La pastorale del Battesimo e il ruolo educativo alla fede dei genitori fin dalla più tenera età (III incontro diocesano di formazione catechisti: file audio e antologia di testi a cura di Andrea Lonardo)
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Mettiamo a disposizione ad experimentum per valutare la presenza on-line sul sito di file audio la registrazione di una relazione tenuta da Andrea Lonardo come terzo dei tre incontri previsti per la formazione dei catechisti di prefettura dell Diocesi di Roma per l'anno pastorale 2011-2012. La registrazione del primo e del secondo incontro sono disponibile on-line ai link Iniziazione cristiana e annunzio della fede e Le dimensioni costitutive dell'iniziazione cristiana dei bambini e ragazzi. Comunità cristiana e famiglia. Per altri file audio vedi la sezione Audio e video.
Il Centro culturale Gli scritti (14/12/2011)
Ascolto Riproducendo "battesimo". Download: |
ANTOLOGIA DI TESTI UTILIZZATA NEL CORSO DELL'INCONTRO
Andrea Lonardo (www.ucroma.it - www.gliscritti.it)
Premessa 1/ L’orizzonte dei due precedenti incontri
dalla relazione del cardinale Agostino Vallini al convegno diocesano, 14 giugno 2011
Cominciamo col porci una prima domanda: a quale orizzonte vogliamo guardare ragionando di iniziazione cristiana? A me sembra importante non limitare l’attenzione ad una semplice revisione delle prassi e degli strumenti o agli adattamenti da fare, considerando soltanto la catechesi, quasi bastasse adottare nuove metodologie. Sarebbe come entrare in un vicolo angusto che non ci porterebbe da nessuna parte. Naturalmente al termine della verifica - come ci ricordava ieri don Andrea - qualche orientamento comune e una prassi più unitaria potranno imporsi e sono desiderati da tutti, proprio perché una proposta educativa più forte e condivisa giova a tutti. Ma lo vedremo a suo tempo. Ciò che conta ora è darci degli obiettivi di fondo, costruire un quadro di comprensione più chiaro da cui muovere per la verifica del nostro agire pastorale.
Per dare respiro all’iniziazione cristiana credo che dovremmo collocarla nell’ottica della fecondità della Chiesa-madre che gioisce nel veder nascere nuovi figli di Dio portati alla pienezza della vita umana.
Parto da una sensazione, che vi partecipo come una confidenza personale. A mano a mano che conosco il tessuto ecclesiale della nostra diocesi, con le visite alle parrocchie e alle più diverse realtà ecclesiali e sociali, si radica in me la convinzione che dove cresce l’amore per il Vangelo cresce anche l’amore per la vita, dove invece si affievolisce o scompare la speranza cristiana, la vita intristisce. “Svelare pienamente l’uomo all’uomo”, che “solo nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce”, donargli la vita di figlio di Dio, il vigore della grazia nell’appartenenza attiva e responsabile sia al popolo di Dio che alla società degli uomini, vuol dire promuovere felicità e pienezza di vita.
Considerate per un momento i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Oggi c’è chi si domanda se sia bene conferire il Battesimo ai bambini appena nati, e anche genitori che si professano cristiani non battezzano più i loro figli alla nascita. E’ come se si fosse diventati incerti dinanzi a ciò che è bene per la vita. Alcuni poi si pongono una domanda ancora più radicale: è davvero un bene far nascere nuovi figli o non è meglio morire senza lasciare discendenza?
Riflettere sul Battesimo, su come viene celebrato e vissuto, non vuol dire solo riconoscere in esso il segno che rigenera alla figliolanza divina, ma potenziare la consapevolezza che la vita naturale è essa stessa una benedizione. Tanti mi hanno confidato che, prendendo fra le braccia per la prima volta il loro bambino appena nato o addirittura sentendone solamente il battito del cuore alla prima ecografia, sono stati colti da tanta emozione: avevano compreso di trovarsi dinanzi al “mistero “ della vita e non solo al frutto di una casualità chimico-biologica. Se si affievolisce la fede in Dio, si indebolisce anche la fiducia che generare è un bene.
Lo stesso legame fra la fede e la vita vale per la Confermazione. E’ risaputo che tanti scelgono di rimandarla, sottovalutandone gli effetti sacramentali che sono il vigore e la fortezza soprannaturali per testimoniare l’uomo nuovo, mentre – in modo speculare - costatiamo nella vita sociale tanta fragilità e la mancanza di figure autorevoli di riferimento che sappiano “confermare” nel bene, con il coraggio di scelte convinte. Si diffonde la cultura che tutto è relativo e provvisorio, perché in fondo tutto è soggettivo e nulla è vero.
Il legame fra fede e vita appare evidente, a maggior ragione, quando riflettiamo sull’Eucarestia. L’Eucarestia è il culmine dell’iniziazione cristiana, ma tanti nel corso della vita non la ricevono più con costanza, o addirittura se ne allontanano. A ben considerare, la disaffezione all’Eucarestia va di pari passo con la progressiva dimenticanza che Dio è Provvidenza per il mondo e che l’Eucarestia è il sacramento mediante il quale Cristo Risorto è presente nell’oggi della nostra vita, sorgente inesauribile di amore-carità per l’uomo.
La questione dell’iniziazione cristiana dunque va inquadrata in una prospettiva ampia. Itinerari poco incisivi e scarsamente formativi la rendono ininfluente per la vita quotidiana. All’opposto se è vissuta come un cammino di luce non manca di far ricadere i suoi benefici effetti sulla vita presente e futura delle nuove generazioni, esaltandone il valore educativo.
Mi sia permesso di ricordare che anche l’unità politica del nostro Paese, di cui celebriamo i 150 anni, ha a che fare con il contributo formativo dell’iniziazione cristiana. Il Cristianesimo – ha scritto il Papa nel Messaggio al Presidente della Repubblica per la circostanza - ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa”. Infatti, nell’assimilazione dei valori fondamentali dell’animus italiano, un grande ruolo è da riconoscere proprio all’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi delle città e dei paesi mediante l’opera di tanti genitori cristiani, sacerdoti e catechisti che hanno fatto sì che gli italiani si sentissero una nazione, quando ancora non c’era uno Stato unitario, sostenendo poi l’unità, dinanzi ad ogni tentazione separatista.
Premessa 2/ Nel I incontro un I criterio di rinnovamento: proporre la fede e non presupporla. L’annuncio non come un tempo previo, ma come uno stile
da Giovanni Paolo II, Catechesi tradendae, 19
La catechesi deve spesso sforzarsi non soltanto di nutrire e di insegnare la fede, ma di suscitarla incessantemente con l’aiuto della grazia, di aprire i cuori, di convertire, di preparare un’adesione globale a Gesù Cristo per coloro che sono ancora alle soglie della fede. Questa preoccupazione ispira [...] il tono, il linguaggio, il metodo della catechesi.
Premessa 3/ Nel II incontro 3 ulteriori criteri di rinnovamento: le dimensioni della catechesi secondo il CCC, la chiesa-madre soggetto della catechesi, il coinvolgimento di genitori, bambini e giovani nella catechesi
dalla Lectio divina su At 20,17-38 (il discorso di Mileto) di Benedetto XVI nell’incontro con i parroci e i sacerdoti della diocesi di Roma, 11/3/2011
San Paolo ritorna, dopo alcune frasi, di nuovo su questo punto e dice: "Non mi sono sottratto al dovere di annunciarvi tutta la volontà di Dio" (v. 27). Questo è importante: l’Apostolo non predica un Cristianesimo "à la carte", secondo i propri gusti, non predica un Vangelo secondo le proprie idee teologiche preferite; non si sottrae all’impegno di annunciare tutta la volontà di Dio, anche la volontà scomoda, anche i temi che personalmente non piacciono tanto. E’ la nostra missione di annunciare tutta la volontà di Dio, nella sua totalità e ultima semplicità. Ma è importante il fatto che dobbiamo istruire e predicare - come dice qui san Paolo - e proporre realmente la volontà intera di Dio. E penso che il mondo di oggi sia curioso di conoscere tutto, tanto più dovremmo essere curiosi noi di conoscere la volontà di Dio: che cosa potrebbe essere più interessante, più importante, più essenziale per noi che conoscere cosa vuole Dio, conoscere la volontà di Dio, il volto di Dio? Questa curiosità interiore dovrebbe essere anche la nostra curiosità di conoscere meglio, in modo più completo, la volontà di Dio. Dobbiamo rispondere e svegliare questa curiosità negli altri: di conoscere veramente tutta la volontà di Dio e di conoscere così come possiamo e come dobbiamo vivere, qual è la strada della nostra vita. Quindi dovremmo far conoscere e capire - per quanto possiamo - il contenuto del Credo della Chiesa, dalla creazione fino al ritorno del Signore, al mondo nuovo. La dottrina, la liturgia, la morale, la preghiera - le quattro parti del Catechismo della Chiesa Cattolica - indicano questa totalità della volontà di Dio. E anche è importante non perderci nei dettagli, non creare l’idea che il Cristianesimo sia un pacchetto immenso di cose da imparare. Ultimamente è semplice: Dio si è mostrato in Cristo. Ma entrare in questa semplicità - io credo in Dio che si mostra in Cristo e voglio vedere e realizzare la sua volontà – ha contenuti, e, a seconda delle situazioni, entriamo poi in dettaglio o meno, ma è essenziale che si faccia capire da una parte la semplicità ultima della fede. Credere in Dio come si è mostrato in Cristo, è anche la ricchezza interiore di questa fede, le risposte che dà alle nostre domande, anche le risposte che in un primo momento non ci piacciono e che sono tuttavia la strada della vita, la vera strada; in quanto entriamo in queste cose anche non così piacevoli per noi, possiamo capire, cominciamo a capire che è realmente la verità. E la verità è bella. La volontà di Dio è buona, è la bontà stessa.
Nel III incontro un V criterio: l’Iniziazione cristiana inizia con il Battesimo ed il cammino di preparazione ad esso
1/ Il Battesimo, “porta della salvezza”: l'Iniziazione cristiana inizia con il battesimo e con la preparazione ad esso
dal discorso di Benedetto XVI al Convegno diocesano, 13/6/2011
Quanto grande è questo dono [il Battesimo] che la liturgia chiama “porta della nostra salvezza, inizio della vita in Cristo, fonte dell’umanità nuova” (Prefazio del Battesimo)!
Tutti i papà e le mamme sono chiamati a cooperare con Dio nella trasmissione del dono inestimabile della vita, ma anche a far conoscere Colui che è la Vita e la vita non è realmente trasmessa se non si conosce anche il fondamento e la fonte perenne della vita. Cari genitori, la Chiesa, come madre premurosa, intende sostenervi in questo vostro fondamentale compito.
At 16,15 Dopo essere stata [Lidia] battezzata con tutta la sua famiglia...
N.B. La famosa espressione «si battezzò con la sua casa» si ritrova in 1 Cor 1,16 (la “casa” di Stefana), At 16,15 (Lidia e la sua “casa”), At 16,33 (il guardiano della prigione di Filippi con la sua “casa”), At 18,8 (Crispo, capo della sinagoga, con la sua “casa”). Sono quindi tre casi di pagani o di semi-proseliti ed uno di un giudeo.
dalla relazione del cardinale Agostino Vallini al convegno diocesano, 14 giugno 2011
Il secondo ambito [della nostra verifica nell’anno prossimo] riguarda gli itinerari per il Battesimo dei bambini. Grazie a Dio, la nascita di un figlio per la stragrande maggioranza delle famiglie è un evento che offre l’occasione di ripensare alla fede. La realtà però è varia. Accanto a famiglie veramente cristiane, ve ne sono altre che, prese dagli affanni quotidiani, trascurano abitualmente la pratica religiosa e la nascita di un bambino fa riemergere il bisogno di Dio e vogliono che il figlio riceva gli stessi doni che hanno ricevuto loro da piccoli. Ve ne sono poi altre, per lo più lontane dalla fede, che avvertono in maniera confusa il “mistero” della vita, percepiscono nella loro creatura qualcosa di grande, per cui desiderano assicurarle tutto ciò che può farle del bene. Resto convinto che la richiesta del Battesimo è una occasione pastorale molto feconda e può costituire una svolta nel cammino spirituale di una famiglia, passando da una fede di tradizione ad una fede di elezione. Non dimentichiamo poi che si tratta di famiglie giovani, non raramente non sposate in Chiesa.
È opportuno domandarsi se i pochi incontri di preparazione riescono ad invertire la mentalità abbastanza diffusa di ritenere di aver fatto un bene al solo bambino in un evento che riguarda anche i genitori per una vita cristiana più ardente.
Mi sia permesso un ricordo personale. Quando non ero ancora vescovo mi sono dedicato per anni alla catechesi prebattesimale, incontrando le famiglie per lo più nelle loro case. Con i genitori erano presenti i padrini e, quando era possibile, anche altri parenti. Con la collaborazione di giovani coppie di catechisti-genitori ho vissuto esperienze meravigliose, itinerari di catechesi che hanno favorito il cambiamento della vita delle famiglie, inserendole con convinzione nella comunità parrocchiale. Si trattava certo di realtà più piccole della maggioranza delle parrocchie romane, ma credo che qualcosa di analogo possa essere tentato per aiutare i genitori a comprendere l’enormità dell’evento che il Battesimo del loro figlio realizza anche per loro.
Don Andrea ci diceva ieri che dalla rilevazione dei dati sembra emergere che poche sono le forze pastorali impiegate in questo campo. Vi chiedo di fare una verifica attenta, coinvolgendo i consacrati, i laici, le coppie di sposi più disponibili, domandandovi quali frutti porta alla vita delle famiglie e della comunità il Battesimo dei bambini e che cosa si può proporre in merito.
Dovremmo osare di estendere la nostra riflessione oltre l’immediata occasione della celebrazione del Battesimo, per chiederci cosa potrebbe essere messo in campo per accompagnare le giovani famiglie nei primi anni della vita dei loro piccoli. Se è vero che non possiamo più presupporre la fede, come avveniva un tempo quando i genitori e i nonni introducevano i piccoli alla fede e alla preghiera, dobbiamo rimetterci a fianco delle famiglie per camminare con loro in questa opera educativa.
da Louis-Marie Chauvet, Battesimo dei bambini e fede dei genitori, in Louis-Marie Chauvet, L’umanità dei sacramenti, Edizioni Qiqajon. Comunità di Bose, Magnano, 2010, pp. 275-295
Se mi rivolgo a qualcuno, per la strada o in aperta campagna, dicendogli: "Il cielo è grigio", non gli fornisco anzitutto, contrariamente alle apparenze, un'informazione sul tempo che fa, perché lo vede da sé; io cerco, al di là di questo enunciato apparentemente informativo, di stabilire un legame con lui. Il mio atto di linguaggio ha dunque una dimensione non tanto "locutoria" quanto piuttosto "illocutoria".
Ora, la dimensione illocutoria, relativamente debole nell'esempio appena citato, è forte negli enunciati di fede. Dire a qualcuno: "Gesù è il Cristo", enunciato grammaticalmente identico a "il cielo è grigio", equivale ipso facto a posizionarmi "illocutoriamente" davanti a lui come cristiano. Ogni enunciato di fede implica una presa di posizione del soggetto che lo formula: contrariamente alle apparenze - poiché l'enunciato: "Gesù è il Cristo" sembra essere un puro "locutorio" informativo -, esso è di natura "auto-implicativa''.
Ebbene, è nella liturgia che si dispiega questa natura auto-implicativa e che in tal modo essa perviene alla sua "verità". Là, infatti, i credenti "incorporano" i loro enunciati di fede, per esempio piegando il ginocchio davanti a Gesù quale "Cristo" o "Signore" (cf. Fil 2,9-11), e facendolo comunitariamente, ecclesialmente. La liturgia dà così "luogo" alla confessione di fede implicata in un enunciato tanto semplice come "Gesù è il Signore".
Questo lavorio rituale della liturgia nei partecipanti merita di essere sottolineato a proposito del battesimo dei bambini. Non è raro, infatti, che certi genitori, all'uscita dalla celebrazione, dicano al prete: "Grazie, padre, è stato bello ... ". C'è fondato motivo di ritenere che in molti casi questa reazione esprima più che una semplice soddisfazione per la bellezza formale della celebrazione: è avvenuto qualcosa nel cuore dei partecipanti, qualcosa che è dell'ordine del rapporto con Cristo e con la chiesa, un rapporto rinnovato dalla (ri)scoperta della forza dell'evangelo.
Certo, non c'è da farsi illusioni: queste persone in genere non rimetteranno piede in chiesa la domenica seguente; riannodare il legame con la comunità parrocchiale e con la "pratica" regolare suppone un tale cambiamento di "ethos", un tale rinnovamento psicologico delle motivazioni, una tale presa di posizione rispetto all'ambiente sociale o familiare circostante che ci occorre generalmente molto tempo. Eppure qualcosa è avvenuto in loro, qualcosa che ha a che fare con la fede.
Ovviamente non ci si può attendere tutto da questo lavoro del rito. Ma esso non va comunque dimenticato in questa problematica che ci preoccupa. Il chiarimento da dare alla domanda: "Quale fede chiede la chiesa ai genitori?" deve tener conto di questo lavoro operato dal rito. La fede deve, certo, essere preliminare; ma è anche un dono che Dio fa o rinnova costantemente, un dono mediato dall'azione della Parola e dello Spirito attraverso la celebrazione stessa.
2/ Il bambino non solo è “capace” di Dio, ma Dio è per lui un’esigenza vitale, ben al di là dei suoi genitori: l'importanza del periodo che va dai 0 a 7 anni ed il compito dei genitori
dal discorso di Benedetto XVI al convegno diocesano, 13 giugno 2011
Chi è il messaggero di questo lieto annuncio? Sicuramente lo è ogni battezzato. Soprattutto lo sono i genitori, ai quali spetta il compito di chiedere il Battesimo per i propri figli. Quanto grande è questo dono che la liturgia chiama “porta della nostra salvezza, inizio della vita in Cristo, fonte dell’umanità nuova” (Prefazio del Battesimo)!
Tutti i papà e le mamme sono chiamati a cooperare con Dio nella trasmissione del dono inestimabile della vita, ma anche a far conoscere Colui che è la Vita e la vita non è realmente trasmessa se non si conosce anche il fondamento e la fonte perenne della vita. Cari genitori, la Chiesa, come madre premurosa, intende sostenervi in questo vostro fondamentale compito.
Fin da piccoli, i bambini hanno bisogno di Dio, perché l’uomo dall’inizio ha bisogno di Dio, ed hanno la capacità di percepire la sua grandezza; sanno apprezzare il valore della preghiera – del parlare con questo Dio – e dei riti, così come intuire la differenza fra il bene ed il male. Sappiate, allora, accompagnarli nella fede, in questa conoscenza di Dio, in questa amicizia con Dio, in questa conoscenza della differenza tra il bene e il male. Accompagnateli nella fede sin dalla più tenera età.
2Tim 1, 5; 3, 15 Mi ricordo della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Lòide, poi in tua madre Eunìce e ora, ne sono certo, anche in te [...] Fin dall'infanzia conosci le sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù.
Ef 6,4 Voi, padri, [...] fateli crescere[i vostri figli] nella disciplina e negli insegnamenti del Signore.
Lettera di Barnaba XIX, 5
Non ti disinteresserai di tuo figlio e di tua figlia, ma insegnerai loro il timore di Dio fin dalla fanciullezza.
Didachè, IV, 9
Non alzare la mano su tuo figlio o su tua figlia, ma dalla fanciullezza li educherai nel timore di Dio.
DB 134 Ogni età dell’uomo ha il suo proprio significato in se stessa e la sua propria funzione per il raggiungimento della maturità [...] Errori o inadempienze, verificatesi a una certa età, hanno talora conseguenze molto rilevanti per la personalità dell’uomo e del cristiano. Così pure una sana educazione umana e cristiana consente a ciascuno di vivere sempre come figlio di Dio [...] Pertanto in ogni arco di età i cristiani devono potersi accostare a tutto il messaggio rivelato, secondo forme e prospettive appropriate.
da S. Cavalletti, Il potenziale religioso tra i 6 e i 12 anni. Descrizione di un'esperienza, Città Nuova, Roma, 1996, p. 21
Le domande del “bambino metafisico” «Chi è Dio?». «Dove stavo prima prima (cioè prima di nascere)?». «Come mai sono qui?». «Con chi stava Dio prima (della creazione)? Stava con se stesso?». «Dove sta la nonna? (che è morta»). «Che cos’è la vita? A te piace la vita?».
da Come pesci nell’acqua di Dio, un’intervista a Sofia Cavalletti, tratta dalla rivista “Il sicomoro”, n. 7, inverno 1998/1999 (anche su www.gliscritti.it )
Normalmente si parte dall'importanza della famiglia...
A me pare che fare dell'amore dei genitori o comunque di chi è più vicino al bambino il canale necessario dell'amore di Dio è estremamente limitante; si limita l'amore di Dio alla dimensione umana, lo si considera secondario rispetto alle condizioni in cui il bambino vive. Ma a me sembra - parlando sempre in base a quello che ho potuto osservare - che l'amore di Dio sia primario nell'esperienza umana del bambino piccolo. Certo è bello poter dire ad un bambino: "Papà e mamma ti vogliono bene"; però si tratta sempre di un amore umano e quindi limitato. E quando questo non succede? Un bambino rifiutato dai genitori è forse una creatura perduta per Dio? No, Dio prende le sue creature anche al di fuori dell'amore umano: l'ho visto in tanti bambini non accettati in famiglia che invece all'annuncio del Pastore che "li chiama per nome" si aprivano ad un immenso godimento. Dunque bisogna distinguere fra esperienza ed esigenza: l'esperienza è qualche cosa che si è vissuto, può essere una cosa che ha dato un approccio positivo alla vita o negativo, comunque è dipendente dall'esperienza: deve succedere un fatto perché io abbia l'esperienza. L'esigenza, a mio avviso, è ciò che sta più profondamente nella persona umana e che non dipende da questa o da quella esperienza: è una potenzialità che chiede di essere appagata. Questa è l'esigenza, che quindi prescinde dall'esperienza.
3/ Il sostegno all'opera educativa dei genitori dei figli da 0 a 7 anni: l’importanza dell’adulto che è adulto proprio perché è padre e madre, perché è marito e moglie
da Gravissimum educationis 3
I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l'obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell'atmosfera vivificata dall'amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l'educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola di virtù sociali, di cui appunto han bisogno tutte le società. Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e delle esigenze del matrimonio sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo, e ad amare il prossimo, conformemente alla fede che han ricevuto nel battesimo; lì anche fanno la prima esperienza di una sana società umana e della Chiesa; sempre attraverso la famiglia, infine, vengono pian piano introdotti nella comunità degli uomini e nel popolo di Dio. Perciò i genitori si rendano esattamente conto della grande importanza che la famiglia autenticamente cristiana ha per la vita e lo sviluppo dello stesso popolo di Dio.
Il compito educativo, come spetta primariamente alla famiglia, cosi richiede l'aiuto di tutta la società. Perciò, oltre i diritti dei genitori e di quelli a cui essi affidano una parte del loro compito educativo, ci sono determinati diritti e doveri che spettano alla società civile, poiché questa deve disporre quanto è necessario al bene comune temporale. Rientra appunto nelle sue funzioni favorire in diversi modi l'educazione della gioventù: cioè difendere i doveri e i diritti dei genitori e degli altri che svolgono attività educativa e dar loro il suo aiuto; in base al principio della sussidiarietà, laddove manchi l'iniziativa dei genitori e delle altre società, svolgere l'opera educativa, rispettando tuttavia i desideri dei genitori, fon dare inoltre, nella misura in cui lo richieda il bene comune, scuole e istituzioni educative proprie. Infine, ad un titolo tutto speciale, il dovere di educare spetta alla Chiesa: non solo perché essa va riconosciuta anche come società umana capace di impartire l'educazione, ma soprattutto perché essa ha il compito di annunciare a tutti gli uomini la via della salvezza e di comunicare ai credenti la vita di Cristo, aiutandoli con sollecitudine incessante a raggiungere la pienezza di questa vita. A questi suoi figli, dunque, la Chiesa come madre deve dare un'educazione tale, che tutta la loro vita sia penetrata dello spirito di Cristo; ma nel contempo essa offre la sua opera a tutti i popoli per promuovere la perfezione integrale della persona umana, come anche per il bene della società terrena e per la edificazione di un mondo più umano.
3.1/ L’educazione non è opera di specialisti, ma di genitori, catechisti e maestri
L’educazione accade mentre fai altro... Perché è urgente una solida alleanza educativa, di Sergio Belardinelli (dal sito www.piuvoce.net ed anche su www.gliscritti.it )
La storia della comunità cristiana è sicuramente anche la storia di una comunità che ha sempre avvertito l’educazione come una dimensione costitutiva dell’annuncio del Vangelo. E’ la passione per l’uomo che, da sempre, spinge la Chiesa ad essere una comunità educante, una comunità che mira, non a insegnare specifiche abilità, ma a formare la persona umana, le convinzioni più profonde sulle quali incardinare la nostra esistenza. Oggi sappiamo che questo compito è reso sempre più difficile da un contesto socio-culturale complesso e, per certi versi, addirittura ostile. Ma proprio per questo la Chiesa italiana rilancia in grande stile il tema dell’educazione, accogliendo l’auspicio di Benedetto XVI, affinché si realizzi addirittura una grande “alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale e ecclesiale”.
In questi anni abbiamo parlato molto di amicizia tra genitori e figli e tra maestri e allievi, molto di tecniche educative, ma troppo poco di educazione, ossia di formazione della persona, e oggi lo scontiamo in termini di spaesamento, sradicamento, disagio sempre più profondo sia da parte degli adulti che dei giovani.
Ci siamo erroneamente illusi che l’educazione potesse essere una materia da “esperti”, dimenticando così le poche e semplici evidenze elementari su cui, da sempre, si fondano tutte le vere relazioni educative: convinzioni profonde, amore, esempio e, soprattutto, nessuna pretesa di essere padroni della situazione.
Un progetto educativo non è, non può essere, un progetto tecnico; è un processo di generazione di una persona e quindi sempre esposto al rischio della libertà che ciascuno di noi è.“La vita è ciò che accade mentre stai facendo altro”, cantava John Lennon. Non sono sicuro che avesse ragione. Ma certamente ci sono buone ragioni per pensare che la cosa valga per l’educazione.
Davvero questa accade mentre stiamo facendo altro. Se ci pensiamo bene, le persone che hanno influito di più sulla nostra vita, lo hanno fatto grazie a ciò che, con l’esempio, con la parola, con uno sguardo, ci hanno insegnato implicitamente, non esplicitamente. Per questo è estremamente difficile e sbagliato trasformare l’educazione in un protocollo da seguire.
Elusa la questione del significato vero dell’educare, di fatto abbiamo eluso anche la vera posta che è in gioco nell’educazione: un ideale di umanità, un ideale antropologico, tutta una tradizione, una storia, che ci interpellano e di cui dobbiamo farci carico, ognuno con la nostra libertà. Anziché puntare alla formazione della persona, ci siamo affidati alle metodologie, ai “saperi” da trasmettere, alla neutralità delle nozioni e dei valori insegnati, generando così disinteresse psicologico e relativismo ideologico, ma nessuna vera formazione.
Non è casuale che in questo processo siano andati in crisi sia la funzione educativa della famiglia, sia il significato della tradizione, sia la figura del “maestro” chiamato ad attualizzarla con intelligenza, partecipazione e passione. Quanto ai nostri figli, essi non solo non sanno più nulla di storia, ma non conoscono più nemmeno il passato delle loro famiglie, il nome dei loro nonni. E’ venuto meno insomma il senso di appartenenza a una catena generazionale e, con esso, il carattere “generativo” dell’educazione, vera chiave di volta degli orientamenti pastorali della chiesa italiana dei prossimi dieci anni.
A differenza degli altri animali, gli uomini hanno bisogno di molto tempo per “trovarsi”, per imparare a dire “io”, per condurre una vita all’insegna dell’autonomia, della libertà e della responsabilità; hanno bisogno di relazioni significative con altre persone che li amino e, amandoli, sappiano schiudere loro la bellezza del mondo e della vita. Per questo trovo assai importane l’esortazione che ci viene rivolta dalla chiesa italiana a realizzare “un’alleanza educativa”, che sappia coinvolgere famiglie, scuole, operatori del mondo dei media, parrocchie, associazioni, movimenti. Ne va del fondamento della nostra esistenza.
da Come un figlio diventa cristiano. Momento antropologico e momento sacramentale, di Giuseppe Angelini (su www.gliscritti.it )
Per riferimento alla esperienza del genitore, la sua età adulta consiste appunto in questo, nell’effettiva sua attitudine a onorare il messaggio religioso, e addirittura cristiano, che egli – lo sappia o non lo sappia – di fatto sempre trasmette al figlio, attraverso le prime forme spontanee del rapporto con lui.
Il Catechismo al n. 1309 precisa il senso spirituale della età adulta associata alla cresima mettendo il sacramento in rapporto con «le responsabilità apostoliche della vita cristiana»; ora tali responsabilità apostoliche, nel caso della vita del cristiano comune (o “laico”) non debbono essere certo pensate come responsabilità di predicazione o in ogni caso connesse al ministero della parola; debbono invece essere pensate come la responsabilità di attestare il vangelo attraverso le forme ordinarie della vita; realizza la responsabilità “apostolica” del genitore, in particolare, appunto la sua percezione del rimando religioso obiettivamente iscritto nelle forme ordinarie della sua relazione col figlio, e quindi la sua attitudine e disponibilità pratica a rendere ragione di tale rimando. Molto prima che il genitore se ne renda conto, trasmette un messaggio religioso al figlio; che egli se ne renda effettivamente conto, che quindi confermi quel messaggio con atteggiamenti progressivamente più consapevoli e deliberati, questa è la forma fondamentale nella quale si realizza il concorso decisivo del genitore alla generazione alla fede.
3.2/ Recuperare il valore dell’“autorità” dell’educatore
da Stefano De Luca, Una scuola senza autorità. Tutta colpa del '68 (su www.gliscritti.it )
Autorità e potere non sono forse la stessa cosa? No, anche se attraverso un lungo processo i due termini hanno finito per sovrapporsi sino a perdere l’originaria distinzione che li separava (e che sarebbe bene recuperare). Autorità è infatti un termine che aveva, originariamente, un significato positivo, di cui rimane traccia nell’etimologia: auctoritas deriva da augere (far crescere), alla cui radice sono connessi termini come augusto (colui che accresce), augurio, aiuto, autore. Questo originario significato positivo emerge nel modo più chiaro nella famiglia, dove i genitori sono autori dei figli sia in senso fisico, attraverso la generazione, sia in senso morale, attraverso l’educazione: ed è questa condizione di autori (ossia di coloro che ‘creano’, ‘conservano’ e ‘accrescono’ qualcosa) che conferisce loro autorità. In questa origine si coglie anche la ragione della distinzione che, sino alle soglie dell’età moderna, veniva fatta tra autorità e potere: mentre il potere in senso stretto (potestas) rimandava all’idea di una forza esterna, in grado di costringerci all’obbedienza, l’autorità rimandava a quella che oggi noi chiameremmo autorevolezza, ossia ad una condizione di superiorità – dovuta all’età, alla sollecitudine, alla capacità – che riconosciamo spontaneamente e che ci induce ad obbedire senza bisogno di coercizione.
La crisi radicale di questa nozione di autorità, che è condizione ineliminabile di qualsiasi processo di crescita, ha un’origine ben precisa: essa proviene dalla cultura del Sessantotto, che – ispirata alle teorie della Scuola di Francoforte – ha diretto i suoi strali non contro la degenerazione dell’autorità (l’autoritarismo), ma contro il principio in se stesso, ravvisando in esso una forma di dominio. Di qui l’attacco a istituzioni come la famiglia e la scuola e alle figure che in esse incarnano l’autorità. Questo attacco – che ha portato intere generazioni a pensare di poter educare senza mai ‘dire no’ (no motivati e appassionati, ma pur sempre ‘no’) – ha condotto alla diffusione di un largo permissivismo, spesso venato di indifferenza e assenteismo, che è all’origine del disagio e dei comportamenti aggressivi e/o autodistruttivi di tanti ragazzi dei giorni nostri.
da Educare un bambino alla fede. Riflessioni per un cammino post-battesimale, di Gerardo Giacometti
Anzitutto mi pare importante sollecitare la coscienza dell’educare. Oggi viviamo una stagione che porta ad abdicare all’educare o ad operarne pericolose riduzioni. E importante cogliere e aiutare a cogliere lo spessore della questione in gioco. Educare significa metterci di fronte ad un progetto uomo. Quale uomo vogliamo costruire?
Oggi, la forte caratterizzazione data alla libertà personale porta ad attenuare l’intervento educativo: chi sono io per intervenire nella vita di un altro, sia esso anche un bambino? L’altro ha diritto di essere se stesso, esercitando la sua libertà, da qui ad esempio la scelta di alcuni genitori di intervenire in maniera molto blanda di fronte ad atteggiamenti irresponsabili dei figli: capiranno da soli...
Il problema è che rinunciando all’intervento educativo, non si favorisce la libertà dell’altro, ma lo si espone ad una serie di influenze che rischiano di ledere quella stessa libertà che si vorrebbe salvaguardare. La rinuncia ad educare un figlio o la riduzione dell’intervento educativo, infatti, non pone il ragazzo in una situazione di neutralità esistenziale, ma all’influenza di altri che modelleranno a loro modo la vita del ragazzo e la sua libertà.
Il ragazzo non vive infatti sotto una campana di vetro! Mi va bene questo tipo di intervento esterno? E soprattutto: mi va bene l’umanità che questo intervento promuove? E questo l’uomo che vorrei vedere in mio figlio? E dunque importante sollecitare una responsabilità che qualche volta potrebbe essere latitante o ridimensionata rispetto alle necessità.
2. Un secondo aspetto da sollecitare è il diritto di cittadinanza nel terreno dell’educare della questione religiosa, la sua pertinenza nella realizzazione di quel “progetto uomo” cui l’educazione tende.
C’entra o non c’entra il rapporto con l’assoluto, mentre un uomo sta crescendo? Qui si tratta di cogliere le coordinate dell’esistenza umana, le direttrici verso cui si costruisce un uomo. Si tratta di aiutare i genitori a comprendere se l’appiattimento orizzontalistico di cui oggi siamo ignare vittime ci convince fino in fondo.
Lo specchio di tale situazione può essere la casa del Grande fratello osservata in ogni suo angolo dall’occhio di innumerevoli telecamere, ma priva completamente di finestre. È l’icona intramondana di questo nostro tempo incapace di osservare il cielo, l’ulteriorità dell’esistenza cui l’uomo si sente chiamato, nonostante la sua piccolezza: un uomo grande e piccolo nello stesso tempo.
Si tratta dunque di aiutare i genitori a comprendere che quando si accosta la dimensione religiosa non si “rinsalda la compagine cristiana minacciata”, ma si rende un servizio all’uomo, alle sue misure più autentiche: orizzontali e verticali simultaneamente.
3.3/ Recuperare il valore del “rito”: alcuni esempi
Educare alla fede i figli in famiglia. Una testimonianza di Carlo Ancona e Ilaria Stefanelli (da www.gliscritti.it )
Formare un cristiano significa formare un uomo. I due aspetti si compenetrano, non bisogna mai dimenticarlo. Per questo l'impegno primario è stato quello di aiutare i nostri figli a crescere nella generosità, nella gioia, nella responsabilità. Ci teniamo subito a dire che amare incondizionatamente i nostri figli non vuol dire per noi non porre loro dei limiti. Anzi, proprio perché li amiamo incondizionatamente, sappiamo che dobbiamo porre loro dei limiti. Le frustrazioni ti fanno crescere, ti rendono capace di libertà. Il limite certamente li limita, ma li protegge anche e li custodisce. Un altro aspetto che ci sembra decisivo è quello del nostro amore di marito e moglie. I nostri figli crescono bene perché io amo mia moglie! L'amore reciproco dei genitori aiuta i bambini a crescere bene. Questo implica anche delle regole: loro sanno che non possono dormire a letto con i genitori (tranne eccezioni come quando sono malati), sanno che il bacio sulle labbra se lo possono dare solo papà e mamma. Vedere l'amore dei genitori fa nascere in loro il desiderio di crescere per poter realizzare ciò che vedono in noi. Abbiamo sperimentato che è bene vivere in casa con delle regole molto semplici. Ad esempio, i figli non hanno un accesso totale ad Internet. Cerchiamo di far emergere sempre, in maniera molto spontanea, l'idea di persona che abbiamo. Cosa dobbiamo mostrare ai figli: che debbono diventare degli scienziati o che debbono essere generosi? Certo mostriamo loro l'importanza dello studio, ma più ancora che debbono diventare generosi! In questo senso ci rendiamo conto che dobbiamo riorientarci sempre anche noi, perché il contesto tira in altre direzioni. A me, come madre, ad esempio, piace sottolineare sempre che Biancaneve era bella perché era buona e che non c'è vera bellezza senza bontà. Non ci preoccupiamo innanzitutto di far dire loro qualche preghiera, ma di dirla innanzitutto noi. A casa nostra il termine “preghierina” è vietato. Esiste piuttosto la “preghiera”, per mostrare che la preghiera è una cosa da grandi e non da bambini. Certo intervengono anche loro durante la preghiera, ma la preghiera è la “preghiera”. A messa andiamo insieme, nei limiti del possibile. Quando qualcuno di loro si lamenta, dopo aver detto qualcosa di più intelligente, alla fine diciamo: «Non morirete, vedrete». Come noi facciamo cose che piacciono a loro, così anche loro si abituano a partecipare a momenti che non sempre li esaltano, ma che appartengono alla vita della famiglia che vive momenti di vita tutti insieme che ora piacciono più ad uno ora più ad un altro. Si potrebbe dire che non faccio catechesi in maniera esplicita – in realtà spieghiamo loro le storie della Bibbia, ma questo è meno importante. Piuttosto viviamo la fede e loro stanno con noi. Abbiamo anche dei momenti espliciti di presentazione della fede. Ad esempio, abbiamo visto insieme il film su San Filippo Neri, oppure la domenica mattina a colazione raccontiamo il vangelo della domenica. Sentiamo che è importante vincere la tentazione di “non stare” con i figli. Certo giocare con un bambino è un po' perdere tempo. Io potrei scrivere un articolo scientifico che sarebbe utile per il mio curriculum. Invece giocare con loro e perdere tempo con loro è importante. Bisogna farlo. Abbiamo quattro figli. Questo è già una catechesi in sé per loro. Già quando erano tre, dovevano imparare la “politica” per ottenere quello che volevano! I figli sono arrivati, senza che noi li cercassimo esplicitamente ogni volta. Un sacerdote nostro amico ripete spesso che la vita di fede è un po' come il tennis. Non si è sempre alla battuta. Noi siamo alla risposta. Un altro batte e noi dobbiamo rispondere alla sua battuta. Abbiamo capito anche che si deve vincere l'ansia da prestazione. Ti viene talvolta da pensare: «Io sono una brava mamma, se loro sono felici». Invece è più importante ricordare che noi abbiamo donato loro la nostra vita. Siamo stati noi a scegliere di farlo, di donarla. Questo rende più umili: ci è chiesto semplicemente di dare il nostro contributo.
Per noi è molto importante la domenica nella trasmissione della fede. Ogni domenica si mangia in salotto – anche la colazione – e non in cucina. Ci si veste in maniera diversa, si cucina meglio, si prepara sempre il dolce, si invitano gli amici. Vediamo che questo aiuta loro a capire che la domenica è un giorno diverso. Molto importante ci sembra anche la riscoperta del ruolo paterno. Il nostro parroco raccontava a Natale che a Maria spettava il compito dell'accoglienza di Gesù. Ma quando si tratta poi di scendere in Egitto, gli angeli vanno a parlare con Giuseppe. A Giuseppe è chiesto di custodire il bambino. Così abbiamo ruoli diversi. Io, per esempio, come padre vado a parlare con gli insegnanti a scuola e li conosco tutti. Invece mia moglie conosce tutti i bambini e tutte le mamme della classe dei nostri figli.
da Annegret Weikert, Piccoli riti di ogni giorno che aiutano a crescere, Red, Novara, 2003, p. 7
I “rituali” sono sequenze comportamentali consolidate o acquisite inconsapevolmente che si ripetono sempre allo stesso modo. La loro regolarità rappresenta una struttura affidabile su cui si basa la vita stessa dei bambini.
Ogni giorno essi fanno molte esperienze nuove, stupefacenti e imprevedibili, che devono essere registrate e rielaborate. Al contrario, i rituali sono pause abitudinarie, familiari: una specie di oasi di pace in un mondo che per i bambini è ancora molto imponderabile. Consuetudini come il bacio della mattina o la favola della buonanotte, che avvengono regolarmente, diventano per il bambino facilmente prevedibili. Se tali piccoli riti assumono una forma armoniosa e amorevole, rappresentano dei momenti salienti intorno ai quali è costruita l’intera giornata: sono pause che egli può pregustare con certezza, che gli danno sicurezza e rappresentano per lui un punto fermo.
Il Natale, il compleanno, il primo giorno di scuola: i rituali sono “cartelli stradali” importanti per i bambini nel percorso della vita.
Rituali ordinari e speciali
Accanto ai rituali di ogni giorno ce ne sono altri che hanno luogo solamente in occasioni particolari: la colazione della domenica che si può consumare rimanendo in pigiama, oppure la torta di compleanno con le candeline da spegnere, per esempio. Questo tipo di rituali insegna al bambino che oltre agli avvenimenti quotidiani esistono anche prospettive a lungo termine.
Le feste religiose con le loro antiche tradizioni e i riti dalle origini remote esemplificano al bambino il ritmo dell’anno e lo avvicinano alla religione, alla storia e alla sua eredità culturale.
3.4/ Una differenza elementare fra il catecumenato degli adulti e l’Iniziazione cristiana dei piccoli: l’ordine delle cose
da A. Lonardo, Che cosa si deve propriamente intendere per catechesi dei bambini e dei ragazzi di “ispirazione catecumenale”? (III parte: Alcune riflessioni sull’impasse creata dal “modello” catecumenale, su www.gliscritti.it )
Non appena si passa dalla teoria alla concreta esperienza catechistica appaiono evidenti le contraddizioni in cui si cade se si pretende di erigere un presunto “modello catecumenale” per la catechesi dell'iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi già battezzati – diverso è accogliere, invece, gli stimoli di una più generale ispirazione catecumenale che appunto deve essere precisata.
Si pensi, ad esempio, all'introduzione alla preghiera. Nel catecumenato degli adulti la consegna del Padre nostro segue quella del Credo. Talvolta le sperimentazioni che si richiamano al catecumenato prevedono un'analoga successione: prima il Credo e poi il Pater – ad esempio a distanza di un anno – anche per i bambini, così come avviene per gli adulti.
Ma questo è contro tutta la logica dell'iniziazione cristiana dei bambini ed è contro la loro naturale disposizione a rivolgersi nella preghiera a Dio! La catechesi di bambini già battezzati deve proporre subito la preghiera del Padre nostro così come le altre preghiere cristiane, mentre l'esplicita riflessione sul Credo può essere rimandata.
È un esempio – a nostro avviso estremamente significativo – che segna una differenza che non può essere trascurata e che fa capire come non si possa assolutamente utilizzare il catecumenato come un “modello”.
4/ Battezzati non solo nella fede dei genitori, ma soprattutto nella fede della Chiesa
da Sant'Agostino, Epist. 98, 5
I bambini sono presentati per ricevere la grazia spirituale, non tanto da coloro che li portano sulle braccia (benché anche da essi, se sono buoni fedeli), quanto dalla società universale dei santi e dei fedeli... È tutta la madre chiesa dei santi che agisce, poiché essa tutta intera genera tutti e ciascuno.
da un articolo del cardinal Joseph Ratzinger sulla rivista dei gesuiti americani America (19 novembre 2001)
Nella lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa come comunione (Congregazione per la Dottrina della fede 28, giugno 1992) troviamo il principio che la Chiesa universale (ecclesia universalis) è, nel suo mistero essenziale, una realtà che precede, ontologicamente e temporalmente, le singole Chiese locali [...] Dio trova e prepara per sé la Sposa del Figlio, l’unica Sposa che è l’unica Chiesa. Sulla scorta dell’espressione del Genesi che un uomo e sua moglie diventano “due in una sola carne” (Gen , 24) l’immagine della sposa si è fusa con l’idea della Chiesa come corpo di Cristo, che per parte sua è basato sulla pietà eucaristica. L’unico corpo di Cristo è reso disponibile; Cristo e la Chiesa saranno “due in una sola carne”, un corpo; e così Dio sarà tutto in tutte le cose [...]…C’è solo una sposa, solo un corpo di Cristo, non molte spose, né molto corpi. La sposa, certamente, come hanno detto i padri della Chiesa, richiamandosi al salmo 44, è vestita “di abiti multicolori”; il corpo ha molti organi. Ma il privilegio sovraordinato è in ultima analisi l’unità [...] Ho mostrato come il Concilio risponda alla domanda su dove si possa vedere la Chiesa universale come tale, parlando dei sacramenti: C’è prima di tutto il battesimo: È un evento trinitario, cioè prettamente teologico, e significa molto di più che la socializzazione nella Chiesa locale [...] Il battesimo non deriva dalla comunità locale; piuttosto col battesimo ci viene aperta la porta dell’unica Chiesa; è la presenza della Chiesa una, ed esso può venire solo da essa, dalla Gerusalemme celeste, nostra nuova madre. Nel battesimo la Chiesa universale precede continuamente e crea la Chiesa locale. Su questa base la lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede può affermare che non ci sono stranieri nella Chiesa. Chiunque al suo interno è a casa sua dappertutto [...] Chiunque battezzato nella Chiesa a Berlino è sempre a casa sua a Roma o a New York o a Kinshasa o a Bangalore o dovunque, come se fosse stato battezzato lì. Lui o lei non deve compilare un certificato con il cambio di residenza, è una e la stessa Chiesa. Il battesimo nasce da essa e ci consegna (dà alla luce) ad essa.
da Che cosa crede la Chiesa?, di Joseph Ratzinger (su www.gliscritti.it )
Se si considera bene l’atto di fede, si sviluppano in conformità con esso come da se stessi i singoli contenuti. Dio diviene per noi concreto in Cristo. Così da una parte diviene riconoscibile il mistero trinitario, dall’altra diviene visibile che egli stesso si è inserito nella storia fino al punto che il Figlio è divenuto uomo e dal Padre ci manda lo Spirito. Nell’incarnazione tuttavia è contenuto anche il mistero della Chiesa, poiché Cristo in realtà è venuto per “radunare in unità i dispersi figli di Dio” (Gv11,52). Il noi della Chiesa è la nuova, ampia comunità, nella quale ci attira (cfr. Gv12,32). Così la Chiesa è contenuta nell’inizio stesso dell’atto di fede. La Chiesa non è un’istituzione, che sopraggiunge alla fede dall’esterno e crea una cornice organizzativa per attività comuni dei fedeli; essa appartiene allo stesso atto di fede. L’ “io credo” è sempre anche un “noi crediamo”. Dice il Catechismo a questo proposito: “Io credo: è anche la Chiesa, nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire: ‘Io credo’, ‘Noi crediamo’ ” (167).
5/ Domande relative nel questionario per la verifica
Si domanda:
- Come gli incontri di preparazione al Battesimo possono incidere nel far riscoprire ai genitori la gioia della fede e il loro compito educativo? Conoscete esperienze positive al riguardo?
- Può la parrocchia individuare giovani coppie e consacrati disposti a diventare catechisti del Battesimo e dell’accompagnamento dei genitori anche dopo il battesimo?
- Si desidera per essi una preparazione specifica a livello di prefettura?
- Come sostenere l’impegno dei genitori nell’educare alla vita buona del Vangelo i loro piccoli fin dalla più tenera età?
- Esistono esperienze positive di accompagnamento che, a partire dalla preparazione del Battesimo dei bambini, hanno promosso la nascita di piccole comunità di giovani famiglie che si ritrovano periodicamente nelle case con i loro catechisti per un cammino di fede e di amicizia. È pensabile una esperienza del genere nella vostra parrocchia?