L'iniziazione cristiana e l'annunzio della fede. File audio di una relazione di Andrea Lonardo
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Mettiamo a disposizione ad experimentum per valutare la presenza on-line sul sito di file audio la registrazione di una relazione tenuta da Andrea Lonardo come primo dei tre incontri previsti per la formazione dei catechisti di prefettura dell Diocesi di Roma per l'anno pastorale 2011-2012. La registrazione del secondo e del terzo incontro sono disponibile on-line ai link Le dimensioni costitutive dell'iniziazione cristiana dei bambini e ragazzi. Comunità cristiana e famiglia e La pastorale del Battesimo e il ruolo educativo alla fede dei genitori fin dalla più tenera età. Per altri file audio vedi la sezione Audio e video.
Il Centro culturale Gli scritti (9/11/2011)
Ascolto audio Riproducendo "annunzio ic". Download: |
TRACCIA DELLA RELAZIONE DISTRIBUITA AI PARTECIPANTI
Annuncio della fede e iniziazione cristiana. Catecumenato e itinerari di riscoperta della fede
Andrea Lonardo (www.ucroma.it - www.gliscritti.it)
Indice
- 1/ « All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore ». La questione: presentare qualche “cosuccia” oppure indicare la cosa più preziosa che esista?
- 2/ La “nuova” evangelizzazione, il “secondo” annunzio
- 3.1/ Alcune caratteristiche dell’annunzio cristiano oggi: la sua essenzialità e semplicità
- 3.2/ Alcune caratteristiche dell’annunzio cristiano oggi: la novità del cristianesimo
- 3.3/ Alcune caratteristiche dell’annunzio cristiano oggi: la differenza del cristianesimo
- 3.4/ Alcune caratteristiche dell’annunzio cristiano oggi: la vita trova in Cristo la sua bellezza e la sua pienezza
- 3.5/ Alcune caratteristiche dell’annunzio cristiano oggi: Logos e Agape, intelligenza e amore, fede e carità, ritrovano la loro unità
- 4/ Senza perdere la dimensione popolare della fede cristiana
- 5/ Una sintesi: cosa è allora l’annunzio del Vangelo?
- 6/ Questionario per la verifica nelle parrocchie: domande dal Sussidio dopo il I incontro formativo
1/ « All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore ». La questione: presentare qualche “cosuccia” oppure indicare la cosa più preziosa che esista?
At 2,37 All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore.
Il primo giorno che vorrei, di Alessandro D’Avenia (da Avvenire del 10/9/2011)
Che cosa avrei voluto sentirmi dire il primo giorno di scuola dai miei professori o cosa vorrei che mi dicessero se tornassi studente? Il racconto delle vacanze? No. Quelle dei miei compagni? No. Saprei già tutto. Devi studiare? Sarà difficile? Bisognerà impegnarsi di più? No, no grazie. Lo so. Per questo sto qui, e poi dall’orecchio dei doveri non ci sento. Ditemi qualcosa di diverso, di nuovo, perché io non cominci ad annoiarmi da subito, ma mi venga almeno un po’ voglia di cominciarlo, quest’anno scolastico. Dall’orecchio della passione ci sento benissimo.
Dimostratemi che vale la pena stare qui per un anno intero ad ascoltarvi. Ditemi per favore che tutto questo c’entra con la vita di tutti i giorni, che mi aiuterà a capire meglio il mondo e me stesso, che insomma ne vale la pena di stare qua. Dimostratemi, soprattutto con le vostre vite, che lo sforzo che devo fare potrebbe riempire la mia vita come riempie la vostra. Avete dedicato studi, sforzi e sogni per insegnarmi la vostra materia, adesso dimostratemi che è tutto vero, che voi siete i mediatori di qualcosa di desiderabile e indispensabile, che voi possedete e volete regalarmi. Dimostratemi che perdete il sonno per insegnare quelle cose che – dite – valgono i miei sforzi. Voglio guardarli bene i vostri occhi e se non brillano mi annoierò, ve lo dico prima, e farò altro. Non potete mentirmi. Se non ci credete voi, perché dovrei farlo io?
E non mi parlate dei vostri stipendi, del sindacato, della Gelmini, delle vostre beghe familiari e sentimentali, dei vostri fallimenti e delle vostre ossessioni. No. Parlatemi di quanto amate la forza del sole che brucia da 5 miliardi di anni e trasforma il suo idrogeno in luce, vita, energia. Ditemi come accade questo miracolo che durerà almeno altri 5 miliardi di anni. Ditemi perché la luna mi dà sempre la stessa faccia e insegnatemi a interrogarla come il pastore errante di Leopardi. Ditemi come è possibile che la rosa abbia i petali disposti secondo una proporzione divina infallibile e perché il cuore è un muscolo che batte involontariamente e come fa l’occhio a trasformare la luce in immagini. Ci sono così tante cose in questo mondo che non so e che voi potreste spiegarmi, con gli occhi che vi brillano, perché solo lo stupore conosce. E ditemi il mistero dell’uomo, ditemi come hanno fatto i Greci a costruire i loro templi che ti sembra di essere a colloquio con gli dei, e come hanno fatto i Romani a unire bellezza e utilità come nessun altro. E ditemi il segreto dell’uomo che crea bellezza e costringe tutti a migliorarsi al solo respirarla. Ditemi come ha fatto Leonardo, come ha fatto Dante, come ha fatto Magellano. Ditemi il segreto di Einstein, di Gaudì e di Mozart. Se lo sapete, ditemelo.
Ditemi come faccio a decidere che farci della mia vita, se non conosco quelle degli altri. Ditemi come fare a trovare la mia storia, se non ho un briciolo di passione per quelle che hanno lasciato il segno. Ditemi per cosa posso giocarmi la mia vita. Anzi no, non me lo dite, voglio deciderlo io, voi fatemi vedere il ventaglio di possibilità. Aiutatemi a scovare i miei talenti, le mie passioni e i miei sogni. E ricordatevi che ci riuscirete solo se li avete anche voi i vostri sogni, progetti, passioni. Altrimenti come farò a credervi? E ricordatemi che la mia vita è una vita irripetibile, fatta per la grandezza, e aiutatemi a non accontentarmi di consumare piccoli piaceri reali e virtuali, che sul momento mi soddisfano, ma sotto sotto sotto mi annoiano...
Sfidatemi, mettete alla prova le mie qualità migliori, segnatevele su un registro, oltre a quei voti che poi rimangono sempre gli stessi. Aiutatemi a non illudermi, a non vivere di sogni campati in aria, ma allo stesso tempo insegnatemi a sognare e ad acquisire la pazienza per realizzarli quei sogni, facendoli diventare progetti.
Insegnatemi a ragionare, perché non prenda le mie idee dai luoghi comuni, dal pensiero dominante, dal pensiero non pensato. Aiutatemi a essere libero. Ricordatemi l’unità del sapere e non mi raccontate solo l’unità d’Italia, ma siate uniti voi dello stesso consiglio di classe: non parlate male l’uno dell’altro, vi prego. E ricordatemelo quanto è bello questo Paese, parlatemene, fatemi venire voglia di scoprire tutto quello che nasconde prima ancora di desiderare una vacanza a Miami.
Insegnatemi i luoghi prima dei non luoghi. E per favore, un ultimo favore, tenete ben chiuso il cinismo nel girone dei traditori. Non nascondetemi le battaglie, ma rendetemi forte per poterle affrontare e non avvelenate le mie speranze, prima ancora che io le abbia concepite.
Per questo, un giorno, vi ricorderò.
da Luigi Padovese, Cristiani in Turchia: il valore della testimonianza, intervento alla seconda Assemblea Ecclesiale del Patriarcato di Venezia, nella Basilica di San Marco, il 11 ottobre 2009
In questo particolare momento storico di Europa a molti cristiani, presumibilmente per una concezione individuale e intimistica di religione sulla quale si dovrebbe riflettere e nella quale la si vorrebbe relegare, risulta difficile confessare a parole la loro fede. V'è un diffuso timore nel trattare temi religiosi e manca il coraggio di affermare sia in pubblico che in privato la propria fede, spesso per scarsa formazione. Il che ci ricorda come sia necessaria una nuova grammatica della fede che significa anzitutto chiarire a se stessi perché e come essere cristiani, e poi chiarirlo e mostrarlo a chi non lo è. Penso che anche alla nostra realtà italiana si possa applicare quanto scriveva tempo fa il vescovo di Erfurt in Germania: “Alla nostra chiesa cattolica (in Germania) manca qualcosa. Non è il denaro. Non sono i credenti. Alla nostra Chiesa cattolica (in Germania) manca la convinzione di poter guadagnare nuovi cristiani… e quando si parla di missione v'è l'idea che essa sia qualcosa per l'Africa o l'Asia, ma non per Amburgo, Monaco, Lipsia o Berlino”.
dal Direttorio generale per la catechesi, 62
Nella pratica pastorale le frontiere tra le due azioni [primo annuncio e catechesi] non sono facilmente delimitabili. Frequentemente, le persone che accedono alla catechesi necessitano, di fatto, di una vera conversione.
da Giovanni Paolo II, Catechesi tradendae, 19
La catechesi deve spesso sforzarsi non soltanto di nutrire e di insegnare la fede, ma di suscitarla incessantemente con l’aiuto della grazia, di aprire i cuori, di convertire, di preparare un'adesione globale a Gesù Cristo per coloro che sono ancora alle soglie della fede. Questa preoccupazione ispira [...] il tono, il linguaggio, il metodo della catechesi .
2/ La “nuova” evangelizzazione, il “secondo” annunzio
-il cristianesimo da molti non è conosciuto
-il cristianesimo viene contestato da alcuni come non vero
-il cristianesimo viene ritenuto da alcuni un ostacolo alla vera gioia
-il cristianesimo viene spesso accolto come irrilevante per la vita
-l’annunzio giunge oggi in un contesto in cui vengono messe a tacere tutte le grandi questioni della vita e, proprio dinanzi ad esse, manifesta la sua bellezza e novità
-è facile vederne una controprova: proprio nei tre sacramenti dell’Iniziazione cristiana
3.1/ Alcune caratteristiche dell’annunzio cristiano oggi: la sua essenzialità e semplicità
da La fede della Chiesa di Roma, dell’allora cardinal Joseph Ratzinger, durante il Sinodo Romano, il 18 gennaio 1993, “Quaderni-Nuova Serie del Sinodo Romano”, n.2, Vicariato di Roma, 1993, pp .67-73 (anche su www.gliscritti.it )
In quell’epoca [immediatamente dopo il Concilio] io avevo inviato un piccolo lavoro ad Hans Urs von Balthasar, il quale come sempre mi ringraziò immediatamente con un cartoncino ed al ringraziamento aggiunse una frase pregnante che per me divenne indimenticabile: non presupporre, ma proporre la fede. Fu un imperativo che mi colpì. L’ampio spaziare in nuovi campi era buono e necessario, ma solo a partire dal presupposto che esso stesso traesse origine dalla luce centrale della fede e da questa luce fosse sostenuto. La fede non ha permanenza di per se stessa. Non la si può mai semplicemente presupporre come una cosa già in se conclusa. Deve continuamente essere rivissuta. E poiché è un atto, che abbraccia tutte le dimensioni della nostra esistenza, deve anche essere sempre ripensata e sempre di nuovo testimoniata. I grandi temi della fede - Dio, Cristo, Spirito Santo, Grazia e peccato, Sacramenti e Chiesa, morte e vita eterna - non sono mai temi vecchi. Sono sempre i temi, che ci colpiscono più nel profondo. Devono sempre rimanere centro dell’annuncio e quindi anche centro nel pensiero teologico.
3.1.1/ Il primato di Dio, dinanzi agli adulti...
dall’intervento di Benedetto XVI nella Celebrazione ecumenica nella Chiesa dell'ex-Convento degli Agostiniani di Erfurt, del 23 settembre 2011
L’uomo ha bisogno di Dio, oppure le cose vanno abbastanza bene anche senza di Lui? Quando, in una prima fase dell’assenza di Dio, la sua luce continua ancora a mandare i suoi riflessi e tiene insieme l’ordine dell’esistenza umana, si ha l’impressione che le cose funzionino abbastanza bene anche senza Dio. Ma quanto più il mondo si allontana da Dio, tanto più diventa chiaro che l’uomo, nell’hybris del potere, nel vuoto del cuore e nella brama di soddisfazione e di felicità, “perde” sempre di più la vita.
La sete di infinito è presente nell’uomo in modo inestirpabile. L’uomo è stato creato per la relazione con Dio e ha bisogno di Lui. Il nostro primo servizio ecumenico in questo tempo deve essere di testimoniare insieme la presenza del Dio vivente e con ciò dare al mondo la risposta di cui ha bisogno. Naturalmente di questa testimonianza fondamentale per Dio fa parte, in modo assolutamente centrale, la testimonianza per Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, che è vissuto insieme con noi, ha patito per noi, è morto per noi e, nella risurrezione, ha spalancato la porta della morte. Cari amici, fortifichiamoci in questa fede! Aiutiamoci a vicenda a viverla!
dall’intervista rilasciata da Benedetto XVI a Radio Vaticana ed a tre televisioni tedesche il 13 agosto 2006
Abbiamo il nostro compito di mettere meglio in rilievo ciò che noi vogliamo di positivo. E questo dobbiamo anzitutto farlo nel dialogo con le culture e con le religioni, poiché il continente africano, l’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità. E’ importante dimostrare che da noi non c’è solo questo. E reciprocamente è importante che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente, ma occorre una razionalità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche un mezzo per far confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un’unità comprensiva anche dell’agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di mostrare cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene – per così dire – ai ciarpami della storia, ma è necessaria proprio oggi.
da «L’uomo supera infinitamente l’uomo». Breve riflessione sul transumano, di Fabrice Hadjadj (anche su www.gliscritti.it)
L’essere umano è l’animale che si meraviglia di esistere. Siamo delle scimmie evolute, dei primati giunti al culmine della perfezione? Dubito che sia così. Perché il culmine della perfezione per il primate sta nell’agilità suprema con la quale spostarsi dal ramo o nella facilità assoluta di procurarsi delle banane. Essa non sta in questa capacità di meravigliarsi, in questa facoltà che vi lascia gli occhi sgranati, stupefatti, indifesi di fronte alla vertigine di essere vivi. Essa non sta in questa inclinazione alla contemplazione che, ad esempio, vi fa provare una tale meraviglia di fronte al manto striato della tigre che vi dimenticate di proteggervi contro i suoi graffi.
Alcuni dicono che l’affermazione dell’uomo, nel corso dell’evoluzione, sarebbe dovuta alla sua maggiore capacità di adattarsi al mondo. Eppure l’uomo sembra, al tempo stesso, un grande disadattato: invece di vivere pacificamente secondo l’istinto, cerca un senso, decifra il mondo come se fosse una foresta di simboli, desidera un al di là, un al di là non necessariamente come un altro mondo, ma come un modo di penetrare nel segreto di questo mondo, di intenderlo nel suo mistero, di bere alla sua fonte.
Noi tutti, quindi, ministri o agenti di polizia, ci sentiamo come dei passeggeri o dei passanti. Non solamente perché siamo mortali, ma anche perché nella nostra stessa vita desideriamo un superamento, non necessariamente un superamento verso un altrove (perché questo non sarebbe che turismo, e il turismo, nella spiritualità, è più frequente di quanto si immagini). Noi desideriamo piuttosto un superamento nell’intensità del nostro modo di essere qui e ora, gli uni verso gli altri, cercando infine di essere, gli uni con gli altri, senza ipocrisia, in una verità e in una amicizia profonda (confessiamolo, grattando un po’ la vernice del decoro: siamo ancora lontani da questa verità e da questa amicizia, perché queste presupporrebbero che la caduta di tutte la maschere e la messa a nudo del nostro spirito). [...] Quando si pretende di fondare l’umanesimo sull’uomo stesso accade la medesima cosa che si verifica quando si pretende di erigere un edificio senza alcun appoggio esteriore: l’edificio crolla. Per elevare un palazzo, c’è bisogno di un terreno. Affinché l’uomo si elevi, ha bisogno di un Cielo. Per Cielo intendo una speranza. Gli altri animali si generano attraverso l’istinto. L’uomo ha bisogno di ragioni per dare la vita. Senza queste ragioni, senza una speranza, certamente egli non si suiciderà – perché vi è in lui questa forza d’inerzia che lo spinge a continuare la sua corsa, come un solido nello spazio vuoto –, ma quantomeno non donerà più la vita, perché non vede la ragione di fare figli, se tutto è destinato alla putrefazione. La speranza non è una ciliegia sulla torta, essa deve dichiararsi alla nostra stessa carne, al nostro stesso sesso. Gli Ebrei lo sanno bene: è nel loro sesso che essi trovano il segno dell’Alleanza con l’Eterno, perché, se io non credo in questa Alleanza, per quale ragione continuare l’avventura umana, per quale ragione ostinarsi ad alimentare il carnaio? Ecco ciò che caratterizza l’uomo tra tutti gli animali: egli deve elevarsi verso il Cielo prima di poter dormire con la sua donna.
È in questo – molto semplicemente – che l’uomo supera infinitamente l’uomo. Egli cerca le ragioni per vivere al di là di se stesso. Egli aspira a una gioia che non possiede ancora veramente e di cui attende il compimento in qualche cosa – diciamolo – di «soprannaturale». Noi possiamo riprendere qui un verbo inventato da Dante, e dire che l’uomo è fatto per «trasumanarsi».
3.1.2/ Il primato di Dio, dinanzi ai piccoli
da S. Cavalletti, Il potenziale religioso tra i 6 e i 12 anni. Descrizione di un'esperienza, Città Nuova, Roma, 1996, p. 21
Le domande del “bambino metafisico” «Chi è Dio?». «Dove stavo prima prima (cioè prima di nascere)?». «Come mai sono qui?». «Con chi stava Dio prima (della creazione)? Stava con se stesso?». «Dove sta la nonna? (che è morta»). «Che cos’è la vita? A te piace la vita?».
da Come pesci nell’acqua di Dio, un’intervista a Sofia Cavalletti, tratta dalla rivista “Il sicomoro”, n. 7, inverno 1998/1999 (anche su www.gliscritti.it )
Normalmente si parte dall'importanza della famiglia...
A me pare che fare dell'amore dei genitori o comunque di chi è più vicino al bambino il canale necessario dell'amore di Dio è estremamente limitante; si limita l'amore di Dio alla dimensione umana, lo si considera secondario rispetto alle condizioni in cui il bambino vive. Ma a me sembra - parlando sempre in base a quello che ho potuto osservare - che l'amore di Dio sia primario nell'esperienza umana del bambino piccolo. Certo è bello poter dire ad un bambino: "Papà e mamma ti vogliono bene"; però si tratta sempre di un amore umano e quindi limitato. E quando questo non succede? Un bambino rifiutato dai genitori è forse una creatura perduta per Dio?
No, Dio prende le sue creature anche al di fuori dell'amore umano: l'ho visto in tanti bambini non accettati in famiglia che invece all'annuncio del Pastore che "li chiama per nome" si aprivano ad un immenso godimento.
Dunque bisogna distinguere fra esperienza ed esigenza: l'esperienza è qualche cosa che si è vissuto, può essere una cosa che ha dato un approccio positivo alla vita o negativo, comunque è dipendente dall'esperienza: deve succedere un fatto perché io abbia l'esperienza. L'esigenza, a mio avviso, è ciò che sta più profondamente nella persona umana e che non dipende da questa o da quella esperienza: è una potenzialità che chiede di essere appagata. Questa è l'esigenza, che quindi prescinde dall'esperienza.
Come è diverso questo dalla mentalità corrente, quando si pensa che per interiorizzare la fede basti spiegare delle cose, basti dire: "Ne abbiamo parlato"...
Questa è la mentalità scolastica, ma la catechesi è qualcosa di molto più profondo e più ampio. Anche certe prediche che si sentono: danno spiegazioni e chiudono l'argomento. Ma non è questa la catechesi, che deve essere rivolta all'apertura al mistero. Come dice Stefano Levi della Torre: è il mistero a dar respiro alla conoscenza, a farla lievitare nelle più mirabili costruzioni della cultura. Il mistero, cioè, fa lievitare la conoscenza; se invece delimitiamo, spieghiamo, definiamo tutto, cominciando dalle parabole, che sono le ultime cose che andrebbero spiegate, il mistero non c'è più. Non è più attraente: se mi fai vedere i limiti, non mi interessa più.
Sta dicendo che nel nostro catechismo noi spieghiamo troppo?
Sì, non si esce dalla mentalità scolastica: insegnamento, apprendimento, verifica. E così ho limitato tutto. Ma il limitato non è attraente, è l'immenso; il mistero che attrae. Se vedo il limite, e ne urto il confine, ad un certo momento mi vengono i lividi. Invece, che ricchezza, che saggezza che ha il metodo delle parabole: "Vuoi sapere com'è il ‘Regno dei cieli’? Guarda un po' un semino piccolo, piccolo... Pensaci, guardalo, continua a guardarlo, vedrai che poi..."
3.2/ Alcune caratteristiche dell’annunzio cristiano oggi: la novità del cristianesimo
da G.K. Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, p. 12.
Il 90% di ciò che chiamiamo nuove idee sono semplicemente vecchi errori. Uno dei principali compiti della Chiesa Cattolica è far si che la gente non commetta questi vecchi errori, in cui è facile ricadere, ripetutamente, se le persone vengono abbandonate, sole, al proprio destino. La verità concernente l’atteggiamento cattolico nei confronti dell’eresia o, si potrebbe dire, nei confronti della libertà, può essere rappresentata dalla metafora di una mappa. La Chiesa Cattolica possiede una mappa della mente che sembra la mappa di un labirinto, ma che in realtà è una guida per orientarsi nel labirinto. Questa mappa è stata compilata utilizzando conoscenze che, nel mondo della scienza umana, non hanno paragoni. Non vi sono altri casi di istituzioni intelligenti che hanno, con continuità, pensato sul pensiero per duemila anni. E’ un’esperienza che ricopre quasi tutti i campi esperibili e, in special modo, gli errori. Ne risulta una mappa che evidenzia con chiarezza tutti i vicoli ciechi e le strade dissestate, nonché le vie che si sono dimostrate fuorvianti grazie alle testimonianze forniteci da coloro che le hanno seguite.
Su questa mappa della mente gli errori vengono segnati come eccezioni: gran parte di essa è costituita da campi da gioco e terreni di caccia fioriti, dove la mente può spaziare con tutta la libertà che le è propria, per non parlare dei numerosi campi di battaglia intellettuale dove il combattimento è quanto mai incerto e imprevedibile. Ma c’è la responsabilità di segnalare determinate strade che conducono al nulla o alla distruzione, ad un muro cieco o a un precipizio.
Così facendo, si previene la possibilità che le persone perdano il loro tempo, o le loro vite, in sentieri che si sono dimostrati ripetutamente, nel passato, vani o disastrosi, ma che possono ancora, in futuro, intrappolare ripetutamente i viandanti. La Chiesa si prende la responsabilità di mettere in guardia il suo popolo su queste realtà, e sta proprio qui l’importanza del suo ruolo. Dogmaticamente essa difende l’umanità dai suoi peggiori nemici, quei mostri antichi, divoratori orribili che sono i vecchi errori.
dalla Lectio su Giovanni 15 tenuta da Benedetto XVI, Pontificio Seminario Romano Maggiore, il 12/2/2010
Il Signore dice: "Non vi chiamo più servi, il servo non sa quello che fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi". Non più servi, che obbediscono al comando, ma amici che conoscono, che sono uniti nella stessa volontà, nello stesso amore.
La novità quindi è che Dio si è fatto conoscere, che Dio si è mostrato, che Dio non è più il Dio ignoto, cercato, ma non trovato o solo indovinato da lontano. Dio si è fatto vedere: nel volto di Cristo vediamo Dio, Dio si è fatto "conosciuto", e così ci ha fatto amici.
Pensiamo come nella storia dell'umanità, in tutte le religioni arcaiche, si sa che c'è un Dio. Questa è una conoscenza immersa nel cuore dell'uomo, che Dio è uno, gli dèi non sono "il" Dio. Ma questo Dio rimane molto lontano, sembra che non si faccia conoscere, non si faccia amare, non è amico, ma è lontano. Perciò le religioni si occupano poco di questo Dio, la vita concreta si occupa degli spiriti, delle realtà concrete che incontriamo ogni giorno e con le quali dobbiamo fare i calcoli quotidianamente. Dio rimane lontano.
Poi vediamo il grande movimento della filosofia: pensiamo a Platone, Aristotele, che iniziano a intuire come questo Dio è l'agathòn, la bontà stessa, è l'eros che muove il mondo, e tuttavia questo rimane un pensiero umano, è un'idea di Dio che si avvicina alla verità, ma è un'idea nostra e Dio rimane il Dio nascosto. [...] Ed ecco, in Cristo, Dio si è mostrato nella sua totale verità, ha mostrato che è ragione e amore, che la ragione eterna è amore e così crea. [...] Dio non è più sconosciuto: nel volto del Cristo Crocifisso vediamo Dio e vediamo la vera onnipotenza, non il mito dell'onnipotenza. Per noi uomini potenza, potere è sempre identico alla capacità di distruggere, di far il male. Ma il vero concetto di onnipotenza che appare in Cristo è proprio il contrario: in Lui la vera onnipotenza è amare fino al punto che Dio può soffrire: qui si mostra la sua vera onnipotenza, che può giungere fino al punto di un amore che soffre per noi. E così vediamo che Lui è il vero Dio e il vero Dio, che è amore, è potere: il potere dell'amore. E noi possiamo affidarci al suo amore onnipotente e vivere in questo, con questo amore onnipotente.
3.3/ Alcune caratteristiche dell’annunzio cristiano oggi: la differenza del cristianesimo
-un esempio: risurrezione o reincarnazione?
3.4/ Alcune caratteristiche dell’annunzio cristiano oggi: la vita trova in Cristo la sua bellezza e la sua pienezza
da G.K. Chesterton, L’uomo eterno, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, pp. 265-266; 307
[L’immagine delle chiavi consegnate dal Cristo a San Pietro] ha un’esattezza che non è stata forse esattamente notata. Le chiavi hanno avuto una parte cospicua nell’arte e nell’araldica del Cristianesimo: ma non tutti hanno notato la peculiare precisione dell’allegoria. Arrivati a questo punto della nostra storia, bisognerà dire qualche cosa del primo apparire e della attività della Chiesa nell’Impero romano: e per un breve accenno in proposito nulla potrebbe meglio servire di quell’antica metafora.
Il cristiano primitivo era né più né meno che una persona con una chiave, o che diceva di avere una chiave. Tutto il movimento cristiano consistette nel proclamare di possedere tale chiave. Non era solamente un vago movimento in avanti, che avrebbe potuto esser meglio rappresentato dal battere un tamburo. Non era qualche cosa che spazzava via tutto davanti a sé, come un moderno movimento sociale. Come vedremo fra poco, si rifiutava piuttosto di far questo. Esso asseriva in modo assoluto che c’era una chiave e che possedeva tale chiave e che nessun’altra chiave era eguale a quella; era in un certo senso, diciamo pure, ristretto. Soltanto avveniva che quella era la chiave che poteva aprire la prigione del mondo intero, e far vedere la bianca aurora della salvezza.
Il credo era come una chiave per tre aspetti che potrebbero convenientemente riunirsi sotto questo simbolo.
Primo, una chiave è anzitutto una cosa che ha una forma; ed è una cosa che dipende interamente dal conservare la sua forma. Il credo cristiano è soprattutto la filosofia della forma ed è nemico delle cose informi. Ecco dove differisce da tutte le altre infinite filosofie – manicheismo, Buddismo – che formano una specie di lago notturno nell’oscuro cuore dell’Asia [...]
Secondo, la forma della chiave è per se stessa una forma piuttosto fantastica. [...] Una chiave non è materia di astrazioni: nel senso che una chiave non è materia di ragionamento. Essa o è adatta alla serratura, oppure non è. È inutile per gli uomini disputarvi attorno, considerata la cosa in se stessa; o ricostruirla sui puri principi della geometria o dell’arte decorativa. È una sciocchezza per un uomo dire che preferirebbe una chiave più semplice; sarebbe assai più sensato se facesse del suo meglio con un grimaldello.
In terzo luogo, poiché la chiave è necessariamente una cosa fatta secondo un disegno, questa aveva un disegno piuttosto elaborato. Quando la gente si lamenta che la religione si è troppo presto immischiata di teologia e roba simile, dimentica che il mondo [...] era penetrato addirittura in un labirinto di vie senza uscita. [...] Basti dire qui che nella chiave c’erano senza dubbio molte cose che parevano complicate: c’era soltanto una cosa che era semplice. Apriva la porta. [...] Io non tento alcuna apologia sul motivo per cui il credo debba essere accettato. Ma in risposta al problema storico del perché fu accettato, ed è accettato, io do per altri milioni di persone questa risposta: perché corrisponde alla serratura; perché è come la vita. È una delle tante storie; con questo di più, che è una storia vera. È una fra le tante filosofie; con questo di più, che è la verità. Noi l’accettiamo; e il terreno è solido sotto i nostri piedi, e la strada è aperta davanti a noi. Esso non c’imprigiona in un sogno fatalistico o nella coscienza di una universale illusione. Esso apre a noi non soltanto incredibili cieli, ma una terra (può sembrare) egualmente incredibile, e la fa credibile. Questa è la verità che è duro spiegare perché è un fatto, ma è un fatto di cui noi siamo testimoni. Siamo cristiani e cattolici non perché adoriamo una chiave, ma perché abbiamo varcato una porta; e abbiamo sentito lo squillo di tromba della libertà passare sopra la terra dei viventi.
3.5/ Alcune caratteristiche dell’annunzio cristiano oggi: Logos e Agape, intelligenza e amore, fede e carità, ritrovano la loro unità
dal discorso di Benedetto XVI del 19 ottobre 2006, ai partecipanti al Convegno di Verona
La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell'intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall'amore reciproco e dall'attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico-romano. Così è avvenuto anche in seguito, in diversi contesti culturali e situazioni storiche. Questa rimane la strada maestra per l'evangelizzazione: il Signore ci guidi a vivere questa unità tra verità e amore nelle condizioni proprie del nostro tempo, per l'evangelizzazione dell'Italia e del mondo di oggi.
4/ Senza perdere la dimensione popolare della fede cristiana
-una chiesa che ha fatto l’Unità d’Italia a livello di popolo
5/ Una sintesi: cosa è allora l’annunzio del Vangelo?
cfr. M. Tibaldi, Kerygma e atto di fede nella teologia di Hans Urs von Balthasar, Università Gregoriana, Roma, 2005
L’annunzio del Vangelo è la proclamazione dell’evento di Cristo che mi rivela il “mistero” di Dio ed insieme il “mistero” dell’uomo.
da don Luigi Giussani (copertina di Tracce, dicembre 2008)
Gesù Cristo, quell’uomo di duemila anni fa [...] L’incontro, l’impatto, è con una umanità diversa, che ci colpisce perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce lo aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove.
6/ Questionario per la verifica nelle parrocchie: domande dal Sussidio dopo il I incontro formativo
1. «L’annuncio del Vangelo ai tanti non battezzati di una città cosmopolita, sempre più multietnica e multi religiosa, oggi si è fatto più che mai urgente» (Relazione del Cardinale Vicario).
Si domanda:
- La parrocchia è attenta ad aprire le porte del Vangelo a questo mondo in ricerca? Con quali mezzi?
- La prassi del catecumenato quali frutti ha portato e quali suggerimenti può offrire?
- Il catechista è un mistagogo, cioè è colui che prende per mano e, attraverso le diverse tappe, introduce nei sentieri della fede fino all’incontro con Cristo. Esistono catechisti dedicati esclusivamente ad accompagnare i catecumeni? Che preparazione hanno ricevuto?
2. Non pochi battezzati, che vivono ai margini della vita ecclesiale, in occasioni diverse “si riavvicinano” alla Chiesa e domandano di conoscere il Vangelo. Ad essi va rivolta una speciale cura pastorale.
È imprescindibile anzitutto l’esempio attraente dei testimoni della fede, che con coraggio, con convinzione e con gioia annuncino Gesù Cristo e mostrino la ragionevolezza della fede in Lui.
Si domanda:
- Cosa significa per la nostra diocesi di Roma prendere consapevolezza del fatto che la fede, anche per i fedeli battezzati, non può essere presupposta ma deve essere proposta?
- Quali sono i limiti della catechesi in merito all’annunzio del Vangelo che debbono essere affrontati con coraggio?
- Quali proposte ed esperienze possono essere suggerite per l’accompagnamento di chi si riavvicina alla fede e per i cammini della Cresima dei giovani-adulti?
- I catechisti sono preparati allo scopo?