arriviamo ad un altro problema qui. Perché dico questo: relazioni di amicizia e di fraternità. Tante volte ho trovato comunità, seminaristi, religiosi, o comunità diocesane dove le giaculatorie più comuni sono le chiacchiere! È terribile! Si “spellano” uno con l’altro… E questo è il nostro mondo clericale, religioso…
Scusatemi, ma è comune: gelosie, invidie, parlare male dell’altro. Non solo parlare male dei superiori, questo è un classico! Ma io voglio dirvi che questo è tanto comune, tanto comune. Anche io sono caduto in questo. Tante volte l’ho fatto, tante volte! E mi vergogno! Mi vergogno di questo! Non sta bene farlo: andare a fare chiacchiere. “Hai sentito… Hai sentito… “. Ma è un inferno quella comunità! Questo non fa bene.
E perciò è importante la relazione di amicizia e di fraternità. Gli amici sono pochi. La Bibbia dice questo: gli amici, uno, due… Ma la fraternità, fra tutti. Se io ho qualcosa con una sorella o con un fratello, lo dico in faccia, o lo dico a quello o a quella che può aiutare, ma non lo dico agli altri per “sporcarlo”. E le chiacchiere, è terribile! Dietro le chiacchiere, sotto le chiacchiere ci sono le invidie, le gelosie, le ambizioni.
Pensate a questo. Una volta ho sentito di una persona che, dopo gli esercizi spirituali – una persona consacrata, una suora… Questo è buono! Questa suora aveva promesso al Signore di non parlare mai male di un’altra. Questa è una bella, una bella strada alla santità! Non parlare male di altri. “Ma, padre, ci sono problemi…”: dillo al superiore, dillo alla superiora, dillo al vescovo, che può rimediare. Non dirlo a quello che non può aiutare. Questo è importante: fraternità! Ma dimmi, tu parlerai male della tua mamma, del tuo papà, dei tuoi fratelli? Mai. E perché lo fai nella vita consacrata, nel seminario, nella vita presbiterale? Soltanto questo: pensate, pensate… Fraternità! Questo amore fraterno.
Ci sono però due estremi; in questo aspetto dell’amicizia e della fraternità, ci sono due estremi: tanto l’isolamento quanto la dissipazione. Un’amicizia e una fraternità che mi aiuti a non cadere né nell’isolamento né nella dissipazione. Coltivare le amicizie, sono un bene prezioso: devono però educarvi non alla chiusura, ma ad uscire da voi stessi. Un sacerdote, un religioso, una religiosa non può mai essere un’isola, ma una persona sempre disponibile all’incontro. Le amicizie poi si arricchiscono anche dei diversi carismi delle vostre famiglie religiose. E’ una ricchezza grande. Pensiamo alle belle amicizie di tanti santi.
Io credo che devo tagliare un po’, perché la pazienza vostra è grande!
[Seminaristi: “Noooo!”]
Io vorrei dirvi: uscite da voi stessi per annunziare il Vangelo, ma per fare questo dovete uscire da voi stessi per incontrare Gesù. Ci sono due uscite: una verso l’incontro di Gesù, verso la trascendenza; l’altra verso gli altri per annunziare Gesù. Queste due vanno insieme. Se tu ne fai una soltanto, non va! Io penso alla Madre Teresa di Calcutta. Era brava questa suora… Non aveva paura di niente, andava per le strade… Ma questa donna non aveva paura anche di inginocchiarsi, due ore, davanti al Signore. Non abbiate paura di uscire da voi stessi nella preghiera e nell’azione pastorale. Siate coraggiosi per pregare e per andare a annunziare il Vangelo.
Io vorrei una Chiesa più missionaria, non tanto tranquilla. Quella bella Chiesa che va avanti. In questi giorni sono venuti tanti missionari e missionarie alla Messa del mattino, qui a Santa Marta, e quando mi salutavano mi dicevano: “Ma io sono una suora anziana; è quarant’anni che sono nel Ciad, che sono qua, che sono là…”. Che bello! Ma tu capivi che questa suora ha passato questi anni così, perché non ha mai tralasciato di incontrare Gesù nella preghiera. Uscire da se stessi, verso la trascendenza a Gesù nella preghiera, verso la trascendenza agli altri nell’apostolato, nel lavoro.
Date il contributo per una Chiesa così: fedele alla strada che Gesù vuole. Non imparate da noi, da noi, che non siamo più giovanissimi; non imparate da noi quello sport che noi, i vecchi, abbiamo spesso: lo sport del lamento! Non imparate da noi il culto della “dea lamentela”. È una dea quella… sempre col lamento…. Ma siate positivi, coltivate la vita spirituale e, nello stesso tempo, andate, siate capaci di incontrare le persone, specialmente quelle più disprezzate e svantaggiate. Non abbiate paura di uscire e andare controcorrente. Siate contemplativi e missionari. Tenete sempre la Madonna con voi, pregate il Rosario, per favore… Non lasciatelo! Tenete semprela Madonna con voi nella vostra casa, come la teneva l’Apostolo Giovanni. Lei sempre vi accompagni e vi protegga. E pregate anche per me, perché anche io ho bisogno di preghiere, perché sono un povero peccatore, però andiamo avanti.
Grazie tante e ci rivedremo domani. E avanti, con gioia, con coerenza, sempre con quel coraggio di dire la verità, quel coraggio di uscire da se stessi per incontrare Gesù nella preghiera e di uscire da se stessi per incontrare gli altri e dare loro il Vangelo. Con la fecondità pastorale! Per favore non siate “zitelle” e “zitelli”. Avanti!
Adesso, diceva mons. Fisichella, che ieri avete recitato il Credo, ognuno nella propria lingua. Ma siamo tutti fratelli, abbiamo uno stesso Padre. Adesso, ciascuno nella propria lingua, reciti il Padre Nostro. Recitiamo il Padre Nostro.
[Recita del Padre Nostro]
E abbiamo anche una Madre. Nella propria lingua diciamo l’Ave Maria.
[Recita dell’Ave Maria]
2/ Omelia di papa Francesco nell’incontro con i seminaristi, i novizi e le novizie, domenica, 7 luglio 2013
Cari fratelli e sorelle,
già ieri ho avuto la gioia di incontrarvi, e oggi la nostra festa è ancora più grande perché ci ritroviamo per l’Eucaristia, nel giorno del Signore. Voi siete seminaristi, novizi e novizie, giovani in cammino vocazionale, provenienti da ogni parte del mondo: rappresentate la giovinezza della Chiesa! Se la Chiesa è la Sposa di Cristo, in un certo senso voi ne raffigurate il momento del fidanzamento, la primavera della vocazione, la stagione della scoperta, della verifica, della formazione. Ed è una stagione molto bella, in cui si gettano le basi per il futuro. Grazie di essere venuti!
Oggi la Paroladi Dio ci parla della missione. Da dove nasce la missione? La risposta è semplice: nasce da una chiamata, quella del Signore e chi è chiamato da Lui lo è per essere inviato. Quale dev’essere lo stile dell’inviato? Quali sono i punti di riferimento della missione cristiana? Le Letture che abbiamo ascoltato ce ne suggeriscono tre: la gioia della consolazione, la croce e la preghiera.
1. Il primo elemento: la gioia della consolazione. Il profeta Isaia si rivolge a un popolo che ha attraversato il periodo oscuro dell’esilio, ha subito una prova molto dura; ma ora per Gerusalemme è venuto il tempo della consolazione; la tristezza e la paura devono fare posto alla gioia: «Rallegratevi… esultate… sfavillate di gioia» - dice il Profeta (66,10). È un grande invito alla gioia. Perché? Qual è il motivo di questo invito alla gioia? Perché il Signore effonderà sulla Città santa e sui suoi abitanti una "cascata" di consolazione, una cascata di consolazione - così pieni di consolazione -, una cascata di tenerezza materna: «Sarete portati in braccio e sulle ginocchia sarete accarezzati» (v. 12). Quando la mamma prende il bambino sulle ginocchia e la accarezza; così il Signore farà con noi e fa con noi. Questa è la cascata di tenerezza che ci dà tanta consolazione. «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» ( v. 13). Ogni cristiano e soprattutto noi, siamo chiamati a portare questo messaggio di speranza che dona serenità e gioia: la consolazione di Dio, la sua tenerezza verso tutti. Ma ne possiamo essere portatori se sperimentiamo noi per primi la gioia di essere consolati da Lui, di essere amati da Lui. Questo è importante perché la nostra missione sia feconda: sentire la consolazione di Dio e trasmetterla! Io ho trovato alcune volte persone consacrate che hanno paura della consolazione di Dio, e… poveri, povere, si tormentano, perché hanno paura di questa tenerezza di Dio. Ma non abbiate paura. Non abbiate paura, il Signore è il Signore della consolazione, il Signore della tenerezza. Il Signore è padre e Lui dice che farà con noi come una mamma con il suo bambino, con la sua tenerezza. Non abbiate paura della consolazione del Signore. L’invito di Isaia deve risuonare nel nostro cuore: «Consolate, consolate il mio popolo» (40,1) e questo diventare missione. Noi, trovare il Signore che ci consola e andare a consolare il popolo di Dio. Questa è la missione. La gente oggi ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto ha bisogno che noi testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore, che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene. La gioia di portare la consolazione di Dio!
2. Il secondo punto di riferimento della missione è la croce di Cristo. San Paolo, scrivendo ai Galati, afferma: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (6,14). E parla di «stigmate», cioè delle piaghe di Gesù Crocifisso, come del contrassegno, del marchio distintivo della sua esistenza di Apostolo del Vangelo. Nel suo ministero Paolo ha sperimentato la sofferenza, la debolezza e la sconfitta, ma anche la gioia e la consolazione. Questo è il mistero pasquale di Gesù: mistero di morte e di risurrezione. Ed è proprio l’essersi lasciato conformare alla morte di Gesù che ha fatto partecipare san Paolo alla sua risurrezione, alla sua vittoria. Nell’ora del buio, nell’ora della prova è già presente e operante l’alba della luce e della salvezza. Il mistero pasquale è il cuore palpitante della missione della Chiesa! E se rimaniamo dentro questo mistero noi siamo al riparo sia da una visione mondana e trionfalistica della missione, sia dallo scoraggiamento che può nascere di fronte alle prove e agli insuccessi. La fecondità pastorale, la fecondità dell’annuncio del Vangelo non è data né dal successo, né dall’insuccesso secondo criteri di valutazione umana, ma dal conformarsi alla logica della Croce di Gesù, che è la logica dell’uscire da se stessi e donarsi, la logica dell’amore. Èla Croce - semprela Croce con Cristo, perché a volte ci offrono la croce senza Cristo: questa non va! – Èla Croce, semprela Croce con Cristo che garantisce la fecondità della nostra missione. Ed è dalla Croce, supremo atto di misericordia e di amore, che si rinasce come «nuova creatura» (Gal 6,15).
3. Infine il terzo elemento: la preghiera. Nel Vangelo abbiamo ascoltato: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2). Gli operai per la messe non sono scelti attraverso campagne pubblicitarie o appelli al servizio della generosità, ma sono «scelti» e «mandati» da Dio. È Lui che sceglie, è Lui che manda, è Lui che manda, è Lui che dà la missione. Per questo è importante la preghiera. La Chiesa, ci ha ripetuto Benedetto XVI, non è nostra, ma è di Dio; e quante volte noi, i consacrati, pensiamo che sia nostra! Facciamo di lei… qualcosa che ci viene in mente. Ma non è nostra, è di Dio. il campo da coltivare è suo. La missione allora è soprattutto grazia. La missione è grazia. E se l’apostolo è frutto della preghiera, in essa troverà la luce e la forza della sua azione. La nostra missione, infatti, non è feconda, anzi si spegne nel momento stesso in cui si interrompe il collegamento con la sorgente, con il Signore.
Cari seminaristi, care novizie e cari novizi, cari giovani in cammino vocazionale. Uno di voi, uno dei vostri formatori, mi diceva l’altro giorno: évangéliser on le fait à genoux, l’evangelizzazione si fa in ginocchio. Sentite bene: "l’evangelizzazione si fa in ginocchio". Siate sempre uomini e donne di preghiera.
Senza il rapporto costante con Dio la missione diventa mestiere. Ma da che lavori tu? Da sarto, da cuoca, da prete, lavori da prete, lavori da suora? No. Non è un mestiere, è un’altra cosa. Il rischio dell’attivismo, di confidare troppo nelle strutture, è sempre in agguato. Se guardiamo a Gesù, vediamo che alla vigilia di ogni decisione o avvenimento importante, si raccoglieva in preghiera intensa e prolungata. Coltiviamo la dimensione contemplativa, anche nel vortice degli impegni più urgenti e pesanti. E più la missione vi chiama ad andare verso le periferie esistenziali, più il vostro cuore sia unito a quello di Cristo, pieno di misericordia e di amore. Qui sta il segreto della fecondità pastorale, della fecondità di un discepolo del Signore!
Gesù manda i suoi senza «borsa, né sacca, né sandali» (Lc 10,4). La diffusione del Vangelo non è assicurata né dal numero delle persone, né dal prestigio dell’istituzione, né dalla quantità di risorse disponibili. Quello che conta è essere permeati dall’amore di Cristo, lasciarsi condurre dallo Spirito Santo, e innestare la propria vita nell’albero della vita, che èla Crocedel Signore.
Cari amici e amiche, con grande fiducia vi affido all’intercessione di Maria Santissima. Lei èla Madre che ci aiuta a prendere le decisioni definitive con libertà, senza paura. Lei vi aiuti a testimoniare la gioia della consolazione di Dio, senza avere paura della gioia; Lei vi aiuti a conformarvi alla logica di amore della Croce e a crescere in un’unione sempre più intensa con il Signore nella preghiera. Così la vostra vita sarà ricca e feconda!