Beato, santo... Nella beatificazione di Giovanni Paolo II è in gioco la concretezza di Dio, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo scritto da Andrea Lonardo. Per altri testi su Giovanni Paolo II, vedi su questo stesso sito:
- Benedire Roma, l'ultimo gesto di Giovanni Paolo II prima di addormentarsi (da mons. S. Dziwisz)
- “Solo nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell'uomo”: il pensiero di Giovanni Paolo II nel venticinquesimo di pontificato, di mons. Rino Fisichella
- Giovanni Paolo II: un padre santo, di Andrea Lonardo
- Karol Wojtyła vice-parroco di S. Floriano e cappellano degli studenti universitari: l’esperienza del gruppo Rodzinka e Środowisko. Appunti di pastorale, di Andrea Lonardo
- Il miracolo di suor Marie Simon-Pierre, la religiosa guarita da Giovanni Paolo II. «Scrissi il suo nome. E il tremito si fermò», di Paolo Viana
Per alcune foto straordinarie del giovane Karol Wojtyła con gli universitari di cui era cappellano, vedi al link Don Karol Wojtyła, vice-parroco di S. Floriano e cappellano universitario, durante il regime comunista: l’esperienza del gruppo Środowisko: documentazione fotografica.
Il Centro culturale Gli scritti (29/4/011)
Se ci si pensa veramente, ci si rende conto della serietà della questione. Dichiarare “beato” un uomo, un papa. Dichiararlo “santo”. “Santo subito”.
Ma allora Dio non ha abbandonato la nostra storia. Allora Dio non è solo il Dio “dei cieli”. Anzi “Padre nostro che sei nei cieli” significa esattamente che Dio abbraccia ogni istante della storia. Come il cielo avvolge la terra. E quindi anche il nostro “istante”. Perché la nostra vita è un “attimo”.
Dio non ci ha amato “in astratto”. Dio ci ha amato dandoci un “santo”. Inviandolo in mezzo a noi. Chiamandolo fra i nostri. Affidando a lui la cura della nostra vita. Perché noi potessimo comprendere e vivere che Dio è presente. Che Dio non è il Dio dei teisti, lontano e inafferrabile, bensì il Dio vicino che ha cura di noi. E’ il Dio personale, che ama. Noi amiamo, perché egli ci ha amati personalmente. Uno per uno. Egli ha amato Giovanni Paolo II.
Proclamare un uomo “beato” significa accorgersi della “concretezza” di Dio.
Significa anche che Dio ha operato ed opera tuttora miracoli. Che Gesù ha compiuto miracoli. Ma che i suoi, per sua grazia, continuano ad operarne. Sì, le due cose stanno o cadono insieme. Giovanni Paolo II ha guarito corpi ed anime. Perché Gesù ha guarito corpi ed anime. Solo per questo. Ma Gesù li ha guariti allora, perché anche oggi fossero guariti. Perché i santi nel cielo con Lui continuano ad amare e, quindi, a sanare e guarire.
Ieri ed oggi. Uniti. In Dio. Questo l’eterno e sempre nuovo mistero del Dio che si è rivelato nella storia.
Ma un altro aspetto non può essere sottaciuto, se si vuole penetrare tutto lo “scandalo” dell’evento che si celebra. Viene dichiarato “beato”, “santo”, un papa, non un uomo qualunque. Meglio: un uomo qualunque che è anche un papa. Perché ogni papa è prima di tutto un uomo qualunque, di cui la grazia di Dio si serve. Mentre il libero assenso coopera.
Ma allora la Chiesa? Ma allora il Papato? La santità di Dio si è rivelata ancora una volta nella Chiesa. Nel Papato. Ed, in fondo, non c’è niente di così nuovo. Perché la santità è antica quanto il vangelo, anche se è sempre nuova.
La stessa santità era presente anche in Giovanni XXIII. Certamente. Degli ultimi cinque Pontefici – Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, Giovanni Paolo I, Paolo VI, Giovanni XXIII -, solo per fermarci al periodo dal Concilio in poi, due sono già “beati”. E gli altri lo potrebbero forse essere un giorno sugli altari della chiesa.
E, di certo, l’attuale ha servito da cardinale il “beato” cui oggi tutti guardano. Lo ha aiutato con la sapienza del proprio consiglio. Quel consiglio di cui il “beato” conosceva bene il valore. Non spetta a noi dirlo certamente – anche perché finché si è in vita il vaglio deve ancora avvenire – ma un giorno si potrebbe forse giungere alla proclamazione per lui di un diverso tipo di santità. Ma vera santità ugualmente. La Chiesa proclama, infatti, alcuni suoi figli e padri “dottori della Chiesa”. Anch’essi “santi”. Certo è che Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II non sono stati soli nella loro grandezza, ma anche gli altri tre – Paolo VI, Giovanni Paolo I e Benedetto XVI – si ergono come dei “giganti” ed, in fondo, come dei “piccoli”. Per chi li guarda con affetto vero e leale.
Ma allora è nella Chiesa che Dio ancora si rivela. Ma allora “sussiste” nella Chiesa cattolica l’unica Chiesa di Cristo. Ma allora nella Chiesa concretamente è presente ancora la santità di Dio. Certo anche il peccato. Ma anche la santità di Dio.
Ma allora la Chiesa non è ostacolo. È segno, è sacramento. Può anche essere ostacolo. Lo è stata e lo è talvolta. Ma insieme e per grazia di Dio è stata ed è anche segno e sacramento. Di fatto e non solo in teoria. E lo è stata proprio ieri, proprio mentre noi eravamo in cammino. Non solo i nostri padri. Proprio noi. Oggi.
Servus servorum Dei. Chi presiede, presiede perché ognuno sia onorato – come dice il nuovo rito Pontificale. E perché nell’opera di ognuno si onori l’opera di Dio. Giovanni Paolo II è proclamato “beato”. Ma la beatitudine non è un tesoro da custodire gelosamente per sé. Si è “beati” perché si serve la vocazione degli altri. Giovanni Paolo II è “segno” e “sacramento”, affinché noi sappiamo che Dio è presente. Concretamente presente. Anche nella nostra vita.
Dio è stato presente nella sua. Perché noi credessimo che Egli è presente anche nella nostra. Questo è il vangelo.