La Russia si apre al «nuovo cristianesimo», di Ol’ga Sedakova
- Tag usati: comunismo, olga_sedakova, samizdat
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo da Avvenire del 30/12/2011 un testo di Ol’ga Sedakova. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/1/2012)
Felicità, la Chiesa cos’ha da dire? Ha toccato la questione «crisi dell’umano e desiderio di felicità» il convegno annuale della Fondazione Russia Cristiana che si è tenuto in ottobre tra Milano e Seriate. Il tema era proiettato sulla domanda: «Che cos’ha da dire la Chiesa di oggi?». Le risposte che hanno dato con le loro relazioni quindici studiosi italiani e stranieri (da Sergej Chapnin a John Waters, da Pigi Colognesi a Konstantin Eggert, Ksenija Luchenko a Ol’ga Sedakova) sono raccolte ora nel fascicolo della rivista «La Nuova Europa» che esce oggi in libreria. Pubblichiamo in questa pagina ampi stralci del saggio della poetessa Sedakova.
Quanti si occupano di storia e di cultura russa conoscono i ricchi frutti portati da questo incontro. I «filosofi religiosi» russi, come vengono chiamati Berdjaev, Florenskij, Šestov e altri ancora, ormai da tempo vengono tradotti, letti e discussi in tutto il mondo, e non solo negli ambienti cristiani. Nella Russia sovietica tale corrente non ebbe seguito – né poteva averlo, per ovvi motivi.
Questi autori erano vietati o semivietati, i loro libri erano noti solo a pochissimi; il nostro pubblico più vasto ha avuto la possibilità di conoscere il pensiero religioso russo solo dalla fine degli anni Ottanta.
Una continuazione, a distanza di anni, di questa linea potrebbe essere il «nuovo cristianesimo» come ci viene presentato nel romanzo di Boris Pasternak, Il dottor Živago. Mentre un pubblico sempre più ampio alla fine degli anni Ottanta stava ancora compitando sulle opere di Florenskij e di Berdjaev, che aveva appena scoperto, non sapeva o non si rendeva conto di stare assistendo da contemporaneo a un secondo storico incontro fra la Chiesa e la cultura laica.
Il primo discorso su quanto è avvenuto nella zona d’ombra, nello spazio non ufficiale della cultura tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta (epoca che il filosofo V. Bibichin ha definito «nuovo rinascimento»), è stato il documentario in quattro puntate di Aleksandr Archangel’skij, Il gran caldo. Questo «ritorno sotterraneo alla fede» di intellettuali e artisti dopo decenni di ateismo coatto ricordava per alcuni versi la «rinascita religiosa » del Secolo d’Argento, ma per altri versi se ne differenziava profondamente.
La ricordava, innanzitutto, per l’immediata sensazione di una nuova ispirazione che scosse molti, portando un senso di liberazione, di scoperta di una nuova profondità, dello spalancarsi di una prospettiva. «All’improvviso la vista si allargò intorno a noi». La Chiesa e la libera creatività artistica e intellettuale, si incontrarono, per così dire, nelle catacombe, perché sia l’una che l’altra erano sottoposte dall’ideologia sovietica a feroci persecuzioni.
Secondo i progetti dell’utopia, entro un determinato anno il paese avrebbe dovuto diventare al 100% ateo, e l’arte al 100% 'proletaria', cioè ideologicamente manipolata, sia nel 'contenuto' che nella 'forma'. Per quanto riguarda il pensiero, ne era semplicemente venuta meno la necessità: «l’unica dottrina vera», il marxismo volgarizzato, aveva già fornito la risposta a tutti gli interrogativi, storici, sociali, scientifici. L’unico tipo di creatività umana di cui questo Stato aveva bisogno, e che esaltava, era la tecnica, che prometteva la «vittoria sulla natura».
Il vento di liberazione che si levò inaspettatamente alla fine degli anni Sessanta, contribuì anche ad avvicinare la cultura laica libera alla tradizione spirituale e alla Chiesa ortodossa perseguitata. Dall’epoca di Pietro il Grande questi due principi in Russia erano esistiti senza una profonda interazione, e tanto più il loro incontro fu sorprendente.
Anch’esso, apportò frutti che hanno già ottenuto un riconoscimento universale (i film di Tarkovskij, la musica di Arvo Pärt, di Sil’vestrov, la prosa di Venedikt Erofeev), come pure frutti che cominciano appena ad essere conosciuti (la pittura ieratica di M. Schwartzman, il pensiero di V. Bibichin, la poesia del samizdat).
Figura centrale di questa «nuova rinascita religiosa » nella cultura laica, e maestro di molti suoi protagonisti è stato Sergej Averincev. Il nome di Averincev è noto in Italia. È in preparazione un grosso volume di suoi scritti in italiano, con il titolo Verbo di Dio e parola dell’uomo. Le circostanze dell’epoca, che non consentivano un discorso teologico diretto, contribuirono al sorgere di un genere particolare: filologico nelle sue fonti, ma aperto ad amplissime prospettive ermeneutiche.
La sintesi di erudizione scientifica, di geniale intuizione e di fede personale presente nelle opere di Averincev ha aperto nuove possibilità sia per gli studi umanistici laici, sia per il pensiero ecclesiale. Averincev, per usare una sua espressione, è venuto a «costruire ponti sui fiumi di ignoranza», di una grave ignoranza, creata dai 'decenni bui' di indottrinamento sovietico, durante i quali la cortina di ferro non separava la persona soltanto dal mondo contemporaneo, ma anche da tutta la tradizione culturale.
Tuttavia, Averincev non era un maestro nel senso che condivideva la sua favolosa erudizione: piuttosto creava nuovi significati, in nesso diretto con il momento storico che egli percepiva con grande acume. Se i pensatori del Secolo d’Argento avevano presentato per primi nella storia russa i temi della libertà, della persona, della creatività come temi religiosi, il cuore della novità di Averincev è consistito, io credo, nel tema di una nuova razionalità (nuova rispetto alla razionalità illuminista, e radicata nel concetto biblico di Sapienza).
Erede del Secolo d’Argento, su taluni aspetti Averincev polemizza con esso, introducendo nel pensiero religioso alcuni correttivi su cui la storia del XX secolo aveva indotto a riflettere. Fra essi, il più netto rifiuto di ogni tipo di utopismo e l’esigenza di una profondissima lucidità e dialogicità del pensiero («la capacità di restare aperti a domande e obiezioni»).
Probabilmente, Averincev è stato il primo fra tutti i pensatori russi a superare la costante e fondamentale divisione fra la Russia e tutto il resto del mondo (soprattutto occidentale), senza diventare per questo un 'occidentalista', ma vedendo il proprio paese come partecipe della civiltà cristiana universale.
L’eredità di Averincev, per quanto strano possa sembrare, non è stata raccolta dai suoi colleghi della sfera umanistica, ma dal movimento laicale ortodosso «Compagnia delle piccole fraternità della Trasfigurazione», fondato da padre Georgij Kochetkov. Questo movimento è un fenomeno completamente nuovo nella nostra tradizione ecclesiale, e nel contempo prosegue quanto era iniziato nel Secolo d’Argento e aveva trovato una continuazione attraverso il Movimento studentesco cristiano.
Tra i vari elementi distintivi della Compagnia della Trasfigurazione (a Mosca il suo centro è l’Istituto biblico e teologico San Filaret, e sue fraternità esistono in molte città della Russia Europea e della Siberia), c’è un profondo interesse per la cultura, sia russa che universale, in tutta la sua ampiezza, e una grande attenzione a quelle che potremmo chiamare sfide della modernità.
Più volte negli ultimi decenni ho avuto modo di parlare del fatto che la cultura umanistica contemporanea, la creatività artistica contemporanea sta giungendo al limite dell’esaurimento. La protesta sociale, la parodia, i diversi tipi di nevrosi: questi sono i soli temi rimasti all’arte attuale. Non è più neppure un’arte della disperazione, come l’alto modernismo, ma un’arte post-disperata. La memoria di un altro mondo e di un altro uomo è custodita dalla tradizione cristiana.